In via generale e in punto di diritto l’azione di riduzione del prezzo e quella risarcitoria risultano diversamente disciplinate nel codice (1492 e 1494) in ragione della diversità dei presupposti e finalità. Pur essendo finalizzate entrambe a ristabilire il rapporto di corrispettività tra prestazione e controprestazione nonché a porre il compratore nella condizione in cui il bene fosse stato immune da vizi, le due azioni presentano profili di diversità: mentre l’azione ex art. 1492 c.c. consente al compratore di ristabilire il rapporto di corrispettività con riferimento al minor valore della cosa venduta, la seconda mira a ristorare il compratore dall’insieme dei pregiudizi economico-patrimoniale derivanti dai vizi (ridotta fruibilità, spese per l’eliminazione dei vizi etc.); inoltre mentre l’azione quanti minoris opera su un piano strictu sensu oggettivo, l’azione di risarcimento del danno conseguente ai vizi postula, oltre la sussistenza dei vizi stessi, la sussistenza dei presupposti richiesti in via generale per fondare azione risarcitoria: colpa del venditore, danni, nesso di causalità.

Tribunale|Pavia|Sezione 3|Civile|Sentenza|13 marzo 2020| n. 387

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI PAVIA

SEZIONE TERZA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Renato Cameli ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. r.g. 1098/2018 promossa da:

AL. S.r.l. (c.f. (…)), elettivamente domiciliata in Milano, Viale (…), presso lo studio dell’avv. Ma.Pr., che la rappresenta e difende, come da procura allegato alla comparsa di costituzione di nuovo difensore e che ha dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti

ATTORE

contro

AZ. S.r.l. (C.F. (…)), elettivamente domiciliato in Pavia, piazza (…) 1, presso lo studio dell’avv. Ga.Te., che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale allegata alla comparsa e che ha dichiarato di voler ricevere comunicazioni come in atti

CONVENUTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, Al. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 50/2018 emesso dal Tribunale di Pavia su istanza di Az. (di seguito anche AG.) con il quale era stato ad essa ingiunto il pagamento della somma di Euro 254.288,87 oltre interessi e spese della procedura monitoria, quale corrispettivo dovuto per la vendita di beni.

L’attrice formulava opposizione, eccependo preliminarmente, in punto di diritto l’incompetenza del Tribunale di Pavia, a beneficio del Tribunale di Roma sia ex art. 19 c.p.c. (in quanto la sede legale del convenuto era Roma) sia ex art. 20 (in quanto l’obbligazione era sorta a Roma, luogo in cui il compratore, Al., aveva contezza dell’accettazione del venditore), risultando altresì inapplicabile l’art. 1182 terzo comma c.c. in ragione della natura non certa e non liquida del credito e viceversa applicabile l’art. 1182 quarto comma c.c.; nel merito deduceva che: AG. era società che svolgeva attività di stampa; e nel gennaio 2015 aveva acquistato due macchine di stampa e tre sistemi di lettura e controllo della densità di inchiostro dalla Mo.Pa. e aveva proposto, a sua volta, la cessione di tali macchinari ad Al. che si era dichiarata interessata all’acquisto, salva la previa esecuzione di verifiche; Al. aveva versato circa Euro 25.000,00 a titolo di acconto ed anche per altre forniture; l’esito di tali verifiche era stato negativo sia in quanto le macchine erano inservibili sia in quanto di proprietà MP.; non era provato il rapporto in assenza di documentazione negoziale; le fatture erano insufficienti ad attestare il credito.

Si costituiva Az. contestando quanto ex adverso dedotto ed eccependo che: l’eccezione di incompetenza era inefficace in quanto non proposta con riferimento ai criteri normativi della compravendita (art. 1498 c.c.) e comunque infondata in quanto, ex art. 20 c.p.c., il forum contractus era quello di Pavia, il domicilio del venditore (art. 1498 terzo comma c.c.) era Pavia, sede legale della società convenuta, al pari del forum destinatae solutionis generale ex art. 1182 c.c. trattandosi di credito liquido e determinato; nel merito, il contratto di compravendita non richiedeva forma scritta; era erronea la prospettazione secondo cui i beni erano di proprietà di MP.; la circostanza era comunque irrilevante atteso che Al. ne avrebbe acquistato comunque la proprietà al momento al momento del perfezionamento del trasferimento a beneficio di AG. ex art. 1478 secondo comma c.c.; il registro Iva faceva prova tra le parti ex art. 2710 c.c. trattandosi di rapporti tra imprenditori; in ogni caso il rapporto era comprovato da ulteriori documenti quali la contabile dei bonifici, le dichiarazioni di intento, la corrispondenza; il decreto ingiuntivo era fondato su prova scritta; formulava altresì anche domanda con riferimento a ulteriori somme, non richieste con il monitorio perché di non facile determinazione e comunque, in relazione alle quali era maturato il credito.

All’esito della prima udienza era rigettata l’istanza ex art. 186 ter c.p.c. formulata da parte convenuta, disposta la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo ed assegnati i termini ex art. 183 sesto comma c.p.c.; in memoria ex art. 183 sesto comma n. 1 c.p.c. parte convenuta dava atto dell’avvenuto pagamento di somma come da decreto ingiuntivo; istruita la causa mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti, esame testimoni ed ordine di esibizione, all’udienza del 18 dicembre 2019 i difensori delle parti rassegnavano le proprie conclusioni e il giudice tratteneva la causa in decisione assegnando termini ridotti ai sensi dell’art. 190 secondo comma c.p.c. per il deposito delle memorie conclusionali e delle repliche.

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

L’eccezione preliminare di incompetenza formulata da parte attrice, in disparte ogni considerazione circa la dedotta inefficacia della stessa, da rietenersi assorbita, risulta comunque infondata.

In via generale e in punto di diritto, la competenza del Tribunale di Pavia in ordine alla trattazione e decisione della presente controversia ha il proprio ubi consistam anzitutto nell’art. 20 c.p.c., quale foro facoltativo per le cause relative a diritti di obbligazione, risultando il forum contractus coincidente con il Tribunale adito: segnatamente l’obbligazione sorgeva, sulla base delle prospettazioni sia della convenuta opposta sia, a fortiori dello stesso opponente (che, pur negando la conclusione del contratto rilevava però come “AG. proponeva la cessione di tali macchinari…” cfr. atto di citazione pag.

