l’espressa dichiarazione del venditore che il bene compravenduto e’ libero da oneri o diritti reali o personali di godimento esonera l’acquirente dall’onere di­ qualsiasi indagine, operando a suo favore il principio dell’affidamento nell’altrui dichiarazione, con l’effetto che se la dichiarazione e’ contraria al vero, il venditore e’ responsabile nei confronti della controparte tanto se i pesi sul bene erano dalla stessa facilmente conoscibili, quanto, a maggior ragione, se essi non erano apparenti.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 4 giugno 2018, n. 14289

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15061-2015 proposto da:

(OMISSIS) SOC. COOP. P.A. (gia’ (OMISSIS) Soc. Coop. a R.L.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (Studio ” (OMISSIS)”), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente e c/ricorrente al ricorso incidentale –

contro

(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– c/ricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1241/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 12/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/01/2018 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale per quanto di ragione e per l’assorbimento del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore della ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale, che ha chiesto l’accoglimento degli scritti difensivi;

uditi gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori della controricorrente e ricorrente incidentale, che hanno chiesto l’accoglimento delle difese in atti.

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Basano del Grappa, con sentenza pubblicata il 16/9/2010, riuniti due procedimenti, l’uno avviato su citazione della (OMISSIS) s.r.l. nei confronti della s. coop. a r. l. (OMISSIS) e l’altro da quest’ultima nei confronti della prima, rigetto’ le proposte domande, dando atto che il garante per fideiussione aveva versato quanto dovuto alla parte venditrice a titolo di residuo prezzo, con la sola condanna della (OMISSIS) al pagamento degli interessi nella misura legale.

In estrema sintesi. la (OMISSIS), premettendo di avere acquistato il 2/11/2006 un compendio immobiliare dalla Banca per il prezzo di 8.500.000 Euro, dei quali 425.000 erano stati corrisposti alla stipula e il residuo lo sarebbe stato entro il 31/12/2007, con prestazione di garanzia fideiussoria, che la parte venditrice si era rivelata gravemente inadempiente, in quanto gli immobili, in contrasto con la dichiarazione contrattuale di liberta’ da pesi e vincoli, erano risultati sottoposti al taciuto provvedimento ministeriale del 15/6/1915, che ne limitava grandemente l’edificabilita’, aveva chiesto la risoluzione del negozio, con condanna al doppio della caparra e al risarcimento del danno e, in subordine che il contratto fosse annullato per vizio del volere, consistito nell’errore essenziale, con le conseguenti statuizioni. La Banca che, costituitasi tardivamente, aveva dedotto che il vicolo risultava contemplato nel contratto, poiche’ contemplato nel certificato di destinazione urbanistica, allegato all’atto pubblico, con la domanda svolta nell’altro giudizio, successivamente introdotto, aveva chiesto condannarsi la (OMISSIS) al pagamento del residuo prezzo e al risarcimento del danno.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza pubblicata il 12/5/2015, accolto l’appello principale della (OMISSIS), risolse il contratto e condanno’ la Banca “alla restituzione di quanto percepito”, oltre alla rivalutazione monetaria. Con la medesima sentenza venne rigettato l’appello incidentale della Banca, la quale aveva rivendicato un piu’ favorevole regolamento delle spese e la rivalutazione sul residuo prezzo tardivamente corrisposto dal garante.

2. La radicale discrasia tra la prima e la seconda decisione consiglia una sintesi, sia pure rapida, dell’opposto opinare.

