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nei contratti di mutuo, ai fini della verifica del rispetto della L. n. 108 del 1996, l’interesse di mora non va sommato a quello convenzionale, poiché, qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse moratorio non si aggiunge agli interessi convenzionali, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi convenzionali si applicano sul capitale a scadere, costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di disporre della somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (artt. 821 e 1815 c.c.), mentre gli interessi di mora si applicano solamente sul debito scaduto (art. 1224 c.c.). L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe comunque la somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla parte degli interessi convenzionali già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale.

 

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Tribunale Roma, Sezione 17 civile Sentenza 4 ottobre 2018, n. 18916

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

SEZIONE DICIASETTESIMA CIVILE

Il Giudice, in persona del dr. Tommaso MARTUCCI, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento civile di I grado iscritto al n. 16844/2014 del Ruolo Generale degli Affari Civili, posto in deliberazione all’udienza del 7/6/2018 e promosso da:

((…) nato a S. (N.) il (…), ivi residente in via A. n. 162, (C.F.: (…)), IN PROPRIO E QUALE titolare dell’omonima ditta individuale, con sede in S. (N.), via (…), (P. IVA: (…)), elettivamente domiciliato in Ottaviano (NA), via (…) c/o lo studio dell’avv. Ma.Na., che lo rappresenta e difende in virtù di procura in calce all’atto di citazione

ATTORE

contro

((…) S.p.A., nuova denominazione assunta da ((…) S.p.A., società di diritto italiano a socio unico, quale mandataria di ((…) S.p.A., con sede sociale in V., Piazzetta (…), (C.F. e n. di iscrizione al Registro delle Imprese di Verona (…), P. IVA (…)), elettivamente domiciliata in Napoli, Via (…), presso lo studio dell’avv. Ra.Ca., che la rappresenta e difende per procura generale alle liti del 15/7/2010 (Rep. n. (…), Racc. n. (…))

CONVENUTA

MOTIVI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione in riassunzione notificato in data 12/3/2014 dopo l’ordinanza di incompetenza del Tribunale di Napoli, ((…), in proprio e quale titolare dell’omonima ditta individuale, conveniva in giudizio avanti all’intestato Tribunale la S.p.A. ((…), in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendone la condanna alla ripetizione delle somme indebitamente percepite in esecuzione dei contratti di conto corrente e di mutuo inter partes, da liquidarsi in Euro 60.369,38, da porre in compensazione con l’avverso credito, qualora azionato, di Euro 62.894,22, invocando in subordine la condanna della controparte al pagamento della predetta somma a titolo di arricchimento senza causa, previa declaratoria di nullità delle clausole contrattuali concernenti gli interessi passivi in misura ultra legale, la capitalizzazione trimestrale degli interessi, nonché l’applicazione di commissioni e spese, con vittoria delle spese di lite.

La parte attrice, premesso di aver intrattenuto con la controparte i seguenti rapporti:

a) conto corrente aperto in data 13/03/2002 ed estinto l’11/09/2006 con saldo zero – coordinate bancarie: (…);

b) conto corrente per apertura di credito su documenti, codice (…), aperto il 8/01/2004 ed estinto in data 22/09/2006 con saldo zero, coordinate bancarie (…);

c) conto corrente a rimborso rateale, denominato flexicredito, intrattenuto presso la Filiale di Nola cod. (…), acceso il 13/10/2003 ed estinto il 31/12/2009 con saldo zero, coordinate bancarie (…);

d) conto corrente ordinario codice (…), acceso il 5/02/2007 ed estinto in data 12/01/2012 con saldo zero, coordinate bancarie (…);

e) rapporto di conto corrente per apertura di credito anticipo su fatture acceso il 5/7/2007 ed estinto il 14/4/2011 con saldo zero, coordinate bancarie (…);

f) mutuo chirografario n. (…) a tasso variabile di Euro 41.800,00 stipulato presso la filiale di Arzano codice (…), da rimborsare in 60 rate mensili a far tempo dal 1/8/2007 e fino 31/7/2012, risolto dalla banca in data 1/12/2011 con esposizione in linea capitale di Euro 6.672,31 e n. 2 rate scadute e non pagate per Euro 1.448,37;

g) mutuo chirografario n. (…) a tasso variabile per Euro 68.000,00 stipulato il 18/02/2011, da rimborsare in n. 60 rate mensili a far tempo dal 31/03/2011 e con scadenza il 29/02/2016, risolto dalla convenuta in data 1/12/2011 con esposizione in linea capitale di Euro 60.562,54 e 5 rate scadute e non pagate per Euro 6.061,24, deduceva:

