Per la configurabilità dell’affitto di azienda è sufficiente che per volontà delle parti e per caratteristiche dei beni, oggetto del contratto sia il godimento, a titolo obbligatorio, di un complesso anche solo potenzialmente produttivo, essendo sufficiente che sia previsto il raggiungimento di tale finalità come risultato dell’organizzazione del complesso da parte del nuovo titolare, in cui l’immobile è considerato non come entità a sé stante. A tal fine non è di ostacolo che il conduttore si assuma l’onere di incrementare l’attitudine di detto complesso a conseguire una finalità produttiva con nuove attrezzature, che può acquistare o prendere a nolo da terzi, o con ristrutturazione dell’immobile e delle sue pertinenze, essendo sufficiente che queste vengano integrate con un nesso di accessorietà nel quadro organizzativo preesistente, atto all’esercizio dell’impresa (art. 2195 cod. civ.), la cui produttività può esser desunta anche dal luogo e dal contesto ove è ubicato l’immobile.

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Corte d’Appello|Genova|Sezione 1|Civile|Sentenza|11 marzo 2020| n. 289

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D’APPELLO DI GENOVA

SEZIONE I CIVILE

La Corte, composta da

Dott. Maria Leila Sanna Presidente

Dott. Maria Margherita Zuccolini Consigliere

Dott. Enrica Drago Consigliere rel.

nella pubblica udienza del 4.3.2020 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sull’appello proposto da:

(…), in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. (…) e dall’avv. (…)

Appellante

CONTRO

(…) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. (…) e dall’avv. (…)

Appellata

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione regolarmente notificato (…) citava a giudizio, dinanzi al Tribunale della Spezia, la (…) s.r.l. per sentire dichiarare che il contratto di affitto di ramo di azienda stipulato con la convenuta in data 6.11.2006 era nullo, annullato ed inefficace e comunque risolto per grave inadempimento imputabile alla stessa (…) Srl, con condanna della stessa al risarcimento di tutti i danni subiti dalla società attrice e al rimborso delle somme pagate in eccedenza a titolo di canone per l’affitto, oltre rivalutazione monetaria e interessi.

Esponeva l’attrice di avere stipulato con (…) s.r.l., in data 6/11/2006, contratto di affitto di ramo di azienda avente ad oggetto la gestione del ristorante “(…)” con sede in Sarzana, v.le (…) (preceduto da preliminare di affitto di azienda datato 24.10.2006); che con il predetto contratto l'(…) aveva dato in godimento anche il locale in cui l’attività commerciale veniva esercitata; che il contratto di affitto d’azienda era peraltro annullabile per errore e/o dolo in quanto l’esponente:

-aveva scoperto l’abusività della veranda (misurante mq. 60 e destinata alla collocazione di tavoli);

-era venuta a conoscenza della non titolarità in capo al locatore della proprietà dei bagni del locale (con conseguente pericolo di rivendica da parte di terzi);

-sebbene nella clausola n. 2 il concedente avesse dato atto di come l’affitto del ramo d’azienda in questione ricomprendesse anche l’avviamento commerciale, mancava l’avviamento, in quanto da ricerche effettuate era risultato che il ristorante aveva chiuso nel dicembre 2004;

-la licenza amministrativa, che era scaduta il giorno prima del rogito notarile datato 6.11.2006, era stata rilasciata per una superficie di somministrazione complessiva dell’esercizio pari a 70 mq. contro i 165 mq. effettivi (la veranda, infatti, non risultava accatastata).

Tutte circostanze che, se conosciute, avrebbero indotto essa attrice a non stipulare il contratto o a stipularlo a diverse condizioni.

Assumeva ancora l’attrice che il contratto d’affitto d’azienda andava comunque risolto per inadempimento imputabile al concedente, vista anche la mancanza di qualità essenziali dell’azienda stessa; che infatti:

a) al momento del preliminare e del “rogito” l’azienda non era costituita da un complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, essendovi beni inventariati di valore pari ad appena 5.800 euro, tanto che per poter esercitare l’attività l’esponente aveva dovuto provvedere a proprie spese al risanamento del locale nonché a dotarsi delle attrezzature e arredi necessari

b) il ristorante era rimasto chiuso per due anni, con conseguente mancanza di avviamento;

c) era provata l’abusività della veranda e l’assenza di titolarità in capo al concedente dei bagni del locale;

d) gli impianti non erano a norma, né sussistevano le condizioni igienico sanitarie e di sicurezza imposte dalle leggi vigenti;

e) il concedente non aveva mai messo a disposizione dell’affittuario ogni tipo di documento e certificazione, sia all’atto di stipulazione del contratto sia successivamente.

Sosteneva, altresì, l’attrice che la convenuta era tenuta a risarcire i danni subiti, in particolare la differenza tra le consistenze di inventario all’inizio e al termine dell’affitto (artt. 2561, quarto comma, e 2562 c.c.), gli interessi sul mutuo contratto per l’acquisto delle attrezzature ed il risanamento dei locali, nonché quelli inerenti gli oneri aggiuntivi sopportati per gli anni compresi fra il 2006 e il febbraio 2008 in ragione del personale assunto in eccesso stante il garantito avviamento; che all’attrice era dovuto anche il maggior importo corrisposto alla concedente a titolo di canone per l’affitto fino al dicembre 2009, stimato in euro 400/450 mensili oltre il valore locativo.

