Ai sensi dell’art. 1669 c.c., il termine per la denunzia non inizia a decorrere finché il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti, e tale consapevolezza non può ritenersi raggiunta sino a quando non si sia manifestata la gravità dei difetti medesimi e non si sia acquisita, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause, non essendo al riguardo sufficienti viceversa manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti.

Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con particolare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: L’appalto privato aspetti generali.

Tribunale Milano, Sezione 7 civile Sentenza 11 gennaio 2019, n. 270

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO

SEZIONE SETTIMA CIVILE

In funzione di giudice unico nella persona del dott. STEFANIA NOVELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al numero di ruolo sopra riportato, promossa da:

CONDOMINIO VIA (…) ((…)), rappresentato e difeso dall’avv. PA.NA. e dall’avv. GI.CA., presso lo studio dei quali in VIALE (…) 20122 MILANO, ha eletto domicilio, come da delega agli atti;

– attore –

CONTRO

(…) S.R.L. ((…)), rappresentata e difesa dall’avv. BR.CL., presso lo studio del quale in STRADA (…) 27100 PAVIA, ha eletto domicilio come da delega agli atti;

– convenuta –

CONCISE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il CONDOMINIO DI VIA (…), con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., depositato in data 17.05.2016, ha adito il Tribunale di Milano per ottenere la condanna della società costruttrice (…) srl al risarcimento dei danni, quantificati dal CTU nel procedimento di accertamento tecnico preventivo (RG 27655/2013), nonché delle spese sostenute ante causam, per un importo complessivo di Euro 45.361,64.

La società (…) SRL ha eccepito, in via preliminare, la nullità del ricorso, il difetto di legittimazione passiva e, nel merito, la decadenza e prescrizione, nonché l’infondatezza della domanda.

Il Giudice dell’epoca, rilevata la nullità del ricorso introduttivo, disposto il mutamento del rito ex art. 702 ter c.p.c., ha fissato udienza ex art. 183 c.p.c. Esaminate le memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c., acquisito il procedimento di ATP, la causa è giunta in decisione dinanzi all’odierno giudicante, previa concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.

1. In via preliminare, non si ravvisano i presupposti per l’estinzione della causa ex art. 307 c.p.c., attesa l’integrazione della domanda svolta dall’attore con memoria depositata in data 30.01.2017.

2. Sempre in via preliminare, va esaminata l’eccezione della società convenuta, in forza della quale quest’ultima avrebbe rivestito solo le qualifiche di committente delle opere e venditrice.

Come è noto, l’art. 1669 c.c. è applicabile, non solo, nei casi in cui il venditore dell’immobile abbia personalmente, con propria gestione di uomini e mezzi, provveduto alla costruzione dell’edificio, ma anche, ai casi in cui, pur essendosi servito di altri soggetti, facendo ricorso a specifiche figure professionali quali l’appaltatore, il progettista, il direttore dei lavori, abbia mantenuto il potere di impartire direttive o di sorvegliare lo svolgimento dell’altrui attività, cosicché la costruzione dell’opera sia a lui riferibile (cfr. Cass. 12406/01; Cass. 13003/00; Cass. 6797/00);

La contestazione della società convenuta è infondata.

Ed infatti, sono documentate e non contestate ex art. 115 c.p.c. le seguenti circostanze di fatto:

– che (…) srl pur affidando ad altra impresa – (…) srl – l’appalto per la esecuzione delle opere, si assunse, ex art. 6, gli obblighi inerenti al “progetto esecutivo e direzione lavori”;

– dal contratto di appalto tra la committente e appaltatore emerge in modo pacifico il mantenimento da parte della committente medesima di un potere di gestione diretta dell’appalto (si richiamano i punti 6 e 7);

Le risultanze appena esposte provano che la società convenuta ha la qualifica di venditore-costruttore, sicché è a lei attribuibile la responsabilità di cui all’art.1669 c.c. (si veda in particolare, Cass. sentenza 8109/1997). Ciò in quanto, anche se incaricò per l’esecuzione dei lavori una impresa terza, aveva fatto predisporre il progetto delle opere e si era riservata il potere di sovraintendere e controllare direttamente l’esecuzione dei lavori, nominando il Direttore dei lavori.

