il sistema di ammortamento alla “francese” – in cui, come è noto, la quota capitale aumenta progressivamente mentre la quota interessi decresce – non determina alcuna illegittima capitalizzazione degli interessi corrispettivi, poiché la quota di interessi di ogni singola rata viene calcolata sul debito residuo del periodo precedente, costituito dalla quota capitale ancora dovuta, detratto l’importo già pagato in linea capitale con le rate precedenti, senza che gli interessi passivi già predisposti costituiscano base di calcolo nella rata successiva.

 

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Tribunale Taranto, Sezione 3 civile Sentenza 4 giugno 2018, n. 1523

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Taranto, terza sezione civile, in composizione monocratica, nella persona del Dott. Andrea Paiano ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa civile di primo grado, iscritta al numero R.G. 3585/2016, promossa da:

(…) e (…), rappresentati e difesi dall’Avv. Fa.Gi.;

attori

contro

(…) S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Sa.D’O.;

convenuta

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione regolarmente notificato i sigg. (…) e (…) hanno instaurato, all’esito dell’ordinanza conclusiva della fase sommaria innanzi al G.E., il giudizio di merito avverso l’esecuzione immobiliare R.G.E. 632/2012, contestando il credito azionato dall’istituto di credito convenuto sulla base di cinque differenti motivi.

In primo luogo hanno lamentato la nullità del contratto di mutuo per cui è causa per violazione di norme imperative; in particolare hanno osservato che l’importo finanziato con il suddetto contratto (pari ad Euro 81.500,00) sarebbe superiore rispetto al prezzo di acquisto, nonché rispetto al valore indicato nella relazione di stima dell’esperto nominato dal Tribunale nel corso della procedura esecutiva ed individuato in Euro 49.300,00.

Con il secondo motivo hanno sostenuto che il contratto presenterebbe gravi profili di illegittimità, sotto il profilo del superamento del tasso soglia, in conseguenza della previsione contrattuale secondo cui “ogni somma dovuta per qualsiasi titolo in dipendenza del presente contratto e non pagata, produrrà di pieno diritto dal giorno della scadenza interessi di mora a carico della parte mutuataria ed a favore della Banca”; i ricorrenti asseriscono che tale clausola, comportando una “sommatoria” tra tasso di interesse corrispettivo e tasso di interesse moratorio, avrebbe determinato il superamento del tasso soglia individuato dalla normativa anti usura.

Inoltre, hanno rilevato come, anche considerando singolarmente gli interessi corrispettivi e quelli moratori, essi sarebbero risultati, nel corso del rapporto e per alcuni periodi, superiori al tasso soglia di riferimento.

In via subordinata hanno rilevato come la clausola sopra indicata, prevedendo che l’interesse moratorio si sommi a quello corrispettivo e non si sostituisca allo stesso, abbia comportato la violazione del divieto di anatocismo bancario di cui all’art. 1283 c.c.

Ulteriore profilo di illegittimità – sotto il profilo dell’anatocismo – sarebbe costituito dall’applicazione del sistema di ammortamento alla “francese”.

Da ultimo, parte attrice, ha lamentato l’indebito superamento del TAN e del TAEG convenuto.

Con comparsa di risposta si è costituito (…) S.p.A., chiedendo il rigetto dell’opposizione ex adverso proposta, con vittoria di spese e condanna degli attori ex art. 96 c.p.c.

Concessi i termini di cui all’art. 183 co. 6) c.p.c., con ordinanza del 13.5.2017, il Giudice ritenendo matura la causa per la decisione, senza necessità di istruttoria, ha rinviato per la precisazione delle conclusione all’udienza del 5.2.2018.

In quest’ultima udienza la causa è stata trattenuta per la decisione con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

La domanda degli attori è infondata per le ragioni che seguono.

SULLA NULLITA’ DEL CONTRATTO PER VIOLAZIONE DI NORME IMPERATIVE

Gli attori, come sopra evidenziato, hanno lamentato la nullità del contratto per cui è causa sostenendo il superamento, da parte dell’Istituto di credito mutuante, del limite di finanziabilità in materia di mutuo fondiario come previsto dall’art. 38 TUB e dalla successiva Del.CICR del 22 aprile 1995; il superamento di tale limite sarebbe provato dal “prezzo” di vendita dell’appartamento ipotecato, inferiore al finanziamento ricevuto, nonché dalla relazione di stima effettuata in sede di esecuzione, dall’esperto nominato dal G.E. ex art. 569 c.p.c.