Costituitasi in giudizio, la (…) Srl chiedeva il rigetto delle domande attrici e, in via riconvenzionale (per quanto qua ancora rileva), chiedeva dichiararsi la risoluzione di diritto del contratto d’affitto d’azienda conseguente alla diffida ad adempiere già intimata dall’affittante e rimasta inevasa dall’affittuaria e comunque la risoluzione dello stesso contratto per grave inadempimento dell’affittante, con condanna di quest’ultima a rilasciare l’azienda e a pagare le differenze non pagate sui canoni dovuti, a far data dal mese di novembre 2009.

Con sentenza n. 25 del 2019 il Tribunale della Spezia così provvedeva: “…dichiara risolto il contratto di affitto di azienda “inter partes” per inadempimento della conduttrice (…) sas dei (…); condanna (…) a pagare a (…) srl, a titolo di canoni non pagati, la somma di euro 40.800,00 oltre iva e oltre interessi in misura legale a decorrere dalle singole scadenze.

Respinge le domande di (…)

Condanna la (…) a rifondere alla (…) srl le spese di lite che liquida in euro 10.000,00per compenso, oltre spese generali, iva e cpa come per legge; euro 1.400,00 oltre accessori di legge per rimborso spesa di CTP.

Pone la spesa della CTU a carico di parte attrice.”.

Avverso la predetta sentenza proponeva appello la (…) S.a.s.

Costituitasi in giudizio, la (…) S.r.l. chiedeva il rigetto dell’appello proposto in quanto infondato.

Con ordinanza 25.7.2019 la Corte revocava il provvedimento presidenziale di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza e disponeva il mutamento del rito ai sensi degli artt. 426 e 447 bis c.p.c.

Con i primi “tre motivi” parte appellante sostiene che il primo giudice ha errato laddove:

a) non ha ritenuto annullabile per dolo o quantomeno per errore il contratto di affitto di azienda stipulato in data 6 novembre 2006;

b) ha respinto la domanda di annullamento del contratto sub iudice per dolo o quantomeno per errore non tenendo minimamente conto né del principio dettato dall’art. 115 c.p.c., per il quale sono da considerarsi pacifici i fatti non specificamente contestati, né della documentazione prodotta in atti;

c) non ha ammesso le prove orali e la CTU richieste dalla odierna appellante. Sostiene, in particolare, la (…) S.a.s. che non sussistono dubbi sul fatto che il contratto di affitto di azienda in questione sia annullabile per dolo o, quantomeno, per errore, essendo impensabile, anche solo a livello presuntivo, che essa appellante, laddove avesse avuto conoscenza dell’abusività della veranda, della non titolarità in capo al concedente della proprietà dei bagni del locale (con conseguente pericolo di rivendica da parte di terzi), della mancanza di avviamento, della chiusura del ristorante per due anni, dell’effettivo contenuto della licenza quanto alla superficie dì somministrazione complessiva dell’esercizio, della sua inattivazione e mancanza di validità al momento del rogito, avrebbe comunque stipulato il contratto.

Osserva l’appellante che trattasi di dati ed elementi che non sono stati contestati da Controparte (in particolare quelli afferenti l’abusività della veranda, le superfici, la mancanza di titolarità in capo al concedente dei bagni, la mancata messa a disposizione dell’affittuario di copia della licenza, delle scritture contabili inerenti l’andamento dell’esercizio nelle annualità precedenti, della certificazione attestante l’effettiva presenza di impianti a norma nonché, da ultimo, della documentazione comprovante la messa a norma del ristorante sotto l’aspetto igienico sanitario e della sicurezza dei luoghi del lavoro) e che, pertanto, avrebbero dovuto indurre il giudice a considerarli pacifici e da porsi a fondamento della decisione in forza del disposto di cui all’art. 115 c.p.c.; che, in ogni caso, il primo giudice avrebbe potuto, quantomeno, dar sfogo all’istruttoria orale, permettendo alla società attrice di dimostrare le allegazioni in punto di fatto contenute in atto di citazione, dalle quali sarebbe potuto risultare dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, il vizio del consenso in cui è incorso il socio accomandatario della (…) S.a.s. al momento della stipula del contratto; vizio la cui sussistenza avrebbe peraltro ben potuto presumersi, e ciò muovendo dal dato, incontestato, afferente l’abusività della veranda, posto che essa (circostanza anch’essa mai contestata) era destinata a contenere la quasi totalità dei tavoli (cfr. foto prodotte), con la conseguenza che la sua chiusura al pubblico avrebbe comportato la sostanziale impossibilità di esercitare attività di ristorazione.

Di qui la logica conclusione per la quale nessuno stipulerebbe un contratto quale quello sub iudice nella consapevolezza di non potere esercitare l’attività per la quale intende effettuare un investimento non trascurabile.

L’appellante evidenzia anche il contegno decisamente contraddittorio del Tribunale, il quale prima ha ritenuto la causa documentalmente istruita e matura per essere decisa e poi non ha esaminato con la dovuta attenzione i documenti prodotti, ritenendo, per giunta, superflua l’istruttoria orale e il licenziamento di una CTU che avrebbero potuto consentire una ancora più precisa e puntuale ricostruzione degli accadimenti.

Con il quarto motivo parte appellante critica la sentenza impugnata laddove il primo giudice ha ritenuto infondata la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, asserendo che la società attrice non avrebbe avuto limitazioni di sorta nel godimento dell’azienda come locata, e laddove non ha riconosciuto alla (…) S.a.s. il risarcimento di tutti i danni subiti.

