Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile Sentenza 9 ottobre 2017, n. 23601

In merito alla registrazione del contratto di locazione le Sezioni Unite civile hanno affermato i seguenti principi di diritto:
(A) La mancata registrazione del contratto di locazione di immobili e’ causa di nullita’ dello stesso;
(B) Il contatto di locazione di immobili, quando sia nullo per (la sola) omessa registrazione, puo’ comunque produrre i suoi effetti con decorrenza ex tunc, nel caso in cui la registrazione sia effettuata tardivamente;
(C) E’ nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullita’ vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risultera’ insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione.

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Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile Sentenza 9 ottobre 2017, n. 23601

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f.

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente di Sezione

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sezione

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Presidente di Sezione

Dott. BIELLI Stefano – Consigliere

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere

Dott. MANNA Felice – Consigliere

Dott. TRIA Lucia – Consigliere

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4647/2013 proposto da:

(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 28/12/2012;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/2017 dal Presidente Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’avvocato (OMISSIS) per delega dell’avvocato (OMISSIS);

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

I FATTI

  1. Con atto notificato in data 13 febbraio 2009, la signora (OMISSIS) intimo’ alla (OMISSIS) s.r.l. lo sfratto per morosita’ in relazione a due immobili da lei stessa concessi in locazione ad uso non abitativo con contratto del 20 ottobre 2008 – del quale si era convenuta l’efficacia retroattiva al 1 maggio 2008 contestualmente citando la societa’ conduttrice per la convalida.

1.1. A sostegno della domanda, l’attrice lamento’ il mancato pagamento del canone di Euro 5.500 mensili, cosi’ determinato in ragione di un cd. “atto integrativo” del contratto di locazione formalmente vigente tra le parti, avendo ricevuto dal conduttore la minor somma mensile di Euro 1.200.

1.2. La signora (OMISSIS) specifico’ che, alla data del 20 ottobre 2008, era stato sottoscritto tra le parti un contratto di locazione, registrato in data 4 novembre 2008, il quale prevedeva, all’art.4, un canone annuo di Euro 14.400,00, pari ad Euro 1.200, mensili e, contestualmente, un altro atto, definito accordo integrativo, a sua volta registrato in data 22 gennaio 2009, nel quale, con due distinte clausole (articoli 2 e 3), venivano indicati come dovuti due diversi canoni, entrambi maggiorati rispetto a quello, pari a 1200 Euro, risultante dal contratto registrato il 4 novembre 2008, ma tra loro diversificati nel senso che un primo canone, pari ad Euro 5500 (da intendersi “reale ed effettivo”, in luogo di quello risultante dal contratto concluso in pari data) avrebbe dovuto trovare concreta applicazione nel caso che una o entrambe le parti avessero proceduto alla registrazione dell’accordo integrativo, mentre l’altro, ridotto rispetto a quello definito “reale ed effettivo”, ma a sua volta maggiorato rispetto a quello indicato nel contratto registrato, pari ad Euro 3500, sarebbe stato corrisposto dal conduttore nell’ipotesi di omessa registrazione del medesimo accordo.

1.3. In particolare, l’articolo 2 del detto accordo integrativo prevedeva che “Le parti, di comune accordo, hanno convenuto che il reale ed effettivo corrispettivo della locazione e’ determinato, viceversa, in Euro 66.000 annue, pari a rate mensili di Euro 5.500 cadauna che la conduttrice si obbliga espressamente a corrispondere alla locatrice, in moneta avente corso legale oppure a mezzo bonifico bancario, nel termine essenziale del giorno 15 di ogni mese, considerata la tipologia del locale, nonche’ l’ubicazione”.

1.4. Il successivo articolo 3 del medesimo accordo conteneva la seguente previsione condizionata: “Avendo le parti concordemente stabilito di non sottoporre il presente atto integrativo a registrazione, detto canone resta ridotto ad Euro 42.000 annue pari ad Euro 3.500 mensili per il primo sessennio e ad Euro 50.400 annue pari ad Euro 4.200 mensili per l’eventuale secondo sessennio; resta inteso che qualora una o entrambe le parti dovessero procedere alla registrazione del presente atto integrativo, il canone di locazione da corrispondere sara’ quello stabilito nel suo intero ed iniziale ammontare di Euro 66.000 pari ad Euro 5.500 mensili. Resta, in ogni caso, immutato il termine di scadenza di pagamento mensile del canone di cui al punto precedente”.

  1. La (OMISSIS) s.r.I.,nel resistere alla domanda, sostenne di aver corrisposto il canone dovuto (Euro 1200 mensili), contestando la validita’ dell’accordo integrativo in quanto posto in essere in violazione della L. n. 392 del 1978, articolo 79, oltre che tardivamente registrato.
  2. Il giudice adito, rigettata l’istanza di pronuncia dell’ordinanza ex articolo 665 c.p.c., dispose il mutamento del rito, fissando i termini per il deposito di memorie integrative.

3.1. Con sentenza n. 3123/2011, resa in data 6 dicembre 2011, il Tribunale di Catanzaro escluse l’inefficacia del contratto per intempestiva registrazione, ritenendo tuttavia la nullita’ della pattuizione aggiuntiva, in quanto contenente la illegittima previsione di un aumento automatico del canone, fissando in Euro 1.200 l’importo mensile dovuto dalla conduttrice.

3.2. Cosi’ inquadrata la fattispecie sul piano normativo, il Tribunale rilevo’ poi la tardivita’ del pagamento di due canoni (di novembre e dicembre 2008, rispettivamente pagati il 17 novembre ed il 17 dicembre dello stesso anno), ritenendo conseguentemente operativa la clausola risolutiva espressa contrattualmente pattuita.

3.3. Il contratto fu pertanto dichiarato risolto.

  1. Con ricorso depositato il 6 febbraio 2012, la (OMISSIS) s.r.l. propose appello avverso la sentenza, censurandola nella parte in cui era stato accertato un inesistente inadempimento del conduttore, essendo stato il pagamento dei canoni di novembre e dicembre 2008 disposto con tempestivi bonifici (rispettivamente in data 12 novembre ed 11 dicembre), mentre l’accredito era avvenuto oltre il termine contrattualmente fissato solo a causa di un ritardo imputabile all’istituto di credito; invocata, pertanto, l’operativita’ dei principi di correttezza e buona fede, l’appellante chiese la riforma dell’impugnata sentenza, previa conferma della validita’ del (solo) contratto di locazione stipulato il 20 ottobre 2008.

4.1. L’appellata, nel costituirsi, contesto’ le avverse difese spiegando appello incidentale in ordine alla ritenuta nullita’ della clausola contrattuale n. 2, configurante, a suo dire, non gia’ la previsione di un aumento automatico del canone, ma la determinazione reale del canone di locazione.

  1. La Corte d’appello di Catanzaro, previa sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, con sentenza n. 1281 del 2012,in accoglimento dell’appello incidentale e in parziale riforma della sentenza:

– dichiaro’ risolto per inadempimento della (OMISSIS) s.r.l. il contratto di locazione stipulato tra le parti in data 20 ottobre 2008;

– condanno’ la societa’ al pagamento delle differenze dovute tra il canone corrisposto e quello effettivamente dovuto, pari ad Euro 5.500 mensili, con maggiorazione di interessi legali dalla data di ogni scadenza sino al soddisfo;

– ritenne che, contrariamente alla tesi sostenuta dalla difesa dell’appellante e fatta propria dal Tribunale, “la previsione contrattuale aggiuntiva di cui all’articolo 2 del patto integrativo” registrato prima dell’introduzione del giudizio e ritenuto efficace dal primo Giudice con motivazione espressa e non censurata “valeva a configurarsi alla stregua di controdichiarazione attestante la simulazione relativa del prezzo”, posta in essere per “intuibili scopi di elusione fiscale”;

– osservo’ che, nella specie, non era configurabile un illecito “aumento” del canone, nullo L. n. 392 del 1978, ex articolo 79, in quanto “il complesso regolamento delle rispettive posizioni patrimoniali operato dalle parti conduce(va) a ritenere di essere dinanzi ad un canone di locazione fissato sin da subito in Euro 5.500 mensili: ne fa(ceva) fede il fatto che il contratto sottoscritto il 20 ottobre 2008 facesse retroagire i suoi effetti al primo maggio dello stesso anno, con la previsione di uno sconto in ragione della mancata registrazione dell’effettivo importo contrattuale”.

– affermo’ essersi in presenza di “un contratto sottoposto a condizione sospensiva – pienamente lecita ed anzi imposta afferente alla misura del canone e legata alla registrazione del contratto reale”.

  1. Avverso la sentenza della Corte calabrese la (OMISSIS) s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

6.1. Con il primo motivo viene lamentata la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendosi che il giudice di appello avrebbe esaminato in via preliminare l’appello incidentale spiegato dalla (OMISSIS) di Amato senza chiarire gli “evidenti motivi” cui fa riferimento la sentenza impugnata per spiegare tale scelta, e non avrebbe, di converso, esaminato l’appello principale, violando cosi’ il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato nonche’ l’obbligo di pronunciare su tutta la domanda.

6.2. Con il secondo motivo viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 1362 e 1355 c.c., in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e in particolare censurata la sentenza impugnata per aver ritenuto la validita’ delle clausole contenute negli articoli 2 e 3, dell’atto integrativo al contratto di locazione sulla base di una interpretazione non corrispondente alla reale comune intenzione delle parti, quale invece desumibile da una corretta ricostruzione dell’economia generale dell’accordo che tenesse conto dell’intimo collegamento esistente tra le due clausole. Ad avviso della ricorrente, infatti, non appariva condivisibile l’affermazione dalla Corte d’appello secondo cui il canone di locazione sarebbe stato fissato “sin da subito” in Euro 5.500 mensili, in quanto dalla lettura combinata degli articoli 2 e 3, dell’atto integrativo – la cui analisi era stata colpevolmente e completamente omessa dal giudice di secondo grado – emergeva un accordo che prevedeva: “a) il versamento di somme ulteriori rispetto al canone pattuito nel contratto di locazione; b) la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, comportando variazioni in aumento in relazione ad eventi oggettivi predeterminati del tutto diversi ed indipendenti rispetto alle variazioni annue del potere di acquisto della moneta: previsioni entrambe nulle in ragione di quanto previsto dalla L. n. 392 del 1978, articolo 79”. Erroneo appariva, dunque, il risultato dell’indagine ermeneutica svolta dalla Corte territoriale, che inammissibilmente aveva ravvisato, nella complessa fattispecie sottoposta al suo esame, una struttura negoziale sottoposta a condizione sospensiva – afferente alla misura del canone in relazione alla eventuale registrazione del contratto -, da considerarsi comunque nulla, ex articolo 1355 c.c., in quanto perche’ rimessa alla mera volonta’ della parte locatrice.

6.3. Nella memoria depositata ex articolo 378 c.p.c., inoltre, la ricorrente ha altresi’ dedotto la nullita’ delle pattuizioni di cui all’accordo integrativo alla luce dei principi di diritto affermati da queste stesse sezioni unite con la sentenza n. 18213 del 17 settembre 2015, emessa in epoca successiva al deposito del ricorso, con la quale, in relazione a fattispecie identica a quella di cui si oggi discute, seppure relativa ad una locazione ad uso abitativo, era stata sancita “la nullita’ di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, al di la’ e a prescindere da qualsivoglia elemento esterno all’atto” (cosi’ al folio 13 della memoria di parte ricorrente).

