Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 9 agosto 2007, n. 17459

La norma di cui all’art. 2561 comma quarto, cod. civ., che riconosce all’usufruttuario e, per effetto dell’art. 2562 cod. civ., all’affittuario l’indennizzo corrispondente alla differenza tra le consistenze d’inventario all’inizio ed alla fine del rapporto, non è suscettibile di interpretazione analogica, essendo finalizzata esclusivamente ad evitare che colui che subentra ad altri nella titolarità dell’azienda abbia a conseguire indebiti vantaggi collegati all’altrui attività, per cui la relativa disciplina suppone una situazione in cui all’attività d’impresa del precedente titolare usufruttuario faccia seguito il trasferimento dell’azienda ad altro soggetto.

 

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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 9 agosto 2007, n. 17459

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NICASTRO Gaetano – Presidente

Dott. MAZZA Fabio – Consigliere

Dott. TRIFONE Francesco – rel. Consigliere

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

GA. AL., nella sua qualita’ di erede universale di G. A., (deceduto), elettivamente domiciliato in ROMA LARGO G. TONIOLO 6, presso lo studio dell’Avv. MORERA UMBERTO, che lo difende unitamente agli Avv.ti ARNULFO CARLO, ALESSI RICCARDO, giusta delega in atti, il prima con procura speciale del Dott. Notaio SIROLLI MENDARA PULIERI FRANCESCO MARIA in Roma 21/03/2007;

– ricorrente –

contro

GE. AS. s.p.a., IN. VI. s.p.a.;

– intimati –

e sul 2 ricorso n 027 81/04 proposto da:

GE. AS., in persona degli Avv.ti FU. MA. e Dott. FE. AL., rispettivamente Vice direttore e Direttore Aggiunto di As. Ge. s.p.a., elettivamente domiciliata in ROMA VIA ANTONELLI 15, presso lo studio dell’Avv. SCOZZAFAVA OBERDAN TOMMASO, che la difende, giusta delega in atti;

– ricorrente incidentale –

e contro

GA. AL., IN. VI. s.p.a.;

– intimati –

e sul 3 ricorso n 02793/04 proposto da:

IN. VI. s.p.a., in persona del Procuratore Speciale Avv. CHINI SIMONE, elettivamente domiciliata in ROMA VIA G. ANTONELLI 15, presso lo studio dell’Avv. SCOZZAFAVA OBERDAN TOMMASO, che la difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

GA. AL., GE. s.p.a.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3669/03 della Corte d’Appello di ROMA, emessa il 18/12/02, depositata il 31/07/03; R.G. 3620/2000;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/04/07 dal Consigliere Dott. TRIFONE FRANCESCO;

udito l’Avv. MORERA UMBERTO;

udito l’Avv. MARINO PATRIZIA (per delega Avv. Scozzafava Oberdan Tommaso);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCHIAVON Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbiti quelli incidentali condizionati.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione innanzi al Tribunale di Roma del giorno 11 luglio 1996 Ga. Al., nella qualita’ di unico erede del genitore G. A., che in virtu’ di contratto di mandato aveva svolto l’attivita’ di gestione in Roma dell’agenzia generale dell’IN. dal dicembre 1983 al novembre 1992, conveniva in giudizio la suddetta compagnia perche’, accertato che al padre era stata revocato senza giusta causa il suddetto mandato e che era inefficace ai sensi dell’articolo 1341 c.c., la clausola n. 5 del relativo contratto, la societa’ convenuta fosse condannata a pagargli a titolo di risarcimento dei danni la somma di lire cinque miliardi.

L’ IN. si costituiva, contrastava la domanda; otteneva di chiamare in causa la societa’ As. s.p.a., della quale G. A. era stato dipendente, e, per l’ipotesi di accoglimento della domanda proposta nei suoi confronti, in via riconvenzionale chiedeva che l’attore fosse condannato a corrispondere all’IN. la c.d. rivalsa del portafoglio rilevato nella misura da determinare sulla base del risarcimento eventualmente concesso e di quanto analogicamente previsto dall’Accordo Nazionale Agenti del gruppo IN..

Si costituiva la societa’ As. s.p.a., che chiedeva dichiararsi inammissibile la sua chiamata in causa ed inammissibile o infondata la domanda di Ga.Al..

Il Tribunale rigettava la domanda ritenendo che il rapporto contrattuale era cessato non a seguito di recesso dell’IN., ma alla prevista sua scadenza corrispondente al raggiunto limite di eta’ del sessantacinquesimo anno da parte di G. A..

