La nullita’ ex articolo 2233 c.c., comma 3, per illiceita’ della causa, ravvisata nel caso di specie, investirebbe solo ed esclusivamente la clausola che ha determinato il compenso, realizzando questa un patto di quota lite, ma non gia’ l’intero mandato conferito al legale. Di conseguenza, il legale che ha svolto l’attivita’ professionale, in virtu’ di un regolare mandato, non potra’ pretendere il compenso come determinato mediante il patto di quota lite, ma avra’ azione per ottenere, se non il compenso, almeno l’indennizzo di cui all’articolo 2041 c.c., con riferimento alle spese sopportate per portare a termine tale mandato.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 30 luglio 2018, n. 20069

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17236/2013 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi in forza di procura speciale in calce al ricorso dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi in forza di procura speciale a margine del controricorso dall’avvocato (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 738/2012 della Corte d’appello di L’Aquila, depositata il 26 maggio 2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18 gennaio 2018 dal Consigliere Gianluca Grasso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati (OMISSIS) per delega dei difensori dei ricorrenti e (OMISSIS), delegata dal difensore dei controricorrenti.

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato in data 23 dicembre 2003, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), eredi dell’avv. (OMISSIS), convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Giulianova, (OMISSIS), in proprio e in qualita’ di genitore esercente la potesta’ sui figli minori (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ (OMISSIS), in qualita’ di eredi di (OMISSIS), chiedendo la loro condanna al pagamento della somma di Euro 90.379,96 o di quella minore di giustizia, oltre interessi legali.

Gli attori esponevano che con scrittura dell’11 novembre 1977 (poi rinnovata il 21 ottobre 1980) (OMISSIS), proprietario di un terreno in (OMISSIS), aveva incaricato (OMISSIS), titolare di un’agenzia immobiliare, di risolvere le questioni relative all’occupazione del suo terreno da parte del Comune, con facolta’ per il medesimo di nominare professionisti per i problemi tecnici e giuridici legati all’acquisizione del terreno da parte dell’ente e per la determinazione degli indennizzi.

Tale facolta’ era stata esercitata con scrittura in data 11 novembre 1977 con cui il Totaro aveva incaricato l’ing. (OMISSIS) per la parte tecnica e quest’ultimo aveva nominato l’avv. (OMISSIS) perche’ curasse la parte giuridica, con attribuzione all’ing. (OMISSIS) di un compenso pari a due terzi di quello spettante al (OMISSIS) e all’avv. (OMISSIS) la meta’ di quello spettante al (OMISSIS). Gli attori, inoltre, premettevano che l’ing. (OMISSIS) aveva ceduto i diritti a lui spettanti dal contratto e che in data 31 ottobre 1981 il (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS) convennero di dividere tra loro, in parti uguali, il compenso complessivamente dovuto dal mandante (OMISSIS) al (OMISSIS), dandosi atto nella scrittura di aver pagato, ciascuno per la meta’, quanto dovuto all’ing. (OMISSIS), cosi’ acquisendone in parti uguali i relativi diritti. Successivamente all’espletamento del mandato professionale da parte dell’avv. (OMISSIS), gli eredi del mandante (OMISSIS) (nel frattempo deceduto) ottennero dal Comune di (OMISSIS), quale indennizzo per l’occupazione del terreno, la somma di lire 2.000.000.000 e agli eredi del (OMISSIS) (deceduto anch’egli) fu riconosciuta e versata in virtu’ della scrittura dell’11 novembre 1997 – la somma di lire 350.000.000 di cui il 50% (pari a lire 175.000.000) di spettanza dell’avv. (OMISSIS), che gli eredi del primo si erano rifiutati di corrispondere. Gli attori, pertanto, chiedevano la condanna dei convenuti al pagamento della somma di Euro 90.379,96 o di quella ritenuta dovuta, oltre accessori, in virtu’ di quanto pattuito ovvero ex articolo 2041 c.c..

Costituitisi in giudizio, gli eredi del (OMISSIS) eccepivano la nullita’ del patto in quanto dal tenore dell’accordo il compenso non risultava correlato all’attivita’ professionale dell’avv. (OMISSIS) ma al risultato economico conseguito dal proprietario e dallo stesso (OMISSIS), con conseguente violazione del divieto del patto di quota lite di cui all’articolo 2233 c.c.. Aggiungevano che in virtu’ di un successivo accordo tra la vedova (OMISSIS) e il (OMISSIS) si era convenuto che il compenso a favore di quest’ultimo era di lire 350.000.000 e che le competenze in favore dell’avv. (OMISSIS) sarebbero state corrisposte dal Comune.