6.4. La signora (OMISSIS) di Amato ha resistito con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilita’ del gravame per violazione dell’articolo 360 bis c.p.c., risultando a suo dire “palese che il provvedimento impugnato abbia deciso le questioni di diritto in modo nettamente conforme alla giurisprudenza di Codesta Suprema Corte”, e non emergendo dai motivi di ricorso alcun elemento utile per mutare l’orientamento della stessa. Ha richiamato all’uopo le sentenze della terza sezione di questa stessa Corte n. 2901 del 9 febbraio 2007 (con la quale venne confermata la pronuncia di merito che aveva ritenuto legittima la pattuizione complessiva iniziale del canone sulla base di quanto stabilito nel contratto e in “una scrittura integrativa in pari data”), n. 2902 del 9 febbraio 2007 (secondo la quale la qualificazione giuridica dell’aumento del canone, se lecita o illecita, era ” rimessa all’apprezzamento di fatto del giudice del merito”) e n. 4210 del 23 febbraio 2007 (a mente della quale, “in materia di contratto di locazione di immobili destinati ad uso non abitativo, in relazione al principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo, la clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive i tempo nell’arco del rapporto, ovvero prevede variazioni in aumento in relazione ad eventi oggettivi predeterminati del tutto diversi ed indipendenti rispetto alle variazioni annue del potere di acquisto della moneta – deve ritenersi legittima, ex articoli 32 e 79, della legge sull’equo canone, salvo che essa non costituisca un espediente diretto a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria – nel qual caso e’ nulla”).

Nel merito, la controricorrente ha altresi’ evidenziato la correttezza dell’interpretazione e della qualificazione giuridica dell’accordo integrativo operata dalla Corte di appello, precisando, a sua volta, ed espressamente, che “a nulla varrebbe obiettare che la registrazione tardiva dell’accordo integrativo sarebbe inutiliter data poiche’ il contratto non registrato sarebbe addirittura inesistente ex articolo 1423 c.c.: in realta’, siffatta prospettazione avrebbe ripercussioni negative non soltanto sugli interessi delle parti ma altresi’ sugli interessi dell’erario. Infatti deve ritenersi che la L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, consenta, analogamente a cio’ che accade in ambito fiscale e con effetti valicanti sul piano civilistico, il ravvedimento dei contraenti che non hanno registrato il contratto. Ergo, il contratto non registrato puo’ essere sanato con la registrazione, e tale sanatoria, alla luce di un’ermeneutica costituzionalmente orientata (v. sentenza di primo grado, richiamata dalla Corte di appello di Catanzaro in nota n. 2 a pag 7) ha efficacia ex tunc”.

6.5. Tali argomentazioni, e tale linea difensiva, sono state sostanzialmente reiterate ed ulteriormente ampliate con le note illustrative (il cui contenuto va testualmente riportato, sia pur in parte qua, per le ragioni di cui piu’ innanzi si dira’), ove si legge (f. 9-10) come “sicuramente non sfugga a questa difesa che le sezioni unite della Corte, in tema di locazione immobiliare abitativa, abbiano stabilito che la nullita’ prevista dalla L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, sanzioni esclusivamente il patto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e resta dovuto il canone apparente; il patto occulto, in quanto nullo, non e’ sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validita’ civilistica. Ma tale principio non e’ applicabile al caso in esame, in primis perche’ il giudizio non verte in tema di locazione immobiliare ad uso abitativo, mentre la disciplina delle locazioni ad uso diverso continua a trovare la sua fonte principale nella L. n. 392 del 1978; inoltre, la norma di cui al citato articolo 13, non e’ applicabile al caso in esame, in quanto nessun patto successivo tendente ad aumentare il canone di locazione e’ stato stipulato tra le parti, ne’ v’e’ stata alcuna imposizione del locatore nei confronti della conduttrice tale da far sorgere l’esigenza di apprestare al contraente debole un adeguato ed effettivo strumento di tutela. Il contratto di locazione e l’atto integrativo non sono e non possono essere intesi come due pattuizioni diverse, bensi’ costituiscono un unico atto e un tutt’uno sin dall’inizio, il primo esistendo in funzione del secondo e viceversa. La volonta’ delle parti era soltanto quella di celare all’erario un prezzo di canone maggiore, attraverso un contratto, simulato solo nel prezzo, perfettamente legittimo e rientrante nella sfera della libera autonomia contrattuale delle parti. Una diversa interpretazione porterebbe all’inevitabile conseguenza che tutti i contratti simulati sarebbero nulli. Il canone, dunque, e’ stato determinato dalle parti di comune accordo sin dall’inizio del rapporto, anche se il contratto e’ stato successivamente registrato. La volonta’ delle parti era ben chiara: entrambe avrebbero risparmiato denaro, la conduttrice pagando una somma notevolmente minore (Euro 3500) a fronte di 5500 mensili” (e cio’ se il contratto non fosse stato registrato) “e la locatrice avrebbe pagato meno tasse”.

  1. All’esito dell’udienza pubblica del 13 aprile 2016, la terza sezione civile di questa Corte, con ordinanza n. 16604 del 5 agosto 2016, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ponendo una questione di massima di particolare importanza “in una materia connotata da diffusissima contrattazione e caratterizzata da un’accentuata litigiosita’”, quale quella concernente i contratti di locazione ad uso diverso da abitazione, che puo’ riassumersi nei termini che seguono:

“Se, in tema di contratti di locazione ad uso diverso da quello di abitazione, nell’ipotesi di tardiva registrazione (anche) del contestuale e separato accordo recante l’importo del canone maggiorato rispetto a quello indicato nel primo contratto registrato, sia configurabile un’ipotesi di sanatoria di tale nullita’, ovvero se anche per le locazioni ad uso diverso da abitazione debba farsi applicazione del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U., 17 settembre 2015, n. 18213, rv. 636471) con riferimento ai contratti di locazione ad uso abitativo, secondo il quale, su di un piu’ generale piano etico/costituzionale, l’esclusione di una qualsivoglia efficacia sanante della registrazione tardiva consente di impedire che dinanzi ad una Corte suprema di un paese Europeo una parte possa invocare tutela giurisdizionale adducendo apertamente ed impunemente la propria qualita’ di evasore fiscale, e sia proprio la Corte di legittimita’ ad affermarne la liceita’”.

7.1. In particolare, si legge nell’ordinanza interlocutoria:

– che, per effetto della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso diverso da abitazione, deve ritenersi legittima la clausola con cui si convenga una determinazione del canone in misura differenziata, crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, purche’ ancorata ad elementi certi e predeterminati (idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale e del tutto indipendenti dalle eventuali variazioni annuali del potere di acquisto della moneta), e sempre che non risulti una sottostante volonta’ delle parti volta in realta’ a perseguire surrettiziamente lo scopo di neutralizzare esclusivamente gli effetti della svalutazione monetaria e ad eludere pertanto i limiti quantitativi posti dall’articolo 32 della legge c.d. sull’equo canone, incorrendo conseguentemente nella sanzione di nullita’ prevista dal successivo articolo 79 (principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita’: per tutte, Cass. 5 marzo 2009, n. 5349 e, di recente, Cass. 24 marzo 2015, n. 5849);

– che,nella specie, la pattuizione “si appalesava in effetti volta a perseguire proprio siffatta finalita’ vietata, unitamente a quella di risparmio fiscale per la locatrice”;

– Che particolare rilievo rivestiva proprio la finalita’ fiscale della vicenda, ricostruita (come affermato dalla Corte d’appello e come in sostanza ammesso dalla stessa locatrice) in termini di pattuizione complessa volta a perseguire e realizzare un’elusione fiscale a vantaggio del locatore, e pertanto costituente un’operazione simulatoria che ne lasciava emergere la “sua intima realta’ di strumento negoziale funzionalmente volto ad eludere i diritti di terzi, ed in particolare del Fisco”.

– che, alla luce della stessa giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’interpretazione dell’intera operazione negoziale, assumeva decisivo rilievo la sua natura sostanziale, della quale sicuro indice rilevatore era anche la causa concreta del negozio, cioe’ lo scopo pratico perseguito dalle parti, che, nella fattispecie in esame, rilevava “come imprescindibilmente connotato dalla vietata finalita’ di elusione fiscale, e, pertanto, conseguentemente affetta da invalidita’”.

– Che, alla luce delle osservazioni di cui al”ordinanza interlocutoria n. 37 del 3 gennaio 2014, che aveva rimesso a queste sezioni Unite (onde rimeditare gli esiti di un precedente orientamento), la questione del significato da attribuire alla L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, la’ dove prevede la nullita’ di ogni pattuizione volta a determinare un importo di canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, le S.U. si erano pronunciate con la sentenza n. 18213 del 2015, operando un radicale revirement nella materia delle locazioni abitative rispetto alla precedente e consolidata giurisprudenza;

– Che, per altro verso, questa Corte, anche a Sezioni Unite, aveva avuto modo di affermare (in diverse fattispecie ma in termini generali), e sia pur con giurisprudenza non uniforme, che “la norma tutelante interessi pubblicistici si profila per cio’ stesso come imperativa ed inderogabile, non soltanto nei rapporti tra privati” e che, pertanto, il patto avente finalita’ di elusione fiscale non poteva riconoscersi come valido ed efficace “impinguendo nella violazione dell’interesse pubblicistico sotteso alla norma fiscale elusa”, cosi’ ponendosi “in contrasto con il generale principio antielusivo desumibile dall’articolo 53 Cost.”, la cui tutela aveva altresi’ trovato riconoscimento nella giurisprudenza di legittimita’ mediante il ricorso alla figura dell’abuso del diritto (Cass. S.U. n. 5520 del 17 giugno 1996, Cass. S.U. n. 6600 del 17 dicembre 1984, Cass., sez. 1, n. 12495 del 17 dicembre 1993, e, nello specifico tema delle locazioni, Cass. sez. 3, n. 1155 del 4 febbraio 1992). L’orientamento contrario era, invece, rappresentato, tra le altre, da Cass. sez. 3, n. 5672 del 22 marzo 2004.

– che, nella identica fattispecie esaminata nel 2015 dalla Sezioni Unite di questa Corte con riferimento alle locazioni ad uso abitativo (in una vicenda ratione temporis non soggetto alla Legge del 2004), era stato comunque posto in rilievo che l’articolo 1, comma 346, prevedeva in termini generali la nullita’ dei contratti di locazione non registrati, e che la Corte costituzionale, investita della questione di costituzionalita’ di tale norma, aveva ritenuto come essa non introducesse ostacoli al ricorso alla tutela giurisdizionale, elevando la norma tributaria al rango di norma imperativa, la cui violazione determinava la nullita’ del negozio ai sensi dell’articolo 1418 c.c..

  1. In ragione di tali riflessioni, l’ordinanza interlocutoria ha posto a queste sezioni unite la questione se, pur al di la’ ed a prescindere dalla violazione della L. n. 392 del 1978, articolo 79, anche per i contratti di locazione ad uso diverso da abitazione debba farsi – in ipotesi di atti negoziali integranti un mero escamotage per realizzare una finalita’ di elusione fiscale – applicazione del principio affermato nella citata sentenza del 2015 con riferimento ai contratti di locazione ad uso abitativo, giungendo cosi’ a formulare la questione poco sopra riportata.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Il ricorso e’ inammissibile quanto al suo primo motivo, mentre risulta fondata la seconda censura.