Rileva l’appellante che dai documenti depositati nel giudizio di primo grado risulta evidente che l’azienda ceduta alla (…) S.a.s. fosse assolutamente priva delle caratteristiche funzionali necessarie a soddisfare i bisogni della stessa e avesse difformità tali (in particolare: abusività della veranda, non titolarità dei bagni in capo al concedente, metratura, mancanza avviamento, ecc.) da renderla non idonea ad assolvere alla sua funzione naturale o quella assunta come essenziale dalle parti; che, nella fattispecie, ben può conseguentemente ritenersi concretizzato un aliud pro alio, che legittima la richiesta di risoluzione del contratto per inadempimento; che il primo giudice non ha, in ogni caso, minimamente valutato come il non poter disporre di una veranda misurante circa 60 mq e rappresentante, come tale, l’area destinata alla collocazione dei tavoli e quindi all’effettivo esercizio dell’attività di ristorazione, rappresentasse una vera e propria limitazione nel godimento dell’azienda come locata, priva, come tale, delle qualità essenziali che avrebbero dovuto esserle proprie; che è, del resto, documentalmente provato e confermato dalla C.T.U. del dott. (…) che, all’atto della sottoscrizione di preliminare e rogito, l’azienda non fosse costituita da un complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, essendovi beni inventariati che il Consulente dell’Ufficio ha quantificato in appena euro 6.700,00; che è, altresì, documentalmente provato:

a) che l’affittuario, per poter esercitare l’attività, ha dovuto provvedere a proprie spese al risanamento del locale nonché a dotarsi delle attrezzature e degli arredi necessari, stante l’inadempimento della (…) all’impegno di provvedere in tempi brevi ad allestimento e ristrutturazione, assunto anche nei confronti del Comune di Sarzana;

b) che il ristorante rimase chiuso per due anni, con conseguente mancanza dell’avviamento garantito, che costituisce una qualità dell’azienda, risolvendosi nell’attitudine di essa a produrre in avvenire lo stesso volume di affari e servizi prodotti in passato (attitudine chiaramente assente o drasticamente ridotta nel caso di chiusura di un esercizio per due anni);

c) l’abusività della veranda e l’assenza di titolarità in capo al concedente dei bagni del locale all’epoca della stipulazione dei contratti (circostanze nemmeno contestate);

d) la mancanza di impianti a norma e l’insussistenza delle condizioni igienico sanitarie e di sicurezza imposte dalle leggi vigenti, nonché il fatto che il concedente, sia all’atto della stipulazione dei contratti sia successivamente, si è sempre rifiutato di mettere a disposizione dell’affittuario ogni tipo di documento e certificazione.

Rileva l’appellante che da ciò deriva il diritto della stessa (…) S.a.s. ad essere risarcita dei danni subiti, le cui voci possono così riassumersi:

1) differenza tra le consistenze di inventario all’inizio ed al termine del rapporto, da regolarsi in denaro: per il CTU tale differenza è stata quantificata in euro 46.000,00;

2) interessi sul mutuo contratto per l’acquisto delle attrezzature ed il risanamento dei locali nonché quelle inerenti gli oneri aggiuntivi sopportati per gli anni 2006-2008 in ragione del personale assunto in eccesso stante il garantito avviamento;

3) rimborso delle somme corrisposte in eccedenza a titolo di canone per l’affitto fino al dicembre 2009, stimate dal commercialista dott. Fontana in 400/450,00 euro mensili oltre il valore locativo;

4) mancato guadagno per impossibilità di cedere a terzi la società;

5) finanziamento soci e mancata percezione di elementi retributivi, dal gennaio 2007 al 31 dicembre 2009, da parte di (…).

Con il quinto motivo di gravame l’appellante lamenta che il primo giudice abbia errato laddove ha respinto la domanda proposta dalla società attrice ai sensi degli artt. 2561 e 2562 c.c., finalizzata a vedere regolate in denaro le differenze quantitative e qualitative tra le consistenze di inventario al tempo della stipula del contratto ed alla sua cessazione, “avendo le parti derogato a tale principio a mente dell’art. 14 del contratto di affitto di azienda”. Sostiene che il Giudice, non tenendo conto del controcredito vantato dalla (…) S.a.s., non ha, quantomeno, condannato la (…) Srl al pagamento della differenza tra la somma accertata come dovuta all’affittuario dal C.T.U. (euro 46.000,00) e quella spettante alla stessa (…) S.r.l. a titolo di canoni non pagati, quantificata in euro 40.800,00 oltre interessi; che il primo giudice ha letto con estrema superficialità il contratto di affitto di azienda; che l’art. 14 non esclude affatto la rimborsabilità all’affittuario delle spese inerenti gli incrementi qualitativi e quantitativi dell’azienda e non costituisce alcun patto in deroga alla disciplina prevista dall’art. 2561 c.c.; che la clausola contrattuale in esame, interpretata secondo i più elementari criteri ermeneutici, esclude, infatti, testualmente la rimborsabilità degli eventuali interventi additivi, migliorativi e conservativi che l’affittuario avesse apportato sugli arredamenti e sugli impianti già facenti parte dell’inventario iniziale dell’azienda (sostanzialmente inesistenti, come accertato dallo stesso CTU), non certo su quelli che da detto inventario prescindono; che conseguentemente la (…) S.a.s. era da considerarsi titolare di un controcredito da opporre in compensazione a quello vantato da (…) per canoni non pagati, che il Tribunale avrebbe dovuto quantificare licenziando la C.T.U. richiesta nella seconda memoria istruttoria o, quantomeno, determinare nella minor somma quantificata dal C.T.U. dott. (…).

1. I primi tre motivi di impugnazione – attinenti tutti alla domanda di annullabilità del contratto d’affitto d’azienda datato 6.11.2006 per dolo e/o errore – possono essere decisi unitamente in quanto fra loro connessi. Essi sono infondati.

