L’art. 14 D.Lgs. n. 150 del 2011 assoggetta al rito sommario di cognizione (I comma) e alla competenza del “tribunale in composizione collegiale” (II comma) “le controversie previste dall’art. 28 della L. 13 giugno 1942, n. 794”, e quindi le cause aventi a oggetto la liquidazione degli onorari di avvocato per prestazioni giudiziali in materia civile, non essendo quindi applicabile al caso in esame, relativo a compenso per prestazioni di natura stragiudiziale e penale, per le quali, in difetto di una norma attributiva di competenza funzionale, si applicano gli ordinari criteri di competenza per valore.

 

Tribunale Trieste, civile Sentenza 11 giugno 2018, n. 365

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI TRIESTE

SEZIONE CIVILE

Il Tribunale in composizione monocratica ex art. 50 ter c.p.c., nella persona del Giudice dott. Daniele Venier

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 4221/2016 promossa da:

(…) (C.F. (…)), rappresentato e difeso dall’avv. CA.TO. e dall’avv. DA.IO., presso il cui studio in Trieste, via (…), risulta elettivamente domiciliato

APPELLANTE

contro

avv. (…) (C.F. (…)), in proprio ex art. 86 c.p.c., elettivamente domiciliato nel proprio studio in Trieste, Via (…)

APPELLATO

OGGETTO: prestazione d’opera intellettuale – appello

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con sentenza n. 414/2016 dd. 12-13-10.2016, il Giudice di Pace di Trieste condannava (…) al pagamento, in favore dell’avv. (…), della somma di Euro 456,77 (CPA e IVA inclusi), oltre interessi, a titolo di compenso professionale per l’attività di consulenza stragiudiziale in materia penale prestata in favore del convenuto, regolando le spese secondo la soccombenza.

Nella contumacia del (…), il primo giudice riteneva provati il conferimento dell’incarico e il suo espletamento sulla base dello scambio di corrispondenza tra le parti prodotto dall’attore, e liquidava il compenso in Euro 360,00, applicato il valore medio previsto per la fase di studio dalla tabella 15 allegata al D.M. n. 55 del 2014.

2. Proponeva appello il (…), il quale negava, in primo luogo, di avere conferito alcun incarico professionale all’avv. (…), essendosi limitato a recarsi in una sola occasione presso lo studio del difensore al fine di richiedere un preventivo scritto, onde valutare l’opportunità o no di avviare un’azione giudiziale relativamente a un episodio di lesioni personali di cui era stato vittima. Precisava di avere inviato una relazione dettagliata del fatto all’avv. (…), il quale gli aveva risposto due mesi dopo, richiedendogli la trasmissione dei documenti necessari alla redazione della querela; dopo aver fatto presente al professionista di essersi nelle more rivolto anche ad altri difensori per valutare a chi affidare l’incarico, aveva ricevuto un preventivo di Euro 125,00 dall’avv. (…).

Contestava, in secondo luogo, l’ammontare del compenso, sia in quanto liquidato mediante applicazione dei parametri giudiziali, anziché di quelli stragiudiziali, sia per l’eccessività della somma pretesa, ben superiore a quella preventivata.

Chiedeva quindi, in totale riforma dell’impugnata sentenza, di accertare e dichiarare l’inesistenza del debito nei confronti dell’avv. (…).

3. Quest’ultimo si costituiva, insistendo per il rigetto dell’appello, e la condanna del (…) al risarcimento del danno per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.

L’avv. (…) ribadiva di avere prestato attività di consulenza stragiudiziale al (…), consistita nell’illustrazione di tutti gli aspetti rilevanti della questione sottopostagli dal mandante, e nell’indicazione dei tempi e modalità di presentazione della querela, come del resto emergeva dalle e-mail correttamente apprezzate dal Giudice di Pace. Allegava di avere contenuto in origine l’ammontare del compenso nell’importo, simbolico, di Euro 125,00, non più attuale a seguito del rifiuto del cliente di pagare e della conseguente necessità di agire in giudizio.