1.1. L’inammissibilita’ del primo motivo risulta evidente conseguenza della facolta’, per il giudice del merito, di esaminare le questioni di diritto a lui sottoposte nell’ordine che egli ritiene piu’ opportuno, per giungere alla soluzione della vicenda processuale sulla base di quella che viene ritenuta (nella specie, del tutto correttamente) la ragione piu’ liquida (Cass. ss.uu. 26242/2014).

  1. Quanto al secondo motivo di ricorso, si osserva in premessa che le questioni di diritto poste al collegio sono state oggetto di approfondimento e di ampliamento, da parte del ricorrente, in seno alle memorie depositate ex articolo 378 c.p.c., all’esito della pubblicazione della sentenza di queste stesse sezioni unite (Cass. 18123/2015) resa su una analoga questione, in tema, peraltro, di locazioni abitative.

2.1. A tale approfondimento ed ampliamento ha puntualmente ed esaustivamente replicato la controricorrente (cosi’ mostrando di accettare il contraddittorio sulle questioni proposte in extensum dalla controparte), e tanto esime questa Corte dal sottoporre ad entrambe le parti, ex articolo 101 c.p.c., comma 2, le eventuali questioni rilevabili ex officio al fine di consentire “il deposito in cancelleria di quelle (stesse) memorie contenenti osservazioni sulle medesime questioni” (articolo 101, comma 2, ult. parte, nella formulazione L. n. 69 del 2009, ex articolo 45), osservazioni che risultano, nei fatti, gia’ sottoposte all’attenzione del collegio (supra, sub 6.5. della parte espositiva).

3.La questione degli effetti di un tardivo adempimento all’obbligo di registrazione del contratto di locazione deve essere esaminata alla luce di un complesso e talvolta disarmonico quadro normativo.

3.1. Viene in rilievo, in primo luogo, la normativa fiscale che prevede la registrazione del contratto di locazione al Decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, articolo 2, lettera a) e b), e articolo 3, lettera a), (Testo unico sull’imposta di registro), nonche’ all’articolo 5, comma 1, lettera b) della “Tariffa” allegata, parte I, e all’articolo 2 bis, parte II della medesima Tariffa, richiamata dal citato articolo 2. Per quanto di interesse in questa sede, tali disposizioni stabiliscono che sono soggetti a registrazione i contratti di locazione immobiliare, sia se stipulati per iscritto sia se conclusi verbalmente, indipendentemente dall’ammontare del canone, esclusi i contratti di durata non superiore a trenta giorni nell’anno (i quali sono soggetti a registrazione solo in caso d’uso), nonche’ i contratti di comodato conclusi per iscritto.

3.1.1. Ai sensi dell’articolo 17, comma 1, del medesimo D.P.R., come modificato dalla L. 21 novembre 2000, n. 342, articolo 68, la registrazione deve essere effettuata entro trenta giorni dalla data dell’atto o dalla sua esecuzione in caso di contratto verbale.

3.2. L’orientamento giurisprudenziale largamente prevalente di questa Corte ha, in proposito, ripetutamente escluso la nullita’ del contratto a fronte della violazione di una norma tributaria, pur in presenza di alcune pronunce contrastanti con l’orientamento maggioritario, che hanno ritenuto nullo il negozio volto a conseguire un illecito risparmio d’imposta per difetto di causa in concreto, abuso del diritto e/o frode alla legge, evocando all’uopo il generale principio antielusivo desumibile dall’articolo 53 Cost., (a mente del quale “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita’ contributiva. Il sistema tributario e’ informato a criteri di progressivita’”), la cui natura di norma imperativa – e la conseguente sanzione di nullita’ delle manifestazioni di autonomia negoziale con essa confliggenti – e’ stata riconosciuta da questo giudice di legittimita’ fin dalla risalente pronuncia di cui a Cass. ss.uu. n. 6445 del 1985 (sia pur con riguardo al diverso tema della legittimita’ della traslazione degli obblighi fiscali).

3.3. Va ancora evidenziato come la stessa normativa consenta la possibilita’ di una registrazione tardiva anche in caso di decadenza dall’azione di riscossione. A mente del citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 76, comma 5, infatti, “l’intervenuta decadenza non dispensa dal pagamento dell’imposta in caso di registrazione volontaria o quando si faccia uso dell’atto ai sensi dell’articolo 6”, e il sistema tributario consente il c.d. “ravvedimento operoso”, riconoscendo l’attenuazione della sanzione prevista per la violazione delle norme tributarie nei casi ed alle condizioni indicate dal Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, articolo 13.

3.4. Quanto alle imposte sui redditi, con specifico riferimento ai contratti di locazione immobiliare, il Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 41 ter, (inserito nel testo del citato D.P.R., dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, comma 342), al comma 2, stabilisce, a sua volta, che “in caso di omessa registrazione del contratto di locazione di immobili, si presume, salva documentata prova contraria, l’esistenza del rapporto di locazione anche per i quattro periodi d’imposta antecedenti quello nel corso del quale e’ accertato il rapporto stesso”.

3.5. Il principio di tendenziale non interferenza tra le regole di diritto tributario e quelle attinenti alla validita’ civilistica degli atti e’ stato poi recepito dalla stesso legislatore tributario nella L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 10, comma 3, (cd. Statuto dei diritti del contribuente), a mente del quale “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullita’ del contratto”.

3.5.1. Coerentemente, lo stesso L. n. 212 del 2000, successivo articolo 10 bis, (articolo aggiunto legge dal Decreto Legislativo 5 agosto 2015, n. 128, articolo 1), che abroga e sostituisce il Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 37 bis, (gia’ inserito nel testo del citato Decreto del Presidente della Repubblica dal Decreto Legislativo 8 ottobre 1997, n. 358, articolo 7), stabilisce la mera inopponibilita’ all’amministrazione finanziaria dei fatti, degli atti e dei contratti che siano sprovvisti di “sostanza economica” e finalizzati, “pur nel rispetto formale delle norme fiscali” a realizzare “essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”.

3.6. Meritano inoltre di essere ricordati il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 20, dal quale si e’ ulteriormente desunto il principio dell’autonomia dell’interpretazione fiscale del contratto rispetto alla sua interpretazione civilistica (“L’imposta e’ applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”), l’articolo 62 dello stesso decreto (a mente del quale “i patti contrari alle disposizioni del presente testo unico, compresi quelli che pongono l’imposta e le eventuali sanzioni a carico della parte inadempiente, sono nulli anche fra le parti”) e l’articolo 72, il quale specifica la sanzione tributaria conseguente alla “occultazione di corrispettivo” (stabilendo che “se viene occultato anche in parte il corrispettivo convenuto, si applica la sanzione amministrativa dal duecento al quattrocento per cento della differenza tra l’imposta dovuta e quella gia’ applicata in base al corrispettivo dichiarato, detratto, tuttavia, l’importo della sanzione eventualmente irrogata ai sensi dell’articolo 71”).

3.7. In tale quadro si collocheranno, peraltro, diacronici e non consonanti interventi legislativi nella specifica materia locatizia, che, da un lato, hanno previsto nullita’ testuali a presidio dell’osservanza degli obblighi tributari, dall’altro hanno specificato ore rotundo gli effetti della (mancata) registrazione del contratto di locazione.

3.8. La prima novita’ e’ costituita dalla L. 9 dicembre 1998, n. 431, articolo 13, comma 1, a mente del quale “e’ nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione di immobili urbani superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”.

3.9. A distanza di sei anni, il legislatore e’ nuovamente intervenuto con una norma che ha ulteriormente esteso la rilevanza della registrazione in ambito privatistico con riferimento alle locazioni di immobili, ivi comprese quelle ad uso diverso dall’abitazione, stabilendo, con la L. 30 dicembre 2004, n. 311, articolo 1, comma 346, che “i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unita’ immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, essi non sono registrati”.

3.10. Sebbene non piu’ vigente, e’ utile ancora ricordare che il Decreto Legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo municipale), all’articolo 3, commi 8 e 9, aveva previsto un particolare regime in caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione, nonche’ in caso di registrazione di un contratto di comodato fittizio e di una locazione recante un canone inferiore rispetto a quello realmente pattuito: la durata del rapporto avrebbe dovuto essere legalmente rideterminata in quattro anni rinnovabili decorrenti dal momento della registrazione tardiva e il canone annuale veniva predeterminato nella misura del triplo della rendita catastale dell’immobile, ove inferiore a quella pattuita: tali disposizioni sono state successivamente dichiarate incostituzionali, sia pur per eccesso di delega, con sentenza della Corte Cost. 14 marzo 2014 n. 50, e la stessa sorte ha subito il Decreto Legge 28 marzo 2014, n. 47, articolo 5, comma 1 ter, (convertito in L. 23 maggio 2014, n. 80), destinato ad evitare temporaneamente la caducazione degli effetti gia’ prodotti sui contratti di locazione in virtu’ della disciplina di cui alle norme incostituzionali – a sua volta dichiarato incostituzionale con sentenza del 16 luglio 2015 n. 169.

3.11. Le misure adottate dal legislatore nel 2011 sono state, da ultimo, sostanzialmente riproposte con la L. 28 dicembre 2015, n. 208, articolo 1, comma 59, il quale ha novellato la L. n. 431 del 1998, articolo 13, introducendo significative modifiche. Il nuovo testo di tale articolo, oltre a riproporre, al comma 5, quel meccanismo di sanzione della mancata registrazione del contratto di locazione mediante la determinazione autoritativa del canone imposto, di cui al Decreto Legislativo n. 23 del 2011, articolo 3, comma 8, gia’ dichiarato incostituzionale, prevede altresi’ l’obbligo unilaterale del locatore di provvedere alla registrazione del contratto di locazione entro il “termine perentorio di trenta giorni” (comma 1, secondo periodo) stabilendo che, in caso di inottemperanza a tale obbligo, il conduttore possa chiedere al giudice di accertare la esistenza del contratto e rideterminarne il canone in misura non superiore al valore minimo di cui al precedente articolo 2.

  1. La sanzione testuale della nullita’ conseguente alla omessa registrazione introdotta dalla menzionata normativa in materia locatizia, ove intesa in senso conforme alla lettera della legge (conformita’ che, in dottrina e nella giurisprudenza di merito, ha peraltro costituito oggetto di non poche critiche ed oscillazioni interpretative), pone poi il conseguente problema della sanabilita’ del negozio attraverso una tardiva registrazione, da esaminare (anche) alla luce dell’articolo 1423 c.c., in forza del quale “il contratto nullo non puo’ essere convalidato, se la legge non dispone diversamente”.

4.1. Non appare un fuor d’opera, sotto il profilo dell’interpretazione storica della normativa succedutasi nel tempo in subiecta materia, rammentare infine l’antico disposto del R.Decreto Legge 27 settembre 1941, n. 1015, articolo 1, (abrogato dal D.Lgt. 20 marzo 1945, n. 212, articolo 1),

che aveva introdotto la sanzione della nullita’ “di pieno diritto” degli atti di trasferimento immobiliare ove non registrati in termini di legge.

  1. La Corte costituzionale e’ stata piu’ volte investita della questione di legittimita’ costituzionale delle norme volte a riconoscere una rilevanza civilistica al difetto di registrazione degli atti, anche con specifico riferimento a quelle concernenti la materia delle locazioni, sia in relazione alla disciplina introdotta dalla riforma del 1998 che a quella del 2004.

