la parcella panche se corredata dal parere del competente Consiglio dell’ordine di appartenenza del professionista, mentre ha valore di prova privilegiata e carattere vincolante per il giudice ai fini della pronuncia dell’ingiunzione, eventualmente richiesta dal professionista, non ha – costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista – valore probatorio nel successivo giudizio di opposizione, nel quale il creditore opposto assume la veste sostanziale di attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex articolo 2697 c.c., ove vi sia contestazione da parte dell’opponente in ordine all’effettivita’ ed alla consistenza delle prestazioni eseguite o all’applicazione della tariffa pertinente ed alla rispondenza ad essa delle somme richieste. Peraltro lo stesso precedente invocato dal ricorrente (Cass. S.U. n. 14699/2010) ribadisce che la parcella dell’avvocato costituisce una dichiarazione unilaterale assistita da una presunzione di veridicita’, che pero’ puo’ essere posta a fondamento della decisione solo laddove le “poste” o “voci” in essa elencate non siano interessate da specifiche contestazioni del cliente, ma non anche nel diverso caso in cui la controparte, e nell’ambito di un giudizio di cognizione ordinario, sia rimasta contumace.

 

Corte di Cassazione, Sezione 6 2 civile Ordinanza 18 giugno 2018, n. 15930

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. CERRATO Aldo – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20191/2016 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso da se stesso;

– ricorrenti –

e contro

(OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 566/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/03/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dal ricorrente.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

L’avv. (OMISSIS) chiedeva la condanna di (OMISSIS), calciatore professionista, al pagamento dei compensi professionali maturati per l’attivita’ di assistenza legale prestata nell’interesse del convenuto in occasione della stipula del contratto con il (OMISSIS) in data (OMISSIS).

Il Tribunale di Roma rigettava la domanda ritenendo che in realta’ l’attivita’ svolta dall’attore andava inquadrata in quella di procuratore sportivo e non di avvocato, e la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 566 del 28 gennaio 2016 confermava il rigetto.

A tal fine escludeva che vi fosse stata ammissione da parte del convenuto dello svolgimento dell’attivita’ professionale che l’attore sosteneva di avere effettuato, come si ricavava dagli atti del procedimento arbitrale che aveva visto coinvolto il convenuto ed il figlio dell’attore, (OMISSIS), nel corso del quale l’ (OMISSIS) aveva sempre ribadito che a svolgere il ruolo di procuratore sportivo, sebbene sprovvisto di procura era stato (OMISSIS).

La stessa missiva del 17 gennaio 2003 sottoscritta da Dario ed (OMISSIS) qualifica espressamente il credito vantato come derivante da un rapporto procuratorio calcistico, il che depone in maniera inequivoca in senso contrario a quanto affermato dall’attore.

Inoltre correttamente il Tribunale ha ritenuto del tutto generiche le indicazioni in ordine alla risoluzione di non poche questioni legali, contenuto nella detta missiva, mancando qualsivoglia riscontro documentale e testimoniale per tale assunto.

Infatti, non risulta, nemmeno dalla disamina delle deposizioni testimoniali, che siano sorte delle situazioni che imponevano la partecipazione alla trattativa per la stipula del contratto di un legale, essendo peraltro compito del procuratore sportivo, anche quello di fornire un’attivita’ di consulenza legale.

Ne consegue che il (OMISSIS) non ha fornito la prova dell’attivita’ svolta, non avendo quindi maturato il diritto al compenso preteso.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso (OMISSIS) sulla base di due motivi.

L’intimato non ha svolto difese in questa fase.

Il primo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2727 c.c., in quanto i giudici di merito avrebbero privato di qualsiasi rilievo probatorio la parcella pro-forma inviata all’ (OMISSIS) il quale si era costituito solo tardivamente nel corso del giudizio di primo grado.

In realta’ era quindi il convenuto a dover dimostrare le circostanze contrarie a quanto emergeva dalla fattura, anche alla luce della sua tardiva costituzione.

Il motivo e’ destituito di fondamento.

Correttamente i giudici di appello hanno richiamato i principi affermati da questa Corte nella sentenza n. 9254/2006, che appunto ribadisce che l’onere di provare lo svolgimento dell’attivita’ professionale per la quale si richiede il pagamento del compenso incombe sullo stesso professionista, principi che appaiono suscettibili di estensione anche allo svolgimento dell’attivita’ legale.

In tal senso si veda in senso conforme a quanto affermato dalla sentenza gravata Cass. n. 3627/1999, nella quale si precisa che la parcella predisposta dal professionista e’ priva di rilevanza probatoria nell’ordinario giudizio di cognizione (Cass. n. 1513/1997).