4. Alla prima udienza del 22.3.2017 il giudice sottoponeva al contraddittorio delle parti la questione, rilevabile d’ufficio, dell’appellabilità o no della sentenza di primo grado alla luce del disposto dell’art. 339, III co. c.p.c., assegnando termine per eventuali deduzioni in merito.

Il (…) deduceva l’appellabilità della sentenza, in considerazione sia del valore indeterminato della causa, sia delle pretese violazioni, da parte del primo giudice, di norme costituzionali, comunitarie e dei principi regolatori della materia. Eccepiva altresì l’incompetenza per materia del Giudice di Pace, vertendosi in tema di controversia per la quale l’art. 14 del D.Lgs. n. 150 del 2011 prevede la competenza funzionale del Tribunale.

L’appellato rilevava che la sentenza, resa in una causa di valore inferiore a Euro 1.100,00, era stata pronunciata secondo equità e non era dunque appellabile.

Infine, la causa è stata rimessa in decisione sulle conclusioni trascritte in epigrafe.

5. Va preliminarmente rilevata l’ammissibilità dell’appello, questione in ordine alla quale le parti sono state sollecitate, ai sensi dell’art. 101, II co. c.p.c., a dibattere.

5.1 L’art. 113, II co. c.p.c. dispone che “il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento Euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 c.c.”.

Le sentenze emesse nelle predette cause sono appellabili “esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia” (art. 339, ult. co. c.p.c.).

Ciò posto, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, al fine di stabilire se una sentenza del giudice di pace sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all’art. 339, ult. comma, c.p.c., occorre avere riguardo al valore della causa, da determinarsi secondo i principi di cui agli artt. 10 e ss. c.p.c.: “pertanto, ove l’attore abbia formulato dinanzi al giudice di pace una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore a millecento Euro (limite dei giudizi di equità cd. necessaria, ai sensi dell’art. 113, comma 2, c.p.c.), accompagnandola però con la richiesta della diversa ed eventualmente “maggior somma che sarà ritenuta di giustizia”, la causa deve ritenersi – in difetto di tempestiva contestazione ai sensi dell’art. 14 c.p.c. – di valore indeterminato, e la sentenza che la conclude è appellabile senza i limiti prescritti dall’art. 339 c.p.c.” (Cass., 12.2.2018, ord. n. 3290).

Nell’atto di citazione in primo grado l’avv. (…) richiese di condannare il convenuto al pagamento dell’importo di “Euro 360,00 oltre accessori, o alla diversa maggiore o minor somma ritenuta di giustizia”, così da rendere la causa di valore indeterminato, e la sentenza che l’ha definita impugnabile con appello.

6. Nella memoria dd. 30.11.2017 l’appellante ha per la prima volta eccepito l’incompetenza per materia del Giudice di Pace, sostenendo la competenza funzionale del Tribunale ai sensi dell’art. 14 D.Lgs. n. 150 del 2011.

6.1 L’eccezione è innanzitutto inammissibile, in quanto tardiva.

L’art. 345, II co. c.p.c. preclude la proposizione di “nuove eccezioni” che non siano rilevabili anche d’ufficio, purché – in quest’ultimo caso – non siano già precluse in primo grado per il verificarsi di una preclusione.

Ai sensi dell’art. 38 c.p.c. l’eccezione di incompetenza per materia va sollevata dalla parte, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta in primo grado (I comma), e rilevata dal giudice entro l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. (III comma).

Peraltro, la pretesa incompetenza non fu sollevata dal (…), contumace in primo grado, né rilevata dal giudice, con conseguente impossibilità, in grado d’appello, di esame della relativa questione.