1.2. Va premesso che i capitoli di prova orali dedotti dalla (…) Sas nella seconda memoria ex art. 183 c.p.c. e richiamati in atto d’appello, a prescindere da ogni altra considerazione, non possono essere ammessi in quanto la causa, nel precedente grado, è stata trattata con il rito ordinario e, nelle conclusioni assunte all’udienza di precisazione delle conclusioni, la (…) Sas non ha richiamato le proprie istanze di istruttoria orale formulate nella succitata memoria.

1.3. In ogni caso l’azione di annullabilità, ex art. 1429 c.c. del contratto d’affitto d’azienda de quo non potrebbe nemmeno essere accolta quand’anche si considerino dimostrate e comunque non contestate le singole circostanze che, in base alla prospettazione dell’appellante, integrerebbero i vizi del consenso dell’affittuario al momento della stipulazione del contratto.

1.3. a. Invero, quanto alla non titolarità in capo al locatore dei bagni del locale (con asserito pericolo di rivendica da parte dei terzi), si osserva innanzitutto che la circostanza è priva di rilievo in quanto il contratto d’affitto d’azienda conserva la sua validità quand’anche il bene oggetto dell’affitto non sia di proprietà dell’affittante/concedente (cfr., in via analogica, la giurisprudenza di legittimità in tema di locazione, secondo cui il rapporto che nasce dal contratto di locazione e che s’instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, con la conseguenza che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a un titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione; fra le altre, Cass. 15443/2011, Cass. 22346/2014). Nel caso di specie l’odierno appellante ha contestato la proprietà in capo alla (…) Srl, non anche la disponibilità dei bagni in base ad un titolo contrario a norma d’ordine pubblico. D’altra parte nemmeno risulta dimostrato e neanche allegato che, durante l’affitto d’azienda, il proprietario effettivo dei bagni abbia vantato diritti sullo stesso bene (contestando il potere di disposizione del locatore, ponendo così in essere una molestia di diritto, cfr. Cass. 25219/15) o abbia posto in essere molestie di fatto.

1.3. b. Quanto alla abusività della veranda, (di mq. 60 circa, destinata alla collocazione dei tavoli) e all’effettivo contenuto della licenza in merito alla superficie di somministrazione complessiva dell’esercizio, risulta effettivamente dimostrato che la licenza amministrativa nella quale era subentrata la (…) Sas aveva ad oggetto una superficie di soli mq. 70 (ben inferiori alla superficie effettiva del locale di mq. 165 asserita dalla stessa (…) Sas e non contestata da controparte). Peraltro, non è accoglibile la domanda di annullamento del contratto per errore essenziale sulla qualità del bene oggetto del contratto, in quanto: a) nel contratto d’affitto d’azienda de quo non risulta indicata la metratura del locale oggetto dell’affitto (“clausola 2: Il concedente dà in affitto all’affittuario, che a tale titolo riceve ed accetta, il ramo d’azienda, libero da persone e vuoto di merci, rappresentato dai locali siti in Sarzana, Viale (…), oltre ad avviamento commerciale, impianti attrezzature e arredamento, il tutto come meglio noto alle parti”), il che, quindi, induce a ritenere che la superficie del locale non fosse determinante del consenso; b) in base alla prospettazione dell’appellante (pg. 4) e ai documenti dalla stessa prodotti (doc. 7) risulta che essa è subentrata nella licenza amministrativa in data 11.11.2006 e che in tale documento già si specificava che la superficie autorizzata per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande era di mq. 70, ragion per cui deve ritenersi che già a quella data l’appellante avesse avuto modo di rendersi conto della reale superficie del locale autorizzata all’uso della ristorazione; da ciò ulteriormente deriva che l’odierna appellante, allorché, con atti del 9.1.2008 e del 9.10.2008, concordò con il concedente una riduzione del canone annuale sul presupposto del “”difficile momento della ristorazione”, ben avrebbe potuto rappresentare (anche) la problematica inerente la superficie del locale destinata alla collocazione dei tavoli; in mancanza, deve ritenersi che implicitamente abbia accettato che la superficie effettivamente autorizzata fosse di soli mq. 70 (sul fatto che il disposto di cui all’art. 1429 c.c. richiede un’indagine del giudice sull’essenzialità dell’errore anche attraverso una valutazione ex post del comportamento del contraente caduto in errore, v. Cass. 16240 del 2011); c) quanto all’asserita abusività della veranda (non accatastata) – circostanza, a dire dell’appellante, appresa nel 2009 -l’affittuaria nemmeno asserisce che la P.A. abbia contestato che la veranda fosse abusiva, impedendone il godimento e l’utilizzo; non risulta, quindi, che anche sulla detenzione di tale parte del locale abbia subito molestie di diritto e/o di fatto da parte di terzi.

1.3. c. Quanto, poi, alla mancanza di validità della licenza amministrativa al momento del contratto d’affitto d’azienda, se è vero che alla data di sottoscrizione di tale contratto (6.11.2006) la licenza amministrativa (già prorogata sino al 5.8.2006; doc. 4 appellante) era scaduta (5.11.2006; doc. 5 appellante), è altrettanto vero che, come già sopra evidenziato, la (…) Sas riuscì comunque a subentrare nella stessa licenza a far data dall’11.11.2006 (doc. 7 appellante), sicché anche sotto tale profilo – sebbene nel contratto d’affitto d’azienda si desse atto (nelle premesse, facenti parti integranti del contratto, come da clausola n. 1) dell’esistenza della “licenza” datata 5.2.2005 n. 91019 e della “successiva proroga del 18 aprile 2006 determina n. 120” (trattasi dell’atto che prorogava la licenza sino al 5.8.2006), mentre in realtà la licenza era scaduta in data 5.11.06 – non può parlarsi di un vizio del consenso, dato il successivo comportamento assunto dall’affittuaria.

