la condanna della parte soccombente alle spese processuali, a norma dell’articolo 91 c.p.c., non ha natura sanzionatoria. Essa non avviene, cioe’, a titolo di risarcimento dei danni (atteso che il comportamento del soccombente non e’ assolutamente illecito, in quanto e’ esercizio di un diritto), ma e’ conseguenza obiettiva della soccombenza. Ai relativi fini non rilevano, percio’, i comportamenti neutri della parte contro cui il giudizio venga promosso, e cioe’ quelli che non implicano l’esclusione del dissenso ne’ importano l’adesione all’avversa richiesta, quali il restare inerte e non dedurre nulla in contrario all’accoglimento della domanda dell’attore. Sta di fatto, in definitiva, che e’ ritenuto soccombente, ai fini della condanna al rimborso delle spese processuali, il convenuto che, pur avendo riconosciuto la fondatezza della pretesa altrui, non abbia fatto nulla per soddisfarla, si’ da rendere superfluo il ricorso all’autorita’ giudiziaria.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 28 settembre 2018, n. 23582

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7674-2017 proposto da:

(OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositato il 29/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

I ricorrenti propongono due motivi di censura (il primo per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, articolo 2 bis e dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, il secondo per violazione dell’articolo 91 c.p.c. e articolo 92 c.p.c., comma 2) avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MESSINA del 29/09/2016, che, pronunciando in sede di rinvio conseguente alla sentenza di cassazione n. 663 del 2016, ha accolto la domanda di equa riparazione per durata non ragionevole di un giudizio civile protrattosi dal giugno 2001 al giugno 2012, avendo peraltro riguardo al solo periodo successivo al luglio 2008 (essendo stati i primi tre anni di ritardo dal 2005 al 2008 gia’ oggetto di precedente giudizio), sulla base dell’importo di Euro 600,00 per anno.

Si difende con controricorso il Ministero della Giustizia.

La sentenza n. 663/2016 aveva ribadito il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui, se e’ vero che il giudice nazionale deve, in linea di principio, uniformarsi ai criteri di liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non patrimoniale per irragionevole durata dal processo dev’essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle peculiarita’ della singola fattispecie, ravvisi elementi concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali deve dar conto in motivazione. In particolare, il giudice dell’equa riparazione, nel determinare la quantificazione del danno non patrimoniale subito per ogni anno di ritardo, puo’ scendere al di sotto del livello di “soglia minima” la’ dove, in considerazione del carattere bagatellare o irrisorio della pretesa patrimoniale azionata nel processo presupposto, parametrata anche sulla condizione sociale e personale del richiedente, l’accoglimento della pretesa azionata renderebbe il risarcimento del danno non patrimoniale del tutto sproporzionato rispetto alla reale entita’ del pregiudizio sofferto. Di tal che, concludeva la sentenza di cassazione, se puo’ affermarsi che il criterio di liquidazione di Euro 500,00 per anno di ritardo non e’ di per se’ irragionevole e inidoneo a ristorare il pregiudizio sofferto, l’opzione del giudice del merito deve comunque essere sorretta da una motivazione che in qualche modo giustifichi lo scostamento dagli ordinari criteri di liquidazione.

La Corte di Messina, quale giudice di rinvio, al fine di stimare congruo l’adottato moltiplicatore annuo di Euro 600,00, ha considerato la non rilevante natura della materia del contendere del giudizio presupposto (si trattava di controversia collettiva proposta da medici specializzandi nei confronti del Ministero dell’Universita’ e della Presidenza del Consiglio dei ministri per ottenere un riconoscimento retributivo, analoga a molte altre proposte in tutta Italia), conclusosi con pronunce favorevoli agli attori ma dell’importo soltanto di alcune migliaia d’euro. Il decreto impugnato ha altresi’ compensato fra le parti le spese processuali dell’intero giudizio, alla luce del comportamento difensivo del Ministero della Giustizia, che si e’ limitato a richiedere l’osservanza della legge ed il corretto calcolo dell’indennizzo.

Il primo motivo di ricorso e’ infondato.

L’indennizzo calcolato in Euro 600,00 per anno di ritardo non puo’ essere di per se’ considerato irragionevole e quindi lesivo dell’adeguato ristoro per violazione del termine di durata ragionevole del processo, pur non trovando applicazione nel caso in esame (giudizio introdotto il 7/10 settembre 2012) il campo di variazione dell’indennizzo L. n. 89 del 2001, ex articolo 2-bis, originariamente introdotto dal Decreto Legge n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012 (poi sostituito dalla L. n. 208 del 2015, articolo 1, comma 777, lettera e), il quale opera per i soli ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (11 settembre 2012).

