In tema di contratto di appalto, il vincolo di responsabilità solidale fra l’appaltatore e il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all’art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale.

Per ulteriori approfondimenti in merito al contratto di appalto, con particolare rifeferimento alla natura agli effetti ed all’esecuzione si consiglia il seguente articolo: L’appalto privato aspetti generali.

Corte d’Appello Genova, Sezione 1 civile Sentenza 11 gennaio 2019, n. 36

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI GENOVA

SEZIONE PRIMA CIVILE

composta dai seguenti magistrati:

Leila Maria Sanna – Presidente

Cinzia Casanova – Consigliere rel.

Maria Margherita Zuccolini – Consigliere

riuniti in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

nella causa civile promossa da:

(…) srl in pers. leg. rapp.te p.t. (…), e (…) rappresentate e difese dagli avv.ti A.M.Pa. e M.Cr. di Genova ed elettivamente domiciliate presso il loro studio , come da mandato in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore del 14.3.2018

APPELLANTI

contro

(…) elettivamente domiciliato in Genova presso l’avv. S.Mi. che lo rappresenta e difende come da mandato in calce alla comparsa di costituzione in appello

APPELLATO

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

(…) s.r.l. chiedeva ed otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti di (…), per il saldo di Euro 31.445,26 dovuto per lavori svolti a suo favore inerenti la ristrutturazione di una sua villetta.

Il (…) proponeva opposizione innanzitutto affermando che controparte non aveva tenuto conto di un versamento per Euro 9.000,00 che riduceva la somma pretesa; riferiva, poi, della presenza di vizi e manchevolezze nei lavori e di aver fatto eseguire da un proprio tecnico una verifica da cui era emersa la necessità di interventi di ripristino per oltre Euro 51.000,00.

Addebitava, quindi, tale situazione anche alla negligente opera del (…), ing. (…), che chiedeva ed otteneva di poter chiamare in causa, chiedendo anche ad essa il ristoro dei danni.

Si costituivano in giudizio (…) srl e l’ing. (…), con unica comparsa, affermando che i lavori avevano avuto molte sospensioni per fatto del committente, e altrettante riprese, per varianti in corso d’opera, e che erano stati accettati e pagati regolarmente sino al novembre 2011, quando erano state sollevate contestazioni per la presenza di vizi, relativamente ai quali le parti si erano accordata per interventi di sistemazione, previo pagamento del saldo, pagamento che, però, non era mai avvenuto.

Parte opposta riconosceva, comunque, la mancata contabilizzazione della somma indicata da controparte riducendo la sua richiesta ad Euro 22.445,26, ma avanzava domanda riconvenzionale per l’ingiusto recesso del committente che aveva impedito di finire i lavori, contestando, del resto, che presentassero vizi, poiché detti lavori dovevano, semplicemente, essere completati.

In corso di causa il (…) chiedeva un ATP, che veniva acquisito al processo ove, anzi, venivano richiesti allo stesso CTU ulteriori accertamenti che davano luogo ad altri due nuovi elaborati.

In esito a ciò, dopo vari tentativi per addivenire ad una soluzione transattiva, il primo Giudice pronunciava sentenza con la quale, ritenuto il credito residuo dell’impresa pari ad Euro 22.445,26; ritenuto che andava portata in destrazione la somma di Euro 14.040,52 per ripristini o per finire i lavori; nonché Euro 2.000,00 per il minor valore dell’opera, ed Euro 7.500,00 per le pratiche amministrative; condannava l’Impresa al pagamento della differenza a credito del (…) per Euro 1.095,06; condannava altresì l’Impresa ed il (…) al pagamento ex art. 96 c. 3 c.p.c. di Euro 3.000,00 ed alle spese di lite.

Appellano (…) srl e l’ing. (…) chiedendo la riforma della sentenza affinché risulti:

punto 1) che le lavorazioni svolte sono immuni da vizi e non sono dovute le somme per costi di ripristino e minore valore dell’opera, e per l’esborso per le pratiche amministrative;

punto 2) previo rinnovo ctu, che nessun vizio è stato determinato dall’ing. (…); che lo scadere delle pratiche amministrative in itinere non è imputabile a sua mancata attivazione; che non è dovuta dall’ing. (…) alcuna somma per costi di ripristino e minore valore dell’opera, e per l’esborso per le pratiche amministrative;

punto 3) che sia accolta la domanda riconvenzionale punto 4) che la condotta processuale delle appellate non era stata caratterizzata da malafede, sicché non era dovuto la sanzione ex art. 96 comma 3 c.p.c.

punto 5) che sia riformata la condanna alle spese di lite

Espongono, quindi, i seguenti motivi:

1) Omessa e/o errata valutazione dei mezzi di prova prodotti e conseguente erronea ricostruzione dei fatti operata dal Giudice di primo grado.