2) proprio in Pavia, sede legale della AG., proponente la vendita e a cui era destinata la dichiarazione di accettazione ex art. 1326 primo c.c.

Sotto ulteriore e connesso profilo, in relazione al forum destinatae solutionis ex art. 20 c.p.c. rileva la normativa specifica della compravendita; segnatamente, a riguardo, in assenza di specifica previsione contrattuale e di usi diversi (non dedotti né dimostrati dalle parti) ai sensi dell’art. 1498 terzo comma c.c. è stabilito che il pagamento del prezzo debba avvenire presso il domicilio del venditore; nella fattispecie in esame, esso coincide pertanto con la sede legale dell’AG. quale soggetto alienante.

Tale disciplina coincide con quella generale ex art. 1182 terzo comma c.c. relativa alle obbligazioni pecuniarie in forza della quale, l’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore aveva al momento della scadenza.

Non vale ad inficiare tale conclusione il riferimento al recente orientamento giurisprudenziale (Cass. SS.UU. 13.9.2016 n. 17989 nonché Cass. 4.1.2017 n. 118) secondo cui “rientrano nella previsione di cui all’art. 1182, co. III c.c. esclusivamente le obbligazioni pecuniarie liquide, il cui ammontare, cioè, sia determinato direttamente dal titolo ovvero possa essere determinato in base ad esso con un semplice calcolo aritmetico.. .deve trattarsi, però, di criteri stringenti, tali, cioè, che la somma risultante dalla loro applicazione sia necessariamente una ed una soltanto” (Cass. SS. UU., 17989/2016)

Anzitutto trattandosi di obbligo di compravendita, trova applicazione la regola suppletiva specifica ex art. 1498 terzo comma c.c. ragion per cui la disciplina generica verrebbe derogata in parte qua.

Inoltre, nella fattispecie in esame, comunque il quantum dedotto risulta puntualmente allegato e fondato su documentazione avente valore quanto meno indiziario, ovvero le tre fatture prodotte in fase monitoria, fattura 94/2015, 95/2015, 96/2015, in considerazione del pagamento di acconto effettuato dall’attrice espressamente riferito alle stesse (su cui amplius infra); in altri termini, almeno astrattamente, il credito dedotto risultava liquido ed esigibile nell’ammontare, ferma restando la necessità di comprovare il rapporto in concreto.

In definitiva, sul punto, l’eccezione preliminare di incompetenza risulta infondata.

Risulta parimenti infondata, l’eccezione preliminare di inammissibilità formulata da parte attrice circa la domanda di pagamento delle ulteriori somme non richieste in ricorso da parte del convenuto nella propria memoria di costituzione.

In via generale e in punto di diritto, secondo risalente ma autorevole orientamento, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo spettano all’opposto tutti i poteri che il codice di rito ricollega alla posizione processuale del convenuto, compreso quello di proporre domande riconvenzionali, a fondamento della quale può essere proposto anche un titolo non dipendente da quello posto a fondamento della ingiunzione o delle relative eccezioni, quando non si determini uno spostamento della competenza e sia pur sempre ravvisabile un collegamento obiettivo tra domanda principale e domanda riconvenzionale tale da rendere opportuno secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità il simultaneus processus (Cass. SS.UU.18.5.1994 n. 4837).

L’adesione a tale orientamento, invero ormai minoritario, comporterebbe sic et simpliciter il rigetto delle eccezioni di parte attrice opponente stante il pacifico “collegamento obiettivo” tra la domanda formulata con ricorso della fase monitoria e quella contenuta nella comparsa di costituzione.

Pur non volendo accedere a tale impostazione, si rileva come risultino comunque inconferenti, almeno in parte qua, i richiami giurisprudenziali riferiti dall’attrice, e comunque gli stessi siano insufficienti a far pervenire a diversa conclusione.

La domanda circa il pagamento del complessivo corrispettivo dovuto per la fornitura formulata dalla convenuta non costituisce infatti una domanda “nuova” (Cass. 3.1.2014, n. 51) né il tema della proponibilità della stessa può essere valutato esclusivamente sulla base della possibilità, per il convenuto opposto, di formulare a sua volta domanda riconvenzionale in caso di “domanda riconvenzionale formulata dall’opponente, a seguito della quale la parte opposta si venga a trovare a sua volta nella posizione processuale di convenuto”, (Cass. 4.10.2013, n. 22754.) (su cui amplius infra).

La questione circa l’ammissibilità della domanda di parte convenuta relativa al quantum complessivo oggetto di contratto tra le parti (e non ad una sola parte dello stesso) nel presente giudizio può essere risolta esclusivamente alla stregua dei principi generali in ambito processuale in relazione alla facoltà delle parti di ampliare la propria domanda in corso di un giudizio.

A riguardo in via preliminare, anzitutto, soccorre proprio la precisazione, contenuta nella stessa giurisprudenza citata da parte attrice sopra citata, che nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto/opposto risulta in effetti attore in senso sostanziale, mentre l’attore/opponente è convenuto sostanziale (cfr ad esempio anche Cass. 24.5.2010 n. 12622; Cass. 10.10.2007 n. 21141).

Sempre in via preliminare, ulteriore profilo di rilievo è costituito dalla natura del giudizio di opposizione, che, nel sistema delineato dal codice di procedura si atteggia come procedimento il cui oggetto non è ristretto alla verifica delle condizioni di ammissibilità e di validità del decreto stesso, ma si estende all’accertamento, con riferimento alla situazione di fatto, esistente alla pronuncia della sentenza, dei fatti costitutivi del diritto in contestazione (Cass. 17.10.2011 n. 21432).

Assunte tali premesse logico giuridiche, la particolare configurazione del processo di opposizione a decreto ingiuntivo, non è ostativa all’applicabilità allo stesso dei principi espressi nella recente e condivisibile pronuncia della Cassazione Cass. SS.UU. 15.6.2015 n. 12310, relativa alla delimitazione dell’ambito di modificabilità delle domande da parte dell’attore, già contenute in atto di citazione nella memoria ex art. 183 sesto comma n. 1.

