la violazione di norme deontologiche, se ha sempre un rilievo di tipo disciplinare, non da’ luogo di per se’ all’illiceita’ della prestazione o ad altre cause di nullita’ del contratto di mandato tra professionista e cliente. Diversa puo’ essere la gravita’ della violazione deontologica e diversa la rilevanza, sia sotto il profilo disciplinare che della validita’ o meno dell’attivita’ svolta, dell’esistenza di tale violazione. La commissione da parte del professionista di una violazione delle regole di deontologia professionale non comporta in ogni caso la nullita’ di tutta l’attivita’ svolta e la conseguente non remunerabilita’ delle relative prestazioni.

 

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 27 settembre 2018, n. 23186

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere

Dott. IANNELLO Emilia – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27929/2016 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2078/2016 del TRIBUNALE di GENOVA, depositata il 13/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/06/2018 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS).

I FATTI DI CAUSA

1. Nel 2013 Erminio e (OMISSIS) convennero in giudizio l’Avv. (OMISSIS), rappresentando che nel 2012 il (OMISSIS) aveva assistito i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS) nella predisposizione, deposito e trattazione del loro ricorso per separazione consensuale davanti al Tribunale di Acqui Terme; per tale attivita’ il professionista venne saldato; decorsi pochi mesi dalla comparizione presidenziale, la sola (OMISSIS) si rivolse nuovamente al (OMISSIS) per conferirgli altri incarichi (domanda di risarcimento di danni nei confronti del marito separato in conseguenza dei comportamenti contrari alla morale familiare addebitati al (OMISSIS), e restituzione a (OMISSIS), padre di (OMISSIS), di tutte le somme dallo stesso approntate per la ristrutturazione della casa in favore dei nubendi, successivamente rimasta in godimento al solo (OMISSIS)); prima di conferire detti incarichi, i (OMISSIS) chiesero in maniera esplicita al professionista se ritenesse di poter assumere i nuovi mandati, ovvero se, avendo patrocinato in precedenza entrambi i coniugi durante la separazione consensuale, sussistessero motivi di incompatibilita’; il (OMISSIS) assunse i nuovi incarichi, negando l’esistenza di ragioni ostative; tuttavia, con la sua prima difesa il difensore del (OMISSIS) contesto’ al (OMISSIS) l’incompatibilita’ dello stesso a patrocinare i (OMISSIS), per espressa violazione dell’articolo 37 del Codice di Deontologia Forense, sicche’ l’Avv. (OMISSIS) dismise i due mandati e le controversie vennero proseguite dal nuovo difensore; quando i (OMISSIS) vennero informati dal (OMISSIS) di non poter proseguire, per i motivi indicati, nella gestione degli incarichi, chiesero al Professionista la restituzione della somma di Euro 5.000,00, pagata allo stesso a titolo di acconto su onorari e spese; rimaste tali richieste inesaudite, i (OMISSIS) adirono le vie giudiziali, per sentir dichiarare la risoluzione dei mandati professionali e condannare il (OMISSIS) alla restituzione della somma versata. Si costitui’ in giudizio l’Avv. (OMISSIS), sostenendo l’assoluta scusabilita’ dell’errore commesso e svolgendo altresi’ riconvenzionale per il pagamento della differenza in suo favore tra quanto percepito e quanto dovuto sulla scorta delle tariffe forensi in vigore.

2. Il Giudice di Pace di Genova, con sentenza n. 1316/2015, respinse le domande dei (OMISSIS) e accolse in parte la riconvenzionale del convenuto, condannando gli attori alla rifusione delle spese.

3. Avverso tale sentenza proposero appello i (OMISSIS), e appello incidentale il (OMISSIS). Il Tribunale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condanno’ il (OMISSIS) alla restituzione in favore degli appellanti della somma di Euro 172,03 e rigetto’ la riconvenzionale proposta dallo stesso nei confronti di (OMISSIS); condanno’ (OMISSIS) al pagamento di Euro 652,69 in favore dell’appellato; rigetto’ le domande ex articolo 96 c.p.c. in ragione del – seppur parziale – accoglimento delle contrapposte domande; compenso’ integralmente le spese di lite del primo grado tra (OMISSIS) e l’appellato (in quanto, rispetto alla domanda proposta – pari a Euro 5.000,00 – il (OMISSIS) era risultato vincitore solo per una somma minima), confermando invece la condanna di (OMISSIS) al pagamento delle spese di lite di primo grado (in quanto rimasta soccombente sulla somma di Euro 652,69) e compensando integralmente per tutte le parti le spese di secondo grado (in ragione della soccombenza reciproca tra l’appellante (OMISSIS) e l’Avv. (OMISSIS), e in ragione dell’errore del giudice nella condanna in ordine alla domanda riconvenzionale proposta dal (OMISSIS) anche a carico dell’appellante (OMISSIS), nei cui confronti il convenuto non aveva proposto alcuna domanda).

