perche’ possa parlarsi di accettazione tacita dell’opera commissionata occorre che il committente accetti senza riserve la consegna dell’opera oppure compia un atto che presupponga necessariamente la volonta’ di accettarla e che sarebbe incompatibile con quella di rifiutarla o accettarla condizionalmente. In particolare l’articolo 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell’accettazione da parte del committente. Le prime due ipotesi (da qualificarsi accettazione presunta) di cui dell’articolo 1665 c.c., commi 2 e 3, ricorrono allorche’ il committente, cui sia pervenuto l’invito a procedere alla verifica dell’opera, tralasci di provvedervi senza giusti motivi (prima ipotesi) oppure (seconda ipotesi) avendo a tanto provveduto, non comunichi i risultati all’appaltatore entro breve termine.

 

Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con particolare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: L’appalto privato aspetti generali.

Corte di Cassazione, Sezione 6 2 civile Ordinanza 3 luglio 2018, n. 17317

Data udienza 23 novembre 2017

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13618/2016 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 264/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 16/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 23/11/2017 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 1218/07 del 14.05.2007, rigettando la domanda proposta da (OMISSIS) e (OMISSIS), dichiarava risolto il contratto di appalto stipulato con i committenti (OMISSIS) (deceduto in corso causa) e (OMISSIS) e non dovuto il pagamento del saldo dei lavori oggetto di controversia, nonche’ l’indennita’ spettante a norma dell’articolo 1671 c.c., per il recesso unilaterale esercitato dai committenti, compensate tra le parti le spese processuali.

A seguito di appello, interposto dai (OMISSIS), la Corte d’appello di Salerno, con sentenza n. 264/2016 pubblicata il 16.05.2016, in parziale accoglimento del gravame e in riforma parziale della sentenza impugnata, condannava gli appellati, in solido, al pagamento in favore degli appellanti del corrispettivo determinato in Euro 65.073,56, oltre agli interessi legali dal 26.08.2002 al soddisfo, ritenuta avvenuta la consegna dell’opera, con rifusione delle spese del doppio grado di giudizio.

Avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, fondato su tre motivi, cui replicano i (OMISSIS) con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere respinto, con la conseguente definibilita’ nelle forme di cui all’articolo 380 bis c.p.c., in relazione all’articolo 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata alle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

In prossimita’ dell’adunanza camerale parte controricorrente ha depositato anche memoria illustrativa.

Atteso che:

con il primo ed il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 115, 116 c.p.c. e articolo 1665 c.c., ex articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 c.p.c., n. 5. In particolare, con il primo motivo, la ricorrente lamenta che la corte d’appello avrebbe fornito una distorta interpretazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., avendo stravolto completamente le risultanze probatorie cui era pervenuto il Tribunale di Salerno. Precisamente, il verbale di consistenza, indicato dai testi (OMISSIS) e (OMISSIS), non sarebbe mai stato prodotto da nessuna delle parti in causa e gli stati di avanzamento risultavano sottoscritti solo dagli appaltatori e non dai committenti; dunque trattandosi di documenti unilateralmente predisposti dagli attori sarebbero inconferenti ai fini della prova dell’esecuzione delle opere ivi riportate. Inoltre, con il secondo motivo, parte ricorrente lamenta un vizio di motivazione e deduce che la Corte d’appello avrebbe errato nella “applicazione ed interpretazione dell’articolo 1665 c.c.” circa l’avvenuta esecuzione dell’opera e la sua accettazione, non essendo stato formalizzato alcun invito da parte dell’appaltatore a ricevere l’opera, per cui non sarebbe intervenuta nessuna accettazione.

I due motivi – stante la evidente connessione argomentativa – vanno trattati congiuntamente. Essi sono inammissibili ancora prima che infondati.

Nella specie, la Corte di merito, precisato che il contratto di appalto si e’ risolto per effetto del recesso unilaterale esercitato dai committenti, ha considerato che dalla prova testimoniale (testi (OMISSIS), di parte appaltatrice e (OMISSIS), di parte committente), posta in correlazione alla lettera raccomandata del 7.05.2002, emergeva che in esito all’esercitato recesso, da riferirsi a ragioni di ritardo nell’esecuzione dei lavori, vi era stata la redazione dello stato di consistenza dei lavori, nel contraddittorio delle parti, da cui risultava che l’importo complessivamente dovuto dai committenti ammontava a Lire 126.000.000 da corrispondersi “se le opere fossero state regolari, collaudabili ed eseguite a regola d’arte”.