Secondo parte appellante il primo Giudice ha valutato erroneamente la documentazione da cui risultava che i lavori erano pagati ogni quindici giorni, previa approvazione da parte del committente e successiva fattura dell’Impresa; da ciò emergeva che il (…) aveva accettato l’opera, e, quindi, anche gli eventuali vizi siccome da lui conosciuti o conoscibili, senza che potesse valere alcuna garanzia ex art. 1667 c.c.

2) Erronea ricostruzione del fatto operata dal Giudice di primo grado per erronea esclusione di mezzi di prova offerti.

Si duole, quindi, parte appellante della mancata ammissione delle prove per interpello e testi che avrebbero potuto offrire al Giudice elementi rilevanti per decidere, e chiarire gli accordi e la concreta esecuzione del contratto.

3) Erronea ricostruzione operata dal Giudice di primo grado per errata applicazione della norma di legge

Censurano gli appellanti che il primo Giudice non abbia valutato affatto l’eccezione di decadenza dalla garanzia per i vizi sollevata in riferimento alla mancata denuncia nel termine di sessanta giorni ex art. 1667 c.c., avendo il committente sollevato contestazioni solo in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, ed essendosi espresso, invece, in precedenza, sempre in termini soddisfatti.

4) Erronea ricostruzione del fatto operata dal Giudice di primo grado per erronea valutazione, la consulenza è gravemente viziata da errori imprecisioni, carenze d’indagini, nonché inosservanza degli artt. 61, 115, 116 c.p.c.

Censurano gli appellanti come erronea la scelta del primo Giudice per aver aderito alla CTU, poiché essa presenta gravi errori, e valutazioni non di competenza del perito.

Nonostante il quesito posto riguardasse solo i lavori di cui alle fatture a base del ricorso monitorio, il CTU non solo non aveva risposto, ma aveva divagato su questioni estranee al quesito.

Evidenziano le appellanti i diversi errori in cui era incorso il CTU, che aveva evidenziato vizi e difetti dell’opera senza tenere conto che l’opera di ristrutturazione era stata improvvisamente sospesa su richiesta del committente, per cui non poteva addebitarsi a (…) o all’ing. (…) il mancato completamento del lavoro a regola d’arte.

Ricordano gli appellanti come il CTU abbia a lungo discusso del vizio rappresentato dalle altezze dei locali del piano terra, inferiori a quella prevista dal Regolamento del Comune di Paina Crixia, senza considerare, però, che la L. n. 106 del 2011 (di conversione del (…) n. 70 del 2011, c.d. decreto sviluppo) aveva fissato la tolleranza rispetto alle misure progettuali nel 2%, circostanza che era emersa dalle note rilasciate dal Comune (del cui reperimento si era fatta carico l’ing. (…)), dopo che il CTU aveva impiegato ben due anni e sei mesi per prendere atto che tale anomalia non sussisteva affatto.

Secondo le appellanti, poi, la seconda relazione in data 25.2.2013 era avvenuta in violazione del contraddittorio.

Il CTU, inoltre, aveva espresso un giudizio positivo sull’operato dell’ing. (…), sia come progettista che come Direttore Favori, affermando, tuttavia, che ella avrebbe avuto una culpa in vigilando che secondo le appellanti doveva , invece, escludersi, sia perché i vizi riscontrati erano dovuti all’intervenuta interruzione dei lavori, sia perché il vizio consistito nella ridotte altezze, in realtà, non era mai esistito.

Quanto, poi, alla relazione in data 8.4.2015, svolta in causa, censurano gli appellanti che in essa sia stato ritenuto un minor valore dell’opera per Euro 2.000,00 in relazione alla ridotta altezza del piano terra, tenuto conto che il volume globale vuoto per pieno dell’immobile non muta e che la tolleranza sull’altezza viene concessa quando la stessa comporti un miglioramento delle condizioni igieniche e sanitarie dell’edificio, sicché non diminuisce il valore dell’immobile ma lo aumenta.

Il CTU aveva, poi, evidenziato delle difformità interne, che, in quanto tali, erano sanabili, o con una pratica di variante, o con una comunicazione a fine lavori; lo stesso CTU aveva, del resto, rilevato che i lavori erano sospesi.

Criticano, poi, che il CTU, contrariamente al suo dovere di imparzialità, abbia espresso proprie valutazioni circa il comportamento tenuto dal committente che si era rifiutato di sottoscrivere una tavola grafica dell’ing. (…), dimostrando così di non avere pratica di cantiere poiché, spesso in corso d’opera, vengono predisposte varianti le cui tavole grafiche possono non corrispondere allo stato dei luoghi, poiché la regolarità dell’intervento edilizio lo si definisce soltanto alla fine dei lavori, con la relativa dichiarazione di cui si assume la responsabilità il Direttore Lavori stesso.

Infine, rilevano come non sia stato fatto un verbale di contestazione dei pretesi vizi con l’assistenza delle parti, né un esame della contabilità che era in economia, da ciò la confusione tra opere pretesamente viziate ed opere in corso di completamento; né era stato redatto un verbale ove fossero stati evidenziati i pretesi fuori piombo che il CTU definisce facilmente rilevabili, ma che, invece, non erano stati, poi, rilevati.