3. Le eccezione di decadenza e di prescrizione formulate dalla società convenuta non meritano accoglimento.

Ai sensi dell’art. 1669 c.c., il termine per la denunzia non inizia a decorrere finché il committente non abbia conoscenza sicura dei difetti, e tale consapevolezza non può ritenersi raggiunta sino a quando non si sia manifestata la gravità dei difetti medesimi e non si sia acquisita, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause, non essendo al riguardo sufficienti viceversa manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti (v. tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 4364 del 2015; Sez. 2, Sentenza n. 1463 del 23/01/2008; Sez. 1, Sentenza n. 2460 del 01/02/2008; Sez. 3, Sentenza n. 567 del 13/01/2005).

Nel caso di specie, la conoscenza dei vizi – come fatto storico riferibile all’attività svolta dal costruttore – risale alla data della perizia tecnica di parte del 23.03.2013 (doc. 17 c) e doc. 17 e). Una volta acquisita la perizia, il condominio ha depositato ricorso per atp in data 15.04.2013, denunciando i vizi.

Non è stata fornita alcuna prova da parte della convenuta della conoscenza – o conoscibilità – in capo al Condominio, in data anteriore, delle problematiche acustiche del gruppo frigo.

Dalla data del deposito del ricorso per accertamento tecnico preventivo alla data del deposito della perizia del ctu del 30.10.2014 i termini di prescrizione sono interrotti. Infatti, l’accertamento tecnico preventivo rientra nella categoria dei giudizi conservativi e, pertanto, la notificazione del relativo ricorso con il pedissequo decreto giudiziale determina, ai sensi dell’art. 2943 c.c., l’interruzione della prescrizione, che si protrae fino alla conclusione del procedimento, ritualmente coincidente con il deposito della relazione del consulente nominato.

Rispetto a questa acquisizione l’azione è tempestiva, in quanto la prescrizione è stata interrotta da due atti di costituzione in mora del debitore, rappresentati dalla lettera del 26.11.2014 – ricevuta in data 1.12.2014 (doc. 3) – nonché dalla lettera di invito alla negoziazione assistita del 28.10.2015 (doc. 15). L’azione è stata esperita tempestivamente con deposito del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. in data 17.05.2016.

4. Venendo alla qualificazione dei vizi, l’orientamento della giurisprudenza è ormai consolidato nel ritenere gravi tutte “quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19868 del 15/09/2009).

Infatti “I gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c., non si identificano con i fenomeni che influiscono sulla staticità, durata e conservazione dell’edificio, espressamente previste dalla citata norma, ma possono consistere in tutte le alterazioni che, pur riguardando direttamente una parte dell’opera, incidano sulla struttura e funzionalità globale, menomando apprezzabilmente il godimento dell’opera medesima da parte di chi ha diritto di usarne” (Cass. 1982/4369).

Devono pertanto ritenersi gravi solo i vizi che, sebbene riguardanti anche elementi secondari, siano tali da produrre una compromissione effettiva sull’utilizzo e sul godimento dell’immobile.

Si premette che vengono condivise e fatte proprie dal Giudice le conclusioni tecniche raggiunte nella relazione peritale del ctu, che ben possono costituire fonte di prova, quando si tratta di accertare fatti per i quali è necessario il possesso di specifiche cognizioni tecniche (ex multis Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6155 del 13/03/2009).

Il vizio allegato dal Condomino consiste nel “superamento dei limiti sonori dell’impianto frigo”.

In termini generali, l’art. 3, comma 1, lettera e), della L. 26 ottobre 1995, n. 447 (Legge quadro sull’inquinamento acustico), ha attribuito allo Stato la determinazione dei requisiti acustici passivi e di quelli delle sorgenti sonore degli edifici, rinviando la relativa disciplina ad apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

I requisiti acustici passivi vennero quindi determinati con il D.P.C.M. 5 dicembre 1997, con il quale sono stati prescritti i limiti espressi in decibel che gli edifici costruiti dopo l’entrata in vigore del decreto avrebbero dovuto rispettare.

E’ successivamente intervenuta la direttiva 2002/49/CE relativa alla gestione del rumore ambientale ed il D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 194 in attuazione della direttiva comunitaria. L’art. 11 della L. 7 luglio 2009, n. 88 ha poi delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi al fine di integrare nell’ordinamento la direttiva 2002/49/CE.