Della stesura del verbale de quo viene fatta menzione anche nella lettera del 26.07.2002, inviata dagli stessi committenti agli appaltatori.

Da dette circostanze, la Corte distrettuale ha inferito l’avvenuta riconsegna del cantiere e quindi dell’opera, mai contestata dagli appaltanti.

La successiva deduzione circa l’accettazione dell’opera medesima costituisce pertanto logico corollario alla luce del disposto dell’articolo 1665 c.c., comma 3. Per cui i committenti, riservata la verifica della corrispondenza delle opere e della loro esecuzione a regola d’arte, avendo omesso di comunicare all’appaltatore l’esito della verifica entro un ragionevole termine, a norma del comma 3 della disposizione citata, l’opera andava considerata accettata.

La giurisprudenza di questa Corte e’ ferma nel ritenere che perche’ possa parlarsi di accettazione tacita dell’opera commissionata occorre che il committente accetti senza riserve la consegna dell’opera oppure compia un atto che presupponga necessariamente la volonta’ di accettarla e che sarebbe incompatibile con quella di rifiutarla o accettarla condizionalmente. In particolare l’articolo 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell’opera, indica i fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell’accettazione da parte del committente. Le prime due ipotesi (da qualificarsi accettazione presunta) di cui dell’articolo 1665 c.c., commi 2 e 3, ricorrono allorche’ il committente, cui sia pervenuto l’invito a procedere alla verifica dell’opera, tralasci di provvedervi senza giusti motivi (prima ipotesi) oppure (seconda ipotesi) avendo a tanto provveduto, non comunichi i risultati all’appaltatore entro breve termine.

Pur vero, come dedotto dalla ricorrente, che bisogna pero’ distinguere tra atto di “consegna” e atto di “accettazione” dell’opera, costituendo la “consegna” un atto puramente materiale che si attua mediante la messa a disposizione del bene a favore del committente, mentre “l’accettazione” esige, al contrario, che il committente esprima (anche per facta concludentia) il gradimento dell’opera stessa da cui sorge il conseguente obbligo al pagamento del prezzo, tuttavia, il codice civile prevede che essa debba avvenire in un ragionevole lasso di tempo. L’accertamento in concreto dei presupposti per l’accettazione tacita e del fatto concludente e’ una quaestio facti rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimita’ se sorretto da congrua motivazione (nei sensi suddetti, tra le tante, sentenze: Cass. 7 aprile 2000 n. 4353; Cass. 22 maggio 1998 n. 5121; Cass. 22 novembre 1996 n. 10314; Cass. 20 aprile 1994 n. 3742);

Le censure che la ricorrente muove alle argomentazione della Corte territoriale, dunque, investono sostanzialmente gli accertamenti di merito della decisione, incensurabili in sede di legittimita’;

con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c.. Ad avviso della ricorrente, nonostante sia stato evidenziato dalla Corte di appello il “parziale accoglimento” dell’interposto gravame, in sede di attribuzione delle spese di giudizio, gli appellati sono stati condannati al pagamento per l’intero delle spese del doppio grado senza alcuna parziale compensazione in ragione della reciproca soccombenza.

Il motivo e’ manifestamente infondato.

Premesso che il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere dev’essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite (Cass. n. 11423 del 2016), in tema di spese processuali la facolta’ di disporre la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non e’ tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facolta’.

Ne consegue che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualita’ di una compensazione, non puo’ essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. S.U. 15 luglio 2005 n. 14989; Cass. 23 febbraio 2012 n. 2730; Cass. 24 marzo 2016 n. 11423).

In particolare, in materia di spese processuali, l’identificazione della parte soccombente e’ rimessa al potere decisionale del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimita’, con l’unico limite di violazione del principio per cui le spese non posso essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa. (Cass. 14714 del 2012).

In conclusione il ricorso deve essere respinto.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario.

Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in favore dei controricorrenti in complessivi Euro 5.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge, con distrazione in favore dell’avv. (OMISSIS), dichiaratosi antistatario.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.