In base a tradizionale orientamento giurisprudenziale, mediante le “precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni o delle conclusioni già proposte” ex art. 183 sesto comma n. 1 c.p.c. sono “ammissibili solo i mutamenti della domanda contenuta nell’atto di citazione che costituiscono semplice “emendatio libelli”, ravvisabile quando non si incide né sulla causa petendi (ma solo sulla interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto) né sul petitum (se non nel senso di quantificarlo correttamente per renderlo aderente al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere); al contrario sono assolutamente inammissibili quelle modificazioni della domanda che costituiscono “mutatio libelli”, ravvisabile quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non formulate né prospettate nell’atto introduttivo, ed in particolare su di un diverso fatto costitutivo, così introducendo alla conoscenza del giudice un nuovo tema d’indagine, spostando i termini della controversia, anche al fine di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo (v. tra numerose altre Cass. 28.1.2015 n. 1585; Cass. 20.7.2012 n. 12621; Cass. 27.7.2009 n. 17457)”” (in termini, in motivazione a fini della ricostruzione dell’indirizzo giurisprudenziale in esame, compresa la giurisprudenza citata, Cass. SS.UU: 12310/2015 cit.).

Tale orientamento è stato tuttavia recentemente oggetto di rivisitazione; la Cassazione ha infatti affermato che la possibilità di modificazione, relativa alle domande e alle eccezioni, riconosciuta nella memoria ex art. 183 sesto comma n. 1c.p.c. implica l’ammissibilità di mutamento del petitum e causa petendi: tale rilievo è svolto sulla base della considerazione che “Ridurre la modificazione ammessa ad una sorta di precisazione o addirittura di mera diversa qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto.. significherebbe infatti, contro la lettera e la logica della norma, costringere la parte che abbia meglio messo a fuoco il proprio interesse e i propri intendimenti In relazione ad una determinata vicenda sostanziale – eventualmente anche grazie allo sviluppo dell’udienza di comparizione – a rinunciare alla domanda già proposta per proporne una nuova in un altro processo, in contrasto con i principi di conservazione degli atti e di economia processuale, ovvero a continuare il processo perseguendo un risultato non perfettamente rispondente ai propri desideri ed interessi, per poi eventualmente proporre una nuova domanda (con indubbio spreco di attività e risorse) dinanzi ad un altro giudice il quale dovrà conoscere della medesima vicenda, sia pure sotto aspetti in parte dissimili, con effetti incidenti negativamente: sulla “giustizia” sostanziale della decisione (posto che essa può essere meglio assicurata se sono veicolati nel medesimo processo tutti i vari aspetti e le possibili ricadute della medesima vicenda sostanziale ed “esistenziale”, evitando di fornire al giudice la conoscenza di una realtà sostanziale artificiosamente frammentata con l’effetto di determinarne una visione parziale); sul rischio di giudicati contrastanti; sulla ragionevole durata dei processi, valore costituzionale da perseguire anche nell’attività di interpretazione delle norme processuali da parte del giudice” (in termini Cass. SS.UU. 15.6.2015 n. 12310; nello stesso senso Cass. 12.9.2013 n. 20899)

In definitiva, sulla base di tale impostazione “La modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali. che deve ritenersi ammissibile la modifica, nella memoria all’uopo prevista” (in termini Cass. 13210/2015 cit. nello stesso senso Cass. 12.9.2013 n. 20899).

Quest’ultimo orientamento risulta preferibile sia in quanto maggiormente aderente alla formulazione dell’art. 183 sesto comma n. 1 c.p.c. sia in quanto coerente con la ratio della norma in esame sia infine con il principio generale di ragionevole durata del processo previsto in sede costituzionale; inoltre esso consente di evitare inutili duplicazioni processuali, agevolando sia l’attore sia il convenuto nella tutela delle rispettive pretese.

Tale orientamento è estensibile nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo con riferimento alla comparsa di costituzione del convenuto opposto; quest’ultimo assume infatti, come sopra esposto, la qualifica di attore in senso sostanziale e, all’esito dell’atto di citazione in opposizione, la relativa comparsa costituisce il primo atto defensionale successivo alla deduzioni dell’opponente, convenuto sostanziale; pertanto, sul piano dell’iter processuale, almeno in parte qua, la relativa comparsa risulta assimilabile al contenuto della memoria ex art. 183 sesto comma n. 1 propria dell’attore in un giudizio ordinario e, quindi, la relativa domanda risulta suscettibile di modifica o revoca secondo le indicazioni della Cassazione sopra evidenziata (Cass. 13210/2015).

Sotto ulteriore e connesso profilo, sarebbe illogico e contraddittorio precludere di proporre con comparsa di costituzione una domanda che, sulla base dei principi espressi dalla Cassazione nella citata 13210/2015, facoltà ormai riconosciuta, senza alcuna distinzione tra attore e convenuta, fino alla memoria ex art. 183 sesto comma n. 1: a riguardo soccorre il principio giurisprudenziale per cui il giudizio di opposizione è giudizio ordinario a cognizione piena.

L’adesione all’orientamento espresso non determina tout court una valutazione positiva dell’ammissibilità di qualsivoglia domanda del convenuto diversa rispetto al petitum del ricorso, dovendo la stessa essere vagliata, nel caso concreto, alla luce dei criteri indicati dalla Cassazione.

Tanto premesso in via generale, in primo luogo la domanda formulata da AG. in comparsa risulta in modo univoco “connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio”; a fortiori, la causa petendi, almeno sul piano giuridico, non è semplicemente connessa a quella del ricorso ma è addirittura la medesima, ovvero il rapporto contrattuale intercorso tra AG. e Al. relativo alla fornitura di materiale per la stampa; in altri termini sussiste identità sul piano oggettivo (oltre che, naturaliter, soggettivo) tra le ragioni di diritto alla base dell’importo azionato in via monitoria e quelle viceversa alla base del quid pluris aggiuntivo formulato in comparsa.

A quest’ultimo proposito, nello stesso ricorso, a fortiori, il ricorrente, odierno convenuto aveva già esplicato in modo puntuale l’ammontare complessivo della fornitura (cfr. ricorso punto 10 e 11).

In secondo luogo non si è determinata “la compromissione delle potenzialità difensive della controparte “; al contrario, sul punto, parte attrice già in prima udienza ha potuto spiegare le relative difese nonché sia nelle memorie ex art. 183 sesto comma c.p.c. sia nelle comparse conclusive: la nuova domanda, inoltre, come sopra esposta, attiene alla medesima vicenda giuridico – fattuale già esposta con ricorso.

Infine, la valutazione di tale domanda non ha comportato alcun allungamento dei tempi processuali: al contrario l’esame congiunto della questione risponde a principi di economicità e celerità del giudizio.