1.3. d. Riguardo alla mancanza di avviamento, la cui esistenza è stata garantita nella clausola sub 2 del contratto d’affitto d’azienda, risulta effettivamente dimostrato che, in realtà, alla data di stipula del contratto il ristorante era chiuso da circa due anni. Invero nel provvedimento con cui la (…) Sas, in data 11.11.2006, è subentrata nella licenza amministrativa di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande (n. 91109 del 5.2.2005) risulta riportata la seguente dicitura: “La presente autorizzazione sostituisce la precedente pari numero rilasciata in data 6.2.2004 e ritirata”. Peraltro non può egualmente accogliersi la domanda di annullamento ex art. 1429 c.c. del contratto di affitto d’azienda a fronte della condotta successiva dell’affittuaria, odierna appellante. Invero, sia in base alle asserzioni di parte appellante nel precedente grado (“Al contrario, dopo il subentro della (…) sas, il locale ha visto crescere il proprio livello e l’apprezzamento degli avventori, tanto da essere menzionato sulle Guide e riviste settoriali più importanti”, così nella prima memoria ex art. 183, sesto comma, c.p.c. del 25.7.2012), sia in base ai documenti prodotti con la seconda memoria ex art. 183 c.p.c. (guide, riviste e commenti scritti degli avventori: docc. da 30 a 35) risulta dimostrato che il (…), sin dall’inizio della gestione da parte dell’odierna appellante, era funzionante ed apprezzato dagli esperti del settore e anche dai clienti che lo frequentavano. Deve, quindi, ritenersi che, sebbene l’azienda oggetto di cessione, al momento della sottoscrizione del contratto 6.11.2006, fosse priva di avviamento e, quindi, possa astrattamente affermarsi l’esistenza di un errore ricadente su una qualità essenziale del bene oggetto dell’affitto (cfr. Cass. 3775/94), anche riconoscibile dall’altro contraente, siffatto errore non abbia avuto carattere determinante, in quanto comunque esso non ha impedito all’affittuaria di godere del locale e delle attrezzature oggetto del contratto d’affitto e di poter quindi svolgere l’attività di ristorazione.

2. Le ragioni sopra esposte valgono anche per l’azione di annullabilità del contratto di affitto d’azienda per dolo (art. 1439 c.c.). Al riguardo va aggiunto che, secondo la giurisprudenza legittimità, “il dolo omissivo rileva quale vizio della volontà, idoneo a determinare l’annullamento del contratto, solo quando l’inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito; pertanto, il semplice silenzio e la reticenza, anche su situazioni di interesse della controparte, non immutano la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione di essa alla quale sia pervenuto l’altro contraente, non costituiscono causa invalidante del contratto” (Cass. 2018, n. 11009); che nel caso di specie si versa in ipotesi di condotte reticenti da parte del concedente (mancata indicazione dell’avvenuta scadenza della licenza amministrativa, della superficie oggetto di autorizzazione amministrativa, della sussistenza dell’avviamento) e che, contrariamente alle asserzioni dell’appellante, non risulta affatto dimostrato che il concedente, con artifizi e raggiri, abbia “spinto” controparte a stipulare in tutta fretta il definitivo, anche considerato che esso e’ stato comunque stipulato entro il termine (30.11.2006) fissato nel preliminare sottoscritto il 24.10.06 (da (…) in proprio, “che si impegna per sé o per persona da nominare, ad affittare l’azienda ..”) e che, dopo pochi giorni (11.11.2006), la stessa affittuaria è subentrata senza problemi nella licenza amministrativa.

3. Anche il quarto motivo, riguardante il rigetto dell’azione di risoluzione del contratto de quo per inadempimento, è infondato.

3.1. Assume l’odierna appellante che l’azienda non era costituita da un complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, essendovi beni inventariati di valore non superiore a euro 6.700,00 (così in C.T.U.) e che l’affittuari o ha dovuto poi incrementare le attrezzature e a realizzare a proprie spese lavori di risanamento del locale, stante l’inadempimento della (…) Srl all’impegno di provvedere in tempi brevi ad allestimento e ristrutturazione.

Al riguardo va in primo luogo osservato che l’oggetto del contratto 6.11.2006 intercorso fra le parti era a tutti gli effetti un’azienda (costituita principalmente da “attrezzature e arredamento” e dai locali di Viale (…), Sarzana), avuto riguardo anche alla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui

“Per la configurabilità dell’affitto di azienda è sufficiente che per volontà delle parti e per caratteristiche dei beni, oggetto del contratto sia il godimento, a titolo obbligatorio, di un complesso anche solo potenzialmente produttivo, essendo sufficiente che sia previsto il raggiungimento di tale finalità come risultato dell’organizzazione del complesso da parte del nuovo titolare, in cui l’immobile è considerato non come entità a sé stante. A tal fine non è di ostacolo che il conduttore si assuma l’onere di incrementare l’attitudine di detto complesso a conseguire una finalità produttiva con nuove attrezzature, che può acquistare o prendere a nolo da terzi, o con ristrutturazione dell’immobile e delle sue pertinenze, essendo sufficiente che queste vengano integrate con un nesso di accessorietà nel quadro organizzativo preesistente (Cass. 5989/2007), atto all’esercizio dell’impresa (art. 2195 cod. civ.), la cui produttività può esser desunta anche dal luogo e dal contesto ove è ubicato l’immobile (Cass. 3950/1997, 8076/2007) (..)”.

