nel comodato di bene immobile, stipulato senza determinazione di termine, la volontà di assoggettare il bene a vincoli d’uso particolarmente gravosi, quali la destinazione a residenza familiare, non può essere presunta ma va positivamente accertata, dovendo, in mancanza, essere adottata la soluzione più favorevole alla sua cessazione.

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Corte d’Appello Lecce, Sezione 2 civile Sentenza 2 aprile 2019, n. 100

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Lecce – Sezione Seconda Civile – composta dai Signori:

1) Dott. Giovanni ROMANO – Presidente

2) Dott.ssa Raffaella BROCCA – Consigliere

2) Dott.ssa Virginia ZUPPETTA – Consigliere relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta al N.979 del Ruolo Generale delle cause dell’anno 2017

TRA

(…) (c.f.: (…)), elettivamente domiciliata in Lecce, al Viale (…), presso lo studio dell’avv. An.Ma., che la rappresenta e difende, n virtù di procura a margine dell’atto di citazione in appello;

– APPELLANTE-

CONTRO

(…) (c.f.: (…)), (…) (c.f.: (…)), e (…) (c.f.: (…)), rappresentati e difesi dall’avv. Gi.Ge., ed elettivamente domiciliati presso il suo studio in Maglie (LE), alla Piazzetta (…), come da procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta in questo grado;

-APPELLATI-

All’udienza del 25.01.2019, la causa, previa discussione orale dei procuratori delle parti costituite, veniva decisa con contestuale lettura del dispositivo.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n.2901/2017, depositata il 6.07.2017, il Tribunale di Lecce, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da (…), (…) e (…), con ricorso depositato il 19.7.2016, nei confronti di (…), 1) in accoglimento della domanda attorea, condannava (…) al rilascio, in favore dei comodanti (…), (…) e (…), dell’abitazione sita in C., alla via S. N. n. 25, entro il termine del 1settembre 2017; 2) condannava, altresì, (…) al pagamento, in favore di (…), (…) e (…), in solido, delle spese di lite.

Ed invero, i ricorrenti evocavano in giudizio la (…), esponendo di averle concesso, in virtù di contratto di comodato gratuito, l’abitazione sita in C., alla via S. N. n. 25, a far data dal 2003, senza convenire alcun termine per il rilascio della stessa, e che, nonostante i numerosi solleciti volti ad ottenere la restituzione del bene, avanzati dai comodanti, la (…) aveva continuato a detenere l’immobile; tanto premesso, instavano perché il giudice adito, previa dichiarazione di risoluzione del contratto di comodato, condannasse la resistente all’immediato rilascio dell’immobile, libero da persone, cose e animali; il tutto con vittoria delle spese di lite.

Instauratosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio la (…), respingendo tutto quanto ex adverso sostenuto, ed affermando che l’immobile, non le fosse stato concesso in comodato gratuito, bensì in virtù della costituzione in proprio favore, da parte dei ricorrenti, di un diritto di abitazione dell’immobile stesso, vita natural durante, con possibilità di adibirlo a sua residenza, con la sola condizione di provvedere alle necessarie opere di ristrutturazione e manutenzione (effettuate, secondo quanto asserito dalla resistente, per il costo complessivo di Euro 30.000,00).

Concludeva chiedendo, preliminarmente, che fosse dichiarato inammissibile e/o improcedibile il ricorso per come introdotto nelle forme del rito del lavoro, mentre nel merito, instava per il rigetto delle domande avverse, con vittoria delle spese di lite.

La causa, istruita mediante l’espletamento delle prove orali, veniva decisa con la pronuncia innanzi riportata, in cui il giudice adito, rilevava, in primis, che la causa era stata introdotta correttamente nelle forme del rito locatizio; in secondo luogo, che il contratto in oggetto dovesse ritenersi, a tutti gli effetti, un contratto di comodato precario – secondo quanto emerso dall’espletata istruttoria, in particolar modo dalle dichiarazioni del teste (…), che confermava di essere edotto che i ricorrenti avessero consentito alla (…) di occupare l’immobile gratuitamente per un breve periodo – infine, escludeva che potesse in alcun modo ritenersi costituito un diritto di abitazione, in favore della resistente, posto che tale negozio richiede la forma scritta per atto pubblico o scrittura privata, a pena di nullità, mancante nella fattispecie de qua.