6.2 L’eccezione è, in ogni caso, pure infondata.

L’art. 14 D.Lgs. n. 150 del 2011 assoggetta al rito sommario di cognizione (I comma) e alla competenza del “tribunale in composizione collegiale” (II comma) “le controversie previste dall’art. 28 della L. 13 giugno 1942, n. 794”, e quindi le cause aventi a oggetto la liquidazione degli onorari di avvocato per prestazioni giudiziali in materia civile, non essendo quindi applicabile al caso in esame, relativo a compenso per prestazioni di natura stragiudiziale e penale, per le quali, in difetto di una norma attributiva di competenza funzionale, si applicano gli ordinari criteri di competenza per valore (giurisprudenza pacifica, v., tra le altre, Cass., Sez. U., 23 febbraio 2018, n. 4485 , allegata dallo stesso appellante nella memoria di replica, in motivazione, paragrafo 3.2, pagg. 10-11; v. anche Cass. 17.5.2017, n. 12411; Cass. 29.2.2016, n. 4002).

7. Nel merito, l’appellante ha lamentato, in primo luogo, che il giudice di pace abbia erroneamente ritenuto provato il conferimento e l’espletamento dell’incarico professionale sulla base della documentazione allegata dall’attore, dalla quale – sostiene il (…) – emergerebbe esclusivamente la richiesta, da parte sua, di un preventivo, non seguito dalla conclusione di alcun mandato, avendo egli preferito rivolgersi ad altro difensore.

7.1 Con e-mail dd. 4.3.2016 il (…) inviò all’avv. (…), “come da accordi”, “un rapido resoconto dei fatti di cui abbiamo già discusso la scorsa settimana”, riferendo di seguito l’aggressione di cui sarebbe stato vittima il 20.2.2016. Il (…) concluse l’e-mail precisando di rimanere “in attesa di un preventivo per l’impianto di causa da parte sua e resto a disposizione per qualsiasi chiarimento”.

Il 10.5.2016 l’avv. (…) comunicò al (…) “sto scrivendo la querela” e di necessitare di copia della carta di identità e del codice fiscale, invitandolo presso lo studio a “firmare”.

L’appellante replicò il giorno successivo, con una e-mail inviata alle ore 9.33, comunicando che, “non avendo mai ricevuto il preventivo e non avendola più sentita mi sono rivolto anche ad altri”, e aggiungendo di attendere comunque “un preventivo formale per valutare a chi affidare la pratica”.

Dopo circa un quarto d’ora rispose l’avv. (…), il quale, preso atto (“veda lei!”), quantificò in Euro 250,00, Iva compresa, il compenso per la predisposizione e il deposito della querela, e in Euro 1.500,00 Iva compresa quello per la eventuale fase processuale con la costituzione di parte civile, rammentando di avere sino ad allora adempiuto ai propri obblighi, essendosi “scadenzato l’incombente”, avendo “spiegato la tattica” e “ricordato la scadenza”, e ritenendo onere del cliente quello di contattare l’avvocato e non il contrario. L’e-mail si concluse con la richiesta al (…), “se desidera la mia opera” di comunicarglielo immediatamente (“ho necessità operativa di saperlo oggi”).

In difetto di riscontro, l’avv. (…) comunicò con e-mail dd. 13.5.2016, l’archiviazione della “pratica”, preannunciando l’inoltro di “notula di parcella per l’attività comunque svolta, seppur limitata”.

Con e-mail inviata al difensore il giorno successivo, il (…) sostenne di essersi limitato a richiedere un’attività “conoscitiva” e un preventivo.

Replicò infine in data 17.5.2016 l’avv. (…) richiedendo il pagamento di Euro 125,00.

7.2 Così riassunto il contenuto della documentazione in atti, si osserva che elementi decisivi per ritenere integrata la prova del conferimento e dell’espletamento dell’incarico professionale si rinvengono nella prima delle e-mail inviate dall’appellante.

In essa, in primo luogo, il (…) riconobbe di avere “discusso” la settimana precedente, e quindi in occasione dell’incontro pacificamente tenutosi presso lo studio del difensore, dei “fatti” descritti nella stessa e-mail.

L’incontro non ebbe quindi a oggetto la mera richiesta di un preventivo, né fu di carattere solo “conoscitivo”, ma venne destinato anche alla discussione (e quindi non alla semplice narrazione da parte dell’appellante) dell’aggressione subita e in relazione alla quale il (…) intendeva ottenere tutela.