Non risulta, poi, nel contratto 6.11.2006 che la società concedente si sia assunta l’impegno di realizzare opere di allestimento e di ristrutturazione dell’azienda. Invero, nel contratto, alla clausola sub 6, si afferma soltanto del tutto genericamente che “Sono a carico dell’affittuario, tutte le spese di manutenzione ordinaria, anche se effettuate nelle parti comuni dell’edificio, in ogni caso pertinenti l’azienda; sono a carico del proprietario le spese di manutenzione straordinaria”.

Vero poi che nella clausola sub 7 si legge che “L’affittuario si impegna a eseguire a proprie spese le eventuali opere richieste dalla legge o dalla pubblica amministrazione per l’esercizio dell’attività, successive al secondo mese di apertura al pubblico del ristorante” e che tale ultima frase potrebbe far pensare che nei primi due mesi dall’inizio dell’affitto d’azienda l’esecuzione delle opere richieste dalla legge o dalla P.A. gravasse sulla concedente (…) Srl. Tuttavia – a parte quanto si dirà in prosieguo circa i lavori all’impianto elettrico – non risulta in alcun modo specificato dall’appellante quali siano le opere che l'(…) Srl avrebbe dovuto realizzare in quei due mesi.

Né ciò può desumersi dal provvedimento comunale n. 288 del 12.09.2006, con cui era stata concessa la seconda proroga per l’attivazione dell’autorizzazione amministrativa n. 91019 del 5.2005 (sino al 5.11.2006). In tale Determina dirigenziale, infatti, si legge che la proroga era stata concessa al fine di consentire alla richiedente (…) Srl, di “ricevere gli allestimenti già ordinati ma non consegnati dalle ditte perché chiusi per ferie”, pur “avendo” la stessa “ultimato i lavori di ristrutturazione” (ragione, quest’ultima, posta a base della precedente richiesta di proroga concessa con Determina n. 120 del 18.4.2006, in cui infatti si specificava la necessità di eseguire “opere di consolidamento delle mura portanti”). Appare, quindi, evidente che, alla data di sottoscrizione del contratto d’affitto d’azienda (6.11.2006), sulla concedente non gravava l’esecuzione di alcun lavoro di ristrutturazione dell’immobile di Via (…), Sarzana.

Quanto, invece, agli “”allestimenti” che la concedente aveva ordinato per l’azienda, non risulta nemmeno allegato in che cosa consistessero e comunque nulla può addebitarsi all’odierna appellata circa quegli stessi “allestimenti” visto che, come già sopra esposto, la (…) Sas è subentrata nella succitata licenza amministrativa nei giorni immediatamente successivi alla stipula del contratto d’affitto d’azienda, il che, quindi, in assenza di altri elementi probatori, induce a ritenere che gli “allestimenti” menzionati nel provvedimento comunale n. 288/2006 siano stati effettivamente realizzati nell’azienda dalla concedente.

3.2. Quanto, poi, alla mancanza dell’avviamento garantito in contratto, l’abusività della, veranda e l’assenza di titolarità in capo al concedente dei bagni del locale, valgono le considerazioni sopra esposte: anche a volere ritenere che tali circostanze integrino degli inadempimenti della concedente, in corso di contratto, in ogni caso non possono considerarsi “gravi”, in quanto, come già sopra evidenziato, il (…) ha comunque lavorato, non incontrando nemmeno impedimenti per effetto dell’abusività della veranda e/o della mancata titolarità in capo al concedente dei bagni (non risulta affatto dimostrato che per tali circostanze l’appellante abbia chiuso al pubblico il ristorante o utilizzato un minore spazio per la dislocazione dei tavoli).

3.3. Parte appellante, ai fini della risoluzione del contratto per inadempimento, assume, altresì, “la mancanza di impianti a norma e l’insussistenza delle condizioni igienico sanitarie e di sicurezza imposte dalle leggi vigenti”.

Ora, quanto agli impianti, va premesso innanzitutto che l’asserzione è del tutto generica, non avendo la (…) Sas, nell’atto introduttivo del precedente grado, nemmeno specificato a quali impianti dell’immobile si riferisca. Non ha neanche specificamente richiamato la clausola sub 6, penultimo comma, del contratto, secondo cui: “Il concedente garantisce che il ramo d’azienda è a norma per tutto quello che concerne gli obblighi ASL e VV.FF. se dovuti (in via esemplificativa e non esaustiva l’adeguamento degli impianti elettrici, scarichi, uscite di sicurezza ecc.)”.

Né a tal fine rileva quanto descritto nella relazione della (…) 9.9.2009 (indirizzata all’odierna appellante) e nella lettera 2.11.2009 della stessa (…) indirizzata all’odierna appellata (docc. 17 e 18 appellante), in quanto, innanzitutto, a livello di impiantistica si menziona solo l’impianto elettrico, in relazione al quale va osservato che la (…) Srl, in comparsa di costituzione e risposta del precedente grado (cfr. pg. VIII), ha specificamente contestato la non messa a norma di detto impianto, asserendo di avere lei stessa eseguito i relativi interventi, a tal fine allegando, altresì, la produzione sub 12 “Progetto e dichiarazione di conformità” datata 20.11.2006, ragion per cui, anche in assenza di contestazioni da parte della (…) Sas, deve ritenersi che l’impianto elettrico sia stato messo a norma dall’odierna appellata.

Inoltre la relazione (…) contiene un rilievo fotografico raffigurante la didascalia “tubazioni vecchie, da sistemare” in uno scantinato, la quale, anche ammesso che dette tubazioni facciano parte dell’impianto idraulico, rivela, in assenza di altri elementi, che la necessità di effettuare i lavori a detto impianto era imputabile a vetustà e non a mancato adeguamento a prescrizioni normative.