Nei precedenti di questa Corte (considerati dalla stessa sentenza di cassazione n. 663/2016), antecedenti alla vigenza del citato L. n. 89 del 2001, articolo 2-bis, nei quali si affermava che la quantificazione del danno non patrimoniale dovesse essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00 per i primi tre anni di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata, e salire per il periodo successivo ad Euro 1.000,00, veniva, invero, comunque sempre ribadito che la valutazione dell’entita’ della pretesa patrimoniale azionata (c.d. posta in gioco) potesse giustificare l’eventuale scostamento, in senso sia migliorativo che peggiorativo, dai parametri indennitari fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, non legittimandosi unicamente il riconoscimento di un importo irragionevolmente inferiore a quello risultante dall’applicazione dei predetti criteri, dal momento che solo la liquidazione di un indennizzo poco piu’ che simbolico o comunque manifestamente inadeguato contrasterebbe con l’esigenza, posta a fondamento della L. n. 89 del 2001, di assicurare un serio ristoro al pregiudizio subito dalla parte per effetto della violazione dell’articolo 6, par. 1, della Convenzione (Cass. Sez. 2, 24/07/2012, n. 12937; Cass. Sez. 1, 24/07/2009, n. 17404; Cass. Sez. 2, 27/10/2014, n. 22772).

La Corte d’Appello di Messina, ai fini dell’individuazione del moltiplicatore annuo, ha evidenziato, sulla base di apprezzamento di fatto rimesso ai giudici del merito, come la causa rivestisse un carattere collettivo (giacche’ promossa da ottanta medici specializzandi) ed avesse un valore pari ad alcune migliaia di euro per ciascuno degli attori.

Alla stregua dei richiamati principi, deve intendersi legittima la liquidazione di un indennizzo di equa riparazione per irragionevole durata di un processo civile instaurato da ottanta attori pari ad Euro 600,00 per anno, in fattispecie cui non sia applicabile ratione temporis la L. n. 89 del 2001, articolo 2 ove tale misura dell’indennizzo inferiore sia motivata dalla specifica natura e rilevanza dell’oggetto del giudizio (ed, in particolare, dalla natura collettiva della controversia e dall’entita’ della posta in gioco: Cass. Sez. 6 – 2, 03/02/2017, n. 2995).

E’ invece fondato il secondo motivo di ricorso.

La Corte di Messina ha fondato la pronuncia di compensazione integrale delle spese processuali sulla considerazione del comportamento difensivo del Ministero della Giustizia, che si e’ limitato a richiedere l’osservanza della legge ed il corretto calcolo dell’indennizzo.

Ora, nel procedimento d’equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la liquidazione dell’indennizzo in misura inferiore a quella richiesta dalla parte non integra di per se’ un’ipotesi di accoglimento parziale della domanda che legittima la compensazione delle spese, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, (Cass. Sez. 6 – 2, 16/07/2015, n. 14976).

Ne’ il descritto comportamento processuale del Ministero della Giustizia appare sintomo di “gravi ed eccezionali ragioni” (nella formulazione dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, qui operante ratione temporis), riguardanti specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, tali da giustificare altrimenti la compensazione delle spese. Deve piuttosto ribadirsi che la condanna della parte soccombente alle spese processuali, a norma dell’articolo 91 c.p.c., non ha natura sanzionatoria. Essa non avviene, cioe’, a titolo di risarcimento dei danni (atteso che il comportamento del soccombente non e’ assolutamente illecito, in quanto e’ esercizio di un diritto), ma e’ conseguenza obiettiva della soccombenza. Ai relativi fini non rilevano, percio’, i comportamenti neutri della parte contro cui il giudizio venga promosso, e cioe’ quelli che non implicano l’esclusione del dissenso ne’ importano l’adesione all’avversa richiesta, quali il restare inerte e non dedurre nulla in contrario all’accoglimento della domanda dell’attore. Sta di fatto, in definitiva, che e’ ritenuto soccombente, ai fini della condanna al rimborso delle spese processuali, il convenuto che, pur avendo riconosciuto la fondatezza della pretesa altrui, non abbia fatto nulla per soddisfarla, si’ da rendere superfluo il ricorso all’autorita’ giudiziaria (cosi’ Cass. Sez. 3, 28/03/2001, n. 4485; Cass. Sez. 1, 10/12/1988, n. 6722).

Conseguono l’accoglimento del secondo motivo di ricorso, il rigetto del primo motivo e la cassazione del decreto impugnato, nei limiti della censura accolta, con rinvio alla Corte d’Appello di Messina, che, in diversa composizione, sottoporra’ la causa a nuovo esame uniformandosi al principio richiamato e provvedera’ altresi’ a liquidare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, cassa il decreto impugnato nei limiti della censura accolta e rinvia alla Corte d’Appello di Messina, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.