In secondo luogo, la richiesta, formulata nell’e-mail, di un preventivo fu riferita all'”impianto di causa”, e quindi all’avvio, per effetto della presentazione della querela, della fase giudiziale, la quale logicamente presuppone il previo esame e studio dei fatti, evidentemente già svolto dal difensore a seguito del primo incontro.

Deve quindi reputarsi, sulla base degli elementi di carattere confessorio rinvenibili nel documento testé esaminato, che l’avv. (…) ricevette in effetti mandato dall’appellante avente a oggetto l’esame del fatto di astratta rilevanza penale riferito dal cliente e la consultazione con quest’ultimo, ai fini di una possibile presentazione della querela.

E, del resto, lo stesso invio – espressamente concordato (“come da accordi”) – da parte del (…) di una relazione scritta dell’episodio occorso il 20.2.2016, non può che trovare ragione proprio nella necessità del difensore di esaminare più approfonditamente la questione, sul presupposto di un avvenuto conferimento di incarico in tal senso.

7.3 Onde negare l’esistenza del mandato, l’appellante ha valorizzato l’e-mail inviatagli l’11.5.2016 dal difensore, sostenendo che, non avendo egli dato riscontro all’invito dell’avv. (…) di comunicare se intendeva valersi delle sue prestazioni professionali (“se desidera la mia opera, ho necessità operativa di saperlo oggi”), nessun incarico sarebbe stato conferito.

In contrario, si osserva che, facendo detta e-mail seguito a quella con la quale l’avv. (…) aveva comunicato di essere impegnato nella redazione della querela e di necessitare a tal fine del documento di identità e del codice fiscale del (…), l'”opera” cui il difensore si riferiva era evidentemente quella relativa alla presentazione della querela stessa e della fase procedimentale a questa successiva, e non invece della precedente fase di studio, già espletata.

Va quindi respinto il primo motivo di appello.

8. Il secondo motivo di gravame attiene all’ammontare del compenso liquidato, ed è parzialmente fondato.

8.1 Si rileva, innanzitutto, che il fatto che il difensore abbia originariamente richiesto al (…) (v. e-mail dd. 17.5.2016) un compenso di Euro 125,00, non preclude nella specie la domanda, in giudizio, di un compenso maggiore (Euro 360,00), considerato che carattere vincolante alla prima richiesta potrebbe riconoscersi solo in caso di sua conformità a un pregresso accordo o accettazione della stessa da parte del cliente, circostanze entrambe insussistenti.

Sussiste quindi il potere – dovere del giudice di valutare se esistano elementi – discrezionalmente apprezzabili – che facciano ritenere giustificata e legittima la maggiore richiesta, fermo restando il necessario apprezzamento di congruità degli onorari richiesti sulla base e in funzione dei parametri previsti (v., in argomento, Cass. 2.2.2018, n. 2575).

8.2 Ciò premesso, appare corretto il ricorso, da parte del Giudice di Pace, alla tabella 15 – giudizi penali allegata al D.M. n. 55 del 2014, anziché a quella 25, indicata dall’appellante, relativa ai compensi in materia di assistenza stragiudiziale.

E, invero, quest’ultima non appare applicabile all’attività stragiudiziale in materia penale, attesi i riferimenti, ai fini della determinazione del valore dell’affare, al “codice di procedura civile”, nonché alle “procedure concorsuali”, agli “affari di successioni, divisioni e liquidazioni”, agli “affari amministrativi” e a quelli in “materia tributaria” (art. 21 D.M. n. 55 del 2014), elementi tutti che esulano dalla materia penale.

Del resto, con riferimento a quest’ultima sono ricomprese nella tabella 15 non solo tutte le attività anteriori all’instaurazione della fase giudiziale, ma pure quelle (“le relazioni o i pareri, scritti o orali”), “che esauriscano l’attività”, e che quindi sono autonome e prive di collegamento con l’eventuale successiva fase processuale.

