l’azione di ingiustificato arricchimento di cui all’art. 2041 c.c. può essere proposta solo quando ricorrano due presupposti: (a) la mancanza di qualsiasi altro rimedio giudiziale in favore dell’impoverito; (b) la unicità del fatto causativo dell’impoverimento sussistente quando la prestazione resa dall’impoverito sia andata a vantaggio dell’arricchito, con conseguente esclusione dei casi di cosiddetto arricchimento indiretto, nei quali l’arricchimento è realizzato da persona diversa rispetto a quella cui era destinata la prestazione dell’impoverito.

Tribunale Bergamo, Sezione 4 civile Sentenza 12 aprile 2019, n. 863

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Bergamo, Sezione Quarta civile, nella persona del Giudice unico dott.ssa Laura Brambilla

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile n. 816/2018 Ruolo Generale promossa

DA

(…) (C.F. (…)), rappresentata e difesa dall’Avv.to FE.SA. per procura in atti

ATTIRCE

contro

(…) (C.F. (…)) e (…) (C.F. (…)), entrambi rappresentati e difesi dall’Avv.to BA.LU. per procura in atti

CONVENUTI

In punto: Abitazione Uso

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato in data 25 gennaio 2018 (…), premettendo di aver intrattenuto un rapporto di convivenza more uxorio con (…) presso l’immobile sito in C. Via (…) Q. n. 3 di cui lo stesso è usufruttuario ed il padre (…) è nudo proprietario, ha convenuto questi ultimi avanti l’intesto Tribunale al fine di sentirli condannare al versamento in suo favore della somma di Euro 76.950,00, quale indennizzo per le opere di manutenzione straordinaria apportate all’indicato immobile.

Costituendosi in giudizio (…) ha contestato l’avversa domanda, ed ha in ogni caso evidenziato di aver contratto congiuntamente con l’attrice presso la (…) un mutuo per la somma di Euro 26.233,12;

ha chiesto l’autorizzazione alla chiamata in causa del geom. (…), direttore dei lavori di ristrutturazione, al fine di svolgere nei suoi confronti una domanda risarcitoria in conseguenza della variazione catastale eseguita ma non autorizzata;

ha formulato domanda risarcitoria in via riconvenzionale nei confronti dell’attrice.

Si è costituito in giudizio (con il medesimo difensore del figlio) anche (…), eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, ed in ogni caso l’infondatezza in merito delle domande attoree

La causa, rigettata l’istanza di chiamata del terzo e tentato inutilmente il tentativo di conciliazione della lite, è stata infine trattenuta in decisione sulle precisate conclusioni senza svolgimento di attività istruttoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritiene il Tribunale infondata la domanda attorea, la quale non merita pertanto accoglimento nei termini e per le ragioni che seguono.

(…) ha chiesto la condanna di (…), in qualità di usufruttuario, e di (…), in qualità di nudo proprietario, al versamento in suo favore della somma di Euro 76.950,00 “pari alle migliorie apportate all’immobile sito in C., Via Q. n.3”; nel prosieguo dell’atto di citazione è stato richiamato il precedente di legittimità n. 8594/2014 secondo cui chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato ex art. 2033 c.c.

Questa, dunque, è la domanda attorea su cui il Tribunale è chiamato a pronunciarsi.

Al fine di sgomberare subito il campo da eventuali dubbi, è necessario far rilevare come (…) con il proprio atto di citazione non ha allegato di aver contratto un mutuo su un conto corrente cointestato con l’allora convivente (…), né ha specificato la somma sino ad oggi versata.

D’altro canto, se è pur vero che siffatte allegazioni sono state svolte dal convenuto (…), l’attrice non ha formulato nel presente giudizio una domanda di restituzione delle indicate somme, di talché – nel rispetto del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. – nulla può statuirsi sull’argomento.

La domanda svolta da (…) è infatti volta ad ottenere la condanna dei convenuti al versamento della somma di Euro 76.950,00, ovvero della maggiore o minor somma ritenuta di giustizia, in considerazione delle migliorie apportate all’immobile ex art. 2033 c.c. (così a pag. 9 dell’atto di citazione), ovvero quale indennizzo per le opere di manutenzione straordinaria (così a pag. 10 dell’atto di citazione nelle conclusioni).

La domanda attorea appare, dunque, prima facie poco chiara, essendo stato richiamato in parte motiva l’istituto della ripetizione dell’indebito sulla scorta della circostanza che l’attrice si sarebbe “fatta carico della ristrutturazione edilizia”, mentre dall’altro lato è stata formulata una domanda di condanna dei convenuti al versamento di una somma a titolo di indennizzo per le migliorie apportate all’immobile.