5) Sulla domanda riconvenzionale svolta da (…) S.r.l.

Lamenta, quindi, parte appellante che il primo Giudice abbia ritenuto giustificato il recesso del committente, e tale errata valutazione dipende dall’avere il Giudice aderito alla CTU, che, appunto, presenta gravi errori.

Pertanto, chiede il rinnovo della CTU poiché, se da essa emergesse che non sussistono i vizi rilevati dal primo CTU, neppure potrebbe ritenersi fondato il recesso del (…) e potrebbe riconoscersi a (…) srl il risarcimento per Euro 25.000,00 per tale comportamento.

6) Erronea ricostruzione del fatto operata dal Giudice di primo grado in relazione al comportamento processuale tenuto da (…) e dall’ing. (…), nonché erronea interpretazione e applicazione dell’art. 96 c. 3 c.p.c.

Le appellanti censurano, infine, la sentenza per avere ritenuto che esse abbiano prestato scarsa collaborazione per la definizione delle pratiche amministrative iniziate e poi scadute e per avere ritenuto che l’ing. (…) abbia presentato tavole grafiche non rispondenti alla reale situazione.

Tale affermazione era basata, nuovamente, sulle valutazioni errate fatte dal CTU, poiché non era vero che le tavole grafiche avrebbero dovuto essere presentate con le modifiche realizzate in corso d’opera, poiché le modifiche avrebbero potute essere effettuate solo con la presentazione di una nuova pratica edilizia, o in concomitanza con la chiusura dei lavori.

L’elaborato grafico eseguito in data 6.3.2015 non faceva parte di alcuna pratica edilizia nuova o di variante, ma era stato redatto in risposta alla richiesta del Comune di integrazione della tavola 3 del progetto.

Inoltre, poi, non poteva attribuirsi a fatto delle appellanti se vi erano stati differimenti nella procedura, poiché, semmai, essi erano dovuti al comportamento processuale del CTU che aveva generato una lunga attività extraprocessuale per dibattere inutilmente del problema delle altezze dei locali, con allungamento dei tempi processuali.

Si è costituito l’appellato (…) che ha contestato le argomentazioni di controparte ed ha chiesto la conferma della sentenza appellata.

In particolare, ha eccepito l’inammissibilità e/o improcedibilità e/o infondatezza dell’appello per rinuncia degli appellanti alle loro istanze istruttorie, che non erano state riproposte all’udienza di precisazione delle conclusioni, né nel separato foglio di precisazione delle conclusioni depositato.

Comunque, ha affermato che la richiesta di controparte è una mera richiesta di ripetizione di operazioni peritali già svolte in primo grado, cercando , così, di supplire alle proprie carenze istruttorie.

Quanto alle doglienze mosse alla CTU circa le altezze dei locali, afferma l’appellato che non era in discussione una responsabilità per abuso edilizio ma il fatto di avere commissionato una casa con altezza interna rispettosa del limite di legge, ed averne ottenuta una con soffitti altalenanti e al di sotto del minimo legale.

Contesta, poi, le altre censure mosse all’operato del CTU come infondate e rileva di essersi correttamente rifiutato di sottoscrivere una tavola grafica che era stata redatta in modo difforme dall’effettivo stato dei luoghi.

Quanto alla eccepita decadenza di cui gli appellanti lamentavano non avesse tenuto conto il Giudice, parte appellata richiama invece la mail di contestazione del 27.11.2011, citata in modo parziale da controparte, che attestava contestazioni mosse in corso d’opera; non era , poi, vero che fossero intervenuti accordi in merito a questi vizi e doglianze.

Circa la domanda riconvenzionale svolta da (…), rileva il (…) che la società in primo grado, si era costituita oltre i termini di cui all’art. 166 c.p.c., solo per l’udienza cui era stata differita la causa per disporre la chiamata di terzo e che comunque, essendo (…) srl parte opposta, non le competeva proporre domande diverse rispetto a quelle avanzate con la fase monitoria.

Con Provv. del 13 luglio 2016 il Collegio ha respinto l’istanza avanzata dalle appellanti ex art. 283 c.p.c.

All’udienza del 20.6.2018 le parti hanno precisato le conclusioni come in epigrafe e la causa è stata trattenuta in decisione, con l’assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e le memorie di replica, ed allo spirare dei termini, giunge ora all’esame del Collegio.

Osserva, innanzitutto, il Collegio che non possono essere presi in esame gli elaborati peritali versati da (…) con l’atto di appello , trattandosi di documentazione inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c.

Né può aderirsi all’istanza di rinnovo della CTU, tesa a conferire ad un nuovo CTU l’incarico di accertare , tra l’altro che “le lavorazione e le forniture effettuate da (…) Srl in favore del signor (…) sono immuni da vizi e/o difetti”, così dimostrando che le censure mosse alla CTU sono in gran parte conseguenza del mancato assolvimento dell’onere della prova incombente sulle parti, essendo la CTU un mezzo di controllo dei fatti costituenti la prova, e gravando sull’appaltatore l’onere di dimostrare l’esatto adempimento del contratto.