Nel senso della nullità del contratto di mutuo, nel caso di superamento dei limiti di finanziabilità, si sono espresse alcune recenti sentenze della Suprema Corte di Cassazione, sul presupposto che tale limite è elemento essenziale del contratto salva – ove ne sussistano i presupposti – la possibilità di convertire il rapporto contrattuale in un ordinario finanziamento ipotecario.

Tuttavia, a parere di chi scrive, tale impostazione non può essere condivisa.

Va osservato, al riguardo, come l’art. 38 co. 2) D.Lgs. n. 385 del 1993 demanda alla (…), in conformità alle deliberazioni del CICR, la definizione delle modalità di determinazione degli importi finanziabili nell’ambito di un’operazione di credito fondiario, da individuare in rapporto al “valore” dei beni ipotecati o al “costo” delle opere da eseguire; con deliberazione del 22 aprile 1995 del CIRC, l’ammontare massimo dei finanziamenti fondiari è stato fissato nell’80% del valore dei beni sottoposti ad ipoteca o del costo delle opere da eseguire sugli stessi, ivi compreso il costo dell’area o dell’immobile da ristrutturare.

Ciò posto, occorre evidenziare che in riferimento alle percentuali di concessione dei finanziamenti fondiari sia le norme del TUB sia le Istruzioni di (…) mancano di criteri obiettivi e positivamente individuati che consentano la determinazione del “valore” di un immobile o del “costo” delle opere da eseguire; in altri termini il limite sopra menzionato manca dei caratteri di univocità, determinatezza o quantomeno di determinabilità che devono necessariamente connotare un elemento qualificato come strutturale del rapporto contrattuale.

Ed allora, come osservato da una parte della giurisprudenza di merito, appare ontologicamente inconciliabile che una norma che prevede un requisito a pena di nullità non si preoccupi di fornire elementi utili per definire quel requisito, ogni volta che esso non appare di palmare ed intuibile comprensione, soprattutto in casi, come quello in esame, dove tale elemento è di tipo valutativo, così che lo stesso non può nemmeno essere ricostruito dal Giudice attraverso l’attività interpretativa (cfr. Trib. Vicenza, ordinanza del 25.10.2017, in (…)).

Per tale ragione sembra maggiormente condivisibile l’orientamento tradizione, affermato dalla stessa Cassazione, secondo cui la violazione del limite di finanziabilità giustifica una tutela risarcitoria, ove la violazione della norma di comportamento abbia cagionato il sovraindebitamento del mutuatario.

A prescindere da quanto appena esposto, va rilevato come gli elementi fomiti dagli attori non appaiono sufficienti ai fini della prova – che sugli stessi incombe – circa la violazione dell’art. 38 co. 2) TUB; da un lato, infatti, non può assumere valore dirimente il prezzo pattuito nell’ambito di una compravendita (peraltro intercorsa oltre cinque anni prima dell’erogazione del finanziamento), in quanto la norma in esame fa riferimento al “valore” o al “costo” e mai al “prezzo” di acquisto dell’immobile, che al più costituisce un dato da accertare e non da valutare e che, dipendendo da accordi meramente discrezionali tra venditore ed acquirente, è inidoneo a segnalare la capienza oggettiva del cespite; dall’altro nemmeno può assumere rilievo la stima effettuata dall’esperto nominato dal G.E., trattandosi di un valore riferito non al momento della concessione del mutuo, bensì a quello esistente nel momento – di molto successivo sotto il profilo temporale – degli accertamenti eseguiti nell’ambito della procedura esecutiva avviata dall’istituto di credito.

SULL’USURARIETA’ DEGLI INTERESSI PATTUITI

Va disattesa la doglianza in ordine alla nullità del contratto per cui è causa in considerazione del fatto che gli interessi corrispettivi e/o quelli moratori, singolarmente considerati, avrebbero superato – per alcuni periodi – il tasso soglia trimestralmente rilevato da (…).