Osserva il Tribunale che l’azione ex art. 2033 c.c. presuppone la prova di un pagamento indebito al fine di ottenere una pronuncia restitutoria; nel caso che ci occupa (…) non ha domandato la restituzione delle somme che la stessa ha pagato in ragione del mutuo contratto sul conto corrente cointestato aperto con (…), e non ha neppure specificato quanto ad oggi la stessa avrebbe versato.

Ferme le superiori considerazioni, si rileva altresì che i capitoli di prova articolati da (…) e volti a provare l’utilizzo delle somme oggetto di prestito ai fini dell’acquisto dei materiali “di pregio” utilizzati nella ristrutturazione dell’immobile sono stati dedotti soltanto nella memoria istruttoria ex art. 183, comma sesto, n. 2 c.p.c., e dunque a preclusioni assertive ormai maturate; per l’effetto all’attrice è preclusa fornire la prova di circostanze fattuali non dedotte entro il termine della memoria ex art. 183, comma sesto, n. 1 c.p.c.

La domanda attorea è infondata anche laddove la si volesse inquadrare nell’ambito normativo dell’art. 1150, comma secondo, c.c. che attribuisce al possessore l’indennità per i miglioramenti apportati alla cosa, dovendo il convivente more uxorio essere qualificato in termini di detentore qualificato (cfr. Cass., 21 marzo 2013, n. 7214).

Ed, infatti, la normativa che prevede il rimborso delle spese sostenute per la manutenzione o la ristrutturazione ovvero la corresponsione di un indennizzo per l’apporto di migliorie, con il conseguente diritto alla ritenzione del bene sino al soddisfacimento del relativo credito, si applica soltanto in caso di possesso e non anche di detenzione ed, essendo una norma eccezionale, non è suscettibile di applicazione in via analogica (cfr. Cass., 16 settembre 2004, n. 18651).

Neppure è invocabile il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte di Cassazione in tema di tutela del coniuge non proprietario del suolo che ha contribuito in regime di comunione legale alla costruzione della casa familiare (cfr. Cass., Sez. Un., 27 gennaio 1996);: ed, infatti, (…) non ha formulato una domanda ex art. 936 c.p.c. al fine del riconoscimento del diritto di credito relativo alla metà del valore dei materiali e della manodopera impiegati nella costruzione.

Da ultimo la domanda di indennizzo formulata da (…) non è accogliibile neppure ai sensi della norma residuale di cui all’art. 2041 c.c. in tema di arricchimento senza giusta causa.

Osserva in primo luogo il Tribunale che l’azione generale di arricchimento ingiustificato costituisce un’azione autonoma, per diversità della “causa petendi”, rispetto alle azioni fondate su titolo negoziale ed ha natura sussidiaria, potendo essere esercitata solo quando manchi un titolo specifico sul quale possa essere fondato un diritto di credito.

D’altro canto la specificità del titolo dell’azione esclude che essa possa ritenersi proposta per implicito in una domanda fondata su altro titolo, né può ritenersi consentito al giudice del merito sostituire la pretesa avanzata con la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa (cfr. Cass., 11 ottobre 2012, n. 17317; Cass., 17 novembre 2003, n. 17375).

Ferma la superiore considerazione che impedisce al presente giudice di valutare la domanda ex art. 2041 c.c. che l’attrice non ha pacificamente svolto, ritiene il Tribunale che – quand’anche si volesse ritenere proposta la domanda di riconoscimento di un indennizzo a titolo di arricchimento senza causa – la stessa, seppur astrattamente ammissibile nel caso che ci occupa, è comunque infondata.

La giurisprudenza di legittimità è invero ormai consolidata nel consentire al convivente more uxorio di invocare nei confronti dell’altro l’ingiustizia dell’arricchimento in presenza di prestazioni a vantaggio di questo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza. (cfr. Cass., 7 giugno 2018, n. 14732; Cass., 15 maggio 2009, n. 11330).

Tuttavia, nel caso in esame l’attrice non ha né allegato né provato i conferimenti in denaro e in lavoro prestati per la ristrutturazione della casa comune, destinata ad essere il luogo di realizzazione del proprio progetto di vita con l’allora convivente (…).

Per quanto concerne i conferimenti in denaro, è sufficiente richiamare quanto già evidenziato con riferimento alla domanda ex art. 2033 c.c., non avendo l’attrice nel termine delle preclusioni assertive indicato le somme di denaro dalla stessa effettivamente

impiegate per la ristrutturazione dell’immobile di proprietà dei convenuti (…), e non avendo in ogni caso formulato domanda restitutoria al riguardo.