5.1. Dopo la riforma del 1998, la prima pronuncia del giudice delle leggi apparve in linea con i principi tradizionali, attesa la declaratoria di incostituzionalita’ della L. n. 431 del 1998, articolo 7, che poneva, quale condizione per l’esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile locato adibito ad uso abitativo, la dimostrazione, da parte del locatore, della regolarita’ della propria posizione fiscale quanto al pagamento dell’imposta di registro sul contratto di locazione, dell’ICI e dell’imposta sui redditi relativa ai canoni (Corte cost. n. 333 del 2001).

5.2. In seguito, investita della questione di costituzionalita’ della L. n. 431 del 1998, articolo 13, nella parte in cui sancisce, con riferimento ai soli contratti di locazione ad uso abitativo, la nullita’ delle pattuizioni volte a determinare un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato (comma 1) e consente al conduttore di chiedere la restituzione delle somme indebitamente corrisposte (comma 2), il giudice delle leggi, premessa l’esistenza di diversi orientamenti interpretativi (questa Corte, aderendo ad una posizione dottrinaria isolata, aveva interpretato la norma nel senso che essa si limitasse a ribadire la regola della invariabilita’ soltanto in corso di rapporto del canone originariamente pattuito, con una soluzione che eludeva la questione dei rapporti fra norme fiscali e civilistiche e che, come sottolineato dalla dottrina, si risolveva in una sostanziale interpretatio abrogans della disposizione), con l’ordinanza n. 242 del 2004 dichiaro’ la manifesta inammissibilita’ della questione, facendo proprio, sia pur indirettamente, l’interpretazione del giudice di legittimita’.

5.3. In tale contesto, il legislatore, come gia’ ricordato, e’ nuovamente e piu’ incisivamente intervenuto sulla materia con la disciplina di cui alla L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, introducendo expressis verbis una comminatoria di nullita’ conseguente alla mancata registrazione del contratto di locazione, norma peraltro applicabile a tutti i contratti di locazione indipendentemente dall’uso abitativo o meno cui l’immobile sia destinato.

5.4. La Corte Costituzionale sara’ chiamata a pronunciarsi per ben tre volte sulla legittimita’ costituzionale anche di tale norma.

5.4.1. La prima pronuncia, di manifesta infondatezza (ordinanza n. 420 del 2007), evidenzio’ l’inconferenza del parametro costituzionale invocato dal remittente (l’articolo 24 Cost.), stante il carattere sostanziale della norma denunciata. In tale occasione, tuttavia, la Corte affermera’ un principio di particolare importanza, secondo il quale la L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, “non introduce ostacoli al ricorso alla tutela giurisdizionale, ma eleva la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullita’ del negozio ai sensi dell’articolo 1418 c.c.”.

5.4.2. Altra questione di legittimita’ costituzionale della L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, verra’ sollevata in due distinte occasioni dal Tribunale di Napoli in relazione agli articoli 41, 3 e 24 Cost.. In entrambi i casi, la Corte ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione, con riferimento ai parametri 41 e 3 Cost., e manifestamente infondata quanto al parametro dell’articolo 24 Cost., (Corte cost. ord. n. 389 del 19 novembre 2008 e n. 110 del 9 aprile 2009). In particolare, la declaratoria di inammissibilita’ e’ stata fondata, quanto al parametro dell’articolo 3, sul rilievo che il giudice remittente non aveva adeguatamente individuato “i motivi dell’ipotizzata irragionevolezza intrinseca della norma, limitandosi ad indicare, in termini meramente descrittivi, l’ovvia diversita’ delle conseguenze per le parti derivanti dalla previsione della nullita’ del contratto rispetto al regime precedente”, nonche’, quanto al parametro dell’articolo 41, sulla considerazione che nell’ordinanza di remissione non erano state “neppure chiarite le ripercussioni della nullita’ sull’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione finanziaria sotto il profilo della possibilita’ o meno per la stessa di trattenere le somme eventualmente versate a titolo di imposta di registro”, mentre la manifestata infondatezza delle questioni, con riferimento al parametro dell’articolo 24 Cost., e’ stata invece motivata richiamando la motivazione della precedente ordinanza n. 420 del 2007.

5.5. Merita ancora di essere segnalata la sentenza n. 50 del 14 marzo 2014, dichiarativa della illegittimita’ costituzionale del Decreto Legislativo n. 23 del 2011, articolo 3, commi 8 e 9, per eccesso di delega. Tali disposizioni, relative alle sole locazioni ad uso abitativo, prevedevano, come si e’ accennato in precedenza, che dalla mancata registrazione “entro il termine di legge” (specificazione temporale che non e’ invece presente nella L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346) derivassero conseguenze invalidanti per effetto delle quali sorgeva un diverso rapporto locativo, legalmente determinato quanto a durata e misura del canone. Sebbene la pronuncia della Consulta non abbia sottoposto le summenzionate disposizioni allo scrutinio di ragionevolezza (la questione di costituzionalita’ era stata sollevata da diversi Tribunali con riferimento anche ai parametri 3, 23, 41, 42, 53 e 97), stante la assorbente declaratoria di illegittimita’ per eccesso di delega, meritano di essere ricordati due passaggi della motivazione, rilevanti ai fini interpretativi delle norme in tema di contratto di locazione non registrato: da un lato, infatti, la disciplina oggetto di censura viene definita “sotto numerosi profili rivoluzionaria sul piano del sistema civilistico vigente”; dall’altro, dopo aver ricordato che la legge delega (L. n. 42 del 2009) conteneva la prescrizione di procedere all’esercizio della delega nel “rispetto dei principi sanciti dallo Statuto dei diritti del contribuente di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212”, viene richiamato in particolare l’articolo 10 della citata L. n. 212 del 2000, rilevando che “tanto piu’ la mera inosservanza del termine per la registrazione di un contratto di locazione non puo’ legittimare (come sarebbe nella specie) addirittura una novazione – per factum principis – quanto a canone e a durata”.

  1. Appare nondimeno utile, ai fini che occupano il collegio, ripercorrere brevemente le tappe segnate dagli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte sul delicato tema del rapporto fra diritto tributario e diritto privato con riguardo alle conseguenze civilistiche che possono derivare dalle violazioni tributarie.

6.1. In assenza di disposizioni che sancissero testualmente la nullita’ del negozio giuridico elusivo di una norma tributaria, si e’ posta la questione se fosse o meno configurabile una nullita’ virtuale del contratto per frode alla legge (articolo 1344 c.c.) o per violazione di una norma imperativa (articolo 1418 c.c., comma 1).

6.1.1. La risposta della giurisprudenza largamente prevalente e’ stata nel senso di negare che la norma fiscale avesse carattere imperativo – in conseguenza della distinzione tra norme imperative e norme inderogabili, nonche’ del peculiare carattere settoriale dell’interesse sotteso -. Di qui, l’affermazione secondo la quale le norme tributarie, essendo poste a tutela di interessi pubblici di carattere settoriale e non ponendo, in linea di massima, divieti, pur essendo inderogabili, non possono qualificarsi imperative, presupponendo tale qualificazione che la norma abbia carattere proibitivo e sia posta a tutela di interessi generali che si collochino al vertice della gerarchia dei valori protetti dall’ordinamento giuridico (tra le altre, funditus, Cass. sez. 5, n. 11351 del 3 settembre 2001, n. 12128 del 28 settembre 2001, n. 5582 del 18 aprile 2002).

6.2. Pur in presenza di pronunce di segno opposto – le quali, con specifico riferimento alla pratiche societarie di c.d. dividend washing e dividend stripping, hanno ritenuto nullo il contratto che realizzava un illecito risparmio di imposta (Cass. sez. 5, n. 20398 del 21 ottobre 2005, n. 20816 del 26 ottobre 2005, n. 22932 del 14 novembre 2005) -, successive decisioni riaffermeranno nuovamente il tradizionale principio secondo il quale le pattuizioni contenute in un contratto che siano dirette ad eludere, in tutto o in parte, la normativa fiscale, non implicano di per se’ la nullita’ del contratto stesso, trovando nel sistema tributario le relative sanzioni (Cass., sez. 2, n. 4785 del 28 febbraio 2007, nonche’, nella specifica materia delle locazioni ad uso non abitativo, Cass. sez. 3, n. 7282 del 18 marzo 2008).

6.3. Altre decisioni hanno tratto dalla figura dell’abuso del diritto tributario,in tema didividend washing e dividend stripping, la conseguenza della mera inopponibilita’ all’amministrazione finanziaria dell’operazione elusiva, senza spingersi pero’ a dichiarare la nullita’ del negozio (Cass. S.U., n. 30055 del 23 dicembre 2008; Cass., sez. 5, n. 4583 del 25 febbraio 2009).

6.4. E’ stato pertanto riconosciuto, e affermato in larga prevalenza, un principio di non interferenza fra le regole del diritto tributario e quelle attinenti alla validita’ civilistica degli atti, principio che si e’ ritenuto confermato dalla stessa normativa tributaria di contrasto all’elusione fiscale, la quale sancisce la mera inopponibilita’ all’amministrazione finanziaria dei fatti, degli atti e dei contratti che siano sprovvisti di “sostanza economica” e finalizzati, “pur nel rispetto formale delle norme fiscali” a realizzare “essenzialmente vantaggi fiscali indebiti” (cosi’ la L. n. 212 del 2000, articolo 10 bis, aggiunto dal Decreto Legislativo 5 agosto 2015, n. 128, articolo 1, che abroga e sostituisce il Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 37 bis, a sua volta gia’ inserito nel testo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, dal Decreto Legislativo n. 358 del 1997, articolo 7) e rafforzato dalla stessa L. n. 212 del 2000, articolo 10, comma 3, a mente del quale, “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullita’ del contratto”.

6.5. In questo quadro “di sistema” si inserisce la norma che introduce la sanzione della nullita’ di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato nelle locazioni abitative (L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1), della quale la giurisprudenza di legittimita’ adottera’ ancora una volta un’interpretazione stringentemente restrittiva e strettamente civilistica, tale da escludere ogni interferenza tra la regola tributaria concernente l’obbligo di registrazione e la validita’ dell’atto (e cio’ sino all’intervento di queste sezioni unite con la sentenza n. 18213 del 2015), interpretando la disposizione alla luce di un preteso quanto indimostrato principio di immodificabilita’ del canone di locazione abitativa soltanto in corso di rapporto, ed escludendo quindi che essa sanzionasse la diversa ipotesi del patto occulto contestuale alla stipula del contratto di locazione, al quale pertanto veniva riconosciuta validita’ (Cass. n. 16089 del 27 ottobre 2003 e successiva giurisprudenza conforme, tanto di legittimita’ quanto di merito).

6.5.1. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza poc’anzi citata, modificheranno radicalmente tale orientamento, affermando che la nullita’ prevista dalla L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, mentre resta valido il contratto registrato e dovuto il canone apparente; tale patto occulto, si legge ancora in sentenza, in quanto nullo, non e’ sanato dalla registrazione tardiva, vicenda extranegoziale inidonea ad influire sulla testuale (in)validita’ civilistica (la fattispecie, relativa ad una locazione abitativa, era disciplinata dalla L. del 1998, ed era anteriore all’entrata in vigore della L. del 2004, articolo 1 comma 346).