Inoltre, tali critiche vengono avanzate senza indicare l’esistenza di vizi logici o tecnici in cui sarebbe incorso il CTU, per cui costituiscono mera espressione di dissenso risultando, comunque, che l’ing. Gu. ha proceduto a dare compiuta risposta anche alle osservazione svolte dai ctp (si vedano per esempio gli all. 14 e 15 in calce all’ATP 14.3.13).

Tale dissenso rispetto all’opinione espressa dal CTU, è insufficiente a giustificare altri accertamenti peritali dovendo ricordarsi che, del resto, “le argomentazioni degli esperti di parte, comunque (n.d.r. sono) meno attendibili se non altro in quanto influenzate dall’esigenza di sostenere le ragioni del preponente” rispetto a quelle dell’esperto nominato dall’ufficio, assistite dalla presunzione d’imparzialità (cfr. Cassazione civile, sez. II, 18/12/2012, n. 23362).

Ciò posto, circa il primo e terzo motivo di appello da valutarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, si osserva che, come risulta dal doc.21 relativo alla riunione tenutasi in cantiere in data 23.12.2011, (presenti il (…), l’Impresa, il D.L., un subappaltatore), a quell’epoca i lavori erano stati sospesi per consentire al committente di fruire della casa nelle feste di fine anno, e, pacificamente, risulta che non vennero più ripresi, essendosi incrinati i rapporti tra le parti.

Va, poi , detto che (…) ha prodotto il contratto inter partes (nel quale compare chiaramente la sottoscrizione del committente (…)), fin dal momento della sua costituzione in sede di opposizione a decreto ingiuntivo (cfr. comparsa in data 11.12.2012, produz. 1) ma il (…) ha continuato ancora nelle ultime difese ad affermare che sarebbe falso che egli abbia mai sottoscritto il contratto di appalto (cfr. p. 2 delle note di replica 8.9.2018).

In proposito, però, si rileva che il (…) non ha affatto disconosciuto, nemmeno in modo implicito, la genuinità della sottoscrizione nella prima difesa successiva alla produzione poiché, in sede di prima udienza di comparizione l’opponente si è limitato a contestare: “ogni assunto sia in fatto che in diritto, in particolare eccepisce la inammissibilità della riconvenzionale svolta da (…)…” senza fare alcuno specifico riferimento al contratto o alla sua sottoscrizione; poi, nella memoria ex art. 183 c. 1 c.p.c., (…) chiede dichiarare risolti i contratti stipulati rispettivamente con (…) e con l’arch. (…), ancora una volta senza minimamente neppure adombrare una mancata sottoscrizione.

Pertanto, ritiene il Collegio che non possa contestarsi il valore del doc.1) contratto di appalto privato intercorso tra (…) ed il committente (…), cui può farsi, pertanto, tranquillamente riferimento.

Proprio nel citato contratto, poi, si precisa che: “con la sottoscrizione del verbale di collaudo l’opera oggetto del presente contratto si intenderà approvata e accettata dal committente” (cfr. art. 8.1).

Anche nel presente caso, quindi deve valere il criterio per cui, quando non sia ancora conclusa l’opera, non può operare il meccanismo della decadenza dalla garanzia, ben potendo il committente, in corso d’opera, sollevare contestazioni sulle lavorazioni svolte o in via di completamento, come effettivamente risulta aver fatto il (…) con le mail del 27.11.2011 e del 14.12.2011, sicché a nulla rileva che dette missive si riferiscano a contestazioni diverse da quelle poi sfociate nel presente giudizio.

Né a ciò si oppone il fatto, valorizzato dall’Impresa, secondo cui le lavorazioni venivano realizzate, e, poi, venivano contabilizzate; quindi, ogni quindici giorni, previo esame del giornale di cantiere, erano approvate dal committente, in modo che, dopo l’emissione della fattura, venivano pagate, sicché sarebbero state ormai accettate ed approvate per singole partite trattandosi di un contratto a misura.

Innanzitutto, in forza dell’art. 1666 c.c., possono ritenersi approvati i lavori eseguiti per singole partite laddove vi sia stata effettivamente una verifica per i singoli interventi, circostanza qui solo affermata dall’Impresa, ma contraddetta, non solo dal tenore dell’art. 8 contratto citato, ma anche dal fatto che, a fronte delle doglianze del committente, (…) stessa ha replicato che si sarebbe trattato di incompletezze dei lavori, implicitamente dando atto che gli interventi non era conclusi, nonostante mancassero solo i pagamenti delle ultime fatture, oggetto, appunto, del decreto ingiuntivo alla base del presente giudizio.