Al comma 5 del suddetto articolo è stato peraltro previsto che “in attesa del riordino della materia, la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettera e), della L. 26 ottobre 1995, n. 447, non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori – venditori e acquirenti di alloggi sorti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Con l’art. 15, comma 1, lettera c), della L. 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee. Legge comunitaria 2009), venne dettata una norma di interpretazione autentica, in base alla quale l’articolo 11, comma 5, L. n. 88 del 2009, veniva sostituito dalla seguente norma:

“In attesa dell’emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, l’articolo 3, comma 1, lettera e), della L. 26 ottobre 1995, n. 447, si interpreta nel senso che la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori – venditori e acquirenti di alloggi, fermi gli effetti derivanti da pronunce giudiziali passate in giudicato e la corretta esecuzione dei lavori a regola d’arte asseverata da un tecnico abilitato”.

Con sentenza della Corte Costituzionale n. 103 del 29 maggio 2013 è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, lettera c), della L. 4 giugno 2010, n. 96 in quanto norma di interpretazione autentica avente efficacia retroattiva.

Afferma la Corte che irragionevolmente l’art. 15 L. n. 96 del 2010 andava ad incidere su rapporti ancora in corso, “vanificando il legittimo affidamento di coloro che hanno acquistato beni immobili nel periodo nel quale vigeva ancora la norma “sostituita”, di cui all’art. 11, comma 5, della L. n. 88 del 2009, che, a tutela di tale affidamento e della certezza del diritto, specificava che la sospensione dell’applicazione nei rapporti tra privati delle norme sull’inquinamento acustico degli edifici valesse per il futuro” (sent. n. 103/2013).

L’art. 15 L. n. 96 del 2010 “oltre a ledere il legittimo affidamento sorto nei soggetti suddetti, contrasta con il principio di ragionevolezza, in quanto produce disparità di trattamento tra gli acquirenti di immobili in assenza di alcuna giustificazione, e favorisce una parte a scapito dell’altra, incidendo retroattivamente sull’obbligo dei privati, in particolare dei costruttori – venditori, di rispettare i requisiti acustici degli edifici stabiliti dal D.P.C.M. 2 dicembre 1997, di attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera e), della L. n. 447 del 1995” (sent. n. 103/2013).

Allo stato attuale pertanto vi è una lacuna legislativa in quanto, successivamente alla pronuncia della Corte Costituzionale, non è stata introdotta alcuna disciplina.

Mentre per gli alloggi realizzati tra dicembre 1997 e l’entrata in vigore della L. 7 luglio 2009, n. 88 vi è l’obbligo di legge di rispettare i parametri del D.P.C.M. 1997, per gli edifici sorti successivamente manca una normativa specifica di settore.

Si ritiene di condividere l’orientamento favorevole alla applicabilità dei parametri dettati dal DPCM anche alla costruzioni realizzate da privati successivamente al 22 luglio 2009.

In attesa di un intervento del legislatore, la verifica in merito alla presenza di fonti di inquinamento acustico all’interno delle abitazioni private deve essere effettuata tenendo in considerazione i canoni tecnici sulle sorgenti sonore derivanti dalle regole dell’arte esistenti al momento della edificazione. Pur escludendo una valenza normativa diretta del D.P.C.M. del 1997, i parametri in esso indicati devono essere presi in considerazione in quanto espressione dello stato dello sviluppo delle regole dell’arte in materia di insonorizzazione.

Il D.P.C.M. del 1997 non ha pertanto valenza di norma tecnica, ma contiene le regole del buon costruire che devono essere rispettate nelle nuove edificazioni.

Può quindi affermarsi che, sino a quando non verranno emanate delle specifiche norme tecniche di settore, il parametro per accertare se l’appaltatore abbia eseguito l’opera a regola d’arte è la verifica del rispetto dei parametri del D.P.C.M. del 1997.

La loro osservanza è, pertanto, richiesta per poter ritenere assolto l’obbligo di diligenza qualificata ex art. 1176 comma 2 c.c. che l’appaltatore deve rispettare nell’adempimento della prestazione (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1981 del 2.2.2016).

Venendo al caso di specie, le problematiche acustiche in esame, tuttavia, non integrano gravi vizi ex art. 1669 c.c. In primo luogo, il Condominio non ha né allegato né provato una diminuzione del godimento del bene da parte dei condomini.

In secondo luogo, il CTU ha espressamente specificato che “l’inconveniente (…) non comporta problematiche direttamente al condominio, quanto invece a una delle abitazioni di confine e quindi al Condominio, in quanto la cosa è stata motivo di segnalazione da parte del competente organo di controllo”. Quindi, il pericolo di arrecare danni a soggetti terzi ovvero la possibilità di ricevere segnalazione dagli organi di controllo non integrano né un vizio grave né un danno.

