Se, indipendentemente dall’intenzione delle parti e dalla obiettiva consistenza dei beni dedotti in contratto, l’attivita’ del conduttore e l’organizzazione dei beni che costituiscono l’azienda coincidono con la prima destinazione dell’immobile all’esercizio della attivita’ alberghiera, ai sensi del Decreto Legge 7 febbraio 1985, n. 12, articolo 1, comma 9 septies – convertito nella Legge 5 aprile 1985, n. 118 – si presume “iuris et de iure” la natura locativa del rapporto, con conseguente applicabilita’ della relativa disciplina (Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 28). Ne consegue che si ha locazione, e non gia’ affitto di azienda, solamente in caso di concessione in godimento di un immobile che, pur essendo attrezzato ad uso alberghiero, non risulti ancora effettivamente gestito dal concedente, a tale stregua difettando l’aspetto dinamico dell’attivita’ d’impresa.

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Contratto di Affitto di azienda

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 8 luglio 2010, n. 16138

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10799/2006 proposto da:

MA. BR. (OMESSO), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BROFFERIO 6, presso lo studio dell’avvocato MARRAFFA ROBERTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MANGIONE Luigi e, CIPRIANI FRANCO con studio in 70121 BARI Via ANDREA da RARI, con delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO IT. RE. SRL IN LIQUIDAZIONE (OMESSO) in persona del Curatore GA. Ri. , elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO STACCI 2-B, presso lo stadio dell’avvocato DE MARTINI Corrado, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GALIETTO TOMASO con delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 986/2005 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, Sezione Prima Civile, emessa il 12./10/2005, depositata il 03/11/2005; R.G.N. 116/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 09/06/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito il P.M., in persona de Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 12 ottobre-3 novembre 2005 la Corte di appello di Genova confermava la decisione del locale Tribunale del 26 ottobre-12 dicembre 2000, la quale aveva condannato Ma.Br. a rilasciare l’azienda turistico – residenziale denominata “(OMESSO)” di (OMESSO) in favore del Fallimento della It. Re. s.r.l. in liquidazione alla scadenza del (OMESSO), nonche’ a pagare in favore del predetto la somma di lire 1.880.131.758, rigettando ogni altra domanda proposta dalle parti.

I giudici di appello concordavano con quanto gia’ ritenuto dal primo giudice, il quale aveva qualificato il contratto come affitto di azienda (e non locazione immobiliare).

Tale qualificazione – desumibile innanzi tutto dalla piana lettura del contratto – trovava esplicita conferma nel comportamento successivo delle parti, le quali (in data 15 settembre 1992) avevano concordato la futura trasformazione del contratto da affitto di azienda a locazione di immobile con destinazione alberghiera.

Tutto cio’ confermava – come aveva gia’ rilevato il primo giudice – che le parti avevano stipulato originariamente un contratto di affitto di azienda e che anche successivamente, nel corso del rapporto, avevano ribadito che i reciproci rapporti dovevano essere regolamentati da tale schema negoziale, pur prevedendo un futuro (ma mai realizzato) mutamento del medesimo.

Dalla infondatezza del primo motivo discendeva il rigetto del secondo, con il quale il Ma. aveva dedotto la erronea determinazione del canone locativo.

Quanto alla determinazione della entita’ delle spese sostenute dal Ma. per realizzare le opere necessarie a conferire funzionalita’ al complesso aziendale ed alla quantificazione dei ricavi degli anni 1992 e 1993, i giudici di appello condividevano in pieno le risultanze della consulenza tecnica disposta dal primo giudice, dando atto che le censure formulate sul punto dall’appellante erano del tutto generiche.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso il Ma. con due distinti motivi.

Resiste il Fallimento It. Re. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della Legge 5 aprile 1985, n. 118, articolo 1, commi 9 septies ed octies, e della Legge 17 maggio 1983, n. 217, articolo 6, nonche’ omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Il Fallimento non aveva mai posto in discussione che l’attivita’ alberghiera, nel caso di specie, fosse stata iniziata dal Ma. .

Gli unici punti in contestazione riguardavano il grado di finitura dell’immobile, poiche’ il Fallimento aveva sostenuto che il complesso doveva considerarsi del tutto terminato, mentre il Ma. aveva affermato che, all’epoca della sottoscrizione del contratto ((OMESSO)) il complesso era, in realta’, un cantiere edile in costruzione.

I giudici di appello avevano omesso di considerare la disposizione di cui alla Legge n. 118 del 1985, articolo 1, comma 9 septies, secondo la quale “si ha locazione di immobile e non affitto di azienda in tutti i casi in cui l’attivita’ alberghiera sia stata iniziata dal conduttore”.