Sulla impugnazione del soccombente – nel giudizio in cui si costituivano la societa’ As. Ge. s.p.a., quale subentrata a titolo universale all’IN., ed interveniva la societa’ IN. Vi. s.p.a., cessionaria del ramo di azienda vita dell’IN. medesima – provvedeva la Corte d’Appello di Roma con la sentenza pubblicata il 31 luglio 2003, che rigettava il gravame, condannava l’appellante alle spese del grado a favore della societa’ As. Ge. s.p.a., compensava per intero le spese nel rapporto tra l’appellante medesimo e l’intervenuta IN. Vi. s.p.a..

Ai fini che ancora interessano i giudici d’appello consideravano, in base all’interpretazione del contratto, che le parti avevano fissato la scadenza del rapporto al compimento del sessantacinquesimo anno da parte del mandatario gerente dell’agenzia, onde non vi era stata la revoca unilaterale dell’incarico ad opera dell’IN..

Ritenevano, di conseguenza, irrilevante la questione relativa alla nullita’ ovvero alla inefficacia ex articolo 1341 c.c., della clausola di esclusione dell’indennizzo a favore del mandatario in caso di risoluzione del rapporto per iniziativa del mandante.

Rilevavano un diritto all’indennizzo non trovava fondamento neppure nella disciplina codicistica di cui all’articolo 2561 c.c., comma 4, articoli 2562, 1725 e 2598 c.c..

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso principale Ga.Al., che ha affidato l’accoglimento dell’impugnazione a cinque motivi.

Hanno resistito con controricorso la societa’ IN. Vi. s.p.a. e la societa’ As. Ge. s.p.a. ed entrambe hanno proposto impugnazione incidentale condizionata sulla scorta di unico motivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi, impugnazioni distinte della medesima sentenza, sono riuniti (articolo 335 c.p.c.).

Con il primo motivo d’impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui agli articoli 1362, 1363, 1269 e 1370 c.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – il ricorrente critica la statuizione del giudice del merito relativa alla ritenuta natura temporale del rapporto di gerenza sino al compimento dei sessantacinque anni da parte del suo dante causa G. A. e sostiene che detto rapporto, invece, sarebbe stato, invece, a tempo indeterminato.

Assume che a detta conclusione la Corte territoriale sarebbe dovuta pervenire in virtu’ di una diversa interpretazione della volonta’ delle parti, che, non limitata all’ambigua e contraddittoria lettera dell’articolo 2 del contratto, avesse tenuto nel debito conto che l’incarico da svolgere necessariamente supponeva un rapporto a tempo indeterminato; che le modifiche migliorative per G. A. di cui alla scrittura in data 12 luglio 1986, non potevano non essere state volute anche oltre il suo sessantacinquesimo anno; che tra G. A. e la societa’ non sussisteva un rapporto di lavoro subordinato assoggettato nella sua durata al limite dell’eta’.

La censura non puo’ essere accolta.

Osserva questa Corte che costituisce principio assolutamente indiscusso che l’interpretazione del contratto e degli altri negozi unilaterali, la quale consiste nell’accertamento della volonta’ dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, la cui valutazione e’ censurabile in Cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche.

Pertanto non puo’ trovare ingresso in sede di legittimita’ la critica della ricostruzione della volonta’ negoziale, operata dal giudice di merito, che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli elementi di fatto gia’ esaminati.

Inoltre, nell’interpretazione delle clausole contrattuali il giudice del merito, allorche’ le espressioni usate dalle parti fanno emergere in modo immediato la comune loro volonta’, deve arrestarsi al significato letterale delle parole e non puo’ fare applicazione degli ulteriori criteri ermeneutici sussidiari, il ricorso ai quali (fuori dell’ipotesi dell’ambiguita’ delle clausole) presuppone la rigorosa dimostrazione dell’insufficienza del mero dato letterale ad evidenziare in modo soddisfacente l’intenzione dei contraenti (ex plurimis: Cass., n. 4849/2006; Cass., n. 7422/2005; Cass., n. 1357/2004; Cass., n. 4085/2001).

Orbene, nella specie, le argomentazioni addotte dal resistente costituiscono, a fronte dell’inequivoco dato letterale della disposizione pattizia quale evidenziato dal giudice del merito, ipotesi paradigmatica di mera quaestio facti, inammissibile in sede di legittimita’, diretta com’e’ ad assegnare valenza a circostanze di segno ben chiaro nell’evidenziare la volonta’ dei contraenti nel senso che il rapporto dovesse avere termine al compimento del sessantacinquesimo anno di G. A..