6.5.2. Precisera’, infatti, questa stessa Corte che “non la mancata registrazione dell’atto recante il prezzo reale…, ma la illegittima sostituzione di un prezzo con un altro, espressamente sanzionata di nullita’, e’ colpita dalla previsione legislativa, secondo un meccanismo del tutto speculare a quello previsto per l’inserzione automatica di clausole in sostituzione di quelle nulle: nel caso di specie, l’effetto diacronico della sostituzione e’ impedito dalla disposizione normativa, si’ che sara’ proprio la clausola successivamente inserita in via interpretativa attraverso la controdichiarazione ad essere affetta da nullita’ ex lege, con conseguente, perdurante validita’ di quella sostituenda (il canone apparente) e dell’intero contratto”.

6.5.3. Da tale ricostruzione, che va in questa sede confermata, deriva che nessun rilievo puo’ assumere la successiva registrazione dell’atto contro-dichiarativo recante la pattuizione di un canone maggiore, posto che l’adempimento formale (ed extranegoziale) dell’onere di registrazione di tale patto “non vale a farne mutare sostanza e forma rispetto alla simulazione”, risultando “inidoneo a spiegare influenza sull’aspetto civilistico della sua validita’/efficacia”. Infatti, chiarira’ ulteriormente la sentenza, qualsiasi ricostruzione volta a riconoscere un effetto di sanatoria della registrazione “appare questione del tutto mal posta”, poiche’ “manca proprio l’oggetto (e il presupposto) di tale sanatoria”: cio’ in quanto l’atto negoziale contro-dichiarativo risulta insanabilmente e testualmente nullo per contrarieta’ a norma di legge (da ravvisare nell’articolo 13, comma 1, espressamente volto ad impedire la sostituzione del canone apparente con quello reale convenuto con il patto occulto), restando tale anche a seguito della sopravvenienza di un requisito extraformale ed extranegoziale quale la registrazione.

6.5.4. Oltre che di natura testuale, secondo il ragionamento di queste Sezioni Unite, la riconosciuta, in parte qua, invalidita’ negoziale aveva altresi’ i connotati della nullita’ virtuale, attesa la causa concreta del patto occulto, ricostruita alla luce del precedente procedimento simulatorio, illecita perche’ caratterizzata dalla vietata finalita’ di elusione fiscale e, quindi, insuscettibile di sanatoria (in proposito, autorevole dottrina, non condividendo tale soluzione, ha osservato che il problema del rapporto tra regola tributaria e sistema civilistico sarebbe stato eluso dal questa Corte, alla quale sarebbe “ripugna(to) affermare che la nullita’ del patto potesse derivare dalla mancata registrazione”. La critica non pare cogliere nel segno, volta che una piu’ attenta lettura della sentenza avrebbe consentito di rilevare come, pur non potendo farne applicazione nella fattispecie ratione temporis, il problema, ben lungi dall’essere eluso, venisse affrontato apertis verbis con la precisazione secondo la quale “se la sanzione della nullita’ derivasse dalla violazione dell’obbligo di registrazione, allora sembrerebbe ragionevole ammettere un effetto sanante al comportamento del contraente che, sia pur tardivamente, adempia a quell’obbligo (nel sistema tributario e’ previsto, difatti, il cosiddetto “ravvedimento” Decreto Legislativo n. 471 del 1997, ex articolo 13 comma 1…”, non senza aggiungere, ancora, che la soluzione adottata con riferimento alla L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, aveva il pregio “di porsi in armonia, quoad effecta (anche se non sotto il profilo formale dell’efficacia negoziale della registrazione, predicabile solo a far data dalla L. n. 311 del 2004) con la successiva legislazione intervenuta in subiecta materia”.

6.5.5. Sotto tale, ulteriore profilo, si e’ criticato il ragionamento sviluppato da questa Corte in punto di raccordo tra la disciplina dell’articolo 13, comma 1 e l’istituto della simulazione, osservando che le Sezioni Unite avrebbero accolto un inquadramento “monistico” del fenomeno della simulazione relativa oggettiva, in virtu’ del quale il procedimento simulatorio consterebbe soltanto di accordo di simulare e negozio ostensibile, mentre il patto dissimulato non avrebbe alcuna autonomia strutturale, bensi’ natura di mero strumento probatorio cosi’ che la conseguenza di tale premessa, che nega la sussistenza di un autonomo contratto dissimulato, non potrebbe essere allora la nullita’ riferita alla controdichiarazione, ma dovrebbe essere la nullita’ dell’accordo simulatorio, il cui destino verrebbe invece del tutto sottaciuto”.

6.5.6. Osserva il collegio che tali rilievi, da un canto, prescindono del tutto dal dato normativo, che limita al solo patto di maggiorazione del canone, e non all’intero contratto, la sanzione della nullita’, con conseguente validita’ (e sopravvivenza) ex lege dell’accordo negoziale “depurato” dal patto illecito; dall’altro, sovrappongono indebitamente la morfologia del “patto dissimulato”, di cui si evoca una pretesa “autonomia strutturale”, alla sua funzione, cosi’ ricadendo nell’errore di considerare il procedimento simulatorio caratterizzato da una duplicita’ di strutture contrattuali – caratterizzazione, in realta’, del tutto impredicabile, come condivisibilmente sostenuto dalla piu’ accorta dottrina, volta che la fattispecie disciplinata dagli articoli 1414 e 1417 c.c., e’ fenomenologicamente, prima ancora che giuridicamente, unitaria (di tal che il destino dell’accordo simulatorio, ben lungi dall’essere del tutto sottaciuto, e’ proprio quello scolpito dalla norma che ne sancisce la perdurante validita’ ed efficacia, una volta depurato dal patto controdichiarativo contenente la illegittima maggiorazione del canone).

6.6. Tali considerazioni si segnalano per la loro specifica attinenza alla questione oggi nuovamente sottoposta al collegio con riferimento alle locazioni ad uso diverso da abitazione alle quali sia applicabile ratione temporis la L. n. 311 del 2004, e possono offrire un primo spunto interpretativo nell’analisi della fattispecie in esame.

6.7. Nella motivazione della sentenza del 2015 si rinvengono, difatti, ulteriori indicazioni, definite di carattere storico-sistematico ed etico-costituzionale (queste ultime significativamente enfatizzate dall’ordinanza interlocutoria n. 16604/2016), che richiamano l’attenzione dell’interprete sull’avvenuta introduzione nel nostro ordinamento, nella specifica materia della locazione, di un principio generale di interferenza dell’obbligo tributario con la validita’ negoziale, nonche’ sulla opportunita’ di raggiungere una omogeneita’ di effetti tra le discipline succedutesi nel tempo (in particolare quella del 1998 e quella del 2004) e, infine, sul rilievo etico/costituzionale del corretto adempimento degli obblighi tributari.

6.7.1. In particolare, quanto alle ragioni di tipo storico-sistematico, si legge che “le disposizioni di legge successive al 1998 introducono un principio generale di inferenza/interferenza dell’obbligo tributario con la validita’ del negozio, principio generale di cui e’ sostanziale conferma nel dictum dello stesso giudice delle leggi (Corte cost. 420 del 2007), il che consente di rendere omogenea (sia pur per altra via, che non impinge nell’efficacia delle registrazione) la soluzione adottata con quella scaturente dalla normativa successiva al 1998”. 6.8. La ricostruzione della fattispecie costituita dalla maggiorazione occulta del canone in termini di procedimento simulatorio deve essere, sul piano morfologico – sia pur con le evidenti ed innegabili differenze funzionali tra locazioni abitative e non – in questa sede confermata, anche (e soprattutto) alla luce dei successivi interventi normativi in subiecta materia.

  1. Nella giurisprudenza di merito si registrano soluzioni interpretative assai difformi, che riflettono il dibattito dottrinario emerso a seguito della Finanziaria del 2005, e che possono sostanzialmente ricondursi a tre orientamenti: quello dell’interpretazione antiletterale della nullita’ conseguente alla mancata registrazione, ritenuta condizione di efficacia sanabile ex tunc (Trib. Modena 12 giugno 2006; Trib. R. Emilia; Trib. Firenze 1 aprile 2009; Trib. Bergamo 7 febbraio 2012); quello predicativo della nullita’ sanabile con effetti ex nunc (Trib. Napoli 19 ottobre 2009; Trib. Bari 24 ottobre 201; Trib. Lecce 8 gennaio 2014; TAR Trento, 9.12.2010, n. 230); quello, infine, della nullita’ assoluta ed insanabile (Corte di appello Roma n. 3753 del 24 giugno 2015), mentre la soluzione adottata dal legislatore con la L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, e’ stata accolta, in dottrina, da critiche ad oggi ancora non sopite, quasi tutte tendenzialmente tendenti ad interpretazioni abroganti o, quantomeno, volte a limitare la portata della invalidita’ sancita dalla norma (le soluzioni proposte spaziano dall’ipotesi della nullita’, sanabile o insanabile, a quella, prevalente, della condicio juris, a quella della fattispecie a formazione progressiva, a quella ancora del difetto di un elemento costitutivo del negozio, a quella, infine, della “validita’ o invalidita’ sospesa”).
  2. E’ convincimento del collegio che la soluzione del caso in esame non consenta un’interpretazione diversa da quella che ricostruisce la sanzione legislativa per omessa registrazione in termini di nullita’ sopravvenuta del contratto di locazione per mancanza di un requisito extraformale di validita’. E tale requisito, che opera in guisa di co-elemento esterno di validita’ del negozio, e’ stato introdotto dal legislatore per contrastare tanto l’elusione quanto l’evasione fiscale (e non solo l’elusione o l’evasione dell’imposta di registro, ma anche l’evasione delle imposte dirette da parte del locatore sui canoni riscossi).

8.1. Milita in tal senso, in primo luogo, la chiara lettera della disposizione normativa, cosi’ che risulterebbe innegabile la forzatura di ogni opzione interpretativa volta a discostarsi da essa, ritenendo (assai sbrigativamente quanto assai poco convincentemente) che il legislatore sia incorso in un lapus calami, adottando in senso del tutto atecnico un termine che, nella teoria del contratto, ha un significato ben definito e non equivoco.

8.2. In secondo luogo,la norma in parola non solo ha reiterato la qualificazione del vizio in quegli stessi termini di nullita’ gia’ utilizzati dalla L. n. 431 del 1998, articolo 13, con riferimento alle sole locazioni ad uso abitativo, ma ne ha anche ampliato l’incidenza, estendendola a tutti i contratti di locazione, e altresi’ riferendola all’intero contratto e non soltanto al patto occulto di maggiorazione del canone.

8.3. Decisivo risulta, in terzo luogo, l’inequivoco dictum della Corte costituzionale,a mente del quale, come piu’ volte rammentato, l’articolo 1, comma 346, eleva la norma tributaria al rango di norma imperativa, la violazione della quale determina la nullita’ del negozio ai sensi dell’articolo 1418 c.c..

8.3.1. Nella pronuncia del 2007, il giudice delle leggi opera, peraltro, un generico richiamo all’articolo 1418 c.c., senza precisare quale comma di tale articolo verrebbe in rilievo nel caso specifico, ossia se si tratti di una nullita’ virtuale ai sensi dell’articolo 1418 c.c., comma 1, ovvero di una nullita’ testuale ai sensi del comma 3 del medesimo articolo. In considerazione dell’esplicito riferimento al rango di norma imperativa che la disposizione dell’articolo 1, comma 346, avrebbe conferito alla norma tributaria sull’obbligo di registrazione, potrebbe, difatti, ipotizzarsi che la Corte abbia inteso riferirsi ad una fattispecie di nullita’ virtuale, anche se cio’ potrebbe apparire prima facie incongruo, essendo la comminatoria di nullita’ sancita in modo espresso da una norma di legge (nullita’ testuale), onde l’apparente irrilevanza della qualificazione della disposizione sull’obbligo di registrazione in termini di norma imperativa o meno.