La Corte d’appello riformava la sentenza del Tribunale sulla base delle seguenti considerazioni, giudicate decisive: a) la parte venditrice aveva garantito la liberta’ del compendio alienato e cio’ esonerava quella compratrice da qualunque onere d’indagine, pur ove le limitazioni fossero state facilmente riconoscibili; b) il vincolo apposto dalla P.A., con specifico provvedimento, a cagione della sua natura particolare, priva di portata generale e normativa, nel qual caso avrebbe dovuto presumersi la conoscenza da parte del proprietario, deve essere espressamente dichiarato al compratore, il quale, in difetto, ha il diritto di esercitare la garanzia di cui all’articolo 1489 c.c.; c) il tenore del contratto assicurava che l’unica limitazione derivava dal vincolo imposto dal Ministero della Pubblica Istruzione con decreto notificato il 15/5/1914; d) la circostanza che il certificato di destinazione urbanistica avesse fatto cenno al decreto “Grippo”, emanato il 15/6/1915, il quale prevedeva ulteriori vincoli rispetto a quello risalente ad un anno prima, non superava l’obbligo di garanzia di cui all’articolo 1489 c.c., a cagione della sua genericita’ “in un contesto, come quello di Marostica, in cui vincoli e limiti sono diffusi” e tenendo conto del fatto che la venditrice aveva richiamato espressamente solo il decreto del 1914 (indicazione questa, peraltro insufficiente, poiche’ nell’anno 1914 erano stati notificati due provvedimenti limitativi delle facolta’ proprietarie, uno riferentesi al mappale (OMISSIS) e l’altro, ai mappali (OMISSIS)).

Avverso la sentenza d’appello la (OMISSIS), ricorre per cassazione, svolgendo otto motivi di censura.

La (OMISSIS) resiste con controricorso, in seno al quale svolge ricorso incidentale corredato da cinque motivi.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i primi due motivi, osmotici fra loro, il ricorso denunzia la violazione o la falsa applicazione degli articoli 1362, 1363 e 1367, c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.

Secondo l’assunto impugnatorio la sentenza di primo grado aveva violato i principi ermeneutici soggettivi valorizzanti la ricerca della comune intenzione delle parti, anche attraverso uno studio sistematico di tutte le pattuizioni negoziali (articoli 1362 e 1363) e quello oggettivo, teso alla conservazione del contratto e delle sue singole clausole (articolo 1367).

Questa una sintesi delle mosse critiche: il Tribunale avrebbe dovuto assegnare il dovuto rilievo al certificato di destinazione urbanistica e, pertanto al richiamo di esso ai vincoli di cui al decreto “Grippo”; il predetto certificato, al quale risultavano allegate le schede urbanistiche tratte dal P.R.G., indicava dettagliatamente le implicanze del vincolo, implicanze che non sarebbero potute sfuggire all’acquirente, operatore qualificato; il predetto certificato, cosi’ come si ritiene per le planimetrie e i tipi di frazionamento, in quanto allegato all’atto, ne faceva parte integrante; emergeva dal comportamento la piena consapevolezza dell’acquirente in ordine alla presenza e consistenza del vincolo, avendo acquistato i beni nello stato di fatto e di diritto nel quale si trovavano e avendo esonerato il notaio rogante alla lettura del certificato di destinazione urbanistica.

2. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la nullita’ della sentenza ai sensi dell’articolo 132, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4, per carenza assoluta di motivazione.

Deduce la (OMISSIS) che la sentenza della Corte locale aveva incongruamente degradato a mero “fatto generico” l’indicazione del decreto Grippo nel certificato di destinazione urbanistica. Richiamo che in alcun modo avrebbe potuto definirsi tale a cagione della pluralita’ delle specificazioni, per la sua collocazione all’interno del predetto certificato e non di un atto qualsiasi e, non ultimo, per l’ellittico riferimento al cognome del ministro al quale si doveva l’emanazione dello strumento, ben noto in sede locale; circostanza questa che aveva un indubbio peso di segno contrario, rispetto all’opinamento del Giudice d’appello. In definitiva, l’espressione censurata si mostra ambigua e inesplicata, cosi’ da doversi reputare non in grado di assolvere al compito giustificativo della motivazione. Ne’, l’aver fatto riferimento ai molteplici vincoli gravanti sul territorio di Marostica poteva considerarsi esplicativo e, ancor meno, l’asserto secondo il quale la controparte aveva avviato le attivita’ dirette all’ottenimento dei necessari permessi amministrativi a fini edilizi; stante che, semmai, era da attendersi, a(contrario, che un operatore economico locale fosse a conoscenza delle limitazioni derivanti dalle esigenze di tutela storico-culturale.

3. Con il quarto motivo, dedotto come subordinato, viene allegata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1489 c.c., in relazione con l’articolo 360 c.p.c., n. 3.

