nell’azione di regolamento di confini, la quale si configura come una vindicatio incertae partis, incombe sia sull’attore che sul convenuto l’onere di allegare e fornire qualsiasi mezzo di prova idoneo all’individuazione dell’esatta linea di confine, mentre il giudice, del tutto svincolato dal principio actore non probante reus absolvitur, deve determinare il confine in relazione agli elementi che gli sembrano piu’ attendibili, ricorrendo in ultima analisi alle risultanze catastali, aventi valore sussidiario.

Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Ordinanza|30 settembre 2019| n. 24377

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. VARRONE Luca – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21361/2016 R.G. proposto da:

(OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avv. (OMISSIS) ed (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso la Cancellaria della Corte di Cassazione, (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 1652 depositata il 21 aprile 2016, non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 febbraio 2019 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza n. 2682 del 15.10.2008, in parziale accoglimento della domanda proposta da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), determinava i confini fra le rispettive proprieta’ in conformita’ all’allegato C e al grafico 1 dell’allegato E della seconda perizia del c.t.u. del 27.10.2003, rigettata ogni altra domanda dell’attore e quella riconvenzionale, con compensazione integrale delle spese di lite, prediligendo la soluzione del c.t.u. a quella del frazionamento “che aveva il pregio di rispettare anche i confini con i proprietari limitrofi”;

– sul gravame interposto da (OMISSIS), la Corte di appello di Napoli, nella resistenza dell’appellato, che proponeva anche appello incidentale, in parziale accoglimento dell’impugnazione principale, rigettato l’incidentale, condannava (OMISSIS) al rilascio e alla liberazione della zona di proprieta’ dell’appellante determinata sulla base dei confini accertati gia’ in primo grado, nonche’ al pagamento dell’indennizzo determinato in Euro 599,40, oltre interessi dalla decisione al saldo, con compensazione delle spese del doppio grado per un terzo, poste a carico dell’appellato per il resto, statuendo che effettivamente il giudice di prime cure non aveva pronunciato di conseguenza alla determinazione del confine, dovendo essere restituita una porzione di terreno pari a circa mq 39, di cui mq 9 di spazio cementato antistante i fabbricati e mq 30 lo spazio piu’ interno, in terreno naturale, quantificando anche l’indennizzo per occupazione sine titulo;

– per la cassazione della decisione della Corte partenopea ricorre (OMISSIS) sulla base di tre motivi, illustrati anche da memoria;

– ha resistito con controricorso (OMISSIS).

Atteso che:

in via pregiudiziale va esaminata la deduzione di inammissibilita’ del ricorso formulata nel controricorso ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto non conterrebbe l’esposizione sommaria dei fatti della causa.

L’eccezione e’ infondata.

Questa Corte ha affermato che “per soddisfare il requisito imposto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimita’, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito (Cass. 3 febbraio 2015 n. 1926).

Il ricorso deve, quindi, contenere tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimita’ in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessita’ di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa.

Cio’ significa che la valutazione sulla completezza della esposizione dei fatti contenuta nell’atto introduttivo deve essere effettuata considerando il fine che il requisito mira ad assicurare e contemperando la esigenza di fornire alla Corte tutti gli elementi necessari ai fini della decisione con quella della necessaria sinteticita’ degli atti processuali.

Ne discende che, come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte, la “esposizione sommaria dei fatti di causa” non richiede ne’ la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali, ne’ che “si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale s’e’ articolata” (cosi’ in motivazione Cass. Sez. Un. 11 aprile 2012 n. 5698), essendo sufficiente una sintesi della vicenda “funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure mosse alla sentenza impugnata”.

Le stesse Sezioni Unite hanno anche significativamente aggiunto che “il ricorso non puo’ dirsi inammissibile quand’anche difetti una parte formalmente dedicata all’esposizione sommaria del fatto, se l’esposizione dei motivi sia di per se’ autosufficiente e consenta di cogliere gli aspetti funzionalmente utili della vicenda sottostante al ricorso stesso”.

Nel caso di specie la violazione dell’articolo 366 c.p.c., n. 3, non puo’ essere affermata solo perche’ il ricorso e’ stato confezionato con la riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali, essendo detto dato contemperato dall’illustrazione, in termini argomentativi, delle domande e delle difese hinc inde, esponendo, nella parte dedicata allo svolgimento dei motivi di ricorso, le considerazioni alla luce delle quali i giudici del merito sono pervenuti alla conclusione oggetto di critica.

Il ricorso, infatti, espone sommariamente i fatti di causa, sotto i profili occorrenti per la soluzione delle questioni sollevate in questa sede, ed inoltre, attraverso una lettura globale, consente con sufficiente specificita’ di cogliere le ragioni per le quali si sollecita l’annullamento del provvedimento impugnato.

