Ai sensi dell’art. 2053 c.c., il proprietario di un edificio, o di altra costruzione, è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non sia dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione. Si tratta di un’ipotesi di responsabilità oggettiva, che prescinde dall’effettiva configurabilità della colpa per omessa sorveglianza sull’immobile o sul manufatto ed è unicamente riconducibile alla mera sussistenza del nesso materiale di causalità tra la costruzione disgregata o caduta e l’evento dannoso da essa determinato.
In altre parole, la norma in questione pone in capo al proprietario una responsabilità a titolo di colpa presunta, di talché il danneggiato che intenda agire in giudizio per ottenere il risarcimento avrà unicamente l’onere di provare l’esistenza del danno e il nesso di causalità tra lo stesso e lo stato di rovina dell’edificio altrui. Per contro, l’onere della prova liberatoria dell’insussistenza della colpa incombe sul proprietario, il quale sarà tenuto a dimostrare di aver effettuato la manutenzione dell’edificio, che lo stesso non è affetto da vizi di costruzione ovvero che la rovina è intervenuta per caso fortuito, con ciò intendendosi un fatto dotato di efficacia causale autonoma rispetto alla condotta del proprietario medesimo, incluso il fatto del terzo o dello stesso danneggiato.

 

Tribunale Milano, Sezione 10 civile Sentenza 21 giugno 2018, n. 6952

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

DECIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice onorario dott.ssa Carmen Michelotti ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 27980/2014 promossa da:

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. RO.MI. e dell’avv. PI.CH. ((…)) VIA (…) 20138 MILANO, elettivamente domiciliato in VIA (…) CREMA presso il difensore avv. RO.MI.

ATTORE/I

contro

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. CR.AL. e dell’avv. (…), elettivamente domiciliato in PIAZZA (…) 20900 MONZA presso il difensore avv. CR.AL.

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. CR.AL., elettivamente domiciliato in PIAZZA (…) 20900 MONZA presso il difensore avv. CR.AL.

CONVENUTO/I

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

(…) citava in giudizio (…) e (…) per sentirli condannare al risarcimento dei danni dal medesimo subiti in occasione del sinistro occorsogli in data 22 ottobre 2012 allorquando l’attore apriva il cancello di proprietà dei convenuti e questo cadeva addosso all’attore procurandogli lesioni personali.

Il convenuti si costituivano in giudizio contestando la ricostruzione del fatto operata da parte attrice e la propria responsabilità, nonché la quantificazione del danno. Chiedevano pertanto il rigetto delle domande di parte attrice e svolgevano domanda riconvenzionale nei confronti dell’attore per avere quest’ultimo danneggiato il cancello aprendolo in modo anomalo, per avere violato la privacy dei convenuti notificando l’atto introduttivo del giudizio ad un soggetto estraneo al medesimo, e ai sensi dell’art. 96 c.p.c.

La domanda di parte attrice deve essere accolta, nei limiti e per le motivazioni che seguono.

Dall’istruttoria svolta è emerso che parte attrice è rimasta infortunata in conseguenza della caduta del cancello dei convenuti mentre cercava di aprirlo. Il cancello era un grande cancello in ferro, che si apriva a scorrimento ed è caduto mentre l’attore cercava di aprirlo con l’aiuto di una altro soggetto. In tal senso le dichiarazioni rese dei testi escussi in data 27 giugno 2017 tramite prova delegata presso il Tribunale di Torre Annunziata (NA). In particolare si richiama la dichiarazione del teste (…) il quale presente al momento della caduta del cancello ha precisato che il cancello medesimo è caduto addosso all’odierno attore e che il cancello è stato aperto normalmente. Ha altresì riferito di avere ricevuto una somma dagli odierni convenuti prima che il presente giudizio fosse radicato, a titolo di risarcimento del danno dallo stesso patito per essersi infortunato nella medesima circostanza nella quale si è infortunato l’attore. Che il cancello sia caduto addosso all’attore è altresì confermato dal teste (…), (teste indicato dalla parte convenuta e sulla cui attendibilità nessuna riserva è stata espressa) rese all’udienza del 22 ottobre 2015 il quale ha riferito di avere visto l’attore a terra vicino al cancello caduto quando è giunto nel luogo del sinistro.

Il cancello caduto addosso all’attore è di proprietà dei convenuti (…) e (…) e rispetto a questa fattispecie deve ritenersi applicabile l’art. 2053 c.c..