Ipotizza il ricorso che l’annotazione dei vincoli in discorso nel P.R.G., e, quindi, certificati ne(documento allegato all’atto, comportava la condivisione della forza normativa dello strumento urbanistico, con la conseguenza che di essi era da presumere la conoscibilita’ generale, di talche’ gli stessi avrebbero dovuto considerarsi ben apparenti; cio’ anche nel rispetto del principio di autoresponsabilita’, non potendo assumere rilievo la circostanza della contestata omessa espressa citazione.

4. La critica mossa con le esposte, connesse censure, va disattesa.

4.1. Gli elementi che qualificano e definiscono il fatto che qui assume rilievo, posto a base della decisione della Corte locale, non sono in discussione: nell’atto di compravendita veniva dichiarato il vincolo derivante dal provvedimento amministrativo notificato il 15/5/1914, con espressa esclusione di ogni altro peso gravante sull’intero compendio alienato; all’atto era stato allegato il certificato di destinazione urbanistica, in seno al quale si faceva, fra l’altro, riferimento alla esistenza di un vincolo, che implicava la necessita’ dell’autorizzazione della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali, per l’approvazione dei piani di comparto e per i risanamenti conservativi, per le aree e gli edifici soggetti al decreto “Grippo” (cioe’ quello del 1915, evocato con il richiamo del cognome del ministro del tempo); la indicazione in seno allo strumento negoziale del decreto del 15/5/1914 non riportava con puntualita’ neppure i vincoli imposti in quell’anno, stante che predetti derivavano non da un solo provvedimento, bensi’ da due, uno per il mappale (OMISSIS) e l’altro per i mappali (OMISSIS), anche se, come scrive la sentenza d’appello, “nell’elenco dei mappali vincolati contenuto nella clausola del rogito c’e’ l’indicazione di tutti quelli oggetto dei due decreti”.

Nonostante gli sforzi argomentativi di parte ricorrente la vicenda resta confinata negli apprezzamenti di merito, non bastando, come piu’ volte chiarito in questa sede, la enunciazione della pretesa violazione di legge in relazione al risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, occorrendo individuare, con puntualita’, il canone ermeneutico violato correlato al materiale probatorio acquisito. In quanto, “L’opera dell’interprete, mirando a determinare una realta’ storica ed obiettiva, qual e’ la volonta’ delle parti espressa nel contratto, e’ tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimita’ soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli articoli 1362 c.c. e ss., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi: pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili (il secondo, ovviamente, sotto il regime del vecchio testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5), il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma e’ tenuto, altresi’, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti. Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilita’ del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non puo’ essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non e’ consentito in sede di legittimita’ (ex pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579. 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753)” (Sez. 2, n. 18587, 29/10/2012; si veda anche, per la ricchezza di richiami, Sez. 6-3, n. 2988, 7/2/2013). Per sottrarsi al sindacato di legittimita’, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicche’, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Sez. 3, n. 24539, 20/11/2009, Rv. 610944; conformi: Sez. 1, n. 16254, 25/9/2012, Rv. 623697; Sez. 1, n. 6125, 17/3/2014, Rv. 630519; Sez. 1, n. 27136, 15/11/2017, Rv. 646063). In altri termini, deve affermarsi che: non puo’ essere in questa sede censurato il risultato opinabile, ma non implausibile, dell’interpretazione del negozio operato dal giudice, bensi’ gli strumenti ermeneutici utilizzati, i quali debbono conformarsi alle indicazioni di legge.

La Corte d’appello di Venezia non ha violato il precetto in discorso, avendo ricercato la intenzione dei contraenti, senza arrestarsi al senso letterale delle parole e scandagliando il loro complessivo comportamento (articolo 1362 c.c.); ha valorizzato il significato complessivo delle clausole e il loro reciproco interferire (articolo 1363 c.c.); ha escluso che il contratto potesse avere comunque un qualche effetto a cagione delle gravissime implicanze derivanti dal vincolo imposto nel 1915 (articolo 1367 c.c.).