Avverso la predetta sentenza, con atto depositato il 11.08.2017, interponeva appello (…), cui resistevano (…), (…) e (…), chiedendone il rigetto, in quanto infondato in fatto e in diritto; il tutto con vittoria delle spese del presente gravame.

All’udienza del 25.01.2019, previa discussione della causa, da parte dei procuratori delle parti costituite, il Collegio pronunciava sentenza con contestuale lettura del dispositivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di gravame, l’appellante si duole che il primo giudice abbia erroneamente ritenuto che l’immobile de quo le sia stato concesso, dagli odierni appellati, a titolo di comodato precario – revocabile ad nutum – in virtù della circostanza per cui non sia stato concluso alcun contratto scritto.

Deduce, viceversa, come i C. – nell’esercizio della propria autonomia negoziale – abbiano voluto concederle il godimento vita natural durante dell’immobile in oggetto, quale residenza familiare, mediante la conclusione di un contratto atipico di natura obbligatoria (di uso e/o di abitazione), a condizione “che essa beneficiaria lo rendesse, a sue spese, idoneo alle proprie esigenze abitative.

2. Con il secondo motivo di gravame, l’appellante censura la sentenza impugnata per erronea valutazione delle prove, in danno della convenuta, e mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’attore.

In particolare, si duole che il convincimento del primo giudice si sia basato unicamente sulle dichiarazioni rese dal teste (…), rilevando come lo stesso fosse teste de relato ex parte actoris e, pertanto, la sua deposizione non potesse avere alcuna valenza probatoria.

Conclude chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, il rigetto dell’originario ricorso; il tutto con vittoria delle spese del doppio grado di giudizio.

3. Entrambe le doglianze, da trattarsi congiuntamente per ragioni di evidente connessione, vanno rigettate per quanto di ragione.

Preliminarmente ritiene il Collegio di fare una breve digressione con riferimento alla natura e disciplina degli istituti richiamati.

Ed invero, il contratto di comodato è definito legislativamente all’art. 1803 cod. civ. come il contratto, essenzialmente gratuito, col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.

Sulla base di questa definizione, la dottrina ha posto in evidenza tre fondamentali requisiti del comodato: la realtà, l’unilateralità, la gratuità.

Quanto alla gratuità, pacifica nella fattispecie, va solo precisato che il negozio gratuito non necessariamente nasconde un atto di liberalità. Invero, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, oggetto del rapporto di comodato può ben essere anche la concessione gratuita di un’abitazione per lungo tempo o finché viva il concessionario (cfr., ex multis, Cass. n.1384 del 1957; n.1018 del 1976; n.511 del 1978; n.3834 del 1980; n.11620 del 1990; e n.9909 del 1998).

La concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario è un contratto a termine, di cui è certo l’an ed incerto il quando, con la precisazione che il comodante ha pur sempre il diritto di recedere dal contratto nelle ipotesi contemplate nell’art. 1804 c.c., comma 3, art. 1811 c.c. e art. 1809 c.c., comma 2.

Quanto alla forma di tale contratto di comodato, va osservato che – per giurisprudenza costante della Corte Suprema – l’onere della forma scritta nei contratti, previsto dall’art. 1350 cod. civ., non riguarda il comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale. (cfr., ex pluribus, Cass.4/12/1990, n. 11620; Cass. 13/10/73 n. 2591; Cass. 20/3/76 n. 1018; Cass. 25/6/77 n. 2732; Cass. 23/2/81 n. 1083;)

Ne consegue che la prova di esso può essere data per testi ed anche per presunzioni, in quanto dalla legge non è prescritta alcuna forma particolare.

“È configurabile il comodato di una casa per consentire al comodatario di alloggiarvi per tutta la vita senza che perciò debba ravvisarsi un contratto costitutivo di un diritto di abitazione, con conseguente necessità di forma scritta ad substantiam”. (Cass.24.4.1957, n. 1384; Cass. 4.12.1990, n. 11620)

“L’onere della forma scritta nei contratti previsto dall’art. 1350 c.c. non riguarda il comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale, il quale può essere provato per testi e per presunzioni”. (cfr., per tutte, Cass.n.9909/1998 e n.8548/2008).

Sennonché, nel caso di specie, la (…) -non soltanto si è costituita tardivamente, nel giudizio di primo grado, tant’è che alla prima udienza ne è stata dichiarata la contumacia, dipoi revocata all’udienza fissata per l’interrogatorio formale delle parti- ma non ha, in alcun modo, provato e/o chiesto di provare che i germani C., a far data dal 2003, avessero inteso costituire un contratto atipico di natura obbligatoria, in forza del quale le veniva concesso l’uso e/o il diritto di abitare l’immobile de quo, per tutta la durata della propria vita.