Parimenti infondata l’eccezione di inammissibilità, formulata da parte convenuta opposta, circa la deduzione di parte attrice in ordine alla presenza dei vizi in quanto non formulata in atto di citazione; inoltre, la proposizione della stessa non contrasta con i principi di lealtà e probità (art. 88 c.p.c.).

In applicazione dei principi sopra esposti e relativi alla facoltà di modifica delle domande in memoria ex art. 183 sesto comma n. 1 (Cass. 13210/2015) la problematica della presenza di vizi nella merce oggetto di compravendita, risulta indubbiamente connessa, sul piano sostanziale e giuridico, con quella del rapporto negoziale di compravendita tra le parti e dei rispettivi obblighi e doveri da esso derivanti; infine, sia pure in modo generico, quasi apodittico, il riferimento ai vizi era contenuto anche in citazione allorquando si allegava che “l’esito delle verifiche sui macchinari risultava negativo in quanto emergeva che i macchinari non erano utilizzabili né rivendibili…” (sic atto di citazione).

L’allegazione dei vizi in memoria ex art. 183 sesto comma ni. Inoltre non risulta aver pregiudicato in alcun modo il diritto di difesa della convenuta opposta.

Nel merito in via generale e in punto di diritto, ai sensi dell’art. 2697 c.c. “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”; secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato sull’interpretazione di tale articolo,” il creditore dovrà provare i fatti costitutivi della pretesa, cioè l’esistenza della fonte negoziale o legale del credito e, se previsto, il termine di scadenza, e non anche l’inadempimento, mentre il debitore dovrà eccepire e dimostrare il fatto estintivo dell’adempimento” (in termini Cass. Sez. Unite 30.10.2001 n. 13533).

Alla luce dei principi normativi e giurisprudenziali sopra esposti, era onere di parte convenuta AG. dimostrare il contratto di vendita intercorso con Al. nei termini dedotti in ricorso.

A fronte dell’originaria contestazione di parte attrice circa l’effettiva conclusione del contratto, come già esplicitato con ordinanza del 7.1.2018, parte convenuta, fin dalla fase monitoria, significativa e rilevante documentazione attestante il citato rapporto negoziale, ovvero il previo acquisto da parte di AG. di due macchine di stampa rispettivamente (…) e (…) nonché di tre sistemi di lettura di misurazione e densità di inchiostro, presso MP. e, la successiva vendita di tale materiale ad Al..

In primo luogo, parte convenuta ha depositato le fatture relative sia all’acquisto da essa stessa compiuto presso MP. sia alla successiva cessione del materiale alla Al. (rispettivamente doc. 3-5 e 7-9 ricorso).

In secondo luogo si evidenzia la contabile dei bonifici, disposti dalla stessa Al., recanti quale causale sia la dicitura “anticipo su fatture 94 95 e 96″” sia, in modo sintetico, il richiamo alle macchine utilizzate (doc. 15); tale causale assume valenza confessoria in ordine al rapporto.

In terzo luogo, sono stati prodotte “dichiarazione di intento di acquistare o importare beni e servizi senza applicazione dell’imposta sul valore aggiunto” trasmessi dalla stessa Al. alla AG. e relativi espressamente ai beni oggetto di

controversia con indicazione del prezzo (doc. 6 allegato alla comparsa); particolarmente significativo che tali ordini non siano stati formalmente disconosciuti nella successiva memoria ex art. 183 sesto comma n. 1. C.p.c.

In quarto luogo, infine parte convenuta AG. ha depositato l’estratto autentico del libro giornale e l’estratto autentico del registro IVA: tale documento ex art. 2710 c.c. assume valore probatorio nel presente giudizio, attesa la particolare qualificazione di imprenditori, nella cui categoria rientra pacificamente la Al., odierna opponente; a fortiori, all’esito di ordine di esibizione, tali fatture, hanno trovato riscontro anche presso la documentazione contabile della stessa attrice (libro IvaI di Al.)

A fronte di tale rilevante ed univoca produzione, la contestazione di Al. nell’atto di citazione è risultata meramente generica non risultando altrimenti specificati gli ulteriori rapporti che avrebbero giustificato i bonifici né i vizi presenti nei beni.

Risulta particolarmente significativo a riguardo che parte attrice, di fatto, dopo l’atto di citazione, abbia abbandonato tale profilo di contestazione, rilevando tale abbandono come condotta processuale rilevante ex art. 116 c.p.c. quale elemento di prova.

La conclusione del rapporto contrattuale è stata infine attestata dalle dichiarazioni testimoniali rese in giudizio (cfr. in particolare Ni. e Gi.)

In definitiva, in ragione di quanto esposto, risulta provato il rapporto negoziale nei termini proposti dalla convenuta, ovvero la cessione dei materiali come sopra indicati per l’importo onnicomprensivo pari a Euro 513527,9 (oltre Iva, su cui amplius infra) a fronte di cui era corrisposta a titolo di acconto la somma di Euro 25.656,39 sussistendo pertanto un debito pari a Euro 487871,51.

In via preliminare si prende atto dell’avvenuto pagamento di parte attrice della somma dovuta a titolo di ingiunzione, ovvero l’importo capitale di 254.288,87 oltre interessi e spese (circostanza allegata da parte attrice, cfr. memoria ex art. 183 sesto comma n. 1, e confermata da parte convenuta, cfr. comparsa conclusionale pag.2)

A tal proposito, secondo il recente e preferibile orientamento giurisprudenziale in presenza di pagamenti eseguiti in corso di giudizio, la fondatezza dell’opposizione deve essere valutata al momento dell’emissione della sentenza sull’opposizione a decreto ingiuntivo: il pagamento avvenuto in fase successivo elimina, in tutto o in parte, il fatto costitutivo del diritto e, pertanto, pur accertando il credito originario, il decreto deve essere revocato (recentemente Cass. 8.2.2016 n. 2404).

In ragione di quanto esposto, a fini processuali, il decreto ingiuntivo 50/2018 quindi viene revocato.