Alla luce di quanto disposto dalla norma ora richiamata il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione.

Non pare infatti dubbia la natura di costruzione riconoscibile al manufatto (cancello) facente parte delle pertinenze dell’immobile e dell’area cortilizia di proprietà dei convenuti ed è provato che il medesimo è rovinato al suolo procurando lesioni all’attore.

Parte convenuta non ha dimostrato che la rovina del cancello è dovuta a fatto dello stesso danneggiato integrante caso fortuito come allegato nei propri scritti difensivi in quanto nessuna prova sul punto è stata fornita, né che la rovina del manufatto non sia dovuta a difetto di manutenzione e/o costruzione.

Non può ritenersi comprovato l’uso improprio del cancello sulla base della dichiarazione del teste (…) resa all’udienza del 22 ottobre 2015 il quale relativamente alle modalità di apertura del cancello ha riferito fatti appresi de relato e dai quali, in ogni caso, emerge un utilizzo del cancello che non può di per sé definirsi improprio: cercare di spingere un cancello scorrevole lungo le proprie guide per accompagnarne l’apertura non può ritenersi uso improprio.

Non può nemmeno ritenersi provato che il cancello è crollato per motivi diversi dal difetto di manutenzione o dai vizi di costruzione del medesimo. Infatti la dichiarazione dell’ufficio tecnico comunale datata 5 novembre 2012 (doc. n. 5 del fascicolo di parte convenuta) relativa allo stato del cancello dopo il sinistro non può fornire altro che elementi relativi allo stato di fatto in cui si trovava il cancello dopo la caduta, nulla prova circa la avvenuta regolare manutenzione né circa l’uso che del cancello è stato fatto. Le affermazioni ivi contenute sono al primo punto relative allo stato di fatto del cancello dopo la caduta del medesimo, la seconda una valutazione assolutamente generica sullo stato di conservazione del binario di scorrimento del cancello e dei meccanismi che permettevano lo scorrimento del medesimo, peraltro nulla precisando circa lo stato del cancello stesso (le dimensioni, il grado di vetustà, l’adeguatezza o meno delle guide in rapporto alle dimensioni del cancello, l’eventuale presenza di meccanismi di sicurezza ecc…) mentre la terza esprime una mera ipotesi (peraltro nemmeno indicata per certa ma espressa in termini possibilistici) di possibile utilizzo improprio del cancello quale causa del danno. Tale ipotesi, tuttavia, non è suffragata da elementi oggettivi e/o riscontri concreti pertanto è da escludere che la medesima dichiarazione contenga una ricostruzione oggettiva degli eventi o valga ad attestare la avvenuta regolare manutenzione del cancello medesimo. Tale dichiarazione conferma inoltre ulteriormente che il cancello sia caduto.

Infine che il cancello fosse vecchio e pesante è confermato altresì nella richiesta di archiviazione del procedimento penale a carico dei proprietari del cancello di cui al doc. n. 15 del fascicolo di parte convenuta.

L’avvenuta archiviazione del procedimento penale nei confronti dei convenuti non vale ad escludere la loro responsabilità in sede civile.

La differenza tra responsabilità civile e penale risiede nel tipo di norma violata e nelle conseguenze della sanzione. La responsabilità civile sussiste quando viene violata una norma civile, con la conseguente applicazione di sanzioni tipiche del diritto civile (il risarcimento del danno). La responsabilità penale, invece, quando il soggetto viola un precetto previsto dalla legge penale, per cui si verificano le conseguenze tipiche del diritto penale (l’applicazione delle pene).

Diversi pertanto sono i presupposti per il riconoscimento di una responsabilità civile rispetto a quelli per il riconoscimento di una responsabilità in sede penale. Il fatto che non sia stata accertata una responsabilità rispetto alle norme penalistiche non comporta che non possa ravvisarsi responsabilità civile in capo ai medesimi soggetti per la medesima vicenda fattuale.

La responsabilità civile nel caso di specie è una c.d. “responsabilità oggettiva”. Tale responsabilità implica l’esistenza del solo nesso causale.