Inoltre, anche a ritenere che la modalità di procedere per la fatturazione fosse quella riferita da (…) (prevista, del resto, in contratto, ma che parte committente, appunto, ha contestato), essa non esclude, però, la facoltà di controllo finale da parte del committente e il suo diritto di contestare la correttezza dei lavori, come avviene normalmente in un qualunque contratto d’appalto pur dopo la sottoscrizione dei singoli SAL.

Pertanto, non potendo ravvisarsi alcuna decadenza da parte del committente, non può accogliersi né il primo né il terzo motivo d’appello.

Quindi, deve respingersi anche il secondo motivo d’appello, relativo alla mancata ammissione delle prove dedotte da parte appellante, siccome non risulta che le stesse siano stata reiterate all’udienza di precisazione delle conclusioni (cfr. Cassazione civile sez. VI, 27/06/2012, n. 10748, secondo cui: “Avverso le ordinanze di ammissione o rigetto delle prove, rispetto alle quali non sia più previsto il reclamo, le richieste di modifica o di revoca devono essere reiterate in sede di precisazioni delle conclusioni definitive e – in mancanza – le stesse non possono essere riproposte in sede di impugnazione. Tale principio trova applicazione anche quando il giudice istruttore, decidendo sulle istanze istruttorie proposte dalle parti, non ne prenda in considerazione alcune: anche in questo caso la non reiterazione, con l’annessa precisazione delle conclusioni dell’istanza, assume la valenza di rinunzia).

Circa il quarto motivo di appello con cui si censura l’operato del CTU, strettamente connesso al sesto motivo d’appello circa l’applicazione dell’art. 96 c.p.c., si osserva che, se è pur vero che l’ing. Gu. ha trattato in modo molto approfondito e per lungo tempo il problema del mancato rispetto dell’altezza di m. 2,70 dei locali del piano terra, senza avvedersi che, comunque, la L. n. 106 del 2011 convertendo il (…) n. 70 del 2011, c.d. decreto sviluppo, aveva fissato la tolleranza rispetto alle misure progettuali nel 2%, sicché per questi locali (le cui altezze si attestano tra m.2,65 – m.2,67 e m.2,69) non era necessaria alcuna sanatoria, rientrando nel limite di tolleranza, non è, invece, condivisibile la critica globalmente mossa agli accertamenti peritali.

Infatti, non è vero che il CTU avesse il limitato incarico di accertare solo le lavorazioni di cui alle fatture monitoriamente azionate, alle quali fanno riferimento i punti a/d del quesito, dovendo egli, invece, accertare, in generale, le opere effettivamente eseguite (cfr. punti e, f, g del quesito) poiché l’ATP, disposto nell’agosto 2012, era stato chiesto nelle more del giudizio d’opposizione, quando già il (…) aveva reclamato il risarcimento del danno per svariati vizi e per il considerevole importo di Euro.51.000,00 circa.

Né può condividersi la censura secondo cui l’elaborato del CTU sarebbe avvenuto in violazione del contraddittorio per essere stato disposto l’ultimo sopralluogo in assenza del sig. (…), legale rappresentante di (…) S.r.l., che aveva comunicato il proprio impedimento per malattia e chiesto un differimento, poiché dai verbali delle operazioni peritali risulta che (…) era validamente rappresentata dal proprio tecnico, unico soggetto legittimato a contraddire con il CTU (cfr. CTU, allegato 10, verbale operazioni del 6.2.2013).

Il CTU ha quindi individuato i lavori che risultavano essere stati pagati ma che presentavano vizi da sanare.

Osserva il Collegio, quindi, circa il primo vizio evidenziato dal CTU in ordine alle altezze dei locali al piano terreno, che, come detto, ha lungamente impegnato il CTU, se è vero che tale minore altezza non costituisce abuso edilizio né richiede procedure di sanatoria, non può aderirsi, però, alla tesi di parte appellante secondo cui non potrebbe sussistere alcun minor valore dell’opera (come invece valutato in Euro 2.000,00 dal CTU a p. 18 dell’ATP del 14.3.13), tenuto conto che il volume globale vuoto per pieno dell’immobile non muta e che la tolleranza sull’altezza viene concessa quando la stessa comporti un miglioramento delle condizioni igieniche e sanitarie dell’edificio.

Invero, la realizzazione di un locale ad altezza variabile ed inferiore a quella di cui al progetto e di cui al Regolamento comunale, non può ritenersi, comunque, a regola d’arte, e ciò impone il riconoscimento, a favore del committente, di un ristoro per tale inesatto adempimento.

Poiché, quindi,l’importo indicato in Euro 2.000,00 per tale diminuzione non è stata oggetto di altre censure di natura tecnica degne di accoglimento, tale somma deve essere riconosciuta al (…).

Quanto agli altri problemi riscontrati dal CTU, si osserva che la documentazione fotografica allegata dimostra la presenza di lavorazioni eseguite in modo imperfetto o non completamente finite, seppure già pagate; così, per esempio la mancata finitura del cappotto esterno (foto 1), o della facciata del locale caldaia (foto 7), o ancora, l’omessa sistemazione della cassetta ENEL (foto 2) e dello scaricatore di condenza della canna fumaria (foto 3-4-5).