Ed, invero, la parcella panche se corredata dal parere del competente Consiglio dell’ordine di appartenenza del professionista, mentre ha valore di prova privilegiata e carattere vincolante per il giudice ai fini della pronuncia dell’ingiunzione, eventualmente richiesta dal professionista, non ha – costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista – valore probatorio nel successivo giudizio di opposizione, nel quale il creditore opposto assume la veste sostanziale di attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex articolo 2697 c.c., ove vi sia contestazione da parte dell’opponente in ordine all’effettivita’ ed alla consistenza delle prestazioni eseguite o all’applicazione della tariffa pertinente ed alla rispondenza ad essa delle somme richieste. Peraltro lo stesso precedente invocato dal ricorrente (Cass. S.U. n. 14699/2010) ribadisce che la parcella dell’avvocato costituisce una dichiarazione unilaterale assistita da una presunzione di veridicita’, che pero’ puo’ essere posta a fondamento della decisione solo laddove le “poste” o “voci” in essa elencate non siano interessate da specifiche contestazioni del cliente, ma non anche nel diverso caso in cui la controparte, e nell’ambito di un giudizio di cognizione ordinario, sia rimasta contumace.

Infatti, alcuna rilevanza puo’ attribuirsi all’iniziale mancata costituzione del convenuto, posto che il principio di non contestazione, come oggi chiaramente esplicitato dal novellato articolo 115 c.p.c., cosi’ come novellato dalla L. n. 69 del 2009, che sul punto ha recepito le pacifiche indicazioni della dottrina e della giurisprudenza, presuppone l’avvenuta costituzione della controparte.

Ne deriva che proprio in ragione dell’iniziale mancata costituzione dell’ (OMISSIS), in base ai principi di ripartizione dell’onere della prova, come evincibili dai richiamati precedenti, incombeva sul (OMISSIS) l’onere di dimostrare l’effettivo svolgimento dell’attivita’ svolta nell’interesse del convenuto e la sua corrispondenza a quanto riportato in fattura, la quale in tanto puo’ assumere una presunzione di veridicita’ in quanto risulti dimostrata l’effettiva sussistenza di un mandato professionale riconducibile ad un incarico di natura legale.

Vale poi osservare che a seguito della sua tardiva costituzione in primo grado, la difesa dell’ (OMISSIS) ha inteso fermamente contestare l’esistenza di un rapporto di assistenza legale con il (OMISSIS), riconducendo l’attivita’ svolta al diverso rapporto di procuratore sportivo, conclusione alla quale hanno inteso aderire i giudici di merito, secondo il loro insindacabile apprezzamento in fatto.

Il secondo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione degli articoli 166, 167, 184, 293 e 345 c.p.c., in quanto I’ (OMISSIS) si era tardivamente costituito in primo grado, non oltre i termini di all’articolo 184 c.p.c., avendo quindi sollevato una tardiva eccezione in merito alla corretta qualificazione del rapporto procuratorio intercorso con il (OMISSIS), e soprattutto versando in atti la lettera del 17 gennaio 2003, a firma dello stesso ricorrente.

Trattasi di attivita’ processuali precluse, e che il Tribunale anche d’ufficio avrebbe dovuto rilevare come tali, non ponendole quindi a base della decisione adottata.

Il rilievo ufficioso delle preclusioni imponeva altresi’ di rilevare la tardiva allegazione e produzione anche in grado di appello, come appunto disposto dall’articolo 345 c.p.c..

Il motivo e’ parimenti privo di fondamento.

Ed, invero, premesso che la contestazione circa la corretta qualificazione giuridica del rapporto professionale intercorso con il ricorrente non costituisce eccezione in senso stretto, ma mera sollecitazione al corretto esercizio di qualificazione della fattispecie giuridica dedotta in giudizio da parte del giudice adito, e che pertanto non appare invocabile il regime delle preclusioni previsto per le eccezioni in senso stretto, va rilevato in maniera del tutto assorbente che la qualificazione come attivita’ procuratoria sportiva e l’utilizzo a tal fine della missiva del 17 gennaio 2003 sono state compiute entrambe dal Tribunale.

Non risulta tuttavia che la violazione del regime delle preclusioni per effetto delle attivita’ tardivamente poste in essere da parte del convenuto, ed invece valorizzate dal Tribunale, sia stata oggetto di una specifica censura del (OMISSIS) nei confronti della sentenza di primo grado, trattandosi appunto di questione che non risulta essere stata affrontata dalla sentenza di appello (la cui parte espositiva delle doglianze dell’odierno ricorrente evidenzia invece una critica in merito all’apprezzamento in concreto della valenza probatoria del documento de quo, senza quindi contestarsene anche l’utilizzabilita’ in chiave processuale) e che lo stesso ricorrente non deduce essere stata oggetto di uno specifico motivo di appello.

In tal senso deve quindi farsi applicazione di quanto gia’ condivisibilmente affermato da questa Corte, la quale ha precisato che (cfr. Cass. n. 20678/2016) in tema di ricorso per cassazione, la questione della tardivita’ delle allegazioni e dei documenti prodotti in primo grado non puo’ essere proposta per la prima volta in sede di legittimita’ ma deve risultare sollevata in appello, atteso che la nullita’ del processo di primo grado e’ soggetta al principio generale, stabilito nell’articolo 161 c.p.c., della conversione delle ragioni d’invalidita’ in motivo d’impugnazione.

L’assenza di una denunzia della violazione del regime delle preclusioni processuali in sede di appello impedisce quindi che la parte se ne possa dolere in questa sede.

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Nulla per le spese atteso il mancato svolgimento di attivita’ difensiva da parte dell’intimato.

Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto l’articolo 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’articolo 1 bis dello stesso articolo 13.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.