Acquisiti i documenti prodotti, con sentenza depositata il 14 giugno 2006, il Tribunale di Teramo, sezione distaccata di Giulianova, rigettava la domanda, compensando le spese di lite.

2. – Avverso tale pronuncia, gli attori proponevano appello, chiedendone la riforma.

Si costituivano in giudizio (OMISSIS) e (OMISSIS) mentre rimanevano contumaci (OMISSIS) e (OMISSIS).

Con sentenza depositata il 26 maggio 2012, la Corte d’appello di L’Aquila rigettava il gravame.

3. – Per la cassazione della decisione della Corte d’appello hanno proposto ricorso (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di tre motivi.

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) si sono costituiti con controricorso.

In prossimita’ dell’udienza le parti costituite hanno depositato una memoria difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2233 c.c., comma 3, anche in relazione all’articolo 2230 c.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e violazione per quanto di ragione dell’articolo 345 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3). I ricorrenti evidenziano che la Corte d’appello ha riconosciuto la sussistenza di un patto di quota lite sull’unico rilievo della commisurazione del compenso all’utile patrimoniale che avrebbe ottenuto il mandante.

A escludere la sussistenza di un patto di quota lite, invece, sarebbe stato sufficiente verificare come questo sia intercorso con persona diversa dal titolare dei diritti “oggetto” dell’attivita’ professionale dell’avv. (OMISSIS) e come questa non sia stata di patrocinio, ma attivita’ di studio, ricerca e consulenza, diretta a portare a termine una compravendita.

La Corte d’appello, inoltre, non avrebbe valutato che il mandato conferito al legale prevedeva il diritto al compenso solamente se fosse stato raggiunto l’obiettivo stabilito, di modo che, essendo l’obbligazione a carico del professionista non piu’ di scopo, ma di risultato, tale mandato esulava da quello tipico alle “liti”, dovendosi piuttosto qualificare come “mandato professionale”, rispetto al quale la determinazione del compenso, proprio perche’ dovuto solo se e in quanto realizzato lo scopo, non puo’ mai integrare un patto di quota lite (Cass. 11 gennaio 2010, n. 230).

I ricorrenti rappresentano che il proprietario, (OMISSIS), diede incarico all’agente immobiliare (OMISSIS), con il contratto denominato di mediazione dell’11 novembre 1977 di procedere a proprie spese: a) alla esatta ricognizione della sua proprieta’, b) alla individuazione delle parti ricomprese nella zona indicata dagli strumenti urbanistici come area interessata alla L. n. 167 del 1964, per la costruzione di case popolari c) alla individuazione dell’area rimasta libera e di quella occupata a qualunque altro titolo da altre persone, con la precisazione che le relative spese sarebbero state a carico dell’agente immobiliare (OMISSIS) e, quindi, che il compenso a questo spettante avrebbe ricompreso anche quello dovuto al tecnico e al legale che sarebbero stati nominati.

L’incarico, pertanto, espressamente prevedeva che l’agente immobiliare potesse nominare tecnici e legali sopportandone personalmente le relative spese, stabilendo che la provvigione spettante all’agente immobiliare comprendesse anche il compenso dovuto ai tecnici e ai legali che avrebbe nominato.

Il patto intervenuto tra l’avv. (OMISSIS) e il suo cliente, l’agente immobiliare (OMISSIS), ha avuto per oggetto la determinazione a forfait del compenso dovuto per un’attivita’ professionale, di studio, ricerca e consulenza, che nulla aveva a che fare con una controversia, neppure in via ipotetica.

La pattuizione del compenso del professionista in misura percentuale, secondo quanto prospettato, e’ conseguenza del fatto che l’attivita’ da questo svolta era collegata funzionalmente a una mediazione, che e’ remunerata a provvigione, e come questa il mandato conferito al legale prevedeva il diritto al compenso solo se e in quanto si fosse addivenuti alla compravendita.

L’opera commissionata e svolta dal professionista sarebbe stata quella di assistere una parte nella stipula di un contratto di compravendita, risolvendo, per la parte di sua competenza, le problematiche che non permettevano al proprietario e al suo mediatore di addivenirvi, e la sua remunerazione era condizionata al raggiungimento dell’obiettivo.