4.2. Ovviamente, e’ appena il caso di soggiungere, una tale operazione non puo’ compiersi al di fuori dell’alveo segnato dalle regole normative, che pur non aventi lo scopo di disciplinare l’ermeneutica del negozio, ne segnano i confini invalicabili. Il contratto d’acquisto di un bene immobile gravato da oneri o da diritti, non solo reali, ma anche personali, non percepibili mediante l’ordinario esercizio sensoriale (non apparenti), “che ne diminuiscono il libero godimento”, non dichiarati e non conosciuti dal compratore, puo’ essere risolto su domanda di quest’ultimo (articolo 1489 c.c.). Secondo la consolidata lettura della disposizione formatasi in sede di legittimita’ l’espressa dichiarazione del venditore che il bene compravenduto e’ libero da oneri o diritti reali o personali di godimento esonera l’acquirente dall’onere di­ qualsiasi indagine, operando a suo favore il principio dell’affidamento nell’altrui dichiarazione, con l’effetto che se la dichiarazione e’ contraria al vero, il venditore e’ responsabile nei confronti della controparte tanto se i pesi sul bene erano dalla stessa facilmente conoscibili, quanto, a maggior ragione, se essi non erano apparenti (ex multis, Sez. 2, n. 976, 19/1/2006, Rv. 586013; Sez. 2, n. 19752, 27/9/2011). Di conseguenza, resta irrilevante anche la trascrizione del vincolo non dichiarato, per conoscere il quale l’acquirente, a dispetto della mancata contemplazione negoziale, che dovrebbe metterlo al sicuro, si deve attivare attraverso una specifica indagine. L’affermazione non si pone in contrasto con la decisione di questa Sezione n. 757 del 28/1/1999 (Rv. 522700), la quale ha precisato che al terzo acquirente di un fondo servente la servitu’ prediale e’ opponibile soltanto se il titolo costitutivo di essa e’ trascritto, ovvero se e’ menzionata nell’atto di trasferimento, ancorche’ indirettamente attraverso il richiamo alla situazione dei luoghi, ma inequivocabilmente, e non con clausole generiche o di mero stile. In questo secondo caso, infatti, si tratta dell’opponibilita’ nei confronti del terzo e non della parte negoziale, la quale, nel rispetto del canone della buona fede, ha il diritto di stare alle dichiarazioni dell’alienante, salvo che le stesse trovino diretta ed immediata smentita nel modo d’essere del bene percepibile attraverso i sensi. Di talche’, “ai fini della responsabilita’ per garanzia ex articolo 1489 c.c., e’ irrilevante che l’acquirente sia stato in grado di conoscere, mediante l’esame dei registri immobiliari, l’esistenza di trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli, quando il venditore abbia affermato, contro il vero, l’inesistenza di diritti altrui e di oneri sulla cosa alienata, ovvero ne abbia taciuto l’esistenza (Cass. nn. 881/87, 1215/85, 5287/82, 577/82, 6033/81)” (sent. n. 19752/2011 cit.).

Peraltro, del tutto correttamente la sentenza impugnata ha evidenziato che: “non solo veniva garantita la liberta’ del bene da oneri, ma la liberta’ veniva garantita ancor piu’ specificatamente dalla seconda affermazione (dopo essere stata indicato il vincolo imposto dal decreto ministeriale notificato il 15/5/1914, la parte venditrice aveva prestato la garanzia di legge “sia per la proprieta’ che per la liberta’ da ipoteche, pesi, vincoli, trascrizioni pregiudizievoli e privilegi anche fiscali ad eccezione del vincolo artistico di cui sopra”) che funge nell’atto da clausola di chiusura definitiva, cosi’ come appare dall’uso dell’espressione, di significato eminentemente giuridico, “ad eccezione””. Resta, quindi, escluso trattarsi di clausola generica di stile.

Diversamente deve concludersi, nel differente caso in cui si tratti di oneri e diritti apparenti, che risultino cioe’ da opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, senza che rilevi la dichiarazione del venditore della inesistenza di pesi od oneri sul bene medesimo, non operando, in tal caso, il principio dell’affidamento giacche’ il compratore, avendo la possibilita’ di esaminare la cosa prima dell’acquisto, ove abbia ignorato cio’ che poteva ben conoscere in quanto esteriormente visibile, deve subire le conseguenze della propria negligenza, secondo il criterio di autoresponsabilita’ (Sez. 2, n. 57, 4/1/2018, Rv. 646615).