Il CTU ha quantificato i vizi generalizzati ( non rimediabili) sulle murature per le imprecise lavorazioni (c.d. fuori piombo, e imperfezioni della complanarità) attribuendo una minusvalenza al lavoro complessivamente effettuato per Euro 2.800,00 (cfr. p. 17 ATP).

In ordine al c.d. fuori piombo delle pareti, si osserva che la censura al CTU da parte delle appellanti appare del tutto generica, non avendo esse affatto negato tale problema, che, seppure si discuta di lavori su un edificio preesistente, avrebbe dovuto essere risolto, stante l’imponenza degli interventi di ristrutturazione posti in essere ( sul punto si veda la produz. 8 (…), computo metrico che attesta interventi per oltre Euro.120.000, poi evidentemente aumentati, come da elenco fatture, produz.6 (…)), nè avendo dato prova della sua inesistenza, come sarebbe stato loro onere fare, ma essendosi fondata solo sulla mancata specifica indicazione della misura di tale difetto.

Il CTU, poi, ha valorizzato a corpo le lavorazioni necessarie a rimediare alle imperfezioni o scorrette finiture (cfr. CTU in data 14.3.2013, p. 16), giungendo a quantificarle in Euro 10.090,52 oltre Euro 1.150,00 per i materiali, e così per un ristoro complesso pari ad Euro 14.040,52 iva compresa.

L’Impresa ha contestato tali risultanze sul rilievo che, per contratto, i lavori erano pagati in base alle ore lavorate, sicché, come rilevato anche dal proprio tecnico geom. Si. nelle note critiche all’ATP (cfr. all. 13 all’ATP), le opere da ultimare non erano state contabilizzate, nè pagate, sicché (…) afferma che il CTU ha errato a ritenere che le opere esaminate fossero già pagate e quindi affette da vizi e non semplicemente da ultimare (cfr. in conclusionale p. 23).

Osserva, tuttavia, il Collegio che questa tesi non può essere seguita.

Per quanto non risultino in atti le fatture intercorse tra le parti, nè la contabilità di cantiere ( avendo (…) prodotto solo alcune pagine del giornale di cantiere) e non siano state assunte prove testimoniali, tuttavia, dal doc.6 (prospetto delle fatture redatto dall’arch. (…)) versato dal (…) con l’atto d’opposizione a decreto ingiuntivo – e non oggetto di contestazione da parte di (…) nè (…) – emerge che tra il 2010 ed il 2011 vennero emesse numerose fatture, tutte saldate fino alla fatt. 64 (che è la prima delle fatture il cui pagamento, poi, fu richiesto col ricorso monitorio).

Poiché in tale elenco le fatture recano l’indicazione della lavorazione cui si riferiscono ( per esempio, fatt. 53: locale tecnico; fatt. 63 cappotto) pare congrua e condivisibile l’affermazione del CTU secondo cui i lavori per tali lavorazioni dovevano ritenersi pagati, ma dovevano anche ritenersi carenti poiché o non del tutto completati, ovvero, affetti da vizi da sanare.

Del resto, lo stesso tecnico di (…) , pur negando che le imperfezioni di cui alle foto del CTU fossero vizi poiché le opere non erano ancora ultimate, ha affermato, però: ” le imperfezioni stesse (oggi esistenti) sarebbero state o sono facilmente eliminabili con l’ultimazione dei lavori” (cfr. elaborato geom. Si., p. 7), con ciò restando confermato, comunque, che gli interventi eseguiti richiedevano dei ripristini.

Deve, quindi, aderirsi alle valutazioni fatte dal ctu ing. Gu. che, anzi, dando seguito ai rilievi del geom. Si. risulta aver proceduto anche a rettificare il costo orario della manodopera, adeguandone l’importo a quello indicato, appunto dal CTP geom. Si.

Di tale somma complessiva di Euro 14.040,52 iva inclusa, e del minor valore di Euro 2.000,00, devono rispondere in solido tra loro l’Impresa (…), che ha realizzato l’intervento, ed il Direttore lavori che avrebbe dovuto vigilare sulla corretta esecuzione dell’opera.

Intatti, pur condividendosi la critica mossa dagli appellanti per l’inopportuna affermazione del CTU secondo cui andava attribuita all’arch. (…) una carenza di esperienza e di fermezza – così trascendendo egli dal compito che gli era stato assegnato- ritiene il Collegio, tuttavia, di aderire all’opinione del primo Giudice che ha ravvisato una corresponsabilità del (…) per i difetti riscontrati nelle lavorazioni.

Come condivisibilmente afferma Cassazione civile sez. II, 03/05/2016, n.8700: “Costituisce obbligazione del direttore dei lavori l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica e pertanto egli non si sottrae a responsabilità ove ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllare l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente”.