Il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa puo’, dunque, ritenersi osservato dalla riproduzione, molto diffusa, anche con anticipazione dei motivi del ricorso, della vicenda, mediante il riferimento ai precedenti gradi di giudizio (v. le pagine da 1 a 20);

– passando al merito del ricorso, con il primo ed il secondo motivo il ricorrente lamenta, ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e la falsa applicazione degli articoli 950, 948, 1321, 1322, 1326, 1372, 2697, 1537, 1538 c.c., nonche’ degli articoli 100, 101, 112, 113, 115, 183 e 194 c.p.c., in quanto nonostante l’attore avesse postergato l’indagine da devolversi al c.t.u. all’assunzione della prova testimoniale, poi abbandonata, la Corte di appello ha riconosciuto valenza alla consulenza d’ufficio che ha trascurato sia la misurazione delle are 11.80 di spettanza di (OMISSIS), “che le altre quote a misura dei suoi confinanti ad est”.

Aggiunge che il mandato conferito al c.t.u. si riferiva espressamente ai titoli di provenienza che presentavano il particolare specifico che l’ultima assegnazione ad (OMISSIS) era stata fatta “a corpo” residuale, mentre la precedente era a misura. Ad avviso del ricorrente, l’attore, accantonata la prova testimoniale, aveva modificato la domanda da “regolamento soggettivo” a “regolamento oggettivo dei confini”, che ineludibilmente avrebbe dovuto comportare la misurazione delle are 11,80 del titolo di (OMISSIS).

Ed il mancato accertamento di siffatto dato costituirebbe il vizio da cui sarebbero derivate le errate conclusioni.

In altri termini, ad avviso del ricorrente non si sarebbe tenuto conto della diversita’ dei due titoli di provenienza, avendo (OMISSIS) acquistato la quota “a misura” ed il successivo donatario la residuale quota “a corpo”.

Insiste il ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione, nel ritenere che il c.t.u., deviando dalla domanda e dal titolo, si sarebbe dilungato sull’errore della planimetria catastale, gia’ superata dalle parti contraenti con le donazioni, i quali ponevano come oggetto le misure delle quote assegnate, mettendo in seconda linea la planimetria utile ad individuare la configurazione delle quote assegnate.

Inoltre il c.t.u. nello spezzare il rettangolo posseduto dal ricorrente in due triangoli avrebbe determinato lo spostamento della dividente CD, aumentando anche la quota dell’area agricola del germano (OMISSIS), sottraendo un’area di oltre mq. 9,00 dell’accessorio del fabbricato (deposito attrezzi agricoli) di cui ai rettangoli, che non e’ sottostante il vano a primo piano di circa mq. 15 assegnato ad (OMISSIS), errore a base anche della interclusione del predetto deposito attrezzi agricoli.

I primi due motivi sono suscettibili di trattazione unitaria, in quanto entrambi involgono la medesima questione dell’accertamento dei

confini e si risolvono nel tentativo di sollecitare a questa Corte un rinnovato apprezzamento del materiale probatorio in atti e pertanto non sono suscettibili di accoglimento.

La Corte di appello, nella sentenza impugnata, dopo avere rilevato che il consulente tecnico d’ufficio aveva accertato che, sulla base del frazionamento allegato ad entrambi gli atti di donazione del 21.10 1978, in favore di (OMISSIS), e del 16.11.1978, in favore di (OMISSIS), cui i contratti di donazione rinviavano, non fosse possibile determinare il confine, in quanto non vi era corrispondenza tra la situazione effettiva e quella riportata nelle varie mappe, per cui ha ritenuto di attribuire rilievo alle conclusioni del c.t.u. che aveva individuato il confine nella linea spezzata A-B-C-D-E, chiarendo che detto confine consentiva di attribuire a (OMISSIS) una zona di terreno della larghezza, nel lato nord, di mt. 11,20 e ad (OMISSIS) una zona di terreno della larghezza di mt. 19,50, come prevista nel tipo di frazionamento, assumendo che siffatta soluzione trovava coerente riscontro nel rispetto dei confini esistenti anche con gli altri fondi limitrofi.

Ha, inoltre, aggiunto che la pedissequa applicazione delle emergenze del tipo di frazionamento, risultato affetto da un evidente errore, ove si fosse voluto ripetere sui fondi, avrebbe comportato “il tradimento” dei titoli di acquisto in favore dell’uno ovvero dell’altro donatario.

In altri termini, la corte territoriale ha recepito un criterio composito, tant’e’ che dopo l’indicazione dei capisaldi presi a riferimento, rappresentati da un muro divisorio e dal tipo di frazionamento, ha ritenuto di valutare quest’ultimo con gli opportuni adeguamenti, resi necessari per correggere le discrepanze tra le mappe catastali (su cui era stato realizzato il frazionamento) e lo stato dei luoghi, essendo rimasto accertato che la posizione planimetrica degli elementi naturali di confine non era conforme a quella cartografica, in quanto la reale inclinazione ed ubicazione del muro divisorio del fabbricato era difforme nella realta’ rispetto a quella riportata nel tipo di frazionamento.