In senso contrario rispetto alla contestazione operata dagli attori va richiamato il principio, di recente espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui “allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopravvenuto superamento di tale soglia, contraria ai doveri di buona fede nell’esecuzione del contratto” (cfr. Cass. Civ., Sez. Unite, 19 ottobre 2017, n. 24675).

Nemmeno può condividersi la tesi, sostenuta dai ricorrenti, circa l’usurarietà ab origine degli interessi pattuiti in contratto, in virtù della necessità di sommare gli interessi corrispettivi con quelli moratori.

Questa tesi non appare condivisibile, dovendo rilevarsi come gli interessi corrispettivi e quelli moratori hanno funzione e natura differenti, nonché differenti presupposti; più specificatamente, gli interessi corrispettivi costituiscono la remunerazione del capitale dato a mutuo e trovano applicazione nella fase fisiologica del contratto; gli interessi moratori, viceversa, sono conseguenti all’inadempimento ed hanno funzione sanzionatoria, sicché la loro applicazione è soltanto eventuale.

I primi si applicano sull’intero capitale dato in prestito, mentre i secondi trovano applicazione esclusivamente rispetto alle rate non pagate o a quelle pagate in ritardo e nei limiti del suddetto ritardo.

Né può fondarsi la sommatoria tra i due tassi sulla considerazione che il contratto prevede che, in caso di ritardato pagamento delle rate, gli interessi moratori vadano computati sull’intera rata, in quanto simili pattuizioni non prevedono una sommatoria a livello di tassi tra l’interesse moratorio e interesse corrispettivo ricompreso nella rata, ma semplicemente disciplinano l’applicabilità degli interessi moratori in conformità con quanto consentito dall’art. 3 della Del.CICR del 9 febbraio 2000, in materia di capitalizzazione degli interessi (cfr. Trib. Roma, 12 febbraio 2018, n. 3181 in expartecreditoris.it Trib. Napoli, 9 febbraio 2018, n. 1476 in Dejure.it).

Al di là di quanto appena esposto, va rilevato come – ad oggi – non sia nemmeno possibile determinare un tasso soglia per gli interessi moratori, così da ricondurre anche questi nell’ambito della c.d. usura oggettiva.

Ed infatti, gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM), sulla base del quale viene determinato il tasso soglia.

Come è noto, infatti, la L. n. 108 del 1996 prevede un sistema di accertamento dei tassi medi di mercato per categorie di operazioni, mediante pubblicazione dei tassi medi sulla Gazzetta Ufficiale e la fissazione di un tasso oltre il quale il divario rispetto ai tassi medi configura la fattispecie di usura.

Più specificatamente, l’art. 2 co. 1) della legge stabilisce che il Ministero del Tesoro rilevi trimestralmente il TEGM, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, e degli interessi praticati dagli istituti di credito nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura; il co. 4) dello stesso articolo individua, poi, il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari e che deriva dal tasso medio risultante dell’ultima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, aumentato fino al 14.5.2011 del 50% e successivamente del 25% con una maggiorazione di quattro punti percentuali e con il limite di una maggiorazione finale non superiore dell’8% rispetto al tasso medio.

Ne discende che il carattere usurario degli interessi viene delineato dal legislatore sulla scorta di un criterio oggettivo e variabile, assumendo come parametro di riferimento il tasso effettivo globale medio, soggetto a rilevazioni ed oscillazioni periodiche, in quanto individuato utilizzando come base di riferimento le operazioni creditizie (raggruppate per categorie e secondo criteri omogenei) compiute nel trimestre precedente rispetto a quello della rilevazione.

In un contesto siffatto assumono rilievo centrale le Istruzioni di (…), nonché le indicazioni e le prescrizioni del MEF; prescrizioni che hanno sempre previsto e disposto come le rilevazioni statistiche debbano essere condotte con esclusivo riferimento ai tassi corrispettivi, verosimilmente alla luce della maggiore omogeneità delle condizioni concordate sul mercato di riferimento ed in considerazione della loro funzione, che è quella di retribuzione del denaro concesso in prestito; al contrario, nessuna rilevazione viene effettuata con riferimento agli interessi moratori, in considerazione della loro natura di prestazione non necessaria e solo eventuale e per la loro funzione risarcitoria del danno derivante dall’inadempimento contrattuale.

