In tema di azione di rivendicazione, che, nel caso in cui il convenuto non contesti l’originaria appartenenza del bene conteso ad un comune dante causa, l’onere probatorio a carico dell’attore si riduce alla prova di un valido titolo di acquisto da parte sua e dell’appartenenza del bene medesimo al suo dante causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assume di avere iniziato a possedere, ed alla prova che quell’appartenenza non è stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte del convenuto.

Tribunale Savona, civile Sentenza 13 marzo 2019, n. 224

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI SAVONA

In persona del Giudice Dott. Fabrizio Pelosi

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nella causa tra:

(…) e (…) rappresentati per procura in calce alla citazione dall’avv. An.Po. e dall’avv. Al.Vi.

ATTORI

CONTRO

(…), difesa dall’Avv. Fr.Ag. per mandato in calce alla copia notificata della citazione

CONVENUTO

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il 19 luglio del 2000, con rogito notarile, (…) e (…) acquistarono l’area urbana fg (…), mapp. (…) sub (…) del comune di Pietra Ligure, all’epoca locata al condominio G. 3 di p.zza (…).

Gli attori hanno sostenuto che tale immobile era attualmente occupato da (…).

E’, infatti, pacifico che quest’ultima aveva installato un dehor costituito da una pedana in legno, posizionata parallelamente rispetto al locale bar di proprietà della stessa, lunga metri 6 e larga metri 1,75 (quindi per una superficie di circa mq 10,5) ancorata alle pareti del bar tramite una struttura in ferro, coperta con una tenda congiunta con il muro esterno dello stesso bar.

Gli attori hanno, quindi, promosso il presente giudizio chiedendo di condannare la convenuta al rilascio del bene ed al risarcimento del danno derivante dalla illegittima occupazione.

Alla prima udienza, parte convenuta è rimasta contumace.

Questa ha depositato comparsa di costituzione solo dopo la scadenza del termine ex art. 183 n. 1 c.p.c.

La causa è stata istruita unicamente con prove documentali.

All’esito, le parti hanno precisato le conclusioni come in epigrafe.

Gli art. 166 e 167 c.p.c. impongono al convenuto di costituirsi almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione e sanzionano con la decadenza l’inosservanza del suo obbligo di proporre eventuali domande riconvenzionali ed eccezioni in senso stretto nella comparsa tempestivamente depositata.

Non è dubbio, quindi, che parte convenuta è decaduta dalla domanda riconvenzionale di usucapione, ma anche dalla relativa eccezione riconvenzionale, essendo questa eccezione in senso stretto (sul punto, Cass. 21484/07 e Cass. 10685/02).

In questi termini, del resto, si è pronunciata la giurisprudenza:

“La decadenza dalla proposizione di domanda riconvenzionale di usucapione, per inosservanza del termine stabilito dall’art. 166 cod. proc. civ., non impedisce alla stessa di produrre gli effetti di una semplice eccezione di usucapione, mirante al rigetto della pretesa attrice, sempre che la costituzione sia comunque avvenuta nel termine utile per proporre le eccezioni (ovvero, nella specie, entro quello di cui all’art. 180, secondo comma, cod. proc. civ., secondo il testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla sostituzione operata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito dalla L. 14 maggio 2005, n. 80). (Cass. 10206/15; in termini analoghi, con riferimento all’attuale formulazione dell’art. 167 c.p.c., si vedano Trib. Potenza, Sent. 14/03/2017; Trib. Genova Sez. I, Sent., 25/03/2016, Trib. Taranto Sez. III, Sent., 03/11/2016, tutte in Leggid’Italia).

Si deve, quindi, esaminare la domanda proposta da parte attrice.

L’azione promossa da parte attrice si inquadra nella previsione dell’art. 948 c.c.

Infatti, il petitum è la condanna alla restituzione della cosa, mentre la causa petendi è costituita dalla titolarità del diritto di proprietà.

La giurisprudenza è costante nell’affermare che l’attore che agisce in rivendica deve dimostrare il suo diritto di proprietà, provando di aver acquistato la proprietà a titolo originario.

Non è, invece, sufficiente dimostrare l’esistenza in proprio favore di un titolo di acquisto a titolo derivativo (Cass. 21940/18) che potrebbe essere viziato dal difetto di legittimazione a disporre in capo al dante causa che, in applicazione del principio nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet, avrebbe tolto efficacia all’acquisto.