Qualora, invece, la omissione di ogni motivazione da parte dei giudici di appello potesse giustificarsi con il fatto che il complesso in questione era – ed e’ – un residence turistico-alberghiero (e non semplicemente un albergo), la Corte di appello avrebbe dovuto comunque spiegare le ragioni per le quali reputava di non poter applicare le disposizioni di legge richiamate nonostante tra un albergo ed un residence turistico-alberghiero non sussistesse alcuna effettiva differenza.

Con il secondo motivo si denuncia nullita’ del procedimento e della sentenza per violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 4, nonche’ omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

I giudici di appello non avevano spiegato le ragioni per le quali avevano reputato che il Ma. non avesse diritto a vedersi riconosciute le spese effettuate tra il 1992 ed il 1993 per la manutenzione straordinaria necessarie per rendere funzionale ed agibile il complesso alberghiero.

La Corte territoriale si era limitata a richiamare sul punto le conclusioni cui era pervenuto il consulente tecnico di ufficio, nonostante le puntuali critiche che ad esse erano state formulate dal Ma. .

Questo ultimo aveva precisato che a causa dei lavori necessari per mettere in funzione il complesso turistico-alberghiero, lo stesso era rimasto forzatamente chiuso nei primi due anni (1992 e 1993) e che lo stesso difettava dei piu’ elementari sistemi per l’esercizio della attivita’ di ricezione prevista: quali l’impianto di depurazione dei liquami, quello di riscaldamento, di debatterizzazione e potabilizzazione delle acque, l’impianto del gas, la cabina elettrica, l’impianto antincendio, gran parte degli arredi necessari e tutta la attrezzatura da spiaggia.

Osserva il Collegio: i due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi tra di loro.

Essi sono inammissibili, ancor prima che infondati.

In linea generale, la concessione del godimento di un locale adibito ad esercizio commerciale puo’ integrare affitto di azienda, ovvero locazione di immobile munito di pertinenze, a seconda che, sulla scorta della effettiva e comune intenzione delle parti, in relazione alla consistenza del bene ed a ogni altra circostanza del caso concreto, risulti che l’oggetto del contratto sia un’entita’ organica e capace di vita economica propria, della quale l’immobile configura una mera componente, in rapporto di complementarita’ ed interdipendenza con gli altri elementi aziendali, ovvero sia in via principale l’immobile medesimo, ancorche’ dotato di accessori, come entita’ non produttiva.

L’accertamento di tali criteri ed il risultato della relativa indagine da parte del giudice di merito, e’ incensurabile in sede di legittimita’, se si prospetti immune da vizi logici e giuridici (Cass. 19 luglio 2005 n. 15210).

Con riferimento specifico allo svolgimento di attivita’ alberghiera, tuttavia, occorre tener conto delle disposizioni specifiche dettate dal Decreto Legge 7 febbraio 1985, n. 12, articolo 1, comma 9 septies, convertito nella Legge 5 aprile 1985, n. 118, che stabilisce una sorta di presunzione della natura locativa del rapporto quando la attivita’ del conduttore coincide con la prima destinazione dell’immobile alla attivita’ alberghiera. In tale ipotesi, dunque, si prescinde dalla volonta’ delle parti, ai fini della qualificazione del rapporto.

La giurisprudenza di questa Corte, in proposito, ha affermato che: “Se, indipendentemente dall’intenzione delle parti e dalla obiettiva consistenza dei beni dedotti in contratto, l’attivita’ del conduttore e l’organizzazione dei beni che costituiscono l’azienda coincidono con la prima destinazione dell’immobile all’esercizio della attivita’ alberghiera, ai sensi del Decreto Legge 7 febbraio 1985, n. 12, articolo 1, comma 9 septies – convertito nella Legge 5 aprile 1985, n. 118 – si presume “iuris et de iure” la natura locativa del rapporto, con conseguente applicabilita’ della relativa disciplina (Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 28). Ne consegue che si ha locazione, e non gia’ affiato di azienda, solamente in caso di concessione in godimento di un immobile che, pur essendo attrezzato ad uso alberghiero, non risulti ancora effettivamente gestito dal concedente, a tale stregua difettando l’aspetto dinamico dell’attivita’ d’impresa” (Cass. 19 dicembre 2005 n. 27934).

Il ricorrente ha dedotto la “erroneita’” della decisione impugnata, per avere la stessa ritenuto la sussistenza di un contratto di affitto di azienda anziche’ un contratto di locazione di immobile perche’ la attivita’ alberghiera era stata iniziata dal conduttore ed ha invocato la presunzione di legge di cui alla Legge n. 118 del 1985, articolo 1, comma 9 septies.