In particolare, il Tribunale affermava:

– che, essendo le norme deontologiche clausole generali con rango di norme di diritto e contenuto di specificazione della disposizione di legge generica, la violazione di natura deontologica incideva anche sulla obbligazione civile assunta dal professionista, sicche’ l’Avv. (OMISSIS) avrebbe avuto, anche nell’ambito del rapporto di mandato assunto con i clienti, l’obbligo di rifiutare l’incarico, in ragione degli obblighi (di buona fede, diligenza e correttezza) che connotano il contratto d’opera professionale; che l’obbligo di tenere un comportamento deontologicamente corretto imponeva all’Avvocato di non assumere l’incarico, ed integrava automaticamente il contratto d’opera professionale ex articolo 1374 c.c., in base al principio per cui il contratto obbliga le parti non solo a quanto e’ nel medesimo previsto ma anche in base alle conseguenze che ne derivano secondo la legge; che il suo comportamento fosse stato inadempiente e che dall’inadempimento di tale obbligazione discendesse ex articolo 1218 c.c. la responsabilita’ nei confronti del cliente. Riteneva, tuttavia, che la dedotta duplicazione di attivita’, e quindi di costi, sussistesse solo per la fase di studio, avendo il (OMISSIS) svolto invece validamente la fase relativa alla redazione dell’atto introduttivo in ciascuna delle due cause; e che andasse inoltre confermata la statuizione del primo Giudice in ordine alla spettanza in favore del (OMISSIS) della somma di Euro 650,00, chiesta in via riconvenzionale, in relazione all’attivita’ di assistenza stragiudiziale in favore degli appellanti per una vicenda locatizia, estranea al rapporto coniugale.

4. Contro la sentenza n. 2078/16, depositata il 13/06/16, del Tribunale di Genova propongono ricorso per Cassazione, con quattro motivi, (OMISSIS) e (OMISSIS).

Resiste con controricorso il (OMISSIS).

La causa, avviata dapprima alla trattazione in adunanza camerale non partecipata all’interno della Sesta Sezione, e’ stata da questa rimessa alla trattazione in pubblica udienza.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Va premesso che l’intero ricorso presenta spiccati e ricorrenti, benche’ complessivamente superabili profili di inammissibilita’, in quanto si limita ad una generica critica della decisione adottata, senza chiaramente spiegare in quali violazioni di legge sarebbe incorso il giudice di merito e senza fornire una propria, chiara qualificazione in termini giuridici degli accadimenti. In particolare non e’ chiarito, nella ricostruzione prospettata dai ricorrenti, se gli stessi ritenessero l’incarico professionale svolto nonostante l’incompatibilita’ illecito, e quindi nullo, o se piuttosto ritenessero che la violazione degli obblighi di correttezza ridondasse come inadempimento di non scarsa importanza, causa di risoluzione del contratto. L’unico dato affermato con chiarezza, nelle loro doglianze, e’ che il tribunale avrebbe dovuto accogliere integralmente la loro domanda di restituzione degli acconti versati.

Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 37 del codice deontologico forense (precedente) e degli articoli 1375, 1175 e 1176 c.c.. Lamentano che il Tribunale, muovendo dal corretto presupposto del richiamo delle norme relative a correttezza e buona fede contrattuale, giunga pero’ ad un’applicazione errata delle stesse.

Osservano infatti che, da un lato, il giudice di merito riconosca la fondatezza dell’appello in ordine alle domande di risoluzione dei mandati difensivi per colpa grave derivante dalla lesione dei principi generali previsti ex lege su cui si fonda l’articolo 37 del codice deontologico forense; dall’altro, non accolga totalmente la domanda di condanna del (OMISSIS) alla restituzione di quanto versato dagli appellanti a causa di un’errata applicazione delle norme richiamate.

Lamentano che, essendo il professionista responsabile nei confronti dei propri clienti per non essersi astenuto dall’acquisire nuovi mandati, dovesse essere restituita l’intera somma, a prescindere dal fatto che le attivita’ iniziali del (OMISSIS) potessero o no avere qualche utilita’.

Il motivo pone la questione se l’attivita’ professionale svolta dall’avvocato in situazione di incompatibilita’ sia comunque remunerabile; ovvero se la sussistenza di un illecito disciplinare (nella specie la violazione, da parte dell’avvocato che abbia gia’ patrocinato le due parti congiuntamente, dell’obbligo di astenersi dall’assumere nuovi incarichi professionali in favore di una delle parti e contro l’altra) in capo al professionista faccia venir meno il suo diritto al corrispettivo per l’attivita’ svolta.