Sempre in via preliminare, si prende atto altresì della rinuncia della domanda di parte convenuta relativamente alla quota di pagamento dell’Iva: contrariamente a quanto domandato in ricorso, e reiterato nella propria comparsa di costituzione, nella propria comparsa conclusionale, la convenuta ha esposto come “Su ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., instante Az., l’esportazione in paese extra UE è stata anche documentata (cfr. contratto con cliente extra UE, polizze di imbarco, registro IVA acquisti). Queste evidenze, in esordio di lite neppure lontanamente immaginabili, sono state rese disponibili per la prima volta a giudizio ormai in fase avanzata. La loro tardiva ostensione ha “indotto “Az. a rinunciare, in sede di precisazione delle conclusioni, al credito per IVA addebitata in rivalsa sulle fatture di vendita delle macchine. Di qui la riduzione del petitum da Euro 595.186,15 (620.842,54 – 25.656,39) ad Euro 487.871,51 (258.000 + 229.793,84 + 25.734,06 – 25.656,39″(sic comparsa conclusionale pag. 2).

Questione controversa e invero dirimente, ai fini della risoluzione della controversia risulta altresì la sussistenza di vizi dei beni; a quest’ultimo proposito, l’attrice, sulla base della causa petendi esplicata in atto di citazione, ha formulato una vera e propria azione quanti minoris conseguente ai vizi nonché, contestualmente, domanda risarcitoria conseguente alla presenza dei citati vizi.

In via preliminare, parte convenuta ha formulato eccezione di inammissibilità ex art. 1495 terzo comma c.c.

La relativa eccezione risulta infondata; pur in disparte ogni considerazione circa le dichiarazioni rese in altri giudizi, aventi al più valore indiziario, nel ricorso monitorio, la convenuta ha attestato segnalazioni circa la carenza di componenti essenziali e in merito alla necessità di rimpiazzo delle parti; in altri termini, AG. ha riconosciuto espressamente di aver ricevuto contestazioni da parte della Al.; in particolare, al punto 10 del ricorso per decreto ingiuntivo è espressamente riconosciuto come “…al momento del ritiro dei beni, Al. ha segnalato all’odierna istante che essi erano privi di alcune componenti essenziali conseguentemente la contestazione è da ritenersi tempestiva atteso che interveniva in fase immediatamente successiva (rectius quasi contestuale) al ritiro e dunque, entro gli otto giorni previsti a pena di decadenza ex art. 1495 terzo comma c.c.

Premessa pertanto l’ammissibilità e la tempestività dell’eccezione, i difetti dedotti da parte convenuta, sono inquadrabili nella fattispecie dei vizi redibitori e non in quella di inesatto adempimento, discostandosi pertanto, almeno in parte qua, dal contenuto motivazionale della pronuncia del Tribunale di Milano 6102/2018, pronunciata tra parti diverse e quindi, pur valutabile quale elemento probatorio, non avente efficacia di giudicato ex art. 2910 c.c.

In via generale e in punto di diritto infatti si hanno vizi redibitori allorquando nella cosa venduta sussistono imperfezioni concernenti il processo di produzione, di fabbricazione e di formazione che rendono la cosa inidonea all’uso per la quale è destinata o ne diminuiscono in modo apprezzabile il valore (ex multis Cass. 25.9.2013 n. 21494; Cass. 12.2.1994 n. 1424; Cass. 15.2.1986 n. 914); orbene nel caso in esame, parte attrice ha dedotto “anomalie, guasti e mancanze” (sic memoria ex art. 183 sesto comma n. 1 c.p.c. pag. 6) precisando” nonostante le intese con Az. comprendessero il trasferimento di 3 sistemi di lettura densitometrica (c.d. Densitronic), in dotazione alle macchine ne fu rinvenuto solo uno “(memoria ex art. 183 sesto comma n. 1 c.p.c. pag. 6); e deducendo “la carenza di elementi essenziali dei macchinari”, illustrati in perizia di parte allegata (sic memoria ex art. 183 sesto comma n. 2. C.p.c.).

Sulla base della base delle deduzioni attoree e della documentazione depositata, la fattispecie dedotta è inquadrabile nella categoria dei vizi; i componenti mancanti nonché quelli allegati come usurati, costituiscono, complessivamente considerati, elementi di imperfezione relativi al processo di fabbricazione (rectius assemblamento – formazione) dei macchinari stessi, tali, almeno astrattamente, da pregiudicare in modo non irrilevante il relativo funzionamento e determinanti una diminuzione di valore del bene.

Sotto ulteriore e connesso profilo, l’azione proposta dall’opponente risulta qualificabile come azione quanti minoris, volta esclusivamente alla riduzione del prezzo pattuito; parte convenuta non ha formulato infatti espressamente domanda di risoluzione del contratto: quest’ultima risulterebbe peraltro inammissibile in quanto la stessa Al., disponendo a sua volta giuridicamente dei beni oggetto di compravendita mediante la cessione al cliente cinese, ha dimostrato, per facta concludentia, l’accettazione definitiva degli effetti giuridici del contratto, rinunciando alla risoluzione dello stesso e rendendo non configurabile (neanche astrattamente) l’esplicazione degli effetti retroattivi propri della risoluzione negoziale.

A riguardo, pur consapevole di orientamenti difformi, in base al recente e condivisibile orientamento della giurisprudenza “la questione del riparto dell’onere della prova tra venditore e compratore, nelle azioni edilizie, si presenta di agevole soluzione, alla stregua del principio, fissato nell’art. 2967 c.c., che chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento; il diritto alla risoluzione o alla modificazione (quanto al prezzo) del contratto di compravendita, che vuoi far valere il compratore che esperisca le azioni di cui all’art. 1492 c.c. per essere garantito dal venditore per i vizi della cosa venduta – vale a dire, per l’imperfetta attuazione del risultato traslativo, anche in assenza di colpa del venditore – si fonda sul fatto della esistenza dei vizi; la prova di tale esistenza grava, pertanto, sul compratore. 29. Può aggiungersi che la conclusione che precede risulta idonea a soddisfare anche le esigenze di carattere pratico – espresse dal principio di vicinanza della prova e dal tradizionale canone negativa non sunt probanda – che queste Sezioni Unite hanno indicato, nella sentenza n. 13533/01, a sostegno della opzione ermeneutica che pone sull’obbligato l’onere di provare di avere (esattamente) adempiuto non solo quando il creditore chieda l’adempimento, ma anche quando il creditore chieda la risoluzione del contratto o il risarcimento del danno.” (In termini recentemente Cass. sez. un., 03.05.2019 n. 11748).

L’adesione a tale orientamento, circa la parte su cui incombe l’onere di prova dei vizi, risulta a fortiori condivisibile nel presente giudizio per un duplice ordine di ragioni.