4.3. Costituisce punto fermo l’affermazione secondo la quale presunzione assoluta di conoscenza del vincolo di inedificabilita’ gravante su un immobile ha efficacia “erga omnes” quando esso sia stato imposto dalla legge o da un atto avente portata normativa, quale il piano regolatore, nel quale il vincolo sia stato inserito. Quando invece il vincolo risulti imposto in forza di uno specifico provvedimento amministrativo, stante il carattere particolare, e non generale e normativo, dell’atto impositivo, puo’ presumersene la conoscenza solo da parte del proprietario del bene, che, quale soggetto interessato, puo’ venirne a conoscenza con l’ordinaria diligenza, ma non anche da parte del compratore, il quale quindi puo’ far valere nei confronti del venditore l’obbligo di garanzia derivante dall’articolo 1489 c.c. (ex multis, Sez. 2, n. 19812, 4/10/2004, Rv. 577503).

Non e’ del pari dubbio che il piano regolatore generale abbia portata normativa e, pertanto, i vincoli paesaggistici, inseriti nelle sue previsioni, una volta approvati e pubblicati nelle forme previste hanno valore di prescrizione di ordine generale a contenuto normativo con efficacia “erga omnes”, come tale assistita da una presunzione legale di conoscenza assoluta da parte dei destinatari, sicche’ i vincoli in tal modo imposti, a differenza di quelli inseriti con specifici provvedimenti amministrativi a carattere particolare, non possono qualificarsi come oneri non apparenti gravanti sull’immobile, secondo l’articolo 1489 c.c., e non sono, conseguentemente, invocabili dal compratore come fonte di responsabilita’ del venditore, che non li abbia eventualmente dichiarati nel contratto (Sez. 2, n. 2737, 23/2/2012, Rv. 621590; conforme, Sez. 2, n. 5561, 19/3/2015, Rv. 634977).

I vincoli apposti ai beni per cui e’ causa derivano da provvedimenti amministrativi specifici, privi di portata generale, dei quali e’ escluso debba ritenersi la conoscenza per presunzione di legge. La circostanza che nel certificato di destinazione urbanistica fosse segnata sommariamente l’esistenza dei predetti, percio’ solo, non ne muta la natura: non puo’, invero, che trattarsi di una annotazione pro memoria, che non puo’ reputarsi scaturigine di fonte di produzione.

Sul piano, poi, degli accertamenti di merito, peraltro, la Corte territoriale ha puntualmente evidenziato che l’indicazione sul predetto certificato dei vincoli in parola non superava la soglia di una mera, approssimativa annotazione, evocante la L. n. 1089 del 1939, con il riferimento generico agli edifici soggetti al decreto “Grippo” (come si e’ chiarito quello del 1915, non contemplato nell’atto). Precisazione, quest’ultima, inidonea a soddisfare l’esigenza di una compiuta informazione, nel rispetto del canone della buona fede negoziale, alla luce del quale ciascuna delle parti del contratto e’ tenuta ad eseguire non solo quanto espressamente previsto da esso, ma anche tutte le prestazioni necessarie a salvaguardare l’utilita’ del negozio per la controparte (Sez. 3, n. 25410, 12/11/2013, Rv. 629168). In tal senso, il riferimento espresso in sentenza al contesto di Marostica, “in cui i vincoli e limiti sono diffusi”, invece che mostrarsi inconferente, come vorrebbe la ricorrente, assume un significato argomentativo pertinente: la esistenza di plurimi vincoli posti per la tutela artistico-storica della localita’ (circostanza pacifica) avrebbe reso necessario una puntuale specificazione delle limitazioni gravanti su ogni singolo bene facente parte del vasto compendio alienato.

5. Con il quinto motivo, ulteriormente subordinato, la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli articoli 1455 e 1375 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.

Anche ad ammettere la sussistenza dell’inadempimento da parte della ricorrente perche’ da esso potesse derivare la risoluzione del contratto sarebbe stato necessario, secondo questa, constatare l’alterazione irrimediabile del sinallagma contrattuale, occorrendone dimostrare la non scarsa importanza, avuto speciale riguardo all’interesse dell’altra parte e tenuto conto della complessiva economia del negozio. In altri termini la disposizione di cui all’articolo 1489 c.c., non poteva considerarsi derogativa dell’articolo 1455 c.c.. Peraltro, non constava, in spregio al principio di buona fede, che la (OMISSIS) a avesse manifestato in sede negoziale l’intento di far luogo ad un intervento edilizio esuberante rispetto al consentito dagli anzidetti limiti; ed invece si era dato rilievo al presunto interno volere di quest’ultima, mai appalesato. Inoltre, nell’economia complessiva dell’operazione la parte soggetta ai vincoli imposti nel 1915 non era prevalente.