Ritenuta, pertanto, corretta e non censurabile la definizione del rapporto di gerenza come conferimento d’incarico a tempo definito con la suddetta scadenza, e’ irrilevante, ai fini della decisione della controversia, stabilire se la clausola del contratto, in virtu’ della quale nessun indennizzo sarebbe spettato al mandatario in caso di risoluzione del contratto per iniziativa del mandante, dovesse o meno essere specificamente approvata per iscritto per potersene invocare l’applicabilita’.

Di detta clausola, infatti, non e’ stata invocata l’efficacia ne’ il giudice doveva fare applicazione, per cui non puo’ essere accolto neppure il secondo motivo del ricorso, con il quale il ricorrente, sotto il profilo del vizio di violazione di legge e del vizio di motivazione, denuncia che non sarebbe stato fatto buon – governo della norma di cui all’articolo 1341 c.c..

Con il terzo motivo – deducendo la violazione e la falsa applicazione delle norme di cui all’articolo 2561 c.c., comma 4, e articolo 2562 c.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, – il ricorrente sostiene che il giudice del merito, attesa l’assenza nel contratto di clausole concernenti l’assunzione del rischio del rischio d’impresa a carico del mandatario, avrebbe dovuto equiparare la figura del gerente a quella dell’imprenditore autonomo e, di conseguenza, riconoscere ad G. A. l’indennizzo o il risarcimento spettatigli per l’incremento della consistenza e per il maggiore valore d’avviamento derivati al ramo d’azienda specifico che lo stesso aveva gestito.

La censura non e’ fondata.

Il giudice del merito ha escluso l’applicabilita’, nella specie, della disciplina di cui alle norme di cui all’articolo 2561 c.c., comma 4, e articolo 2562 c.c., considerando, per un verso, che tra le consistenze d’inventario non puo’ farsi rientrare l’avviamento d’impresa, e ritenendo, d’altro canto, che l’attivita’ del gerente dell’agenzia non poteva essere equiparata a quella dell’imprenditore autonomo, dato che il contratto non prevedeva per il gerente l’assunzione del rischio d’impresa collegato ai costi ed all’andamento dell’attivita’ di gerenza.

Lo stesso giudice d’appello, inoltre, ha accertato anche che G. A. non poteva essere qualificato come agente della societa’ di assicurazione e che lo stesso, legato alla controllata As. s.p.a. da rapporto di lavoro con qualifica dirigenziale, era stato posto in aspettativa per il tempo di durata dell’incarico di gerenza presso l’ IN..

Entrambe le rationes decidendi adottate dal giudice del merito sono corrette.

Al riguardo devesi, anzitutto, rilevare, quanto alla figura del gerente di agenzia di assicurazione in economia, che, poiche’ la gestione del portafoglio acquisito dall’agenzia locale della compagnia di assicurazione e’ sempre continuata con mezzi e con personale dipendente dalla medesima impresa di assicurazione, senza coinvolgimento del c.d. gestore nel rischio d’impresa, la esclusione della qualifica di agente per G. A. non puo’ che evidenziare ontologicamente per lo stesso l’assenza della qualita’ di autonomo imprenditore con ogni altro effetto circa l’infondatezza di pretese patrimoniali del tipo di quelle reclamate.

Occorre, inoltre, aggiungere (completando cosi’ la motivazione del giudice di merito quanto all’altra ratio decidendi, che e’ stata basata soltanto sulla considerazione che tra le consistenze d’inventario non puo’ farsi rientrare l’avviamento) che il valore precettivo essenziale della norma dell’articolo 2561 c.c., comma 4, consiste nell’evitare che colui, che subentra ad altri nella titolarita’ dell’azienda, abbia a conseguire indebiti vantaggi collegati all’altrui attivita’, per cui la relativa disciplina suppone una situazione in cui all’attivita’ dell’impresa del precedente titolare usufruttuario faccia seguito il trasferimento dell’azienda ad altro soggetto, situazione di subingresso che nel caso in esame non sussiste, onde della norma suddetta, per tale assorbente valutazione, non puo’ essere ammessa l’estensione analogica.