8.3.2. Ma la scelta terminologica adottata dalla Corte costituzionale potrebbe assumere, ad una piu’ attenta riflessione, una duplice valenza: da un lato, quella di ribadire che proprio di nullita’ si discorre nella norma (e non gia’ di inefficacia o di altre fattispecie ipotizzate in dottrina e nella giurisprudenza di merito); dall’altro, quella di affermare che comunque, al di la’ della nullita’ testuale ivi sancita, la norma tributaria ha assunto per il legislatore carattere imperativo, quantomeno con riferimento ai contratti indicati dal cit. articolo 1, comma 346, con conseguente loro nullita’ (anche) virtuale in caso di omessa registrazione, anche quando non ricorra la specifica ipotesi riconducibile nell’alveo della nullita’ testuale – considerazione, quest’ultima, che, per quanto si dira’ piu’ avanti, potrebbe rilevare con riferimento al caso, propriamente oggetto della questione sollevata dall’ordinanza interlocutoria n. 16604/2016, di doppia pattuizione del canone, l’una indicata in un contratto simulato e registrato, l’altra (maggiore) specificata in un atto dissimulato e non registrato.

  1. Come piu’ volte rammentato, questa stessa Corte, pronunciandosi in tema di locazioni ad uso abitativo soggette ratione temporis ad altra disciplina normativa (la L. n. 431 del 1998, articolo 13), e stabilendo che il patto occulto di maggiorazione del canone e’ nullo e che tale nullita’ non e’ sanata dalla registrazione tardiva, in quanto quest’ultima, in quella fattispecie (locazione stipulata ante 2004, e soggetta alla sola disciplina dell’articolo 13 cit.), costituiva un fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla (in)validita’ civilistica della fattispecie, ha poi specificato come la sanzione di nullita’ derivasse non dalla mancata registrazione, bensi’ dalla (diversa) vicenda endonegoziale costituita dalla illegittima sostituzione di un prezzo con un altro, espressamente sanzionata di nullita’ – mostrando cosi’ di ritenere, sia pur implicitamente, la L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, senz’altro idoneo ad incidere a sua volta, ed autonomamente, sul negozio civilistico in termini di (in)validita’, in consonanza con il dictum del giudice delle leggi di cui alla ordinanza n. 420 del 2007.
  2. La stessa ordinanza interlocutoria che ha rimesso a queste Sezioni Unite la questione non sembra dubitare che la stipulazione oggetto della controversia al suo esame, in considerazione della causa concreta che la caratterizza, si riveli come imprescindibilmente connotata dalla vietata finalita’ di elusione fiscale, e pertanto conseguentemente affetta da invalidita’. Pur ravvisando una evidente fattispecie di nullita’ nella pattuizione de qua, il collegio remittente sembra altresi’ ricollegare tale invalidita’ allo scopo pratico perseguito dalle parti (Le. alla sua causa concreta), in quanto in contrasto con il generale principio antielusivo desumibile dall’articolo 53 Cost., piuttosto che alla previsione della L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, la quale viene menzionata solo indirettamente, operando cosi’ un riferimento alla fattispecie della nullita’ virtuale, e non (solo) testuale, dettata dalla norma ora citata.
  3. La ricostruzione in termini di vera e propria nullita’ testuale sancita dall’articolo 1, comma 346 cit. resiste poi, ad avviso del collegio, alle molteplici critiche, pur efficacemente e suggestivamente argomentate, mosse da autorevole dottrina anche successivamente alle menzionate pronunce della Corte costituzionale (ord. n. 420 del 20007) e delle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 18213 del 2015).

11.1. In particolare, non sembra dirimente il rilievo secondo il quale la nullita’, in ossequio ai principi del codice civile, andrebbe riferita ai vizi riguardanti l’iter formativo e costitutivo dell’atto negoziale, essendo stato condivisibilmente osservato che esistono nel nostro ordinamento anche altre ipotesi di nullita’ derivanti da un difetto extragenetico attinente ad elementi estrinseci e successivi rispetto alla formazione del contratto, tali da indurre ad una rivisitazione della categoria tradizionale della nullita’ (un esempio e’ offerto dall’articolo 67 septiesdecies del codice del consumo, di cui al Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206, che prevede la nullita’ del contratto se il fornitore ostacola l’esercizio del diritto di recesso da parte del contraente, non rimborsa le somme da questi eventualmente pagate o viola gli obblighi di informativa precontrattuale; o ancora dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 46 e 47, che, in tema di compravendita immobiliare stipulata in violazione di norme edilizie che impongono alle parti specifiche dichiarazioni o allegazioni urbanistiche, discorrono di atti nulli “che possono essere confermati” e di atti nulli “non convalidabili”).

11.2. Neppure giova richiamare il tradizionale orientamento sul principio di non – interferenza delle violazioni di carattere tributario rispetto alla validita’ del contratto, elevato a regola positiva dalla statuto dei diritti del contribuente (L. n. 212 del 2000, articolo 10, comma 3), volta che, al di la’ di ogni considerazione sulla effettiva portata di tale norma, la disposizione dell’articolo 1, comma 346, della Finanziaria 2005, circoscritta al solo ambito delle locazioni (e dunque lex specialis), non costituisce una prescrizione di esclusivo carattere tributario, ma introduce un regola di diritto civile, comminando una speciale nullita’ nei rapporti tra privati, sia pure per effetto di una violazione di carattere tributario, come autorevolmente sostenuto dallo stesso giudice delle leggi.

11.3. Le stesse riflessioni critiche che fan leva sulla ragione fiscale la quale resterebbe insoddisfatta dalla ricostruzione della norma in termini di nullita’ (in ipotesi, insanabile) – non risulta di per se’ decisiva, ben potendo il legislatore, nella sua discrezionalita’ politica, scegliere di adottare una disposizione normativa caratterizzata da finalita’ preventive e dissuasive, rendendo non conveniente alle parti di omettere la registrazione salvo provvedervi in caso di sopravvenuto conflitto tra gli stessi contraenti, cosi’ prefiggendosi (come e’ stato condivisibilmente osservato) un obiettivo conformativo ben piu’ ambizioso rispetto a quello conseguibile dalle eventuali sanatorie a posteriori, circoscritte alle ipotesi di contenzioso tra le parti.

11.4. Con riguardo, infine, alla disposizione di cui alla stessa L. n. 311 del 2004, comma 342, la quale presuppone espressamente l’esistenza del rapporto di locazione, in caso di omessa registrazione, per i quattro anni anteriori a quello in cui il rapporto e’ stato accertato, appare poi condivisibile l’osservazione che ne evidenzia la natura, questa si, di disposizione esclusivamente tributaria, volta cioe’ ad assicurare una adeguata entrata fiscale a fronte della riscontrata evasione, senza alcun effetto di diritto civile.

  1. Vanno pertanto riaffermati, sul piano dell’analisi morfologica della fattispecie, i principi affermati da queste sezioni unite con la piu’ volte citata sentenza del 2015 in tema di locazioni abitative, predicativi della natura di procedimento simulatorio della vicenda negoziale volta ad occultare la maggiorazione convenzionale del canone.
  2. Occorre ora indagare il tema, del tutto speculare, delle locazioni non abitative volta che le parti, oltre od a prescindere dalla registrazione del contratto, ovvero nonostante essa, abbiano concordato un certo canone, dichiarandone pero’ un altro.

13.1. Va osservato, in premessa, che, sul piano funzionale, le fattispecie locative sembrerebbero differenziarsi a seconda che il rapporto contrattuale abbia o meno carattere abitativo.

13.2. Con riguardo alle locazioni non abitative, difatti, potrebbe rilevarsi, prima facie, la mancanza di una norma espressa che sancisca la nullita’ testuale del patto di maggiorazione del canone, come invece espressamente previsto dalla L. n. 492 del 1998, articolo 13, per le locazioni abitative.

13.2.1. Per esse, la sanzione di nullita’ del (solo) patto di maggiorazione – che, attesane la natura di controdichiarazione dissimulatoria (al di la’ ed a prescindere dalla forma negoziale di volta in volta assunta), ne impedisce il dispiegarsi degli effetti – non si estende, difatti, all’intero contratto (se registrato), che resta, pertanto, valido ed efficace, ai sensi del citato articolo 13, salva, dopo il 2004, la nullita’ del contratto tout court per omessa registrazione.

13.2.2. Tale previsione normativa non e’ stata espressamente estesa, dal legislatore del 1998, alle locazioni non abitative, in relazione alle quali, pertanto, non risulterebbe apparentemente predicabile alcuna nullita’ testuale dell’accordo di maggiorazione occulta del canone.

13.3. Il procedimento simulatorio, costituito dall’accordo tra le parti (che ne consacra e ne cristallizza l’incontro delle volonta’ volto a stipulare una locazione con prezzo fittizio) e dall'(unica) convenzione negoziale (i.e. il contratto di locazione), perfetta in ogni suo elemento, il cui oggetto (il prezzo) simulato risulta essere diverso alla luce della controdichiarazione contenente l’oggetto (il prezzo, non il negozio) dissimulato, risulterebbe, pertanto, prima facie “neutro” (come accade per ogni vicenda di simulazione relativa, rispetto alla quale il legislatore del ‘42 adottera’ un atteggiamento felicemente definito agnostico dalla dottrina), sul piano tanto volontaristico, quanto causale (salvo quanto ancora si dira’ sull’intento evasivo/elusivo del locatore), proprio per l’assenza di una norma che sancisca la nullita’ del patto controdichiarativo di maggiorazione del canone.

La nullita’ e’, di converso, stabilita per l’intero contratto (e non per il solo patto controdichiarativo), in conseguenza non gia’ di un vizio endonegoziale, ma (della mancanza) di un requisito extraformale costituito dall’omissione della registrazione del contratto.

13.4. Questa stessa Corte, con la sentenza del 2015, aveva avuto modo di affermare che, se la sanzione della nullita’ derivasse dalla sola violazione dell’obbligo di registrazione, allora sembrerebbe ragionevole ammettere un effetto sanante al comportamento del contraente che, sia pur tardivamente, adempia a quell’obbligo.

Si pone allora, come prima questione, quella della configurabilita’ di una possibile sanatoria a seguito della tardiva registrazione di un (qualsivoglia) contratto di locazione che contenga l’indicazione del canone reale, come convenuto fin ab origine tra le parti.

  1. In tale prospettiva, occorre preliminarmente verificare se una tardiva registrazione possa dirsi legittima.

La normativa tributaria sembra offrire una risposta positiva al quesito, considerato che il termine di trenta giorni previsto per assolvere al pagamento dell’imposta di registro non e’ qualificato come perentorio (Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 17, comma 1, come modificato dalla L. 21 novembre 2000, n. 342, articolo 68) e che l’articolo 38, dello stesso decreto, prevede che “la nullita’… dell’atto non dispensa dall’obbligo di chiedere la registrazione e di pagare la relativa imposta”. E’ inoltre prevista la possibilita’ di una registrazione volontaria tardiva anche in caso di decadenza dall’azione di riscossione (citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 76, comma 5), ed e’ lo stesso sistema tributario a consentire il c.d. “ravvedimento operoso”, riconoscendo l’attenuazione della sanzione prevista per la violazione delle norme tributarie nei casi ed alle condizioni indicate dal Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, articolo 13.