Anche se l’arch. (…) ha prodotto la corrispondenza intercorsa con gli appaltatori a conferma di avere esercitato tale sorveglianza, e suggerito le correzioni necessarie nelle lavorazioni (cfr. lettera (…) a Impresa edile (…), doc. 6) ciò, all’evidenza non sempre ha raggiunto lo scopo di far ottenere al committente un’opera a perfetta regola d’arte.

Se è ben vero, poi, che il (…) non deve presenziare necessariamente alle lavorazioni in modo assiduo e costante, tuttavia, la situazione evidenziata dalla CTU (si ricordi in particolare la disomogenea altezza dei soffitti del primo piano, e il fuori piombo delle pareti) dimostra come l’esecuzione non a regola d’arte deve attribuirsi anche alla scarsa attenzione del (…) nel controllo.

Come ancora di recente ha affermato il Supremo Collegio: “In tema di contratto di appalto, il vincolo di responsabilità solidale fra l’appaltatore e il progettista e direttore dei lavori, i cui rispettivi inadempimenti abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente, trova fondamento nel principio di cui all’art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale” (Cassazione civile sez. II, 06/12/2017, n. 29218).

Del resto sul punto è fermo: “il principio giurisprudenziale secondo cui “in tema di contratto di appalto, qualora il danno subito dal committente sia conseguenza dei concorrenti inadempimenti dell’appaltatore e del direttore dei lavori, entrambi rispondono solidalmente dei danni, essendo sufficiente, per la sussistenza della solidarietà, che le azioni e le omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando che le stesse costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche diverse (così fra le altre Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20294 del 14/10/2004)” (cfr. Cassazione civile sez. II, 21/09/2016, n. 18521).

Non può, invece, condividersi la censura mossa dal primo Giudice all’arch. Fa. (sulla scorta della CTU ing. Gu.) in merito alla redazione della tavola grafica, richiesta dal Comune per rendere evidente la situazione delle altezze dei locali a piano terreno, tavola che il (…) aveva redatto evidenziando solo la divergenza relativa alle altezze, ma non anche riportando le altre varianti intervenute nella realizzazione dell’opera, rispetto al progetto, e che, per tale ragione, il (…) si era rifiutato di sottoscrivere.

Sul punto osserva il Collegio che nel doc. Ufficio tecnico Comune di Piana Crixia del 16.9.2013 si afferma , non solo che la diminuzione dell’altezza interna di piano da ml.2,70 a 2,65 a 2,69 causa installazione pannelli radianti a pavimento … rientra nel limite dl 2% previsto dalla legge sopra citata (i.e. L.R. n. 16 del 2008) e pertanto non crea difformità “ma si richiede, anche, la redazione di una tavola che avrebbe dovuto semplicemente rappresentare le altezze, e non altro: “per una più completa rappresentazione e a completamento della pratica si richiede di integrare la tavola 3 … rappresentando le variazioni relative alle altezze”.

Poi, nel documento del 24.8.2014 – prodotto all’udienza del 26.9.2014- il Comune ha ulteriormente dichiarato che, la tavola con le variazioni relative alle altezze non avrebbe comportato alcun ulteriore parere da parte dell’Ufficio tecnico, rientrando nel suddetto limite.

Da ciò si evince che la tavola 3) era necessaria al limitato fine di notiziare il Comune della diversa altezza dei locali, rispetto a quella di progetto, ma che ciò non richiedeva alcuna variante in corso d’opera.

Il rifiuto del (…) di sottoscriverla non pare affatto giustificato, poiché, per tutte le altre varianti che erano state realizzate, sarebbe stato necessario predisporre una variante con costi e ben maggiori elaborati grafici, da presentarsi una volta finiti i lavori.

Quanto precede comporta l’accoglimento del sesto motivo di appello non potendo essere applicata la sanzione di cui all’art. 96 c.p.c. poiché non può ravvisarsi alcuna malafede nel comportamento dell’Impresa o del (…), in ordine alla presentazione delle suddette tavole grafiche.

Osserva, poi, il Collegio che, essendo pacifico che sono stati eseguiti lavori che hanno comportato delle varianti (che il (…) non ha neppure contestato di avere egli stesso richiesto), non è condivisibile la sentenza nella parte in cui ha addebitato a (…) o al (…) gli oneri per le procedure amministrative ancora in itinere, per l’importo complessivo di Euro 7.500,00 (cfr. p. 10 della sentenza), poiché tali adempimenti ed oneri avrebbero dovuto, comunque, gravare sul committente.

Inoltre, non può affatto attribuirsi agli appellanti la responsabilità del ritardo nel completamento della pratica amministrativa o dello scadere delle concessioni edilizie comunali, poiché, una volta sospesi i lavori per le festività del Natale 2011, il (…) risulta avere comunicato tale sospensione al Comune soltanto il 3.2.2015 ( come si legge nella ctu ing. Gu. del maggio 2015, p. 7), così incorrendo nella relativa decadenza, ma ciò solo per propria inerzia, non potendo ritenersi che la sussistenza del presente contenzioso possa valere quale esimente ad un comportamento più tempestivo da parte del committente.

