nell’azione revocatoria fallimentare la prova della scientia decoctionis può ricavarsi sulla base di semplici indizi che, quando siano gravi, precisi e concordanti, possono essere fonti di una prova presuntiva della conoscenza, fermo restando che, tale conoscenza, anche quando dimostrata per presunzioni, deve, comunque, essere “effettiva” e non solo “potenziale.

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Tribunale Roma, civile Sentenza 13 settembre 2018, n. 17262

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale ordinario di Roma – sezione fallimentare, in composizione monocratica, in persona del giudice dott.ssa Daniela cavaliere, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile, iscritta al n. 82872/2016 R.G.,

Tra

IMPRESA (…) s.p.a. in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario,

elettivamente domiciliato in Roma, via (…), presso lo studio dell’Avv. An.Az. che la rappresenta e difende giusta procura a margine dell’atto di citazione

Parte attrice

e

(…), con sede in S. C. in via R., (C.), in persona del legale rappresentante pro – tempore,

rappresentata e difesa dall’Avv. Gi.Ba. del foro di Catanzaro giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta;

Parte convenuta

OGGETTO: azione revocatoria ex art. 67, secondo comma, l. fall.

MOTIVI DI FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato in data 29.11.2016 Impresa (…) S.p.A. in (…) conveniva in giudizio la (…) al fine di sentir dichiarare, ex art. 67 L.F. l’inefficacia, nei suoi confronti di due pagamenti dell’importo complessivo di Euro 48.827,00 e per richiedere la condanna della parte convenuta alla restituzione, in favore della procedura attrice, di tale importo.

Deduceva:

– che i due pagamenti di Euro 23.431,50 ciascuno erano avvenuti in data 7.06.2013 e in data 9.07.2013 e, quindi, nei sei mesi antecedenti alla sua entrata in amministrazione straordinaria dichiarata con decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 4.12.2013 e che con successiva sentenza del 24.01.2014 il Tribunale di Roma aveva dichiarato lo stato di insolvenza della medesima società;

– che il Commissario Straordinario, con comunicazione dell’11.07.2016 aveva sollecitato la restituzione delle predette somme, restituzione che veniva negata.

– che tali pagamenti erano avvenuti con ingente ritardo rispetto ai termini d’uso ricavabili dalla data di emissione delle relative fatture e che, quindi, non erano esenti dall’applicazione dell’art. 67, secondo comma, l. fall.;

– che quanto alla prova della scientia decotionis, indizi plurimi, gravi univoci e concordanti erano individuabili nello stesso ingente ritardo, nel fatto che all’epoca dei pagamenti erano noto alla parte convenuta lo stato di insolvenza in cui versava il Gruppo tanto che proprio in quel periodo Impresa S.p.A., controllante della società era stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, nelle ripetute richieste di assolvere ai pagamenti e nei tentati accordi transattivi, nelle notizie stampa che avevano pubblicizzato lo stato di decozione in cui versava il Gruppo, nei bilanci depositati da cui emergevano gli ingentissimi crediti e nei numerosi decreti ingiuntivi di cui era destinataria.

Parte opposta, regolarmente costituitasi, rappresentava che con contratto n. 155 del 23/9/10 la (…) S.p.A. le aveva commissionato l’incarico di assistenza topografica continuativa in cantiere, lavori per il raddoppio della linea ferroviaria Caserta – Foggia per un importo di Euro 464.400,00 e che in data 18/09/12, tale contratto era stato integrato con l’atto n. 92 per un importo di Euro 193.500,00, quindi per un importo totale di Euro 657.900,00 e che i pagamenti erano stati effettuati sei/sette mesi dopo il termine d’uso (120 gg.) indicato nel contratto e che con scadenza mensile, effettuava versamenti con bonifici o effetti cambiari. Sosteneva che il ritardo del pagamento delle fatture contestate era uguale al ritardo tollerato dalla (…) per le fatture precedenti e che la prova della conoscenza dello stato di insolvenza non poteva essere desunta, in via presuntiva, dal ritardo dei pagamenti contenuto nel periodo di sei – sette mesi dalla fattura poiché la circostanza poteva rientrare nei limiti di tolleranza accettata dalla pratica commerciale e che la (…) continuava a commissionare alla (…) altro lavoro tanto che era ancora creditrice di Euro 152.376,32 e che il mero ritardo, in assenza di altri elementi indizianti, poteva essere sintomo anche di momentanea e contingente illiquidità; che l’informazione giornalistica non assurgeva a fonte di conoscenza legale, non essendo dotata d’indiscutibile attendibilità e non essendo tenuto il creditore a leggere i giornali; che le procedure esecutive, le istanze di fallimento e ricorsi per decreto ingiuntivo, in quanto privi di pubblicità, non erano idonei a dar luogo a presunzione di conoscenza dello stato d’insolvenza e che per ciò che riguardava i bilanci, risiedeva in luoghi lontani dalla residenza del fallito e non vi era ragione che per l’attività esercitata avesse ragione di consultare i bilanci del proprio debitore.