In primo luogo si evidenzia la particolare qualificazione soggettiva dell’acquirente, quale società di capitali esperta nel settore della stampa e avente rapporti commerciali con l’estero.

In secondo luogo, sulla base della vicinanza della prova, la stessa acquirente aveva acquisito la disponibilità del bene dopo la consegna e prima della vendita a terzi in Cina.

Premesso pertanto l’onus probandi gravante su parte attrice opponente, la stessa non ha assolto a tale onere.

In via preliminare, sul punto, alcuna valenza confessoria assumono la posizione processuale e il contenuto degli atti giudiziali di AG. nei processi r.g. 4987/2016 – Tribunale di Milano, promosso dalla convenuta per la riduzione del prezzo, e r.g. 42932/2017 Tribunale di Milano di opposizione a decreto ingiuntivo.

In via generale e in punto di diritto, le dichiarazioni contenute negli atti processuali possono assumere il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, valutabile ex art. 229 c.p.c., soltanto qualora sottoscritte dalla parte personalmente con modalità tali da rilevare inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche ammissioni dei fatti sfavorevoli così espressi,, non essendo sufficiente la mera sottoscrizione della procura (Cass. 18.3.2014 n. 2014 n. 6192; Cass. 6.12.2005 n. 26686).

In adesione a tale orientamento, nel caso in esame, è attestato per tabulas che gli atti processuali risultino sottoscritti esclusivamente dal procuratore, essendo riferibile la firma del legale rappresentante soltanto alla procura e quindi, alcuna valenza confessoria può desumersi dagli stessi.

Tale orientamento rileva, a fortiori nel caso di specie, per un duplice ordine di ragioni

In primo luogo, tali dichiarazioni, circa la presunta presenza di vizi sono rese in altro processo tra parte diverse.

In secondo luogo, ogni caso, pur volendo riconoscere valore indiziario alla relativa posizione processuale, il contenuto probatorio di tale valore è indubbiamente inficiato rectius contraddetto dalla decisione di abbandonare la causa di opposizione a decreto ingiuntivo.

Sotto ulteriore e connesso profilo, alcun elemento probatorio e, invero, neanche indiziario, era stato offerto da AG. nei giudizi in questione, come rilevato correttamente dal giudice titolare della controversia r.g. 4987/2016: segnatamente l’odierna opposta, nei citati giudizi, a supporto delle proprie argomentazioni non aveva depositato alcun elemento probatorio documentale o indiziario, limitandosi, al più alla formulazione di capitoli di prova orali, valutati, con motivazione articolata e convincente, inammissibili dal giudice titolare della causa con ordinanze del 20.10.2016 e 29.12.2016 (doc. 18 e 20 fascicolo monitorio).

Escluso pertanto valore confessorio alle dichiarazioni contenute in atti giudiziari di distinti processi, e considerato che la convenuta opposta non aveva comunque offerto elementi probatori idonei a confermare la presenza di vizi, nel presente giudizio parte opponente, su cui incombeva non ha assolto al proprio onere probatorio.

In primo luogo, si evidenzia, come già sopra esposto, l’assoluta genericità delle allegazioni contenute in atto di citazione (quasi apodittiche sul punto), solo parzialmente integrate, in fase successiva, nella memoria ex art. 183 sesto comma n. 1. C.p.c. e comunque contraddittorie rispetto a quanto successivamente emerso; tale profilo (esplicazione dei presunti vizi solo in memoria ex art. 183 sesto comma n. 1.) pur non determinando l’inammissibilità dell’eccezione, rileva quale elemento di prova ex art. 116 c.p.c. ai fini della decisione.

In secondo luogo, sotto ulteriore e connesso profilo, la documentazione prodotta, pur in disparte e ritenuti assorbii i profili di anomalia formale evidenziati da parte convenuta nei propri scritti difensivi, non è sufficiente a comprovare i citati vizi.

A riguardo, la lettera dall’acquirente cinese To. contenente la relazione di contestazione risulta trasmessa in data 25.11.2016 ovvero in tempo significativamente successivo rispetto alla dedotta contestazione sui vizi (cfr doc. 3 parte attrice): tale circostanza si palesa contraddittoria rispetto alle stessa ricostruzione dell’opponente, secondo cui gli stessi sarebbero stati evidenti, ovvero, in particolare “all’apertura del container contenente la (…), i compratori rilevavano immediatamente anomalie, guasti e mancanze per un totale di Euro 386.000,00”,(sic memoria ex art. 183 sesto comma n. 1 c.p.c. parte attrice); al fine dell’individuazione del momento dell’apertura dei container fanno fede le bolle doganali, depositate dalla stessa attrice e recanti data 15.4.2015 e 22.4.2015; conseguentemente, proprio in ragione di quanto esposto dall’attrice, la prima contestazione puntuale scritta avveniva soltanto oltre un anno dopo la ricezione della merce da parte del cliente cinese.

In terzo luogo, nel merito delle contestazioni, come dedotte dall’attrice e contenute nella relazione tecnica inviata da To., alcune di esse fanno riferimento a interventi di sostituzione eseguiti da terzi soggetti (ad esempio per i densistronic) e ai costi sostenuti; orbene a sostegno di tale tesi si configura insufficiente il documento prodotto (doc. 6) costituito da una singola fattura: questa, anzitutto, in assenza di documentazione contabile (bonifici, estratti conto etc.) non attesta l’effetto esborso della spesa necessaria per i costi della sostituzione; inoltre, in quanto oggetto di contestazione, non assume valore probatorio ma solo indiziario, risultando mera scrittura privata priva di data certa; in terzo luogo non sussiste alcun elemento tale da ricondurre la merce ivi indicata all’esecuzione di riparazione dei macchinari per la stampa inviati in Cina alla To.: al contrario, sul punto, la data di emissione (6.6.2016) risulta significativamente successiva rispetto alla consegna dei materiali; non valgono a riguardo le affermazioni testimoniali acquisite sul punto (su cui amplius infra) sia in quanto dichiarazioni in forma indiretta (Confalonieri “8. Confermo; ho appreso la circostanza tramite la dott.ssa Ga.;) sia in quanto di persone estranee all’area tecnica (Ni.)

Infine, la fattura in quanto emessa proprio nei confronti di Al. si pone in contraddizione con quanto esposto nella stessa relazione tecnica in cui la To. espone i costi sostenuti per la riparazione: in altri termini, mentre nella relazione il cliente cinese elenca i presunti vizi e i costi per la riparazione (tali da giustificare lo sconto), dall’altro l’attore opponente produce una fattura in cui, sembra aver provveduto esso stessa alle riparazione.