Ai sensi dell’art. 2053 c.c., il proprietario di un edificio, o di altra costruzione, è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non sia dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione. Si tratta di un’ipotesi di responsabilità oggettiva, che prescinde dall’effettiva configurabilità della colpa per omessa sorveglianza sull’immobile o sul manufatto ed è unicamente riconducibile alla mera sussistenza del nesso materiale di causalità tra la costruzione disgregata o caduta e l’evento dannoso da essa determinato

In altre parole, la norma in questione pone in capo al proprietario una responsabilità a titolo di colpa presunta, di talché il danneggiato che intenda agire in giudizio per ottenere il risarcimento avrà unicamente l’onere di provare l’esistenza del danno e il nesso di causalità tra lo stesso e lo stato di rovina dell’edificio altrui. Per contro, l’onere della prova liberatoria dell’insussistenza della colpa incombe sul proprietario, il quale sarà tenuto a dimostrare di aver effettuato la manutenzione dell’edificio, che lo stesso non è affetto da vizi di costruzione ovvero che la rovina è intervenuta per caso fortuito, con ciò intendendosi un fatto dotato di efficacia causale autonoma rispetto alla condotta del proprietario medesimo, incluso il fatto del terzo o dello stesso danneggiato (cfr. Cass. civ., 30.01.2009 n. 2481).

Nel caso di specie, come già accennato, la prova liberatoria non è stata fornita.

Anche volendo ritenere applicabile al caso di specie la disciplina di cui all’art. 2051 c.c. le conclusioni in punto responsabilità non mutano.

Infatti, sono stati provati da parte attrice il fatto, il danno ed il nesso di causalità, mentre l’esimente del caso fortuito (che può consistere anche nel comportamento dello stesso danneggiato) non è stata provata da parte convenuta.

In corso di causa al fine della migliore quantificazione del danno è stata disposta consulenza tecnica medico – legale sulla persona dell’attore che, mediante produzioni documentali, ha provato la sussistenza del danno alla propria persona.

Dalla consulenza tecnica d’ufficio espletata in corso di causa è emerso che la parte attrice ha subito lesioni personali riconducibili al sinistro che vengono specificate dal consulente tecnico d’ufficio nella propria relazione che, priva di vizi logici, qui si richiama e condivide, come segue: invalidità temporanea al 100% per giorni 4, al 75% per 60 giorni, al 50% per 40 giorni e al 25% per ulteriori 20 giorni; postumi permanenti nella misura del 6%, spese mediche e di cura ritenute necessarie e congrue pari ad Euro 806,13.

Le conclusioni del CTU non sono state oggetto di osservazioni da parte dei consulenti di parte e devono pertanto ritenersi condivise dagli stessi.

Il danno non patrimoniale, deve determinarsi in via equitativa, giusta il disposto degli artt. 2056 e 1226 c.c., facendo riferimento ai criteri di cui all’art. 139 D.Lgs. n. 209 del 2005 (come da ultimo aggiornati), cui rinvia ora anche la L. n. 189 del 2012 in tema di responsabilità sanitaria. Si ritiene, infatti, che le tabelle elaborate dal legislatore costituiscano un congruo ed idoneo punto di riferimento cui richiamarsi nella liquidazione equitativa del danno sia in quanto consentono di superare disparità che le tabelle locali dei diversi tribunali comporterebbero, sia in quanto i criteri di cui al decreto risultano essere in linea con gli orientamenti comunitari, sia in quanto non si ritiene conforme al principio di uguaglianza valutare tale tipologia di danno in base a criteri diversi a seconda dell’evento concreto che vi ha dato origine.

Al danno non patrimoniale così individuato, pari ad Euro 10.723,87 devono aggiungersi Euro 806,13 per il rimborso delle spese mediche ritenute necessarie e congrue dal CTU con motivazioni che si richiamano e condividono.

Nessuna somma ulteriore è riconoscibile a titolo di personalizzazione del danno non essendovi agli atti elementi sufficienti per procedere in tal senso. Infatti secondo gli insegnamenti della Corte di Cassazione in tema di risarcimento del danno alla persona le circostanze di fatto che ne giustificano la personalizzazione integrano un “fatto costitutivo” della pretesa, sicché devono essere allegate in modo circostanziato già nell’atto introduttivo del giudizio e non possono risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte ed ipotetiche (Cass. 18.11.2014 n. 24471).

Nel caso di specie non sono emerse circostanze contingenti specifiche tali da rendere inadeguato il valore tabellare preso a parametro di riferimento e normalmente utilizzato.