In ogni caso, in ordine alla genericità dell’asserzione attorea circa gli impianti, va osservato che i fatti di causa debbono essere oggetto di puntuale allegazione o contestazione negli scritti difensivi delle parti e non affidati ai documenti prodotti (cfr. Cass. 30607/2018).

E’ poi vero che nella prima memoria di cui all’art. 183 sesto comma c.p.c. l’odierna appellante ha fatto specifico riferimento agli impianti aziendali (impianto elettrico, idraulico, di riscaldamento e di aria condizionata), ma non ha più asserito che gli stessi non fossero a norma, bensì di avere essa stessa provveduto al loro rifacimento “visto l’inadempimento del concedente all’impegno di allestire e ristrutturare l’azienda”, dunque deducendo una ragione diversa da quella prospettata in citazione circa la necessità di rifacimento degli impianti.

E già si è detto che non risultano specifici obblighi, gravanti sull’odierna appellata, di esecuzione dei lavori di allestimento e di ristrutturazione dei beni aziendali. Inoltre non vi sono sufficienti elementi probatori che consentono di ritenere che gli “allestimenti” menzionati nella Determina dirigenziale n. 288/2006 ricomprendessero anche gli impianti, sia in considerazione della genericità del termine “allestimenti” e sia perché nello stesso provvedimento si specificava che la (…) Srl era in attesa della loro consegna da parte delle ditte nel frattempo chiuse per ferie, circostanza incompatibile con la messa in opera di “impianti”.

In ogni caso, anche a tal riguardo si osserva che, essendo l’affittuaria subentrata nella licenza amministrativa di cui era titolare la (…) S.r.l., deve ritenersi che quest’ultima abbia completato gli “allestimenti” per i quali aveva ottenuto la proroga concessa con la Determina n. 288/2006.

Alla stregua di tutte le considerazioni sopra esposte deve, quindi, ritenersi non dimostrato che i locali aziendali fossero privi di impianti a norma.

Parimenti è affetta da genericità l’asserita “insussistenza delle condizioni igienico sanitarie e di sicurezza” al momento della stipulazione del contratto d’affitto d’azienda. Inoltre tale circostanza – tempestivamente contestata da controparte nella comparsa di costituzione e risposta del precedente grado (in apposito paragrafo intitolato “Lo stato di manutenzione ed igienico sanitario”, pg. IX) – non risulta in alcun modo dimostrata. Del resto vi è prova che la (…) Sas, oltre all’autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande, era anche titolare dell’autorizzazione sanitaria rilasciata il 21.12.2006 (cfr. prod. sub 29 dell’appellante) e che la stessa società ha sempre regolarmente svolto la sua attività di ristorazione.

Da ultimo si evidenzia che in occasione delle scritture 9.1.2008 e 9.10.2008, con cui le parti convennero di ridurre l’ammontare del canone aziendale, l’odierna appellante non ebbe ad obiettare alcunché né in merito alle condizioni igienico sanitarie dei locali aziendali né in merito alla mancata messa a norma degli impianti.

3.4. In atto d’appello, la Sas (…) pone a base della propria azione di risoluzione per inadempimento anche “il fatto che il concedente, sia all’atto della stipulazione dei contratti sia successivamente, si è sempre rifiutato di mettere a disposizione dell’affittuario ogni tipo di documento e certificazione. Peraltro va in primo luogo osservato che, in primo grado, l’odierna appellante così si esprimeva: “.. gli impianti non sono a norma né sussistono, quantomeno in parte, le condizioni igienico sanitarie e di sicurezza imposte dalle leggi vigenti. Il concedente ha del resto sempre rifiutato di mettere a disposizione dell’affittuario ogni tipo di documento e certificazione, sia all’atto di stipulazione dei contratti sia successivamente (pg. 12 citazione).

In base alla stessa prospettazione attorea, quindi, il rifiuto, da parte della concedente, di consegnare i documenti e le certificazioni all’affittuaria, costituiva non una circostanza ulteriore posta a base dell’azione di risoluzione per inadempimento, bensì, come rivela l’uso dell’espressione “del resto”, solo una argomentazione posta a sostegno dell’asserita non messa a norma degli impianti nonché della insussistenza delle condizioni igienico sanitarie e di sicurezza dell’azienda.

In ogni caso, quand’anche si considerino i documenti e le certificazioni richiesti dalla (…) (per conto dell’affittuaria) alla (…) Srl con la lettera 2.11.2009 (certificato di prevenzione incendi, autorizzazioni agli scarichi delle acque bianche/nere, certificazione e progetto degli impianti elettrici e certificazione della verifica dell’impianto di messa a terra, copia della planimetria catastale dell’immobile), di cui la stessa, in comparsa di costituzione e risposta del precedente grado, non ha contestato l’avvenuta ricezione, deve ritenersi che, in assenza di altri elementi probatori, l’omessa consegna di detta documentazione non possa costituire certo un inadempimento connotato da gravità, tale da risolvere il contratto d’affitto d’azienda, anche considerato che non risulta che la gestione aziendale abbia subito limitazioni, arresti o comunque danni per effetto della mancata consegna di siffatta certificazione.

La conferma della sentenza impugnata in punto infondatezza dell’azione di risoluzione del contratto per inadempimento rende assorbite le doglianze dell’appellante circa i danni conseguenti agli asseriti inadempimenti.