L’inquadramento della questione da parte dei ricorrenti e’ piuttosto evanescente: essi non affermano mai chiaramente di aver proposto una domanda volta alla declaratoria di nullita’ del contratto, o all’annullamento dello stesso e risultano piuttosto aver proposto una domanda di risoluzione per inadempimento del contratto stesso, con restituzione del corrispettivo parzialmente pagato.

La soluzione data dal giudice d’appello, che accerta la violazione della norma deontologica, afferma che da tale violazione non consegue la nullita’ del contratto di prestazione d’opera professionale, ma l’inadempimento del professionista per violazione dei propri obblighi deontologici di comportamento secondo correttezza e buona fede nei confronti del cliente, e considera l’attivita’ svolta remunerabile nei limiti in cui sia tornata utile al cliente, appare corretta, con le puntualizzazioni che seguono.

In proposito, occorre rilevare che, in linea generale, la violazione di norme deontologiche, se ha sempre un rilievo di tipo disciplinare, non da’ luogo di per se’ all’illiceita’ della prestazione o ad altre cause di nullita’ del contratto di mandato tra professionista e cliente. Diversa puo’ essere la gravita’ della violazione deontologica e diversa la rilevanza, sia sotto il profilo disciplinare che della validita’ o meno dell’attivita’ svolta, dell’esistenza di tale violazione. La commissione da parte del professionista di una violazione delle regole di deontologia professionale non comporta in ogni caso la nullita’ di tutta l’attivita’ svolta e la conseguente non remunerabilita’ delle relative prestazioni.

Occorre verificare se, nel caso concreto, la violazione deontologica, oltre che rilevare sotto il profilo disciplinare, sia di gravita’ tale da integrare anche una causa di nullita’ del contratto (rilevanza implicitamente esclusa nel caso di specie dal giudice di merito).

Nel caso di specie, peraltro, il tipo di violazione deontologica commessa dall’avvocato, consistente nella violazione da parte del professionista dell’obbligo di astenersi dal prestare attivita’ professionale quando lo svolgimento di un precedente incarico limiti la sua indipendenza nello svolgimento del nuovo incarico o comunque determini una situazione di conflitto di interessi col rappresentato (rubricata, all’articolo 37 del codice deontologico forense vigente all’epoca dei fatti sotto la rubrica “conflitto di interessi”), integra la violazione delle regole generali di comportarsi secondo correttezza e buona fede e confluisce nell’ipotesi tipica di contratto stipulato in conflitto di interessi, la cui conseguenza puo’ essere, qualora la parte pregiudicata proponga la relativa azione, l’annullamento del contratto ex articolo 1394 c.c., e non la nullita’.

Peraltro, la violazione deontologica, a prescindere ed oltre alla rilevanza disciplinare, ed a prescindere dalla proposizione di azioni atte ad incidere sul momento genetico del contratto e sulla validita’ del vincolo contrattuale, puo’ avere in ogni caso una rilevanza civilistica sotto il profilo dell’inadempimento contrattuale e dei conseguenti obblighi risarcitori, ove si accerti l’esistenza di un danno risarcibile. In questi termini essa e’ stato correttamente presa in esame e tenuta in conto dal giudice di merito, che ha accertato la presenza dell’inadempimento, anche se non e’ giunto a pronunciare la risoluzione dell’intero contratto, implicitamente ritenendo l’inadempimento non di portata tale da travolgere tutto il rapporto e tutte le prestazioni eseguite. Esso ha ritenuto retribuibile solo l’attivita’ utilmente prestata (la redazione dell’atto giudiziario, della cui qualita’ non si e’ mai discusso nel corso del giudizio di merito), in quanto la residua attivita’ professionale (di studio della controversia) avrebbe dovuto essere rinnovata da parte del nuovo professionista che i (OMISSIS) avrebbero dovuto incaricare della prosecuzione del giudizio e quindi implicitamente quantificando il danno subito dai (OMISSIS) nelle spese che avrebbero dovuto sostenere per rivolgersi ad altro professionista il quale avrebbe dovuto a sua volta essere remunerato – in misura similare al corrispettivo riconosciuto al (OMISSIS), per studiare la causa e poter proseguire il giudizio.

Per tali ragioni, il motivo e’ infondato e va rigettato.

Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 37 del codice deontologico forense e conseguentemente degli articoli 1375, 1175 e 1176 c.c., nonche’ degli articoli 115 e 116 c.p.c. in relazione alla domanda riconvenzionale accolta gia’ in primo grado.

Lamentano che, anche in relazione all’attivita’ di assistenza stragiudiziale svolta dal (OMISSIS) in favore degli appellanti relativamente alla vicenda locatizia, sussistesse l’obbligo di astensione, posto che – gia’ dalla comparsa di primo grado – era stato lo stesso professionista ad ammettere che tale vicenda locatizia riguardava la casa coniugale, con conseguente violazione di legge ed impossibilita’ di svolgere anche tale incarico.

Osservano, peraltro, come (OMISSIS) abbia sempre negato che tale attivita’ fosse mai stata svolta; da cui l’asserita illogicita’ ed erroneita’ dell’accoglimento – anche solo parziale – della domanda riconvenzionale, in mancanza dell’espressa indicazione delle ragioni ed in violazione di quanto stabilito dagli articoli 115 e 116 c.p.c. in tema di disponibilita’ e valutazione delle prove.

Il motivo deve considerarsi complessivamente inammissibile, sia perche’ le critiche attinenti ai profili di legittimita’ sono formulate in modo talmente generico da non rendere comprensibile quali violazioni di legge si assumano essere state commesse, sia perche’ esso appare in effetti teso a contestare l’accertamento in fatto compiuto dal Tribunale, che non puo’ essere in questa sede rinnovato.

Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 96 c.p.c. laddove il giudice di merito ha rigettato la loro domanda di condanna dell’avv. (OMISSIS) anche ai sensi dell’articolo 96 c.p.c..

Lamentano che il Giudice abbia in realta’ accolto – seppur in parte – tutte le domande proposte dai (OMISSIS) ed osservano che, se il Tribunale avesse voluto respingere la domanda per responsabilita’ aggravata, avrebbe dovuto motivarne le ragioni.

Il motivo e’ infondato e va rigettato: la sentenza impugnata infatti motiva sul punto, in relazione al limitato accoglimento delle domande dei (OMISSIS) ed al parziale accoglimento delle contrapposte pretese del (OMISSIS).

Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 91 e 92 c.p.c..

In ordine alle statuizioni sulle spese, lamentano che le domande formulate dagli appellanti siano state accolte, con reformatio della sentenza, e che pertanto ne’ le spese di primo grado, ne’ quelle di secondo grado, avrebbero potuto essere addebitate a nessuno dei Signori (OMISSIS).

Osservano inoltre che, anche qualora tale inquadramento non fosse stato ritenuto applicabile dal Tribunale, in ogni caso il Giudice avrebbe dovuto applicare l’articolo 92 c.p.c., comma 2. Lamentano infatti che, essendo la soccombenza reciproca stata riconosciuta anche dal Tribunale, lo stesso avrebbe per lo meno dovuto compensare in toto tra le parti anche le spese di primo grado.

Il motivo e’ infondato.

Il tribunale ha motivatamente deciso sulle spese considerando, quanto al (OMISSIS), che la riconvenzionale del (OMISSIS) non era rivolta nei suoi confronti, nonche’ l’esito complessivo della lite nei rapporti tra la (OMISSIS) e l’avvocato.

Quanto al secondo profilo, con il quale i ricorrenti contestano che il tribunale non si sia avvalso del potere di compensare integralmente le spese di lite di primo e secondo grado, la censura e’ inammissibile per la parte in cui lamenta la mancata compensazione delle spese dei gradi di merito, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., dal momento che, in tema di spese processuali, la facolta’ di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non e’ tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facolta’, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualita’ di una compensazione, non puo’ essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. S.U. n. 14989/05 e numerose altre). Trattasi di principio applicabile anche dopo le modifiche dell’articolo 92 c.p.c., comma 1, perche’ l’obbligo di motivazione imposto da questa norma riguarda l’ipotesi in cui la compensazione sia disposta, ma non anche l’ipotesi in cui si segua il principio della soccombenza (che l’articolo 91 c.p.c. pone come regola in tema di riparto delle spese di lite, essendo la compensazione dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, prevista come eccezione). Poiche’ nella specie il giudice ha osservato l’articolo 91 c.p.c., e’ inammissibile la censura che si basa su norma non applicata, e soltanto discrezionalmente applicabile.

Il ricorso va complessivamente rigettato.

Le spese di lite del grado, stante il limitato accoglimento delle domande di merito proposte dall’una e dell’altra parte, possono essere integralmente compensate.

Il ricorso per cassazione e’ stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e i ricorrenti risultano soccombente, pertanto sono gravati dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 bis, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese tra le parti.

Da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.