Da quanto appena esposto discende, in considerazione del principio di necessaria omogeneità e simmetria tra elementi oggetto di rilevazione per la determinazione del TEGM, e dunque del tasso soglia, e gli elementi del singolo rapporto di finanziamento, da confrontare con quest’ultimo tasso, come non possa procedersi ad un confronto tra la pattuizione relativa agli interessi moratori e il tasso soglia così determinato, al fine di accertare se i primi siano o meno usurari; diversamente operando, infatti, si giungerebbe ad una rilevazione priva di qualsiasi attendibilità logica, prima ancora che giuridica, pretendendo di raffrontare fra loro valori disomogenei (cfr. Trib. Milano, 16.2.2017, n. 1906 e Trib. Varese 29.11.2106, n. 1354, in (…)).

Principio, quest’ultimo, che ha trovato riconoscimento anche in sede di legittimità ove si è osservato che nel caso di usura oggettiva (presunta) il giudizio in punto di usurarietà si basa sul raffronto tra un dato concreto (lo specifico TEG applicato al singolo contratto) e un dato astratto (il TEGM rilevato con riferimento alla tipologia di appartenenza del contratto in questione), sicchè – se il raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo – il dato che se ne ricava non può che essere viziato fin dal principio (Cass. Civ., sez. I, 22 giugno 2016, n. 12965 e Cass. Civ, sez. I, 3 novembre 2016, n. 22270).

SULLA VIOLAZIONE DELL’ART. 1283 C.C.

Infondata è la contestazione circa la violazione del divieto di anatocismo ex art. 1283 c.c. in considerazione della clausola contrattuale secondo cui gli interessi moratori sono applicabili sulle somme non corrisposte o corrisposte in ritardo (e quindi anche sulla quota dovuta per gli interessi corrispettivi); in senso contrario è sufficiente rilevare che la suddetta clausola è conforme all’art. 25 D.Lgs. n. 342 del 1999 e della successiva Del.CICR del 9 febbraio 2000, vigente alla data di conclusione del rapporto, secondo cui “nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e fino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica”.

Dalla disposizione in esame si evince, con estrema chiarezza, che le parti possono (come avvenuto nel caso di specie) pattuire la possibilità di applicare gli interessi moratori sull’importo complessivamente dovuto dal cliente e, quindi, anche sulla quota – dovuta a titolo di interesse corrispettivo – relativa alla rata inadempiuta o adempiuta con ritardo.

SULL’ANATOCISMO DERIVANTE DAL SISTEMA DI AMMORTAMENTO ALLA “FRANCESE”

Anche l’ulteriore lamentata illegittimità del mutuo, per la sussistenza di una capitalizzazione occulta, determinata dall’applicazione, in sede di ammortamento, del sistema alla “francese” non appare fondata.

Al riguardo è ormai costante, nella giurisprudenza di merito, il principio secondo cui il sistema di ammortamento alla “francese” – in cui, come è noto, la quota capitale aumenta progressivamente mentre la quota interessi decresce – non determina alcuna illegittima capitalizzazione degli interessi corrispettivi, poiché la quota di interessi di ogni singola rata viene calcolata sul debito residuo del periodo precedente, costituito dalla quota capitale ancora dovuta, detratto l’importo già pagato in linea capitale con le rate precedenti, senza che gli interessi passivi già predisposti costituiscano base di calcolo nella rata successiva.

In altri termini, l’interesse applicato è un interesse semplice in quanto la quota di ogni singola rata è calcolata solo sulla quota di capitale residuo e non anche sulla stessa aumentata della quota interessi.

Stando così le cose, è evidente che siffatto sistema di calcolo non genera alcun effetto anatocistico, perché gli interessi corrispettivi sono calcolati unicamente sulla quota di capitale ancora dovuta e per il periodo di riferimento delle rate.