Si evidenzia, inoltre, come lo stesso tariffario forense prevedeva all’epoca per l’attivita’ stragiudiziale non contenziosa, proprio con riferimento alla redazione e assistenza nei contratti (anche quelli di compravendita), la determinazione del compenso in misura percentuale al valore del contratto (voce n. 1, lettera f), del tariffario stragiudiziale).

1.1. – I ricorrenti contestano altresi’ la pronuncia di inammissibilita’ resa dalla Corte d’appello in ordine all’inquadramento della pretesa nello schema contrattuale della mediazione, in violazione dell’articolo 345 c.p.c., sul divieto in appello di jus novorum.

Secondo i ricorrenti, affermare che l’attivita’ professionale (di studio, ricerca e consulenza si legge in citazione e nell’appello) fosse collegata, anzi prodromica a una mediazione, al fine di “sfuggire” alla eccepita nullita’ della clausola che determinava il compenso in misura percentuale, non equivale a fondare la domanda di pagamento del compenso su di un’attivita’ di mediazione. La causa petendi, anche sotto tale profilo, e’ sempre da ravvisarsi nell’opera professionale svolta dall’avvocato, richiedente particolari conoscenze tecnico giuridico, e non nell’attivita’ di mediazione, che e’ stata svolta dal mandante dell’avvocato.

1.2. – Il motivo e’ infondato.

Il Sostituto Procuratore Generale nella sua requisitoria ha evidenziato una doppia ratio concernente le ragioni del rigetto del gravame, sottolineando, da un lato, che la Corte d’appello ha ritenuto nel caso di specie esservi un patto di quota lite e che, dall’altro, i giudici del gravame hanno ritenuto che la parte non abbia provato lo svolgimento effettivo di un’attivita’ professionale che desse diritto al compenso.

Al di la’ della questione della legittimita’ del patto di quota lite concernente l’attivita’ stragiudiziale tra l’avvocato e il cliente, il cui divieto era sancito dall’articolo 2233 c.c. (nella formulazione ratione temporis applicabile, antecedente alla sostituzione operante dal Decreto Legge 4 luglio 2006, n. 223, articolo 2, comma 2 bis, convertito, con modifiche, nella L. 4 agosto 2006, n. 248) su cui la motivazione della Corte d’appello risulta conforme alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 21 luglio 1980, n. 4777; Cass. 20 gennaio 1976, n. 167, secondo cui la nullita’, come patto di quota lite, colpisce qualsiasi negozio avente a oggetto diritti affidati al patrocinio legale, anche di carattere non contenzioso, sempre che esso rappresenti il modo con cui il cliente si obbliga a retribuire il difensore, o, comunque, possa incidere sul suo trattamento economico), i giudici del gravame, con motivazione adeguata – e quindi non sindacabile in questa sede di legittimita’ alla luce della formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anteriore alla riforma del 2012 – hanno ritenuto che nella specie non sia stato provato il compimento di un’attivita’ professionale cosi’ come rappresentata dall’appellante e che avrebbe dato diritto al pagamento di un compenso.

1.3. – Difettano di specificita’ le deduzioni concernenti la pronuncia di inammissibilita’ sulla mutatio libelli.

2. – Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’articolo 2230 c.c., e dell’articolo 2233 c.c., commi 1 e 2, nonche’ dell’articolo 115 c.p.c., comma 1, e dell’articolo 116 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Violazione per quanto di ragione degli articoli 1418 e 1419 c.c., (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3). I ricorrenti sottolineano che l’eventuale nullita’ della clausola diretta a determinare il compenso spettante all’avvocato per la sua opera professionale, non travolgerebbe comunque il diritto al compenso, sacrificandolo del tutto.

La Corte d’appello, pur ravvisando un patto di quota lite, riconosciuta l’attivita’ professionale e intellettuale svolta dall’avvocato, avrebbe dovuto determinare il compenso a questo spettante secondo i criteri suppletivi dettati dall’articolo 2233 c.c., (tariffe, usi e comunque in misura adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione). Si contesta, al riguardo, che non sarebbe stata offerta prova dell’attivita’ svolta dal professionista, cosi’ come ritenuto alla Corte d’appello.

Quest’ultima, tuttavia, non si sarebbe avveduta del fatto che il mandato era stato portato a termine, visto che la compravendita cui questo era finalizzato era stata conclusa e il mediatore aveva incassato la provvigione che, per espressa pattuizione tra le parti, comprendeva anche le spettanze del legale.