Nel depositare il secondo elaborato il c.t.u., inoltre, nell’emendare l’errore fatto rilevare dal consulente tecnico di parte, ha confermato che al momento delle donazioni esisteva un fabbricato strutturalmente unico che, in parte, era stato oggetto di donazione in favore di (OMISSIS) e, per la parte restante, era stato donato ad (OMISSIS), in quanto ricompreso nella porzione di proprieta’ residuata in capo ai genitori dopo il primo atto di disposizione, chiarendo che detta unitaria struttura esisteva anche al momento dell’accertamento, non immutando il muro divisorio – di natura portante “gia’ collocato nel tratto BC” – la natura unica del fabbricato.

Conseguentemente l’area per la quale si poneva una questione di confine incerto riguardava unicamente il piccolo tratto di suolo inedificato, indicato con il tratto CD nella planimetria allegata, individuata in AB la recinzione su cui non era sorta contestazione, in BC la mezzeria del muro divisorio conforme ai titoli di provenienza (atto di donazione in favore dell’attore in cui era fatto riferimento ai vani di fabbrica destinati al figlio e quelli riservati ai genitori donanti) e allo stato dei luoghi, in DE il tratto di confine conforme al frazionamento.

Quanto al tratto CD, di appena ml 8,50, il confine non poteva essere determinato attraverso il prolungamento della mezzeria del muro divisorio dei fabbricati, ne’ attraverso le indicazioni del tipo di frazionamento, giacche’, nel primo caso, vi sarebbe stata invasione della quota di suolo dell’attore e, nel secondo, l’invasione sarebbe stata ai danni del suolo assegnato al fratello.

Attraverso detto procedimento – si ripete, utilizzando un criterio composito – e’ stato individuato lo sconfinamento in una piccola zona di forma triangolare compresa tra la linea di confine determinata dal c.t.u. ed il muro di fabbricato di proprieta’ di (OMISSIS). Il c.t.u. ha anche replicato alle osservazioni del c.t.p. di parte attrice.

Orbene, come e’ noto, nell’azione di regolamento di confini, la quale si configura come una vindicatio incertae partis, incombe sia sull’attore che sul convenuto l’onere di allegare e fornire qualsiasi mezzo di prova idoneo all’individuazione dell’esatta linea di confine, mentre il giudice, del tutto svincolato dal principio actore non probante reus absolvitur, deve determinare il confine in relazione agli elementi che gli sembrano piu’ attendibili, ricorrendo in ultima analisi alle risultanze catastali, aventi valore sussidiario (per tutte: Cass. 7 settembre 2012 n. 14993).

Se e’ vero che in materia di regolamento di confini ogni mezzo di prova e’ ammesso, come si desume dall’articolo 950 c.c., comma 2, deve nondimeno osservarsi che per l’individuazione della linea di separazione fra fondi limitrofi la base primaria dell’indagine del giudice di merito e’ costituita dall’esame e dalla valutazione dei titoli d’acquisto delle rispettive proprieta’ (Cass. 9 ottobre 2006 n. 21686; Cass. 15 novembre 2007 n. 23720).

In tale quadro, nell’ipotesi – che qui ricorre – di divisione di un unico fondo, assume rilievo preponderante, sul piano probatorio, il tipo di frazionamento allegato ad entrambi i contratti di donazione (per tutte: Cass. 8 settembre 2015 n. 17756; Cass. 22 dicembre 2014 n. 27170): e cio’ in quanto esso consente di ricostruire la volonta’ negoziale espressa dalle parti con riguardo alla delimitazione dei terreni confinanti (Cass. 1 dicembre 2000 n. 15286; Cass. 1 settembre 1997 n. 8327; Cass. 24 febbraio 1996 n. 1446; Cass. 16 maggio 1981 n. 3222).

Nella circostanza, dunque, i contratti di donazione facevano richiamo al medesimo frazionamento, ma, come evidenziato dalla corte di merito, il consulente nominato in primo grado e riconvocato in sede di appello, ha rilevato l’impossibilita’ di ricostruire sulla base di esso la linea di confine tra i due fondi; lo stesso c.t.u. ha poi rimarcato la difficolta’ di operare l’individuazione del medesimo sulla base dei dati catastali, stante la presenza di una traslazione, all’interno della mappa, rispetto alla situazione reale delle proprieta’ immobiliari.