Circa il quinto motivo d’appello relativo alla censura per il rigetto della domanda riconvenzionale per il recesso posto in essere dal committente, e la richiesta di risarcimento per Euro.25.000,00 svolta da (…), si osserva innanzitutto che non può accogliersi la tesi di parte convenuta secondo cui (…) si sarebbe costituita tardivamente, oltre i termini di cui all’art. 166 c.p.c., per l’udienza cui era stata differita la causa per disporre la chiamata di terzo.

Invero, infatti, nel caso di differimento dell’udienza da parte del Giudice, come è l’ipotesi verificatasi nel presente caso (in cui , per consentire la chiamata di terzo, il Giudice aveva proceduto alla fissazione di ulteriore udienza), trova applicazione l’art. 168 bis quinto comma c.p.c. ( e non invece il quarto comma in cui il differimento consegue al fatto che il giorno fissato per la comparizione non è nel calendario d’udienza del Giudice), con la conseguenza che la costituzione del convenuto è tempestiva laddove avvenga nei venti giorni anteriori tale nuova udienza, come ritualmente avvenuto nel caso di specie.

Ciò posto, tuttavia, deve ricordarsi che è ferma la giurisprudenza del Supremo Collegio per cui: “Nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, egli si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto, cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una “reconventio reconventionis” ( cfr., da ultimo ancora Cass. civ. 22.6.2018 n. 16564).

Pertanto, la domanda riconvenzionale di (…), benché tempestiva, è , comunque, inammissibile, non avendo essa richiesto nulla, in sede di ricorso monitorio , in punto risarcimento del danno da ingiustificato recesso.

Conclusivamente, quindi, deve affermarsi che compete, a titolo di risarcimento del danno, a favore del (…) la minor somma di Euro 16.040,52 (Euro 14.040,52 + Euro 2.000,00); trattandosi di credito di valore, l’importo deve essere devalutato dalla data della determinazione fatta con l’ATP, alla data di sospensione del cantiere 23.12.2011 (cfr. doc. 21 (…)) epoca cui può farsi risalire l’evento lesivo; quindi, l’importo deve essere rivalutato e maggiorato di interessi legali, sicché, in oggi, è pari ad Euro 17.553,74.

A fronte di ciò , sussiste , peraltro , il credito di (…) per complessivi Euro 22.445,26 come affermato dal primo Giudice e non oggetto di contestazione da parte di alcuno; tale somma deve essere maggiorata di interessi dalla data del decreto ingiuntivo, sicché in oggi essa è pari ad Euro 23.889,69.

Ciò comporta una differenza a credito di (…) pari a (23.889,69 – 17.553,74 =) Euro 6.335,95, sicché l’appellato (…) deve essere condannato a tale pagamento, oltre interessi legali dalla presente sentenza al saldo.

Stante la soccombenza reciproca, devono essere compensate le spese di lite per entrambi i gradi di giudizio nella misura del 50%, dovendo gravare sull’appellato per la restante metà che in tale misura viene liquidata, secondo il D.M. n. 55 del 2014 assunto come scaglione di valore quello tra Euro 5.200,00 ed Euro 26.000,00 come segue; quanto al primo grado in complessivi Euro 2417,50 per compensi (fase di studio Euro. 875,00; fase introduttiva Euro 740,00; fase istruttoria Euro 1600,00; fase decisoria Euro 1620,00; totale 4.835,00 x 50%); quanto al secondo grado in complessivi Euro 1888,50 (fase di studio Euro 1080,00; fase introduttiva Euro 877,00; fase decisoria Euro 1820,00; totale Euro 3777,00 x 50%) oltre Euro 400,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge dei due gradi.

Le spese delle CTU sono definitivamente a carico delle parti appellante ed appellata nella misura del 50% ciascuna.

P.Q.M.

la Corte d’appello di Genova definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa domanda , eccezione ed istanza;

in parziale accoglimento dell’appello proposto da (…) srl in pers. leg. rapp.te p.t. (…), e da (…) nei confronti di (…):

dichiara non dovuta dalle appellanti la somma di Euro 3.000,00 ex art. 96 c.p.c.;

dichiara tenuto e condanna (…) al pagamento a favore di (…) srl della somma di Euro 6.335,95, oltre interessi legali dalla presente sentenza al saldo;

dichiara tenuto e condanna (…) a rifondere alle appellanti il 50% delle spese di lite che in tale misura liquida, quanto al primo grado in complessivi Euro 2417,50 per compensi ; quanto al secondo grado in complessivi Euro 1888,50 oltre Euro. 400,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge dei due gradi, dichiarando compensato il restante 50%;

pone le spese delle CTU definitivamente a carico di (…) srl e (…) nella misura del 50% , nonché a carico di (…) nella misura del restante 50%.

Così deciso in Genova il 5 dicembre 2018.

Depositata in Cancelleria l’11 gennaio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.