8.3 Il primo giudice ha ritenuto di liquidare il compenso nella misura richiesta, pari alla media della tabella per la fase di studio.

L’art. 12, I co. D.M. n. 55 del 2014 dispone che, nella liquidazione, “il giudice tiene conto del valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono, di regola, essere aumenti fino all’80 per cento, o diminuiti fino al 50 per cento”.

Tra i parametri generali sono indicati dallo stesso articolo 12 le caratteristiche, l’urgenza, il pregio dell’attività prestata, l’importanza, la natura e la complessità del procedimento, la gravità e il numero delle imputazioni, il numero e complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, i contrasti giurisprudenziali, l’autorità giudiziaria dinanzi cui si svolge la prestazione, la rilevanza patrimoniale, il numero dei documenti da esaminare, la continuità dell’impegno anche in relazione alla frequenza di trasferimenti fuori dal luogo ove svolge la professione in modo prevalente, nonché l’esito ottenuto.

Ed è proprio l’apprezzamento dei predetti parametri che giustifica la riduzione del valore medio preteso dal difensore.

Il fatto per il quale il (…) richiese assistenza, astrattamente riconducibile al reato di percosse o, al più, di lesioni dolose, non rendeva necessario, per la sua linearità, lo studio di documenti, né particolari approfondimenti giurisprudenziali, né involgeva tematiche giuridiche di particolari complessità.

Ulteriore elemento che induce alla liquidazione di un compenso inferiore a quello medio e l’entità delle prestazioni svolte dal difensore, limitatesi – tra le molteplici elencate dall’art. 12, III co. lett. a) D.M. n. 55 del 2014 per la fase di studio – a un colloquio presso lo studio con il cliente e all’esame della relazione descrittiva del fatto.

Tenuto conto di quanto precede, appare dunque congruo liquidare in Euro 225,00 il compenso, oltre a CPA (Euro 9,00) e IVA (Euro 51,48).

9. Pertanto, in parziale accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza impugnata, (…) va condannato al pagamento, in favore dell’avv. (…), della somma di Euro 285,48, CPA e IVA inclusi, oltre agli interessi legali dal 30.5.2016 al saldo.

10. Viene conseguentemente respinta la domanda ex art. 96 c.p.c. formulata dall’appellato, la quale presuppone la totale soccombenza della controparte, qui esclusa in considerazione del non totale accoglimento della domanda.

11. Quanto, infine, alle spese di lite, si osserva che “il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite, poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione” (Cass. 12.4.2018, n. 9064, espressione di orientamento consolidato; v. ad es. Cass. 24.1.2017, n. 1775; Cass. 1.6.2016, n. 11423).

La decisione sulle spese non va quindi frazionata in base al rispettivo esito dei due gradi di giudizio, ma tenendo conto dell’esito complessivo che, nel caso in esame, visto il solo parziale accoglimento della domanda attorea, giustifica la compensazione, per metà, delle spese, poste per il resto a carico del convenuto appellante, e liquidate nella misura indicata in dispositivo, applicati – per il presente grado – i valori medi della tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014 relativi allo scaglione di riferimento (cause di valore da Euro 0 a Euro 1.100,01) per le fasi di studio, introduttiva e decisionale (quella istruttoria non essendosi svolta).

P.Q.M.

Il Tribunale di Trieste, nella suindicata composizione monocratica, definitivamente pronunciando in grado d’appello, ogni istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

– in parziale accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza impugnata, condanna (…) al pagamento, in favore dell’avv. (…), della somma di Euro 285,48, CPA e IVA inclusi, oltre agli interessi legali dal 30.5.2016 al saldo;

– rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c. formulata dall’appellato;

– compensa le spese di lite in ragione della metà, e condanna (…) alla rifusione in favore dell’avv. (…) della residua parte, pari, per il primo grado, alla metà di quanto liquidato nella sentenza impugnata, e liquidata per il presente grado in Euro 220,00 per compensi, oltre a spese generali forfetarie, CPA e IVA – se dovuta – ex lege.

Così deciso in Trieste il 6 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria l’11 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.