6. Con il sesto motivo la ricorrente prospetta nullita’ della sentenza per la violazione, ancora una volta, dell’articolo 132, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4.

La Corte veneta aveva reso solo una parvenza di motivazione a riguardo della gravita’ dell’inadempimento, la quale, mancando di sviluppo argomentativo pertinente, doveva considerarsi inesistente. Per contro, dovevasi constare che, per un verso, l’acquirente non aveva manifestato, come s’e’ gia’ detto, la volonta’ di sfruttare l’intero compendio con modalita’ non consentite dalla presenza dei vincoli e, per altro verso, i predetti divieti non erano assoluti, tanto che la stessa (OMISSIS), il 2/2/2007, davanti al diniego della competente Sovrintendenza, aveva formulato una ipotesi alternativa a riguardo dei lavori straordinari da effettuarsi, cosi’ da preservare i volumi esistenti e la destinazione originaria delle unita’ assoggettate.

7. Entrambi i motivi sono infondati.

Il vaglio della importanza dell’inadempimento avuto riguardo all’interesse della parte adempiente (articolo 1455 c.c.) risulta essere stato effettuato, sia pure in forma sintetica, dalla Corte di Venezia, la quale ha tenuto conto della rilevanza dell’operazione immobiliare, che aveva come scopo la ristrutturazione radicale dell’intiera area, sulla base della documentazione urbanistica prodotta e, di conseguenza, ha, insindacabilmente, stimato di particolare rilievo le ripercussioni negative sull’interesse dell’acquirente (pag. 10). Percio’, resta assorbito verificare se il diritto alla risoluzione ex articolo 1489 c.p.c., debba superare la soglia posta dall’articolo 1455 c.c. (importanza dell’inadempimento), o seppure, privilegiandosi la natura speciale della prima disposizione rispetto alla seconda e valorizzandosi il mancato espresso richiamo dell’articolo 1455, in seno all’articolo 1489, debba accedersi all’opposta conclusione.

8. Con il settimo e l’ottavo motivo si ipotizza la violazione e falsa applicazione degli articoli 1453 e 1224 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3; nonche’, nullita’ della sentenza per difetto assoluto di motivazione in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4.

La Corte locale aveva condannato la ricorrente a corrispondere la rivalutazione monetaria, cosi’ violando il consolidato principio che assegna al debito di restituzione in caso di scioglimento, risoluzione o annullamento del negozio la natura di debito di valuta, ex articolo 2033 c.c.. Inoltre la sentenza censurata aveva illogicamente disposto in tal senso, dopo avere affermato che la controparte aveva fallito nell’assolvimento dell’onere di dimostrare di aver patito un maggior danno.

Quest’ultima considerazione, secondo la ricorrente, comportava la nullita’ della sentenza in quanto la giustificazione motivazionale risultava palesemente contraddittoria.

9. Le due connesse censure che precedono sono fondate.

Costituisce punto fermo che, in caso di risoluzione per inadempimento di un contratto, le restituzioni a favore della parte adempiente non ineriscono ad un’obbligazione risarcitoria, derivando dal venir meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni e, quando attengono a somme di danaro, danno luogo a debiti non di valore ma di valuta, non soggetti a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno rispetto a quello ristorato con gli interessi legali, ai sensi dell’articolo 1224 c.c.; danno che va, peraltro, provato dalla parte richiedente (Sez. conforme, Sez. 2, n. 3, n. 13339, 10373, 7/6/2006, 17/7/2002, Rv. 590011; 555849; Sez. U, n. 5931, 17/05/1995, Rv. 492295).

La sentenza impugnata, senza motivazione alcuna, ha condannato la ricorrente alla rivalutazione monetaria.