In terzo luogo, le risultante della CTU non consentono di sostenere che il difetto comprometta la conservazione nel tempo dell’opera menomandone in modo apprezzabile le condizioni di godimento.

La compromissione dell’utilizzo e del godimento dell’immobile come la durata nel tempo dell’opera, anche alla luce della CTU, sono pertanto meramente ipotetiche.

Pertanto, considerato che la tutela prevista dall’art. 1669 c.c. ha matrice extracontrattuale, in assenza di un danno, manca uno dei presupposti per affermare la responsabilità del costruttore – venditore (fermo restando che tale difformità costruttiva, unitamente agli altri vizi non caratterizzati da gravità, avrebbe potuto essere fatta valere con le azioni ex empto nei confronti del venditore).

Dovendo escludersi la gravità dei vizi lamentati non vi sono i presupposti per poter qualificare la domanda a norma dell’art. 2043 c.c., che trova applicazione solo ove non risulti applicabile la norma speciale di cui all’art. 1669 c.c. ma che comunque presuppone i gravi difetti della costruzione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1748 del 28/01/2005) oltre alla prova, a carico del danneggiato, della colpa e del dolo del danneggiante.

La Suprema Corte insegna, infatti, (Cfr. Cass. S.U. sentenza n. 2284/2014): “La previsione dell’art. 1669 cod. civ. concreta un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, con carattere di specialità rispetto al disposto dell’art. 2043 cod. civ., fermo restando che – trattandosi di una norma non di favore, diretta a limitare la responsabilità del costruttore, bensì finalizzata ad assicurare una più efficace tutela del committente, dei suoi aventi causa e dei terzi in generale – ove non ricorrano in concreto le condizioni per la sua applicazione (come nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell’opera) può farsi luogo all’applicazione dell’art. 2043 cod. civ., senza che, tuttavia, operi il regime speciale di presunzione della responsabilità del costruttore contemplato dall’art. 1669 cod. civ., atteso che spetta a chi agisce in giudizio l’onere di provare tutti gli elementi richiesti dall’art. 2043 cod. civ., compresa la colpa del costruttore”.

Per le ragioni esposte la domanda attorea non può essere accolta.

La soccombenza dell’attore sulla domanda ex art. 1669 c.c. comporta l’assorbimento delle ulteriori domande sul pagamento delle spese sostenute nel corso del procedimento ante causam.

La Suprema Corte (Sez 3 – , Sentenza n. 14268 del 08/06/2017 (Rv. 644644 – 03) insegna che “Le spese dell’accertamento tecnico preventivo “ante causam” vanno poste, a conclusione della procedura, a carico della parte richiedente e vanno prese in considerazione nel successivo giudizio di merito (ove l’accertamento stesso venga acquisito) come spese giudiziali, da porre, salva l’ipotesi di possibile compensazione totale o parziale, a carico del soccombente e da liquidare in un unico contesto”.

5. Passando all’esame delle domande di rifusione delle spese processuali, la soccombenza del Condominio impone che a suo carico debbano essere poste le spese di lite sostenute dalla parte convenuta.

Gli onorari e le spese di c.t.u. come liquidati in corso di causa gravano a carico dell’attore risultato soccombente.

Le spese di lite (sia dell’atp sia del giudizio di cognizione) si liquidano come da dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto dell’attività difensiva in concreto svolta, del pregio della stessa, sulla base dello scaglione di riferimento del disputatum (valore Euro 45.361,64).

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

1) rigetta le domande attoree;

2) condanna il CONDOMINIO a rimborsare alla parte convenuta, le spese di lite, che si liquidano in Euro 7.254,00 per compensi professionali, oltre i.v.a., c.p.a. come per legge, e rimborso forfetario spese generali nella misura del 15%;

3) condanna il CONDOMINIO a rimborsare alla parte convenuta, le spese del procedimento di accertamento tecnico, che si liquidano in Euro 1.215,00 per compensi professionali, oltre i.v.a., c.p.a. come per legge, e rimborso forfetario spese generali nella misura del 15%;

4) pone definitivamente a carico del CONDOMINIO le spese di c.t.u. come liquidate dal Giudice.

Così deciso in Milano il 10 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria l’11 gennaio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.