Anche questa censura si appalesa inammissibile.

Con accertamento che sfugge a qualsiasi censura in questa sede di legittimita’, in quanto ampiamente e logicamente motivato, la Corte territoriale ha escluso che, nel caso di specie, la attivita’ alberghiera fosse stata iniziata dal Ma. .

La Corte di merito ha aggiunto che non vi era alcun dubbio che nello stesso complesso, in precedenza, fosse stata svolta una attivita’ alberghiera (tant’e’ che lo stesso contratto stipulato fra le parti aveva menzionato l’avviamento fra le componenti dell’azienda affittata).

La valutazione circa l’avvenuto inizio dell’attivita’ alberghiera da parte del conduttore dell’immobile, compiuta ai fini della qualificazione del contratto come locazione di immobile ad uso alberghiero (come tale assoggettata alla disciplina della Legge 27 luglio 1978, n. 392, articoli 27 e 42), che si ha quando l’attivita’ alberghiera sia stata iniziata dal conduttore, secondo la presunzione posta dal Decreto Legge 7 febbraio 1985, n. 12, articolo 1, comma 9 septies, convertito, con modificazioni, in Legge 5 aprile 1985, n. 118, o piuttosto come affitto di azienda, costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimita’ ove sorretta da congrua motivazione, esente da errori di diritto (Cass. 20 aprile 2004 n. 7498).

Nel caso di specie, come e’ stato accertato dalla Corte territoriale, l’azienda affittata aveva prodotto utili gia’ negli anni precedenti alla concessione della licenza (come era risultato dalla consulenza tecnica di ufficio), anche se la stessa aveva raggiunto la piena funzionalita’ solo con il conseguimento delle autorizzazioni definitive.

Tale decisione appare in tutto conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale neppure la mancanza di rilascio della licenza per l’esercizio di una attivita’ alberghiera incide sulla validita’ ed efficacia dell’affitto della relativa azienda da parte del titolare di essa, con conseguente inapplicabilita’ della Legge 5 aprile 1985 n. 118, articolo 1, comma 9 septies, che afferma la locazione di immobile ed esclude l’affitto di azienda in tutti i casi in cui l’attivita’ alberghiera sia stata iniziata dal conduttore (Cass. 26 settembre 2006 n. 20815; cfr. anche, Cass. 17 gennaio 2007 n. 975 e 12 settembre 2000 n. 12030).

Del resto, i giudici di appello hanno tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, pur escludendo un diritto del Ma. al risarcimento dei danni per il solo fatto del mancato rilascio della licenza di esercizio del complesso, hanno accolto tale domanda nei limiti della “differenza fra quello che avrebbe potuto essere il ricavo derivante da una normale, regolare conduzione dell’esercizio – e quello effettivamente comunque conseguito”.

Quanto alle spese, in concreto sostenute dall’attuale ricorrente per la realizzazione di opere funzionali, necessarie ed utili per consentire una piena utilizzazione del complesso alberghiero, i giudici di appello hanno richiamato le risultanze del consulente tecnico di ufficio, il quale aveva escluso il diritto al rimborso per le spese di manutenzione ordinaria e per quelle relative a migliorie.

A fronte di tale, motivata conclusione, il ricorrente invoca la nullita’ del procedimento e della decisione (oltre che contraddittoriamente – la omessa motivazione sul punto), sottolineando che il complesso preso in consegna dal Ma. difettava dei piu’ elementari impianti necessari per la attivita’ di ricezione prevista, con la conseguenza che tutte le spese sostenute dallo stesso avrebbero dovuto essere rimborsate dalla societa’ It. Re. .

Anche queste censure sono inammissibili, poiche’ attraverso la denuncia di vizi della motivazione e di nullita’ del procedimento e della sentenza, il ricorrente finisce per sollecitare una diversa lettura delle risultanze processuali.

Si richiama il consolidato insegnamento di questa Corte, secondo il quale: “La parte che in sede di legittimita’ si duole della acritica adesione del giudice alla consulenza tecnica, pur in presenza di deduzioni comportanti uno specifico esame, non puo’ limitarsi a lamentare genericamente l’inadeguatezza della motivazione, ma, in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione e del carattere limitato del relativo mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare quali siano le circostanze e gli elementi rispetto a cui essa invoca il controllo di logicita’, non potendo limitarsi a richiamare a tal fine un atto del pregresso giudizio di merito, per consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione esaurendosi in tal modo la doglianza nell’invito ad una diversa ricostruzione dei fatti e ad una diversa valutazione delle prove” (Cass. 14 maggio 1998 n. 4848).

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidato come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 6.200,00 (seimiladuecento/00) di cui euro 6.000,00 (seimila/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.