4. Infondato è anche il quinto motivo di gravame, con cui l’appellante lamenta l’avvenuto rigetto della domanda dalla stessa proposta ai sensi degli artt. 2561 e 2562 c.c., finalizzata a vedere regolate in denaro le differenze quantitative e qualitative tra le consistenze di inventario al tempo della stipula del contratto ed alla sua cessazione.

Al riguardo va premesso che il primo giudice, in merito alla predetta domanda, così motiva: “Tale domanda deve essere respinta in quanto le parti hanno pattiziamente derogato al principio di cui agli artt. 2561 e 2562 cc; il contratto di affitto di azienda “inter partes” (che sostituisce il precedente preliminare), all’art. 14 prevede che: 1. Lavori e migliorie ai locali necessitavano di consenso scritto del locatore; 2. Nessun rimborso o indennità è dovuto per interventi additivi, migliorativi e conservativi sugli arredi e sugli impianti di qualsiasi genere; 3. Che i miglioramenti, le addizioni e quant’altro resterà di proprietà del concedente, salvo deroga scritta di comune accordo. Non constano accordi in deroga ai principi di cui al citato art. 14.”.

Ora, va in primo luogo osservato che, assumendo l’appellante l’erroneità di tale pronuncia in quanto l’art. 14 del contratto non costituirebbe alcun patto in deroga alla disciplina di legge prevista dall’art. 2561 c.c. e in quanto la stessa clausola contrattuale non esclude affatto la rimborsabilità all’affittuario delle spese inerenti gli incrementi qualitativi e quantitativi dell’azienda (giacché essa esclude la rimborsabilità degli interventi additivi, migliorativi e conservativi da apportare agli arredamenti e agli impianti già facenti parte dell’inventario iniziale e non su quelli che prescindono da tale inventario), censura parzialmente la sentenza in esame, in quanto non confuta l’ulteriore argomentazione evidenziata in sentenza, secondo cui, in base al citato art. 14 “Lavori e migliorie ai locali necessitavano di consenso scritto del locatore”. Pertanto, in mancanza di specifica censura in merito a tale asserzione, deve ritenersi che, in merito ai lavori e migliorie eventualmente apportati dall’affittuaria ai locali aziendali, sia caduto il giudicato e che, quindi, essi non potrebbero comunque essere considerati nell’eventuale calcolo, ex art. 2651 c.c., della differenza fra le consistenze di inventario all’inizio e quelle al termine dell’affitto.

In ogni caso va effettivamente considerato che l’art. 14 citato richiedeva il consenso scritto del concedente per lavori e migliorie che l’affittuario avesse inteso apportare all’immobile aziendale, consenso scritto mancante nella fattispecie.

Quanto, poi, agli interventi riguardanti gli arredamenti e gli impianti aziendali, non appare condivisibile l’interpretazione data dall’appellante all’art. 14, il quale al secondo comma recita: “Nessun rimborso o indennità per gli eventuali interventi additivi, migliorativi e conservativi apportati sugli arredamenti e sugli impianti di qualunque genere potrà essere richiesto dall’affittuario. In ogni caso i miglioramenti, le addizioni e quant’altro apportato resterà di proprietà del concedente. Tutto ciò salvo deroga scritta di comune accordo”.

Invero, fermo restando la distinzione fra miglioramenti e addizioni – secondo cui i miglioramenti (art. 1592 c.c.) sono opere che accrescono l’utilità e il valore della cosa rimanendone intrinsecamente assorbiti, senza presentare una propria individualità rispetto al bene in cui vanno ad incorporarsi (fra le altre Cass. 21223/14), mentre le addizioni, separabili o non separabili senza nocumento della cosa (art. 1593 c.c.) sono, come dice il termine stesso, opere aggiunte che, pur unite e incorporate alla cosa, non si fondono con essa -, appare evidente che l’uso, nella clausola in esame, della chiara espressione letterale “interventi additivi” consente di ritenere che l’esclusione di ogni indennità e rimborso a favore dell’affittuario valga anche per gli incrementi agli arredi e agli impianti che si aggiungono a quelli esistenti.

5. Da ultimo si osserva che, nelle conclusioni definitive, parte appellante ha mantenuto la domanda diretta ad ottenere il rimborso delle maggiori somme pagate a titolo di canone per l’affitto fino al dicembre del 2009. Al riguardo si osserva che, anche a voler ritenere che nell’appello la (…) Sas abbia inteso dolersi del mancato accoglimento di tale domanda da parte del primo giudice, in ogni caso essa non potrebbe comunque trovare accoglimento. Invero, premesso che nel precedente grado la (…) Sas, a sostegno della predetta domanda, assumeva che il canone preteso dal concedente “si appalesa come manifestamente iniquo” date “le condizioni precarie in cui l’azienda si trovava al momento in cui preliminare e rogito vennero stipulati e dei gravi inadempimenti imputabili alla convenuta (tra tutti l’abusività della veranda)”, valgono le considerazioni già esposte al predetto punto 2.

6. Le spese seguono la soccombenza dell’appellante.

Esse vanno liquidate, in conformità al D.M. 55/2014, in complessivi euro 6.615,00, di cui euro 1.960,00 per la fase di studio, euro 1.350,00 per la fase introduttiva, euro 3.305,00 per la fase decisoria oltre spese generali e accessori di legge.

P.Q.M.

la Corte definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, respinge l’appello;

condanna parte appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio in favore dell’appellata che liquida in complessivi euro 6.615,00 oltre spese generali e accessori di legge.

Si dà atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater D.P.R. 115/2002, che l’appello è integralmente respinto.

Genova, 4 marzo 2020.

Depositata in Cancelleria l’11 marzo 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.