In quarto luogo, lo scambio di mail depositate documentano esclusivamente un accordo circa la successiva riduzione del prezzo, senza alcun puntuale riferimento ai vizi (doc. 5)

Le prove testimoniali non hanno comportato alcun ulteriore elemento a supporto delle argomentazioni attoree.

In primo luogo infatti il sig. Ma.Ni. era addetto alle vendite e al settore commerciale e, pertanto, in quanto estraneo all’area tecnica, non aveva contezza diretta dei vizi (“non vedo in dettaglio le macchine perché mi occupo della parte commerciale. 8); il medesimo teste inoltre, pur confermando di aver ricevute immediate contestazioni(le rimostranze erano effettuate per telefono e poi per iscritto; la cessione e la contestazioni avvenivano a fine aprile e primi maggio del 2015) e ribadito, sia pure in modo alquanto generico, di aver disposto la riduzione del prezzo (“la segretaria del mio cliente propose la riduzione del prezzo; ADR “Je.” è riferibile alla segreteria del cliente To.; ADR loro avevano contestato molti danni; ADR non so se l’offerta di riduzione del prezzo sul secondo macchinario era formulata per prima da noi o dal cliente; ADR dal documento si evince che l’offerta era formulata dal cliente; ADR ricordo, a precisazione, che l’offerta dello sconto era proposta da noi mentre l’importo era deciso dal cliente ADR non ricordavo le mai, ma rileggendole ricordo il contenuto.”) a fronte di specifica domanda, non ha saputo adeguatamente esplicare le ragioni dell’immediata riduzione di prezzo(” la relazione sub. doc. 3 era trasmessa l’anno successivo, nel 2016; ADR la riduzione del prezzo era invece decisa immediatamente. circa Maggio 2015″).

Il teste Confalonieri, pur ammissibile, risulta di scarsa attendibilità: il medesimo infatti risulta ex socio al 90% della società al momento delle circostanze oggetto di causa nonché convivente della rappresentante legale; in ogni caso, il medesimo ha reso dichiarazioni testimoniali relative a circostanze apprese in via indiretta o dal sig. Ni. o dallo stessa Ga., rappresentante legale; tali dichiarazioni risultano altresì prevalentemente generiche, inidonee ad attestare i fatti posti alla base dell’eccezione (“R io non ho mai interloquito del problema con personale di To., anche per problemi di lingua; non ero presente quando terzi parlavano con la To.; non ricordo da chi fu presa la decisione di abbassare il prezzo da Euro 400.000 a Euro 50.000).

Risulta viceversa significativa la testimonianza resa dal sig. Gi., soggetto terzo rispetto alle parti, tecnico specializzato e incaricato dalla stessa Al. delle operazioni di smontaggio del materiale da stampa KBA nel marzo 2015 destinato alla To.; questi ha in particolare confermato che operazioni di smontaggio delle macchine da stampa indicate nei capitoli che precedono avvennero in presenza di persona che si qualificò come dipendente di Al. S.r.l. (“si trattava di un ragazzo di cui non ricordo il nome; non era la prima volta che lavoravo per Al.; nelle altre occasioni c ‘era sempre un responsabile per le pratiche burocratiche; alcune volte c ‘era Mario Ni.; ADR il personale presente di Al. aveva mansioni amministrative e non tecniche”) oltre che della El., nuova società titolare dell’impianto; parimenti, con riferimento alla presenza dei componenti nelle macchine il citato testimone ha confermato, in modo puntuale ed univoco) che le macchine le macchine da stampa indicate nei erano dotate degli impianti calamai, degli impianti lava caucciù, delle schede elettriche (“non ricordo anomalie in relazione alle macchine oggetto di domanda; ADR io ho continuato a lavorare per Al.; ADR non mi è mai pervenuta da Al. alcuna richiesta di chiarimenti su queste macchine; ADR per questo lavoro ho ricevuto regolare pagamento 9. Confermo su impianti calamai e impianti lava caucciù; ADR sono mancanze che devo segnalare; ADR la macchina funzionava, non posso dire se tutte le schede elettroniche erano presenti ADR per far funzionare una macchina del genere devono esserci molte schede ognuna con una propria funzione”).

Le dichiarazioni del Gi. risultano particolarmente rilevanti in quanto rese da soggetto terzo, rectius incaricato da Al. per l’esecuzione dei lavori.

In definitiva, sul punto, alla luce di quanto esposto Al., su cui incombeva il relativo onus probandi, non ha dimostrato la sussistenza di vizi nel materiale oggetto di acquisto da AG..

In ogni caso, alla luce di quanto emerso, risulta non solo anomalo, ma gravemente colpevole la condotta della società opponente che, pur consapevole di un duplice rapporto commerciale di triangolazione (MP. AG. e Al., da un lato e AG., Al. e To. dall’altro), provvedeva, secondo le stesse allegazioni contenute negli scritti difensivi e confermate in sede testimoniale (sia pure) ad una unilaterale riduzione del prezzo nei confronti di un sub acquirente (To.) in assenza di previa verifica dei materiali e di puntuali contestazioni tecniche descritte.

Tale profilo, sebbene irrilevante in relazione alla domanda quanti minoris, assume viceversa particolare significato con riferimento alla domanda risarcitoria spiegata da parte attrice, come precisata sia pure in memoria ex at. 183 sesto comma n. 1 c.p.c. e volta alla refusione del “danno emergente costituito dalla necessità di rimpiazzo di elementi mancanti e dall’astronomico sconto applicato sul secondo macchinario; al mancato realizzo dei margini attesi dall’operazione. Senza dire della perdita di un fondamentale cliente, il quale pagava a mezzo lettera di credito dietro incassabile dietro semplice presentazione di documenti.”, quantificato in Euro 350.000,00 (sic memoria ex art. 183 sesto comma 1. C.p.c. pag. 7).

In via generale e in punto di diritto l’azione di riduzione del prezzo e quella risarcitoria risultano diversamente disciplinate nel codice (1492 e 1494) in ragione della diversità dei presupposti e finalità (Cass. 26.3.2004 n. 6044).