L’affermazione del giudice del gravame dell’utilizzazione di un criterio composito per determinare il confine tra le due proprieta’, va dunque correlata al fatto che il frazionamento menzionato in tali contratti non consentiva di pervenire alla sicura delimitazione dei due fondi.

Se si tiene conto di tale evenienza, e’ senz’altro corretto assumere che la volonta’ contrattuale espressa nelle donazioni attraverso il richiamo al frazionamento esistente non fosse idonea a chiarire alcunche’ con riguardo alla determinazione del confine per l’intera estensione dei fondi.

Una volta escluso che i titoli di acquisto fossero autosufficienti quanto alla delimitazione del confine, il giudice di merito era libero di attribuire rilevanza ad altre risultanze che reputasse utili per pervenire alla decisione della domanda: cio’, tenuto conto che per un verso il nominato articolo 950 c.c., comma 2, lo autorizzava a prendere in considerazione ogni mezzo di prova e che, per altro verso, proprio per la natura dell’azione promossa, la stessa corte territoriale non avrebbe potuto decidere nel senso del semplice rigetto.

In tal senso, si sottrae a censura il rilievo attribuito dal giudice del merito all’utilizzo di un criterio composito per la determinazione del confine nell’unico tratto incerto, tenendo conto sia di un’equa ripartizione delle quote fra i fratelli, come voluta dal genitore donante, sia dei confini rispetto ai fondi limitrofi.

Non e’ concludente, in proposito, l’obiezione secondo cui il donante avrebbe effettuato l’assegnazione a (OMISSIS) “a misura” e ad (OMISSIS) “a corpo”, ovvero l’ordine di assunzione delle prove, posto, infatti, che, come si e’ visto, il frazionamento conteneva un evidente errore nel riprodurre la planimetria dei luoghi.

Appare, quindi, destituita di fondamento anche la deduzione di parte ricorrente, formulata peraltro solo con la memoria ex articolo 380 bis.1 c.p.c., secondo cui la perizia percipiente disposta dai giudici del merito sarebbe inammissibile. Infatti, una tale allegazione, oltre ad essere tardiva, e’ comunque superflua, visto che si verte in ipotesi di accertamento che richiede specifiche cognizioni tecniche.

Ne’ coglie nel segno l’affermazione, contenuta in ricorso, secondo cui la sentenza avrebbe ignorato, come pure il c.t.u., la misurazione delle aree assegnate a (OMISSIS). Non puo’ configurarsi, nella fattispecie, una violazione delle norme che disciplinano l’utilizzo, da parte del giudice, delle prove acquisite al processo. E’ evidente, infatti, che una tale linea di demarcazione non si identifichi con quella desumibile dal frazionamento, posto che lo stesso consulente, come si e’ visto, ha dato atto dell’impossibilita’ di utilizzare solo quest’ultimo per stabilire il confine tra le proprieta’;

– con il terzo motivo il ricorrente censura, ex articolo 360 c.p.c., n. 4, la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in correlazione con gli articoli 99, 167, 115, 116, 187 e 279 c.p.c., per avere la corte distrettuale ritenuto un prius l’esame della domanda riconvenzionale, che – di converso – con gli effetti conseguenti al pacifico, continuo, non contestato possesso ultraventennale di quota ricevuta a corpo e goduta iure domini, si poneva in posizione logica e cronologica post accertamento della situazione di fatto attuale.

A prescindere dalla difficolta’ oggettiva di interpretazione della censura, la stessa e’ infondata.

Nell’esaminare le varie questioni prospettategli dalle parti, il giudice e’ tenuto a dare priorita’ solo a quelle che per loro natura e contenuto – come le pregiudiziali e le preliminari – meritano logica e giuridica precedenza, mentre, negli altri casi, seppure la opportunita’ di un coordinamento logico di esse puo’ suggerire una considerazione prioritaria di talune questioni rispetto ad altre, e un particolare ordine di gradualita’ logica puo’ apparire utile o apprezzabile, e’ tuttavia da escludere che il rispetto di un qualsiasi ordine prestabilito costituisca una condizione di legittimita’ della decisione, la quale puo’ affrontare le varie questioni secondo la distribuzione ritenuta piu’ opportuna, (Cass. 23 giugno 1982, n. 3831; Cass. 20 giugno 1968, n. 2052), spettando al giudice il compito di individuare le questioni da trattare con priorita’ logica (di recente: Cass. 6 luglio 2018 n. 17909).

Del resto il ricorrente nell’indicare una diverso ordine di distribuzione delle questioni non si avvede di finire per porre sullo stesso piano la situazione di verifica del confine fra i fondi, basata sui titoli di provenienza, con l’accertamento del possesso ai fini dell’usucapione, che costituisce tipicamente un fatto;

– conclusivamente, il ricorso va respinto;

– le spese del giudizio di legittimita’ – liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza;

– poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’ in favore del resistente liquidate in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.