Concludeva per il rigetto della domanda ed, in via subordinata, per la compensazione con il proprio maggior credito di Euro 152.376,32 per i servizi forniti.

La causa è stata istruita solo documentalmente ed è stata trattenuta in decisione all’udienza del 26.04.2018.

E’ pacifico tra le parti, oltre che documentalmente provato, l’avvenuto pagamento delle due fatture per cui è causa effettuato con due bonifici nel periodo c.d. sospetto dei sei mesi antecedenti all’ammissione della società all’amministrazione straordinaria.

Parte convenuta ha sostenuto che tali pagamenti, pur essendo avvenuti dopo la data di scadenza indicata nelle fatture e con ritardo di sei – sette mesi, dovevano considerarsi effettuati nei termini d’uso, poiché tale circostanza poteva rientrare nei limiti di tolleranza accettata dalla pratica commerciale.

La questione che si pone è accertare cosa debba intendersi per pagamento avvenuto nei termini d’uso.

Si ritiene che per pagamento eseguito nei termini d’uso debba intendersi quello effettuato nell’esercizio dell’attività di impresa che non solo sia avvenuto con mezzi normali (ossia con denaro contante, bonifico, assegno o strumenti parimenti ordinari, come nel caso di specie) ma anche con una tempistica coerente con il regolamento negoziale accettato dalle parti o, via subordinata, usualmente in essere tra le parti e, dunque, anch’essa caratterizzata da profili di normalità.

Ne consegue che il pagamento nei termini d’uso è certamente quello che consegue, salvo uno specifico e differente regolamento negoziale, in un arco temporale compreso tra la prestazione del sevizio o la consegna del bene e la scadenza del termine che è prassi indicare in fattura.

Dalla data di esecuzione della prestazione o di consegna del bene alla data di scadenza del termine indicato in fattura il pagamento è in ogni momento dovuto: invero, ai sensi dell’art. 1183 c.c. se non è determinato il tempo dell’adempimento il creditore può esigerlo immediatamente. Si deve, quindi, ritenere normale il pagamento che interviene dopo l’esecuzione della prestazione ed entro il termine indicato in fattura sicché analogamente si può ritenere che il pagamento avvenuto in un tempo successivo ma ormai prossimo alla scadenza indicata in fattura è caratterizzato da profili di normalità.

Anomali, al contrario, sono da ritenersi i pagamenti che avvengono o in data anteriore alla prestazione del servizio o alla consegna del bene o con significativo ritardo rispetto alla data di scadenza indicata in fattura come è avvenuto nel caso in esame.

Dall’altra parte, non risulta provato alcun regolamento negoziale accettato dalle parti che prevedesse una tempistica diversa nei pagamenti o che il pagamento effettuato con significativo tardivo rispetto alla data di scadenza indicata nelle fatture fosse usualmente in essere tra le parti e che, quindi, esso fosse caratterizzato da profili di normalità.