Per quanto concerne, invece, i conferimenti in lavoro due sarebbero i contributi apportati dall’attrice:

– la gestione delle pratiche amministrative in ragione del proprio lavoro di impiegata presso lo studio del geom. (…), tecnico incaricato della ristrutturazione;

– l’esecuzione dei lavori per il tramite del lavoro materiale del proprio padre (…) e dei propri zii (…) e (…).

Per quanto riguarda le attività direttamente svolte dall’attrice non si può parlare di un impoverimento in senso proprio, in quanto le pratiche sono state effettuate dalla (…) nel corso della propria attività lavorativa, retribuita dal proprio datore di lavoro geom. (…).

Costituisce infatti principio pacifico e consolidato in giurisprudenza che ai fini dell’indennizzo dovuto per l’arricchimento senza causa l’art. 2041 c.c. considera solo la diminuzione patrimoniale subita dal soggetto e non anche il lucro cessante, che è altra componente, separata e distinta, del danno patrimoniale complessivamente subito alla stregua dell’art. 2043 c.c., ma espressamente escluso dall’art. 2041 c.c..

Ne consegue che l’azione di arricchimento è ammissibile solo limitatamente a quanto un soggetto abbia fatto proprio, apportando contemporaneamente una diminuzione patrimoniale all’altro soggetto (cfr. Cass., 26 settembre 2005, n. 18785).

Sulla scorta dell’indicato principio di diritto (…) non ha allora patito nessuna diminuzione patrimoniale neppure per quanto concerne le prestazioni di manodopera che lei stessa allega sarebbero state eseguite da suo padre e dai suoi zii, e non già da lei personalmente; trattasi dunque di prestazioni che la stessa non ha pacificamente eseguito, cosicché nessuna correlazione tra l’arricchimento dei (…) e l’impoverimento della (…) è ravvisabile.

Siffatta conclusione trova pacifica conferma nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, la quale è consolidata nell’affermare che l’azione di ingiustificato arricchimento di cui all’art. 2041 c.c. può essere proposta solo quando ricorrano due presupposti: (a) la mancanza di qualsiasi altro rimedio giudiziale in favore dell’impoverito; (b) la unicità del fatto causativo dell’impoverimento sussistente quando la prestazione resa dall’impoverito sia andata a vantaggio dell’arricchito, con conseguente esclusione dei casi di cosiddetto arricchimento indiretto, nei quali l’arricchimento è realizzato da persona diversa rispetto a quella cui era destinata la prestazione dell’impoverito (cfr. Cass., Sez. Un. 8 ottobre 2008, n. 24772).

Conseguentemente all’attrice è preclusa qualsivoglia domanda con riferimento alle prestazioni di manodopera svolte dal padre e dagli zii, non sussistendo una stretta e diretta correlazione tra l’asserito impoverimento dalla stessa patito e l’arricchimento dei (…).

Né siffatta conclusione può mutare sulla scorta della considerazione svolta soltanto in sede di comparsa conclusionale, secondo cui le indicate prestazioni sarebbero state donate all’attrice dai suoi familiari ai sensi dell’art. 809 c.c.; trattasi di allegazione del tutto nuova (in quanto tale inammissibile) ed in ogni caso non idonea a superare la natura personale dell’azione di arricchimento senza causa.

Per tutte le ragioni sin qui svolte la domanda attorea deve, dunque, essere rigettata.

(…) al momento di precisare le conclusioni non ha riproposto la domanda risarcitoria nei confronti dell’attrice, inizialmente svolta in via via riconvenzionale; presume allora il Tribunale che il convenuto vi abbia rinunciato non avendo più coltivato l’indicata domanda (cfr. Cass., 14 luglio 2017, n. 17582).

Le spese di lite seguono infine l’ordinario criterio della soccombenza, e si liquidano in dispositivo nel rispetto del D.M. n. 55 del 2014, assumendo a riferimento lo scaglione di valore indicato nella stessa domanda attorea, e quindi l’importo di Euro 76.950,00.

Precisa, infine, il Tribunale come nel caso che ci occupa sia opportuno procedere ad un’unica liquidazione delle spese di lite in favore dei convenuti, essendosi gli stessi costituiti con un unico difensore, al quale deve riconoscersi la maggiorazione del 20% ex art. 4, comma secondo, D.M. n. 55 del 2014.

P.Q.M.

Il Tribunale, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando,

rigetta la domanda attorea;

condanna (…) a rimborsare le spese di lite a favore di (…) e (…), liquidandone l’ammontare in complessivi Euro 16.116,00 per compensi professionali ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, oltre al rimborso forfettario del 15% ai sensi dell’art. 2 D.M. n. 55 del 2014, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Così deciso in Bergamo il 12 aprile 2019.

Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.