A quest’ultimo proposito, come correttamente rilevato dalla giurisprudenza, pur essendo finalizzate entrambe a ristabilire il rapporto di corrispettività tra prestazione e controprestazione nonché a porre il compratore nella condizione in cui il bene fosse stato immune da vizi, le due azioni presentano profili di diversità: mentre l’azione ex art. 1492 c.c. consente al compratore di ristabilire il rapporto di corrispettività con riferimento al minor valore della cosa venduta, la seconda mira a ristorare il compratore dall’insieme dei pregiudizi economico-patrimoniale derivanti dai vizi (ridotta fruibilità, spese per l’eliminazione dei vizi etc.); inoltre mentre l’azione quanti minoris opera su un piano strictu sensu oggettivo, l’azione di risarcimento del danno conseguente ai vizi postula, oltre la sussistenza dei vizi stessi, la sussistenza dei presupposti richiesti in via generale per fondare azione risarcitoria: colpa del venditore, danni, nesso di causalità. (Cass. 29.11.2013 n. 26852; Cass. 7.7.2007 n. 5202; Cass. 8.3.2001 n. 3425; Cass. 7.6.2000 n. 7718);

parimenti deve altresì essere considerata l’eventuale sussistenza di concorso di colpa dell’acquirente ex art. 1227 c.c., sia sotto il profilo della causazione del danno stesso, in ragione delle gravità della stessa colpa e delle relative conseguenze (primo comma), sia sotto il profilo dell’evitabilità dei pregiudizi (secondo comma).

Orbene alla luce di quanto sopra esposto, anche a voler ritenere parzialmente dimostrata la ricostruzione dell’attrice (invero priva di elementi probatori significativi a supporto per le ragioni sopra esposte), la condotta della stessa risulta gravemente colposa sia in fase ex ante sia ex post la cessione: sotto un primo profilo la stessa Al., mediante un tecnico di propria fiducia provvedeva direttamente, ad una previa verifica dei macchinari e al relativo smontaggio; la medesima li imballava e li spediva in Cina; in secondo luogo, non provvedeva ad eseguire alcun accertamento a fronte delle contestazioni circa la non conformità degli stessi rispetto a quanto stabilito; infine provvedeva autonomamente e senza alcun coordinamento con il fornitore ad una riduzione del prezzo in via unilaterale.

In definitiva, in ragione di quanto esposto, risulta accertato un credito pari a Euro 487.871,51 in capo alla AG. nei confronti di AG. in relazione al rapporto negoziale dedotto detratto la somma corrisposta prima del giudizio a titolo di acconto; la condanna al pagamento, in adesione all’orientamento sopra evidenziato, risulta circoscritta al quantum effettivo ancora da corrispondere, considerando l’ulteriore pagamento in conto capitale intercorso per una somma equivalente a quella riportata nel decreto ingiuntivo (254288,82) e quindi pari a Euro 233.582,69 (487.871,51 – 254288,82); su quest’ultimo importo, sono dovuti interessi moratori ex art. 2 D.Lgs. 231/2002 trattandosi pacificamene di credito maturato tra imprenditori nell’esercizio dell’attività commerciale; il dies a quo è individuato tuttavia in data 6.6.2018, ovvero il primo momento in cui era formulata esplicita richiesta nel presente giudizio, atteso che in fase precedente, non vi era stata richiesta formale idonea a costituire mora debendi, con riferimento al quid pluris oggetto di riconvenzionale: ciò, anzitutto, in considerazione dell’espressa riserva contenuta nel ricorso nonché dei precedenti giudizi in cui AG. avallava; e, in secondo luogo attesa l’inidoneità della mail del 20.2.2017 a riguardo (doc. 15 parte attrice); al contrario, con riferimento alla quota già versata in corso di causa e posta alla base del decreto ingiuntivo, gli interessi misura moratoria sono calcolati a partire dal momento della scadenza indicata nelle relative fatture (10.5.2015).

Le spese seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono quindi addebitate sull’attore opponente; I compensi sono liquidati ex DM 55/2014 per cause di valore compreso tra Euro 260.000 e Euro 520.000 (valore effettivo) applicando il parametro medio per ciascuna fase della controversia e risultando quindi pari a Euro 21387,00, oltre spese generali al 15% iva e cpa nonché spese di contributo.

Le spese della procedura monitoria sono addebitate su parte attrice.

La domanda per responsabilità aggravata risulta infondata.

La responsabilità aggravata per lite temeraria avendo natura extracontrattuale richiede la prova circa l’an e il quantum della pretesa, ovvero, anzitutto, del dolo o la colpa grave all’azione (Cass. 15.2.2007 n. 3388 Cass. 8.6.2007 n. 13395): nel caso in esame parte opposta non ha adempiuto a tale onere: in particolare, rileva anzitutto la relativa problematicità nella ricostruzione dei rapporti, dovuta alla presenza di una pluralità di relazioni contrattuali anche con riferimento a terzi soggetti; inoltre, si sottolinea la complessità derivante da precedenti giudizi intercorsi in cui Al. aveva sostenuto tesi diverse; parimenti infondata è un eventuale pretesa ex art. 96 terzo comma c.p..c atteso che anche detta condanna al pagamento presuppone sempre l’accertamento della malafede o colpa grave da parte del soccombente e quest’ultima (Cass. 30.11.2012 n. 2157).

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

I) Preso atto dell’avvenuto parziale pagamento di parte attrice Al. s.r.l. (c.f. e p.iva (…) revoca il decreto ingiuntivo n. 50/2018 emesso dal Tribunale di Pavia;

II) Accoglie la domanda riconvenzionale di parte convenuta opposta Az. (C.F. 02479580181) e, per l’effetto, preso atto della rinuncia alla domanda della somma dovuta a titolo di IVA:

a) accerta e dichiara che il credito dovuto a carico di Al. nei confronti Az. era originariamente pari a Euro 487.871,51;

b) preso atto dell’avvenuto pagamento, condanna parte attrice opponente al pagamento dell’ulteriore somma di Euro 233.582,69 in conto capitale, oltre interessi ex art. 2 D.Lgs. 231/2002 decorrenti dal 6.6.2018 fino all’effettivo soddisfo;

III) Condanna altresì la parte attrice opponente Al. s.r.l. a rimborsare alla parte convenuta opposta le spese di lite, che si liquidano in Euro 21.387,00 per compensi, oltre rimborso spese gen. al 15%, c.p.a. e iva nonché spese di contributo.

Così deciso in Pavia l’11 marzo 2020.

Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2020.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.