Invero, dall’elencazione delle fatture e dalla indicazione delle modalità e dei tempi di pagamento effettuati nella comparsa di risposta, emerge che inizialmente le fatture venivano pagate esattamente alla scadenza indicata nelle fatture e con mezzi normali di pagamento e, quindi, nei termini d’uso e solo successivamente oltre i termini d’uso e con mezzi anormali quali le cambiali, per poi riprendere con bonifici oltre i termini d’uso, sicché si deve ritenere che i pagamenti con significativo ritardo non fossero caratterizzati da profili di normalità nei rapporti intercorsi tra le parti.

Il pagamento tardivo, quindi, non può essere fatto rientrare tra quelli individuati dall’art. 67, comma terzo, lett. a.

Resta a questo punto da stabilire se la domanda possa essere accolta in relazione al requisito della conoscenza, da parte della convenuta, dello stato di insolvenza in cui versava la società fallita.

A tale proposito, va preliminarmente richiamato il ripetuto insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale nell’azione revocatoria fallimentare la prova della scientia decoctionis può ricavarsi sulla base di semplici indizi che, quando siano gravi, precisi e concordanti, possono essere fonti di una prova presuntiva della conoscenza (Cass. n. 1545/95; Cass. n. 3390/2005; Cass. n. 19984/2005; Cass. n. 26935/2006; Cass. n. 15939/07), fermo restando che, tale conoscenza, anche quando dimostrata per presunzioni, deve, comunque, essere “effettiva” e non solo “potenziale” (Cass. n. 28299/05; Cass. n. 1834/2011; Cass. n. 18196/2012).

Non basta, quindi, affermare che il terzo, facendo uso della normale diligenza, non poteva non percepire i sintomi rivelatori dello stato di decozione del debitore, ma occorre inferire, anche in via presuntiva, la cosiddetta scientia decoctionis tenendo in considerazione, per un verso, la qualità personale e professionale del creditore e, per altro, verso le circostanze concrete in cui i soggetti interessati si sono trovati ad operare (Cass. n. 18196/2012).

Parte attrice ha assunto che la scientia decotionis in capo alla convenuta sarebbe dimostrata da una pluralità di elementi indiziari ricavabili: dallo stesso ingente ritardo in cui venivano effettuati i pagamenti, dalla conoscenza dello stato di insolvenza in cui versava il Gruppo tanto che proprio in quel periodo Im. S.p.A., controllante della società era stata ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, dalle ripetute richieste di assolvere ai pagamenti e dai tentati accordi transattivi, dalle notizie di stampa che avevano pubblicizzato lo stato di decozione in cui versava il Gruppo, dai bilanci del 2012 e 2013 depositati da cui emergevano gli ingentissimi crediti bloccati dai contenziosi e inadempienze che non le permettevano di pagare i fornitori e dai nei numerosi decreti ingiuntivi di cui era destinataria e dalle numerose cambiali rilasciate a parte convenuta, poi protestate.

Tuttavia, nessun di questi elementi può essere valorizzato a fini probatori: la pendenza di azioni civili per l’accertamento ed il recupero dei crediti da parte di altri soggetti non è conoscibile dal creditore; alla data in cui è stato effettuato uno dei due pagamenti di cui si invoca la declaratoria di inefficacia non era ancora scaduto il termine per il deposito del bilancio 2012 ed, in ogni caso, nella fisiologia dei rapporti commerciali non sussiste l’onere per i fornitori di acquisire e verificare i bilanci dei propri clienti, bilanci di cui peraltro, è stata depositata solo la bozza; i protesti cui fa riferimento parte attrice non risultano provati atteso che le cambiali prodotte ne sono sprovviste; le notizie di stampa allegate hanno avuto rilevanza locale per essere pubblicate su giornali locali non conoscibili da un’azienda che aveva la sede ed operava in una regione diversa ed, infine, non risultano provati i dedotti accordi transattivi.

La domanda, pertanto, non è fondata e va rigettata.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da IMPRESA (…) s.p.a in (…) nei confronti della (…) s.r.l., così provvede:

– rigetta la domanda;

– condanna parte attrice al rimborso delle spese processuali in favore di parte convenuta che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese generali, iva e cpa come per legge.

Così deciso in Roma il 13 settembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 13 settembre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.