Una linea interpretativa di maggior favore per il creditore ha affermato che nel caso in cui il creditore – del quale non sia controversa la qualita’ di imprenditore commerciale – deduca di aver subito dal ritardo del debitore nell’adempimento un pregiudizio conseguente al diminuito potere di acquisto della moneta, non e’ necessario, ai fini del riconoscimento del maggior danno ragguagliato alla svalutazione monetaria, che egli fornisca la prova di un danno concreto causalmente ricollegabile all’indisponibilita’ del credito per effetto dell’inadempimento, dovendosi presumere, in base all'”id quod plerumque accidit”, che, se vi fosse stato tempestivo adempimento, la somma dovuta sarebbe stata utilizzata in impieghi antinflattivi per il finanziamento dell’attivita’ imprenditoriale e, quindi, sottratta agli effetti della svalutazione (Sez. 1, n. 22096, 26/9/2013, Rv. 627769).

Le S.U., in precedenza avevano fissato parametri applicativi, che maggiormente convincono, non solo per l’autorevolezza della fonte, ma anche per l’intrinseca ragionevolezza della opzione, diretta a evitare, per quanto possibile, ingiuste locupletazioni e disparita’ di trattamento, precisando che nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’articolo 1224 c.c., comma 2, puo’ ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualita’ soggettiva o l’attivita’ svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avra’ l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualita’ di imprenditore, avra’ l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttivita’ della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avra’ invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale.

Successivamente, si e’ puntualizzato che l’obbligo restitutorio relativo all’originaria prestazione pecuniaria ha natura di debito di valuta, come tale non soggetto a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno – da provarsi dal creditore – rispetto a quello soddisfatto dagli interessi legali, ai sensi dell’articolo 1224 c.c. (Sez. 3, n. 5639, 12/3/2014, Rv. 630187).

Cio’ premesso, la statuizione al vaglio, come s’e’ detto del tutto silente, non consente di conoscere quale sia stata la ratio decidendi. Trattasi, invero, di difetto assoluto di motivazione, la cui rilevanza resta integra, pur dopo la novella che ha riformulato il n. 5) dell’articolo 360 c.p.c. (Decreto Legge n. 83 del 2012, conv. nella L. n. n. 134 del 2012), investendo il contenuto minimo del provvedimento giurisdizionale (articolo 132 c.p.c., n. 4). Insegnano, infatti, le S.U. che la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (sent. n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830).

10. Occorre ora passare ad esaminare i motivi del ricorso incidentale.

Appaiono connessi il primo e il secondo ed il quarto motivo con i quali la (OMISSIS) lamenta l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, ex articolo 360 c.p.c., n. 5; la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3; la nullita’ parziale della statuizione per difetto assoluto di motivazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4.

In sintesi, questo l’assunto censuratorio. La ricorrente incidentale aveva chiesto il risarcimento del danno emergente e del lucro cessante. Il primo, non solo per le spese notarili e di registrazione, ma anche per le spese di registrazione, le cui pezze d’appoggio erano state prodotte. Il secondo, nella concreta prospettiva di sfruttare economicamente il compendio immobiliare, opportunamente ristrutturato, recuperando i volumi abbandonati, ponendo le singole unita’ in vendita o locandole.

Oltre ai documenti, concernenti il danno emergente, si era chiesto di provare il lucro cessante, escutendo quale teste un soggetto che si era dimostrato concretamente interessato all’acquisto, per un prezzo che avrebbe consentito un buon margine di guadagno alla Marostica. Una tale prova non era stata ammessa in primo grado, essendo stata rigettata per intero la domanda della esponente. Riproposta la istanza in appello, la Corte di Venezia, che pur aveva accolto la domanda d risoluzione, non l’aveva mai presa in considerazione, concludendo poi in sentenza, del tutto incongruamente, per la mancanza di prova sul punto da addebitarsi all’appellante.

Cio’ aveva integrato l’omissione assoluta di motivazione e, comunque, l’omessa presa in esame di un fatto storico decisivo e, allo stesso tempo, implicato la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., per non essere stata esaminata l’istanza istruttoria, per non essere stata disposta CTU, per non essere stato considerato che la controparte non aveva specificamente contestato la pretesa, non potendo assolvere all’onere di contestazione la generica opposizione alle pretese avverse.