Il danno non patrimoniale è liquidato in valore attuale ed andrà devalutato al momento del sinistro e rivalutato secondo l’indice ISTAT costo vita con maggiorazione di interessi nella misura legale – secondo i criteri di calcolo enunciati da Cassazione SSUU 1712/1995 – dalla data del sinistro alla presente sentenza e interessi legali sulle somme risultanti dalla presente sentenza al saldo.

Sulla somma riconosciuta a titolo di rimborso spese dovranno aggiungersi interessi e rivalutazione dal giorno degli effettivi esborsi alla data della presente sentenza e interessi legali dalla presente sentenza al saldo, sempre secondo i criteri di cui alla sentenza delle sez. unite della Corte di Cassazione sopra citata.

Deve rigettarsi la domanda riconvenzionale svolta dalla parti convenute e finalizzata ad ottenere la condanna dell’attore al risarcimento del danno per avere danneggiato il cancello dei convenuti non essendo provato l’uso improprio del cancello e la responsabilità dell’attore nella causazione dei danni al medesimo.

Deve rigettarsi la domanda riconvenzionale di condanna svolta dal convenuto nei confronti dell’attore ai sensi dell’art. 96 c.p.c. in quanto nel caso di specie non ne sussistono i presupposti, essendo anzi stata accolta la domanda di parte attrice.

Deve rigettarsi la domanda riconvenzionale di condanna svolta dal convenuto nei confronti dell’attore per il risarcimento dei danni per la lesione della propria privacy avvenuta attraverso al notifica dell’atto introduttivo del presente giudizio in un primo momento effettuata a un omonimo dell’odierno convenuto.

Deve rigettarsi anzitutto in quanto tale lesione non pare riconducibile ad una attività svolta dall’attore ma dal suo difensore, inoltre in quanto non appare provato il danno.

Il danno conseguente alla lesione della privacy e dei diritti e delle libertà indicate nell’art. 2 del codice della Privacy nonché del più generale diritto di riservatezza non è in re ipsa ma deve essere provato nella sua esistenza ed intensità dal danneggiato.

Sul punto si precisa che il sistema di responsabilità civile non ha nel nostro ordinamento funzione punitiva e sia con riferimento all’ipotesi di lesioni di diritti inviolabili sia con riferimento ai casi in cui il risarcimento del danno non patrimoniale sia espressamente previsto dalla legge tale danno non può, appunto, considerarsi in re ipsa.

L’accertamento della gravità della lesione e della serietà del danno spetta al giudice il quale dovrà valutare in base alla concreta vicenda materiale portata alla sua cognizione alla luce del contesto temporale e sociale in cui la stessa si è svolta. A proposito della risarcibilità del danno dal violazione della privacy è stato elaborato il concetto di “soglia di risarcibilità” la cui giustificazione è legata alla esigenza di evitare la proliferazione di liti bagatellari ed è frutto del bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima e quello di tolleranza, con la conseguenza che il danno non patrimoniale potrà essere risarcito solamente quando sia superato il livello di tollerabilità e il pregiudizio non sia futile.

Nel caso di specie parte convenuta non ha fornito prova della sussistenza del danno né ha fornito elementi utili alla relativa quantificazione, nemmeno a livello indiziario.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo tenuto conto dell’entità del risarcimento effettivamente riconosciuto, del grado di difficoltà della causa e del grado di complessità delle questioni giuridiche trattate.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa o assorbita, così dispone:

– accertata la responsabilità dei convenuto (…) e (…) nella causazione dei danni subiti da parte attrice (…), condanna i convenuti al pagamento a favore dell’attore della complessiva somma di Euro 11.530,00 oltre accessori, il tutto come meglio dettagliato in parte motiva.

– Rigetta le domande riconvenzionali svolte dai convenuti per le ragioni di cui alla parte motiva.

– Condanna le parti convenute a rifondere a parte attrice le spese legali del presente procedimento che liquida in Euro 4.500,00, oltre accessori di legge

– Pone definitivamente ed integralmente a carico dei medesimi convenuti le spese di CTU, che si liquidano definitivamente in Euro 800,00 oltre accessori di legge, pari al fondo spese già riconosciuto.

Sentenza resa ex articolo 281 sexies c.p.c., pubblicata mediante lettura alle parti presenti ed allegazione al verbale.

Così deciso in Milano il 21 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 21 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.