Sarebbe inoltre pacifica la piena e regolare esecuzione del mandato, riconosciuta implicitamente da controparte che non l’ha contestata, lamentando unicamente la nullita’ del patto che aveva determinato la misura del compenso e che il compenso fosse stato gia’ corrisposto dal Comune di Giulianova. Riguardo a quanto ricevuto dal Comune, la documentazione dimostrerebbe che il compenso riguardava la diversa attivita’ di patrocinio in tre distinti giudizi civili instaurati successivamente – nel 1985, nel 1986 e nel 1995 – dinanzi al Tribunale di Teramo e aventi a oggetto l’inadempimento al contratto di cessione delle aree da parte della stessa amministrazione comunale.

2.1. – Il motivo e’ infondato.

La nullita’ del patto di quota lite non concerne l’intero accordo ma soltanto la clausola relativa, ai sensi dell’articolo 1419 c.c., comma 2, per cui, se l’attivita’ professionale fosse stata portata a compimento questa avrebbe dovuto essere liquidata secondo il rinvio alle tariffe professionali.

La Corte d’appello, con apprezzamento sottratto al giudizio di legittimita’ in quanto sorretto da una specifica motivazione, ha ritenuto non provato lo svolgimento dell’attivita’ professionale che sarebbe stata svolta dall’avv. (OMISSIS), mentre deve escludersi la mancata contestazione della pretesa azionata sulla base di quanto risultante dalle emergenze processuali (tra cui la comparsa di costituzione in primo grado dei convenuti).

3. – Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la violazione dell’articolo 2041 c.c., anche in relazione all’articolo 1418 c.c., e all’articolo 1419 c.c..

La nullita’ ex articolo 2233 c.c., comma 3, per illiceita’ della causa, ravvisata nel caso di specie, investirebbe solo ed esclusivamente la clausola che ha determinato il compenso, realizzando questa un patto di quota lite, ma non gia’ l’intero mandato conferito al legale.

Di conseguenza, il legale che ha svolto l’attivita’ professionale, in virtu’ di un regolare mandato, non potra’ pretendere il compenso come determinato mediante il patto di quota lite, ma avra’ azione per ottenere, se non il compenso, almeno l’indennizzo di cui all’articolo 2041 c.c., con riferimento alle spese sopportate per portare a termine tale mandato.

I ricorrenti evidenziano che l’avv. (OMISSIS) ha versato all’agente immobiliare (OMISSIS) la meta’ dell’importo da questo corrisposto all’ingegnere (OMISSIS) a titolo di compenso per l’attivita’ da questo svolta in suo favore (scrittura privata 31 ottobre 1980 tra l’avv. (OMISSIS) e (OMISSIS) ove si da’ atto del versamento operato dall’avv. (OMISSIS) in favore dell’agente immobiliare (OMISSIS) di suddetta somma).

3.1. – Il motivo e’ fondato limitatamente alla mancata ripetizione dell’indebito riguardo alle somme che i ricorrenti assumono essere state versate dal de cuius.

Dall’esecuzione di un contratto nullo puo’ derivare il diritto all’indennizzo per arricchimento indebito ai sensi dell’articolo 2041 c.c., in quanto il concreto modo in cui il rapporto e’ risultato attuato puo’ determinare l’arricchimento di una parte, con corrispondente depauperamento dell’altra (Cass. 17 maggio 2007, n. 11461; Cass. 30 gennaio 1990, n. 638).

Come precedentemente evidenziato, la nullita’ del patto di quota lite non determina l’invalidita’ dell’intero accordo e se vi e’ stato uno spostamento patrimoniale non giustificato, con riferimento all’avvenuto pagamento della somma all’ing. (OMISSIS) come peraltro ipotizza la stessa la stessa Corte d’appello per inciso – puo’ esserne richiesta la ripetizione.

La Corte d’appello dovra’ quindi verificare, alla luce delle risultanze istruttorie, se l’avv. (OMISSIS) abbia effettivamente versato all’agente immobiliare (OMISSIS) la meta’ dell’importo da questi corrisposto all’ingegnere (OMISSIS) a titolo di compenso per l’attivita’ svolta in suo favore.

4. – La sentenza impugnata e’ cassata in relazione al terzo motivo. La causa deve essere rinviata, per un nuovo esame, alla Corte d’appello di L’Aquila, che la decidera’ in diversa composizione.

Il giudice del rinvio provvedera’ anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso e accoglie il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla in diversa composizione.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.