14.1. Resta da valutare se un ostacolo alla possibilita’ di tardiva registrazione sia stato introdotto a seguito della novella della L. n. 431 del 1998, articolo 13, come recentemente modificato dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, articolo 1, comma 59, (c.d. legge di stabilita’ 2016), laddove e’ stato previsto l’obbligo unilaterale del locatore di provvedere alla registrazione del contratto di locazione entro il termine perentorio di trenta giorni (comma 1, secondo periodo dell’articolo 13 cit.) stabilendosi altresi’ che, in caso di inottemperanza a tale obbligo, il conduttore possa chiedere al giudice di accertare la esistenza del contratto e rideterminarne il canone in misura non superiore al valore minimo di cui al precedente articolo 2.

  1. Valutando complessivamente tale disposizione, peraltro dettata con esclusivo riferimento alle locazioni ad uso abitativo, non sembra che da essa possa desumersi l’introduzione di una generalizzata “perentorieta’” del termine per la registrazione previsto dalla normativa tributaria, considerato che la perentorieta’ del termine sembra circoscritta alla condotta del solo locatore, ed esclusivamente al fine di far operare la correlata possibilita’ per il conduttore di ottenere la conformazione del contratto (altrimenti nullo perche’ non registrato nel termine) al canone autoritativamente predeterminato, come previsto dalla nuova disposizione. Ma cio’, si ripete, per i soli contratti di locazione ad uso abitativo.
  2. Ritenendo, pertanto, non illegittima una registrazione tardiva, sembra coerente riconoscere a tale adempimento tardivo l’effetto di sanare la nullita’ sancita dal comma 346 della Finanziaria 2004, attesone il carattere:

– sul piano morfologico, di nullita’ per difetto di un coelemento di validita’ extranegoziale

– sul piano funzionale, di invalidita’ da inadempimento (dell’obbligo di registrazione).

  1. Tale soluzione si pone in linea con quanto condivisibilmente affermato da quella dottrina che propone una lettura restrittiva dell’articolo 1423 c.c., limitata alla insanabilita’ del negozio nullo salvo convalida, cosi’ che (al di la’ dell’improprieta’ del termine adottato dal legislatore del 1942, essendo l’effetto di convalida predicabile con riferimento al solo negozio annullabile, del quale e’ destinato a fissarne definitivamente l’efficacia gia’ temporaneamente e provvisoriamente prodottasi fin dalla conclusione del contratto), la norma non puo’ ritenersi ostativa alla (eccezionale) ammissibilita’ di altre ipotesi di cd. sanatoria (ovvero di “recupero” degli effetti negoziali, come piu’ correttamente proposto da altra dottrina) delle nullita’ contrattuali (ne testimonierebbero la legittimita’ alcune fattispecie previste dallo stesso codice, come la conferma delle disposizioni testamentarie e delle donazioni nulle; il matrimonio putativo; l’esecuzione del contratto di lavoro nullo; la cosiddetta pubblicita’ sanante ex articolo 2652 c.c., n. 6; la sanatoria delle nullita’ delle deliberazioni assembleari di s.p.a. per mancanza del verbale, emendabile mediante verbalizzazione che preceda la successiva assemblea con effetto ex tunc; l’obbligo dell’assicuratore di pagare l’indennizzo anche quando il contratto sia nullo, perche’ stipulato in assenza di autorizzazione all’esercizio, ex articolo 167, comma 2, Cod. ass.).
  2. Puo’, pertanto, concludersi che il contratto di locazione ad uso non abitativo (non diversamente, peraltro, da quello abitativo), contenente ab origine la previsione di un canone realmente convenuto e realmente corrisposto (e dunque, in assenza di qualsivoglia fenomeno simulatorio), ove non registrato nei termini di legge, e’ nullo ai sensi della L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, ma, in caso di sua tardiva registrazione, da ritenersi consentita in base alle norme tributarie, sanabile, volta che il riconoscimento di una sanatoria “per adempimento” appare coerente con l’introduzione nell’ordinamento di una nullita’ (funzionale) “per inadempimento” (entrambi i termini da intendersi, come ovvio, in senso diverso da quello tradizionalmente riservato al momento esecutivo del rapporto negoziale).

18.1. E’ difatti innegabile che, nel caso di specie, l’interprete sia chiamato a confrontarsi con una vicenda di nullita’ efficacemente definita impropria o atipica – a tacer d’altro perche’ il contratto produce i suoi effetti almeno fino a trenta giorni dalla sua stipulazione, termine ultimo per effettuare la registrazione, per poi assumere la qualificazione negativa sancita dal legislatore, mentre l’ammissibilita’ di un effetto di sanatoria troverebbe ulteriore conferma nella interpretazione sistematica delle norme di registro, e, segnatamente, di quelle sulla registrazione d’ufficio (Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articoli 15 e 65).

  1. La conseguente questione che si pone, all’esito del riconoscimento, alla registrazione tardiva, di un effetto sanante, e’ quella se tale effetto operi una reviviscenza del contratto con effetti retroattivi o meno.

19.1. La evidente anomalia della vicenda, che diacronicamente alterna una fase di piena validita’ ed efficacia del rapporto contrattuale ad una in cui subentra la totale invalidita’ ed inefficacia proprie della disciplina della nullita’, in assenza di significativi indici normativi che possano indirizzare l’interprete verso l’una o l’altra soluzione (la sola fattispecie di sanatoria ove viene sancita espressamente la retroattivita’ e’ quella di cui all’articolo 2379 bis c.c., in tema di verbali assembleari di societa’), induce a ritenere che l’effetto sanante sia destinato a retroagire alla data della conclusione del contratto (in termini, di recente, Cass. sez. III n. 10498 del 2017).

19.1. L’effetto di sanatoria con efficacia retroattiva consente, difatti, di stabilizzare definitivamente gli (assai instabili) effetti del contratto, assicurando piena tutela alla parte debole del rapporto, volta che il conduttore non sara’ esposto ad azioni di rilascio, godra’ della durata della locazione come prevista ab origine nel contratto (e non dalla data della registrazione che, intervenendo a distanza di tempo dalla stipulazione, ne abbrevierebbe significativamente quanto arbitrariamente i termini di scadenza), conservera’ il diritto all’avviamento, quello alla prelazione, ed ancora quello alla libera trasferibilita’ dell’azienda e del contratto.

19.2. Una diversa opzione, collocando il dies a quo della convenzione negoziale soltanto alla data della registrazione (lasciandone inalterato il dies ad quem), finirebbe poi per contrastare con la stessa disciplina legale della durata del contratto, ponendosi al di fuori della stessa ratio della sanatoria, che finirebbe per creare un impredicabile effetto di novazione del contratto originario (indirettamente) per factum principis.

  1. Resta ora da esaminare se tale conclusione possa estendersi anche al caso che oggi occupa la Corte, e cioe’ all’ipotesi in cui la fattispecie concreta sia costituita da un accordo simulatorio cui consegua non gia’ la tardiva registrazione dell’intero contratto che preveda, ab origine, la corresponsione del canone reale, ma quella del solo patto dissimulato (raccordo integrativo” del caso di specie) volto ad occultare un canone maggiore, dopo che il contratto contenente il canone simulato sia stato a sua volta e previamente registrato, sulla premessa per cui la sanatoria da tardiva registrazione elimina soltanto la nullita’ (testuale) sopravvenuta, lasciando impregiudicata la sorte del contratto qual era fino alla violazione dell’obbligo di registrazione (inidonea a spiegare efficacia sanante su di una eventuale nullita’ da vizio genetico).

La eventuale sanatoria della nullita’ sopravvenuta, in altri termini, non esime l’interprete dall’esaminare il contratto nel suo status quo ante.

  1. Tanto la giurisprudenza quanto la dottrina che hanno affrontato il tema della nullita’ introdotta dall’articolo 1, comma 346 cit. hanno, difatti, trattato le connesse problematiche senza distinguere tra le ipotesi di totale omissione della registrazione del contratto contenente ab origine l’indicazione del canone realmente dovuto (in assenza, pertanto, di qualsivoglia procedimento simulatorio) e quelle di simulazione del canone con registrazione del solo contratto simulato recante un canone inferiore, cui acceda il cd. “accordo integrativo” con canone maggiorato (ipotesi alla quale potrebbe ancora aggiungersi quella della mancata registrazione dello stesso contratto contenente il canone simulato, oltre che del detto accordo integrativo).
  2. E’ convincimento del collegio che le due fattispecie non consentano di pervenire ad una soluzione omogenea.

Sul piano tanto morfologico, quanto (e soprattutto) su quello funzionale, difatti, le due vicende negoziali sono caratterizzate da evidenti dissonanze, volta che:

22.1. il contratto non registrato in toto, contenente l’indicazione del reale corrispettivo della locazione, e’ “sconosciuto” all’Erario dal punto di vista fiscale e nullo dal punto di vista civilistico in virtu’ di una testuale previsione normativa che ricollega la sanzione di invalidita’ al comportamento illecito (l’inadempimento all’obbligo di registrazione). Sanata l’invalidita’ successivamente alla stipula del contratto attraverso la registrazione tardiva,cio’ che rileva e’ proprio (e solo) l’oggettiva tardivita’ dell’assolvimento dell’obbligo tributario,ed e’ proprio (e solo) tale inadempimento ad essere sanzionato, al di la’ ed a prescindere dalla circostanza che esso sia o meno riconducibile all’accordo negoziale delle parti, potendo dipendere dalla scelta di uno solo dei contraenti e finanche da un impedimento alla tempestiva registrazione o da una mera incuria; in altri termini, in tale ipotesi non viene in rilievo un vizio genetico dell’atto, ma la mancata attuazione di un obbligo ad esso conseguente, in relazione al quale ben puo’ ricavarsi dal sistema la possibilita’ di un adempimento tardivo, che integri diacronicamente la fattispecie con il necessario co-elemento esterno di validita’, costituito dal requisito extra formale della registrazione, con effetti sananti dal momento in cui l’atto stesso e’ stato posto in essere.