SUL SUPERAMENTO DEL TAN E TAEG CONVENUTO

Asseriscono gli attori che il TAEG (o ISC) indicato in sede contrattuale è difforme da quello effettivamente applicato al rapporto, dovendosi considerare – ai fini della determinazione del costo effettivo del finanziamento – sia l’onorario corrisposto in favore del notaio rogante, sia le spese di intermediazione svolte in favore dei mutuatari da parte di (…) s.r.l. sia, infine, quelle relative alla polizza denominata “intesa progetti mutuo” sottoscritta dai coniugi (…) e (…).

Anche tale motivo di opposizione, tuttavia, non può essere condiviso.

In primo luogo, sulla base delle istruzioni di (…), tra le voci da inserire per la determinazione dell’indicatore sintetico di costo, vanno espressamente escluse quelle relative alle spese notarili.

Quanto alle spese di intermediazione sostenute dai mutuatari, esse possono essere ricomprese nel costo complessivo del contratto solo a condizione che venga fornita la prova che l’attività di intermediazione si sia resa necessaria ai fini dell’erogazione del prestito.

Nel caso di specie, tuttavia, alcun elemento di prova in ordine alla necessità di richiedere un’attività di intermediazione è stato fornito da parte degli attori, né vi è prova che senza quell’attività il prestito non sarebbe stato erogato e non sarebbe stato erogato alle condizioni pattuite; in altri termini, dagli elementi acquisiti, è possibile ritenere che l’attività svolta da (…) s.r.l. sia dipesa da una libera scelta dei mutuatari.

Quanto, infine, alle spese di assicurazione, queste ultime possono essere ricomprese nell’ISC, a condizione che il servizio assicurativo sia obbligatorio per ottenere il finanziamento ovvero per ottenerlo a determinate condizioni, e ciò indipendentemente dal fatto che la polizza sia stata stipulata per il tramite del finanziatore o direttamente dal cliente.

Nella fattispecie in esame, tuttavia, tali condizioni non possono dirsi integrate: in questo senso è sufficiente rilevare come la polizza assicurativa sottoscritta dai mutuatari abbia ad oggetto i rischi derivanti da morte, invalidità permanente o temporanea da infortuni o malattie e quelli derivanti da disoccupazione, mentre il contratto di mutuo prevede tra gli adempimenti a carico della parte mutuataria, l’obbligo di stipulare la polizza assicurativa contro i danni all’immobile (cfr. art. 6 del contratto).

Ne discende, allora, che la polizza richiamata dagli attori non può considerarsi come conditio sine qua non per l’erogazione del finanziamento, né per l’erogazione alle condizioni pattuite e, come tale, deve ritenersi esclusa dalle voci che devono comporre il TAEG (o ISC).

In ogni caso va rilevato che secondo la ricostruzione operata dagli attori, anche inserendo tali voci, il costo complessivo del credito sarebbe pari al 7,91% e quindi inferiore rispetto al tasso soglia previsto nel momento della conclusione del contratto.

Né un’ipotetica discrasia tra ISC indicato e quello effettivo può assurgere a motivo di nullità per indeterminatezza del rapporto contrattuale, in quanto l’indicatore sintetico di costo non costituisce un tasso di interesse o una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, ma svolge unicamente una funzione informativa finalizzata a mettere il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi; deve quindi concludersi nel senso che l’eventuale difformità dell’ISC indicato in contratto rispetto ai costi effettivamente sostenuti dai mutuatari non comporta nullità del negozio giuridico o della relativa clausola, potendo semmai comportare una mera obbligazione risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale (cfr. Trib. Bologna, 9.1.2018; Trib. Roma 19.4.2017; Trib. Napoli 12.3.2018).

Va disattesa, infine, la domanda proposta da (…) S.p.A. di condanna ex art. 96 c.p.c. in quanto la complessità della fattispecie in esame e i molteplici orientamenti giurisprudenziali formatosi sulle questione dedotte dagli attori escludono che questi ultimi abbiano agito con mala fede o colpa grave.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dai sigg.ri (…) e (…) nei confronti di (…) S.p.A.:

RIGETTA le domande proposte dagli attori;

CONDANNA gli attori, in solido tra loro, al pagamento dei compensi di giudizio in favore di (…) S.p.A., che si liquidano in Euro 5.000,00 oltre spese generali al 15%, CPA ed IVA come per legge.

Si comunichi.

Così deciso in Taranto il 26 maggio 2018.

Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.