In disparte la circostanza per cui il contratto obbligatorio atipico – prospettato dalla appellante – non ha alcun aggancio normativo, ed, anzi, confligge con la tipicità dei contratti reali, caratterizzati dal principio del numerus clausus, risulta, piuttosto, verosimile che gli appellati, le abbiano concesso di abitare l’immobile di loro proprietà, temporaneamente, nelle more di una sistemazione definitiva, a titolo di comodato precario.

Non risulta, infatti, per nulla plausibile l’ipotesi per cui i proprietari abbiano inteso abdicare, per un lunghissimo tempo, al proprio diritto di abitazione, cedendo il godimento del bene alla (…), per tutto il corso della sua vita.

Del resto è notorio che nel comodato di bene immobile, stipulato senza determinazione di termine, la volontà di assoggettare il bene a vincoli d’uso particolarmente gravosi, quali la destinazione a residenza familiare, non può essere presunta ma va positivamente accertata, dovendo, in mancanza, essere adottata la soluzione più favorevole alla sua cessazione (ex plurimis, Cass. Civ. Sentenza n. 24838 del 21/11/2014; Cass. Civ. n. 20151/2017).

Nella valutazione delle prove, dunque, si contrappongono le allegazioni dei ricorrenti, non tempestivamente disconosciute dalla (…), e confermate dal teste M., a quelle della resistente che, oltre ad essere tardive, sono sfornite di qualsiasi riscontro probatorio, pur con riferimento alla circostanza per cui, essa beneficiaria del diritto di uso/abitazione vita natural durante, era stata onerata dei lavori di ristrutturazione dell’abitazione.

A riprova che sia stato concluso tra le parti un contratto di comodato d’uso gratuito precario, sono state acquisite le dichiarazioni di (…), teste indifferente, il quale ha confermato che “(per quanto a sua conoscenza) la casa era stata concessa soltanto a titolo di comodato gratuito per un breve periodo per aiutare la signora (…). Ricordo che la casa era abitatabile prima che ci andasse la signora (…) dato che lì aveva lo studio medico il padre del dott. (…)” (cfr. verbale di causa del 23.3.17).

Per quanto detto, non è revocabile in dubbio che gli appellati abbiano concesso alla (…) l’immobile in oggetto, affinché se ne servisse per il tempo necessario, con la possibilità di ottenerne la restituzione a semplice richiesta.

Non è viceversa credibile stante la giovane età della beneficiaria (nata nel 1967) che gli stessi, a far data dal 2003, abbiano voluto – senza sottoscrivere alcun contratto, né richiedere un corrispettivo – concedere la disponibilità dell’immobile alla (…), vita natural durante, il che avrebbe significato spogliarsi del diritto di abitare il proprio bene per un tempo lunghissimo senza una contropartita.

In virtù delle considerazioni innanzi svolte, le doglianze de quibus vanno rigettate.

3. Al rigetto dell’appello conseguono la conferma dell’impugnata sentenza, nonché la condanna dell’appellante alla rifusione, in favore degli appellati, delle spese del presente gravame, liquidate come in dispositivo, in virtù dei criteri di cui al D.M. n. 55 del 2014 applicabile ratione temporis.

Al rigetto integrale dell’appello, introdotto successivamente al 31.1.2013, quale quello in oggetto, consegue altresì la condanna dell’appellato al versamento dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis del T.U. Spese di Giustizia.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Lecce, Seconda Sezione Civile, visto l’art. 437 c.p.c., definitivamente pronunciando sull’appello proposto da (…), con ricorso depositato in data 11.08.2017, nei confronti di (…), (…) e (…), avverso la sentenza del Tribunale di Lecce n.2901/2017, del 6.07.2017, così provvede:

1) rigetta l’appello;

2) condanna l’appellante al pagamento, in favore degli appellati, delle spese del presente gravame che liquida in complessivi Euro 1.800,00 per compensi, oltre accessori di legge e di tariffa, nella misura del 15%;

3) dà atto che l’appello è stato integralmente respinto e che sussistono, pertanto, i presupposti di cui all’art.13, co. 1-quater, T.U. n. 115/2002, introdotto dall’art.1, co. 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).

Così deciso in Lecce il 25 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.