Il convenuto in rivendica, invece, non ha alcun onere di giustificare il proprio possesso e può difendersi invocando il principio possideo quia possideo.

Peraltro, la giurisprudenza attenua il rigore probatorio dell’azione di rivendica in 2 casi: nel caso di discendenza della titolarità da un comune dante causa e nel caso di proposizione di domanda/eccezione di usucapione.

Quanto alla seconda ipotesi, la giurisprudenza non è univoca: in senso contrario, si veda, a titolo di esempio la recente Cass. 14734/18 secondo cui comunque il rivendicante deve dimostrare un acquisto a titolo originario.

Anche la giurisprudenza favorevole all’attenuazione dell’onere probatorio, peraltro, non è univoca, in quanto, accanto ad alcune sentenze che ritengono che l’attenuazione operi sempre ogni qual volta sia proposta una domanda riconvenzionale o un’eccezione di usucapione (si veda, ad es., Cass. 5487/02), si colloca altra giurisprudenza che è ben più articolata, ritenendo che tale attenuazione opera solo nel caso in cui l’allegato acquisto per usucapione cominci a decorrere dopo l’acquisto del rivendicante.

Solo in questo caso, infatti, l’onere probatorio del rivendicante può legittimamente ritenersi assolto, nel fallimento dell’avversa prova della prescrizione acquisitiva, con la dimostrazione della validità del titolo in base al quale quel bene gli era stato trasmesso dal precedente titolare (sul punto, si richiama, a titolo di esempio, Cass. 8215/16).

Parte convenuta ha sì invocato un acquisto per usucapione; tuttavia, ciò non comporta alcuna attenuazione dell’onere probatorio in quanto parte convenuta ha sostenuto di aver iniziato a possedere ben prima dell’acquisto degli attori, compiuto il 19 luglio del 2000.

Quanto, invece, all’altra ipotesi di attenuazione dell’onere della prova in capo al rivendicante, la giurisprudenza dà rilievo ad ammissioni del convenuto o a mancate contestazioni in ordine alla titolarità del diritto da parte di un comune dante causa.

Ciò, del resto, è coerente con i principi processuali in tema di mancata contestazione (si veda l’art. 115 c.p.c.) che operano anche sul piano probatorio, rendendo superflua la prova sui fatti non specificamente contestati.

Così, la giurisprudenza afferma, in tema di azione di rivendicazione, che, nel caso in cui il convenuto non contesti l’originaria appartenenza del bene conteso ad un comune dante causa, l’onere probatorio a carico dell’attore si riduce alla prova di un valido titolo di acquisto da parte sua e dell’appartenenza del bene medesimo al suo dante causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assume di avere iniziato a possedere, ed alla prova che quell’appartenenza non è stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte del convenuto (Cass. 25793/16; Cass. 694/16; Cass. 19653/14; Cass. 9303/09).

Nel caso di specie, parte convenuta non ha mai contestato che D. e G.R. (danti causa di parte attrice) fossero proprietari dell’immobile oggetto di causa. Ciò comporta che il rivendicante assolve l’onere probatorio dimostrando un acquisto in base ad un titolo valido, che prevale su quello (invero inesistente nel caso di specie) dell’avversario (sul punto, Cass. 901/04).

Da quanto detto, ne discende che la domanda proposta deve essere accolta.

Deve, invece, essere respinta la domanda di risarcimento danni.

Parte attrice non ha allegato, infatti, in cosa sarebbe consistito il danno patito, se non in termini generici, e non ha fornito alcun elemento per procedere ad una quantificazione puntuale del danno.

Le spese di lite vengono compensate al 50% tenuto conto della soccombenza reciproca. Per la quota restante, seguono la soccombenza e vengono liquidate secondo lo scaglione causa indeterminabile complessità bassa valori minimi.

P.Q.M.

Dichiara che (…) e (…) sono proprietari dell’immobile fg 4, mapp. 272 sub 61 del comune di Pietra Ligure e per l’effetto condanna (…) a rimuovere il dehor meglio descritto in motivazione;

Respinge ogni altra domanda;

Compensa le spese di lite al 50%;

Condanna (…) a rifondere a (…) e (…) la restante frazione delle spese di lite, frazione che liquida in Euro 1.986,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, Euro 237,00 per contributo unificato ed accessori di legge;

Così deciso in Savona il 13 marzo 2019.

Depositata in Cancelleria il 13 marzo 2019.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.