Con il quarto mezzo di doglianza – deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all’articolo 1725 c.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – il ricorrente sostiene che il giudice del merito avrebbe dovuto, in applicazione della disposizione relativa alla revoca del mandato prima della scadenza del termine, riconoscere ad G. A. il diritto al risarcimento dei danni.

La censura e’ infondata.

In base alla norma dell’articolo 1725 c.c., e’ dovuto il risarcimento del danno qualora il mandato oneroso sia revocato prima della scadenza del termine.

Nel caso in questione non vi e’ stata revoca dell’incarico, ma, siccome e’ stato gia’ rilevato, ma e’ intervenuta la naturale cessazione del rapporto alla prevista sua scadenza.

Con il quinto motivo dell’impugnazione – deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all’articolo 2598 c.c., nonche’ l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – il ricorrente assume che, a seguito della cessazione del rapporto di gerenza, G. A. era venuto a perdere la sua qualita’ di imprenditore e che, per l’effetto, l’ IN., rientrato nel possesso del ramo di azienda e beneficiando degli incrementi patrimoniali e reddituali prodotti dal gerente, si sarebbe in tal modo resa responsabile di un atto di concorrenza sleale in danno del de cuius.

Anche detto ultimo motivo non puo’ essere accolto.

La disciplina, di cui il ricorrente lamenta l’omessa applicazione da parte del giudice di merito, secondo quel che esattamente ha ritenuto l’impugnata sentenza in consonanza con la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo: Cass., n. 6117/2006), riguarda la concorrenza sleale.

Sul tema, la giurisprudenza di questa Corte (Cass., n. 6117/2006; Cass., n. 13071/2003; Cass., n. 5375/2001) ha stabilito che il principio secondo il quale la concorrenza sleale deve ritenersi fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, non configurabile, pertanto, ove manchi il presupposto soggettivo del cosiddetto “rapporto di concorrenzialita’”, non esclude la legittima predicabilita’ dell’illecito concorrenziale anche quando l’atto lesivo del diritto del concorrente venga compiuto da un soggetto (il c.d. terzo interposto) il quale, pur non possedendo egli stesso i necessari requisiti soggettivi (non essendo, cioe’, concorrente del danneggiato), agisca, tuttavia, per conto di (o comunque in collegamento con) un concorrente del danneggiato stesso, essendo egli stesso legittimato a porre in essere atti che ne cagionino vantaggi economici. In tal caso, pertanto, il terzo va legittimamente ritenuto responsabile, in solido, con l’imprenditore che si sia giovato della sua condotta, mentre, mancando del tutto siffatto collegamento tra il terzo autore del comportamento lesivo del principio della correttezza professionale e l’imprenditore concorrente del danneggiato, il terzo stesso e’ chiamato a rispondere ai sensi dell’articolo 2043 c.c..

Orbene, della suddetta regola di diritto non ricorrono le condizioni di applicabilita’ rispetto alla tesi prospettata dal ricorrente, per la quale la societa’ convenuta, ritenendo i vantaggi che alla impresa esercitata sarebbero venuti dall’attivita’ incrementativi di G. A., avrebbe compiuto un atto di concorrenza sleale in danno dello stesso suo gerente.

E’ evidente, invero, come la censura di cui al suddetto motivo del ricorso non solo non specifica secondo quali modalita’ ed in quale misura G. A. abbia posto in essere atti lesivi della concorrenza (in danno, evidentemente, di altro imprenditore commerciale, tale non essendo esso ricorrente); ma neppure tiene conto del fatto che l’eventuale condotta del terzo interposto consistenti in atti di concorrenza sleale avrebbe potuto legittimare solo il danneggiato, che nella specie non poteva essere identificato nello stesso ricorrente, ad agire con domanda ex articolo 2598 c.c..

Il ricorso principale, pertanto e’ rigettato e la pronuncia di rigetto assorbe l’esame delle due impugnazioni incidentali, che la societa’ IN. Vi. s.p.a. e la societa’ As. Ge. s.p.a. avevano proposto condizionatamente all’accoglimento del ricorso principale.

Il soccombente ricorrente e’ condannato a pagare le spese del presente giudizio di legittimita’ liquidate nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale; dichiara assorbiti i ricorsi incidentali condizionati; condanna il ricorrente principale alle spese del giudizio di cassazione, che liquida, a favore di ciascuna delle parti resistenti, in complessivi euro 7.600,00 (settemilaseicento/00), di cui euro 7.500,00 (settemilacinquecento/00) per onorari, oltre spese generali ed accessori come per legge.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.