22.2. Diverso e’ il caso di un contratto debitamente registrato, contenente un’indicazione simulata di prezzo, cui acceda una pattuizione a latere (di regola denominata “accordo integrativo”, come nel caso di specie), non registrata e destinata a sostituire la previsione negoziale del canone simulato con quella di un canone maggiore rispetto a quello formalmente risultante dal contratto registrato. Appare inevitabile la riconduzione di tale fattispecie nell’orbita dell’istituto della simulazione, in sintonia con quanto affermato da queste stesse Sezioni Unite con riferimento alla speculare (e in parte qua del tutto sovrapponibile) vicenda delle locazione ad uso abitativo. Il (medesimo) procedimento simulatorio si sostanzia, difatti, sul piano morfologico, in un previo accordo simulatorio e in una successiva, unica convenzione negoziale, tanto nell’ipotesi di simulazione assoluta (assenza di effetti negoziali) quanto di simulazione relativa (produzione di effetti diversi da quelli riconducibili al negozio apparente), mentre la cd. controdichiarazione non e’ altro che uno strumento probatorio idoneo a fornire la “chiave di lettura” del negozio apparente, caratterizzata dalla sua eventualita’ e dalla irrilevanza della contestuale partecipazione alla sua stesura di tutti i soggetti protagonisti dell’accordo – tanto che l’atto contro dichiarativo puo’ anche provenire da uno solo di essi, e sostanziarsi in una dichiarazione unilaterale, percio’ solo priva di ogni veste contrattuale. Sicche’ non appare corretto, in punto di diritto, va ripetuto, discorrere di contratto simulato e contratto dissimulato come di due diverse e materialmente separate convenzioni negoziali (ne’ tantomeno appare corretto ricondurre il cd. negozio dissimulato alla controdichiarazione, come talora si suole affermare). Ebbene, proprio tale accordo simulatorio, in quanto volto a celare un canone maggiore rispetto a quello indicato nel contratto scritto e registrato, disvela la finalita’ di elusione ed evasione fiscale che un simile patto e’ funzionalmente destinato a realizzare e, dunque, la sua causa concreta, da intendersi quest’ultima nella piu’ moderna nozione di scopo pratico del negozio, sintesi, cioe’, degli interessi che lo stesso e’ concretamente diretto a realizzare, quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di la’ del modello astratto utilizzato. Osservata da tale prospettiva, la fattispecie della simulazione (relativa) del canone locatizio risulta affetta da un vizio genetico, attinente alla sua causa concreta, inequivocabilmente volta a perseguire lo scopo pratico di eludere (seppure parzialmente) la norma tributaria sull’obbligo di registrazione dei contratti di locazione. Se tale norma tributaria si ritiene essere stata elevata a “rango di norma imperativa”, come sembra suggerire l’evoluzione normativa e giurisprudenziale piu’ recente e come precisato dalla stessa Corte costituzionale, deve concludersi che la convenzione negoziale sia intrinsecamente nulla, oltre che per essere stato violato parzialmente nel quantum l’obbligo di (integrale) registrazione, anche perche’ ab origine caratterizzata da una causa illecita per contrarieta’ a norma imperativa (ex articolo 1418 c.c., comma 1), tale essendo costantemente ritenuto lo stesso articolo 53 Cost. – la cui natura di norma imperativa (come tale, direttamente precettiva) e’ stata, gia’ in tempi ormai risalenti, riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 5 del 1985; Cass. ss. uu. n. 6445 del 1985). In tale ottica, acquista una valenza particolarmente significativa l’affermazione della Corte costituzionale che, nel qualificare la nullita’ sancita dalla L. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, come genericamente riconducibile all’articolo 1418 c.c., non ha ristretto la (evidente) portata della norma al solo comma 3, dell’articolo richiamato (nullita’ testuale), ma ne ha implicitamente evidenziato la rilevanza anche ai fini del comma 1 (nullita’ virtuale), sottolineandone l’effetto di aver elevato a norma imperativa la disposizione tributaria sull’obbligo di registrazione dei contratti ivi contemplati. Trattandosi di un vizio riconducibile al momento genetico del contratto, e non (soltanto) ad un mero inadempimento successivo alla stipula (sanzionato dalla nullita’ testuale di cui al comma 346 della Finanziaria 2004), nelle fattispecie simulatorie del canone locatizio contenuto in un contratto gia’ registrato deve allora ravvisarsi la diversa ipotesi di una nullita’ virtuale, secondo la concezione tradizionale di tale categoria – e, quindi, tradizionalmente insanabile ex articolo 1423 c.c.: in tal caso, infatti, la nullita’ deriva non dalla mancata registrazione (situazione suscettibile di essere sanata con il tardivo adempimento), ma, a monte, dall’illiceita’ della causa concreta del negozio, che una tardiva registrazione non appare idonea a sanare.

Non senza considerare, ancora, che, dalla registrazione del cd. “accordo integrativo”, ove questo presenti i caratteri di cui all’articolo 1321 c.c., se ne dovrebbe trarre, ove se ne predicassero liceita’, validita’ ed efficacia, la sua configurazione in termini di nuovo contratto, cui attribuire (del tutto fittiziamente, e del tutto erroneamente, come si e’ visto) il carattere o dell’accordo novativo ovvero del negozio di accertamento: caratteri, evidentemente, del tutto inesistenti, salvo che, nella sua riconosciuta facolta’ di interpretazione del contratto, il giudice di merito non accerti, nel singolo caso, l’effettivo carattere novativo dell’accordo (novazione peraltro impredicabile nel caso di coincidenza temporale tra i due atti), alla luce dell’effettiva esistenza di un animus novandi e di un aliquid novi.

  1. Si rende conseguentemente necessario estendere l’indagine alla sorte del contratto di locazione regolarmente registrato, e contenente l’indicazione del canone simulato.

23.1. Con specifico riguardo all’analoga fattispecie simulatoria riferita alla locazione ad uso abitativo e soggetta alla disciplina della L. n. 431 del 1998, articolo 13, comma 1, la piu’ volte citata sentenza di queste Sezioni Unite del 2015 ebbe modo di precisare come la sanzione legislativa della nullita’ prevista da quella specifica norma colpisse non la mancata registrazione dell’atto recante il prezzo reale (attesane la precipua funzione di controdichiarazione), ma la illegittima sostituzione di un prezzo con un altro, sicche’ “sara’ proprio la clausola successivamente inserita in via interpretativa attraverso la controdichiarazione ad essere affetta da nullita’ ex lege, con conseguente, perdurante validita’ di quella sostituenda (il canone apparente) e dell’intero contratto”.

  1. Nell’ipotesi oggi sottoposta al vaglio di questa Corte, che ha ad oggetto una locazione ad uso non abitativo, cio’ che la disciplina legislativa del 2004 ha inteso non solo sanzionare, ma anche elevare a rango di norma imperativa, e’ proprio l’obbligo di registrazione, non il divieto di sostituzione di un canone con un altro.

Ma e’ proprio quell’obbligo che la causa concreta dell’accordo intercorso tra le parti e’ funzionalmente volta (ancorche’ parzialmente) ad eludere: occorre, pertanto, valutare se, negata in premessa la esistenza di una autonomo contratto dissimulato, la nullita’ possa ancora essere riferita alla sola controdichiarazione, in (apparente) assenza di una norma simmetrica a quella di cui alla L. del 1998, articolo 13.

  1. E’ convincimento del collegio che, se in caso di omessa registrazione del contratto contenente la previsione di un canone non simulato ci si trova di fronte ad una nullita’ testuale L. n. 311 del 2004, ex articolo 1, comma 346, sanabile con effetti ex tunc a seguito del tardivo adempimento all’obbligo di registrazione, nel caso di simulazione relativa del canone di locazione, e di registrazione del contratto contenente la previsione di un canone inferiore per finalita’ di elusione fiscale, si e’ in presenza, quanto al cd. “accordo integrativo”, di una nullita’ virtuale insanabile, ma non idonea a travolgere l’intero rapporto – compreso, quindi, il contratto reso ostensibile dalle parti a seguito della sua registrazione.
  2. Norma speculare, in via interpretativa, rispetto a quella di cui alla L. del 1998, articolo 13, deve, difatti, ritenersi la L. n. 392 del 1978, articolo 79.

26.1. Non ignora il collegio che la costante interpretazione della disposizione in parola si sia storicamente assestata, nella giurisprudenza di questa stessa Corte, nel senso che la sanzione di nullita’ in essa prevista abbia avuto riguardo alle (sole) vicende funzionali del rapporto, colpendo, pertanto, le sole maggiorazioni del canone previste in itinere e diverse da quelle consentite ex lege, e non anche quelle convenute al momento della conclusione dell’accordo.

26.2. Ma va altresi’ ricordato come, mutatis mutandis, la stessa linea di pensiero sia stata adottata, dalla stessa giurisprudenza di legittimita’, anche con riferimento all’interpretazione dell’articolo 13, dettato in tema di locazioni abitative – delle quali si era ritenuto parimenti predicabile la sanzione di nullita’ della maggiorazione del canone se, e solo se, quella maggiorazione avesse avuto diacronico riferimento a momenti diversi e successivi rispetto a quello della stipula dell’accordo.

Al momento, cioe’ funzionale, e non genetico, del rapporto.

Questa interpretazione e’ stata rivisitata e modificata dalla sentenza del 2015.

Per le stesse ragioni in essa esposte, e’ convincimento del collegio che anche la lettura dell’articolo 79, della legge cd. sull’equo canone debba essere oggi modificata nel senso che il patto di maggiorazione del canone e’ nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto.

  1. Il collegio non ignora che, in tal modo, i casi, apparentemente piu’ gravi, e cioe’ quelli di totale omissione della registrazione del contratto, risulterebbero soggetti ad un disciplina meno rigida (conseguente al riconoscimento di una sanatoria della nullita’ derivante dalla loro omessa registrazione), ma la diversa gravita’ delle conseguenze puo’ trovare una congrua spiegazione nella maggiore gravita’ del vizio che inficia le ipotesi simulatorie rispetto a quelle in cui manchi la registrazione del contratto tout court: un vizio genetico e voluto da entrambe le parti nel primo caso, un inadempimento successivo alla stipula di un contratto geneticamente valido, nel secondo caso.

27.1. E’ vero, in altri termini, che una simile soluzione renderebbe piu’ gravose, quoad effecta, le ipotesi di simulazione relativa del canone nei contratti di locazione soggetti rispettivamente, alla disciplina della L. n. 431 del 1998, articolo 13, (per come interpretato dalle S.U. con la sentenza n. 18213 del 2015, che ha ritenuto la perdurante validita’ del canone apparente e, quindi, dell’intero contratto) e della L. n. 392 del 1998, articolo 79, (per come oggi interpretato), rispetto a quelle concernenti i contratti di locazione, ad uso abitativo e non, cui sia invece applicabile la normativa (e la possibilita’ di sanatoria, per quanto in precedenza esposto) introdotta dalla Finanziaria del 2004.

Tuttavia, una simile conseguenza sembra coerente non solo con il diverso tenore delle predette norme, le une intese a vietare la sostituzione di una clausola sostanziale del contratto, l’altra a sanzionare direttamente la violazione della norma tributaria, ma anche con l’intenzione del legislatore del 2004, evidentemente tesa ad ampliare e rafforzare, rispetto alla normativa del 1998, l’effetto dissuasivo nei confronti degli infedeli locatori, e non pare affatto priva di ragionevolezza rispetto agli interessi pubblici inerenti al prelievo fiscale, in quanto mira a spiegare proprio quell’effetto dissuasivo, inteso nel senso di non rendere conveniente alle parti la registrazione di un contratto contenente un canone simulato consentendo loro di provvedere alla registrazione dell'”accordo integrativo” solo in caso di sopravvenuto conflitto tra i contraenti – in tal guisa prefiggendosi un obiettivo conformativo ben piu’ ambizioso rispetto a quello conseguibile dalle eventuali sanatorie a posteriori.

  1. La soluzione cosi’ adottata ha il pregio di ricondurre ad unita’ la disciplina delle nullita’ e della (eventuale) sanatoria di tutti i contratti di locazione, ad uso abitativo e non.

Il ricorso deve, pertanto, essere accolto nei limiti di cui in motivazione.

Il procedimento e’ rinviato alla Corte di appello di Catanzaro, in altra composizione, che, in sede di rinvio, applichera’ i seguenti principi di diritto, oltre a provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio:

(A) La mancata registrazione del contratto di locazione di immobili e’ causa di nullita’ dello stesso;

(B) Il contatto di locazione di immobili, quando sia nullo per (la sola) omessa registrazione, puo’ comunque produrre i suoi effetti con decorrenza ex tunc, nel caso in cui la registrazione sia effettuata tardivamente;

(C) E’ nullo il patto col quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato; tale nullita’ vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risultera’ insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Catanzaro, in altra composizione.

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.