10.1. La doglianza e’ fondata.

La sentenza della Corte locale, dopo aver ricordato, nel riassumere i fatti di causa, che la (OMISSIS) aveva chiesto anche il risarcimento del danno, disattende la pretesa affermando: “Non v’e’ spazio per la liquidazione di danni diversi, posto che ne manca ogni allegazione da parte dell’appellante, la quale si e’ limitata a generiche doglianze senza introdurre in causa elementi da fatto idonei ad identificare il danno subito al fine di definirlo e liquidarlo”.

Una siffatta statuizione elude in radice il dovere di esaminare il fatto controverso sottoposto al giudice, fonte di responsabilita’ (sia da danno emergente, che da lucro cessante); fatto, peraltro, puntualmente allegato e specificato, facente parte della domanda azionata e compiutamente coltivata in primo grado e riproposta in appello. Mentre, il Tribunale, avendo rigettato la pretesa principale (la domanda di risoluzione per inadempimento colpevole della alienante), dalla quale la richiesta di risarcimento era dipendente, ha correttamente omesso di decidere sulla domanda dipendente, travolta dall’epilogo della principale, la Corte d’appello, che quest’ultima ha accolto, avrebbe dovuto scrutinare quella dipendente, sulla base di quanto allegato. Con la giustificazione pseudo-motivazionale riportata, invece, la sentenza elude in toto l’esame del punto fattuale (la circostanza di aver affrontato spese fidando nell’adempimento della controparte e aver visto sfumare vantaggi economici futuri derivanti dall’operazione economica), afferma, in contrasto con le evidenze di causa, l’assenza di documentazione diretta a dimostrare gli esborsi e non prende in alcuna considerazione le richieste istruttorie.

Pur vero che in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. non puo’ porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorche’ si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Tuttavia, qui, l’errore nel quale e’ incorsa la statuizione e’ da porsi a monte: non si e’ in presenza di un giudizio in ordine al complessivo risultato probatorio, ne’ di una consapevole (sia pure non necessariamente esplicitata) scelta istruttoria, ma di uno scrutinio della domanda condotto con l’ausilio di una motivazione apparente e in contrasto con le evidenze di causa, apoditticamente negate.

In definitiva, non diversamente da quanto gia’ esposto al § 9, anche in questo caso deve constatarsi il difetto assoluto di motivazione, oltre alla violazione dell’articolo 115 c.p.c..

11. Con il terzo motivo la (OMISSIS) prospetta la violazione dell’articolo 1226 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, poiche’ il Giudice d’appello, in presenza della evidente difficolta’ di provare l’entita’ del danno subi’to, del quale era certo l’an, constati i leali sforzi della parte interessata diretti alla dimostrazione, avrebbe dovuto far luogo a liquidazione attraverso stima equitativa.

12. Con il quinto ed ultimo motivo viene denunziata la violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, nonche’ difetto di motivazione in punto di liquidazione delle spese di causa al di sotto del limite di tariffa.

Deduce la ricorrente incidentale che prima dell’avvio della causa di merito aveva avuto corso un procedimento sommario d’urgenza, conclusosi con la declaratoria d’inammissibilita’ del ricorso, proposto dalla medesima e successivo rigetto del reclamo; nonche’ un procedimento con il quale, su istanza della controparte, era stato disposto sequestro conservativo, parzialmente riformato in sede di reclamo. Erano state, inoltre, depositate analitiche note spesa (che si assume essere state riportate in ricorso). Nonostante cio’, e senza motivazione alcuna che giustificasse l’esclusione delle spese esposte e la riduzione degli onorari al disotto del minimo tariffario, la Corte d’appello, senza operare alcuna distinzione tra fasi e gradi, aveva immotivatamente liquidato il complessivo ammontare di cui in sentenza, che si poneva ben al di sotto di quanto spettante.

13. Le due ultime doglianze incidentali restano assorbite dall’epilogo.

14. Cio’ premesso la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio. Il giudice del rinvio regolera’ anche le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

Accoglie il settimo e l’ottavo motivo del ricorso principale e rigetta gli altri; accoglie, del ricorso incidentale, il primo, il secondo e il quarto e dichiara assorbiti gli altri; cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Trieste, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimita’.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.