– che la controparte, in data 1/12/2011, aveva comunicato il proprio recesso dal conto corrente n. (…) per una presunta esposizione di Euro 32,00 ed aveva comunicato la risoluzione dei contratti di finanziamento nn. (…) e (…), intimando il pagamento della somma complessiva di Euro 74.785,00, di cui Euro 8.161,22 per saldo debitore del mutuo chirografario n. (…) ed Euro 66.623,78 per debito derivante dal mutuo chirografario n. (…);

– di aver chiesto, con successive comunicazioni, il rilascio di copia dei contratti di apertura di tutti i conti correnti inter partes e dei relativi estratti conto, da cui emergeva la nullità dei contratti di mutuo sopra indicati in quanto privi di causale, nonché l’applicazione di condizioni economiche non pattuite;

– che, in ordine al conto corrente acceso in data 13/03/2002 ed estinto in data 11/09/2006 con saldo zero – coordinate bancarie: (…), erano stati applicati il tasso d’interesse ultra legale, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, la commissione di massimo scoperto ed erano state trattenute somme a titolo di presunto rimborso spese in mancanza di espressa pattuizione, dando atto che la ((…) per 11 trimestri non era stata considerata tra le spese relative al contratto;

– che, in ordine al conto corrente codice n. (…), acceso l’8/1/2004 ed estinto in data 22/9/2006 con saldo zero, coordinate bancarie (…), erano stati applicati il tasso di interesse ultra legale, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, la commissione di massimo scoperto ed erano state trattenute somme a titolo di presunto rimborso spese in mancanza di accordo espresso;

– che, in ordine al conto corrente acceso il 13/10/2003 ed estinto il 31/12/2009 con saldo zero, coordinate bancarie (…), erano stati applicati il tasso d’interesse ultra legale, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, la commissione di massimo scoperto ed erano state trattenute somme a titolo di rimborso spese in mancanza di previsione espressa, dando atto che la banca aveva offerto in comunicazione un contratto con la sola sottoscrizione dell’ultima pagina, senza l’apposizione del timbro della ditta individuale dell’attore;

– che, in ordine al conto corrente acceso, codice (…), acceso il 5/02/2007 ed estinto in data 12/01/2012 con saldo zero, coordinate bancarie (…), era stato applicato il tasso di interesse ultra legale, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, la commissione di massimo scoperto ed erano state trattenute somme a titolo di presunto rimborso spese in mancanza di pattuizione;

– che, in esecuzione del conto per apertura di credito anticipo su fatture acceso il 5/7/2007 ed estinto il 14/4/2011 con saldo zero, coordinate bancarie (…), era stato applicato un tasso di interesse ultra legale, la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, la commissione di massimo scoperto ed erano state trattenute somme a titolo di presunto rimborso spese in mancanza di accordo, dando atto che la banca aveva offerto in comunicazione un contratto con la sola sottoscrizione dell’ultima pagina, senza l’apposizione del timbro della ditta individuale dell’attore;

– che il contratto di mutuo chirografario n. (…) era nullo per l’omessa sottoscrizione di entrambi i contraenti e per la mancanza di data e luogo di sottoscrizione, dando atto che la mutuante aveva applicato un tasso ultra legale;

– che il mutuo chirografario n. (…) a tasso variabile per Euro 68.000,00, acceso il 18/02/2011, era nullo per la mancanza dei requisiti essenziali e per l’assenza di sottoscrizione della ditta attrice, evidenziando che era stato applicato un tasso ultra legale ed era stato indicato un programma di investimenti da finanziarie, mentre, in realtà, il contratto era stato stipulato per il pagamento di debiti pregressi.

Le società ((…) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, quale mandataria della S.p.A. ((…), ed ((…) S.p.A., costituitesi con separate comparse dell’8/10/2014, eccepivano preliminarmente la decadenza dell’attore da ogni pretesa relativa alle risultanze degli estratti conto non specificamente contestati nel termine perentorio semestrale e la prescrizione delle relative pretese, con particolare riguardo al contratto di conto corrente stipulato il 13/3/2002; nel merito, chiedevano il rigetto delle domande attoree e, in relazione alla capitalizzazione degli interessi, in caso di ritenuta nullità della capitalizzazione trimestrale, invocavano l’applicazione di quella annuale, con il riconoscimento della legittimità dei calcoli effettuati dalla banca.

Le convenute, in particolare, eccepivano la prescrizione dell’avversa azione di ripetizione di indebito relativa al contratto sottoscritto il 13/3/2002 e, con particolare riferimento ai rapporti di conto corrente, deducevano la legittimità della capitalizzazione degli interessi e la conformità del tasso d’interesse pattuito alla legge antiusura, evidenziando la necessità di escludere la commissione di massimo scoperto dal calcolo del tasso d’interesse ai fini della verifica del rispetto del tasso soglia antiusura.

Esperiti gli incombenti preliminari ed intervenuto lo scambio delle memorie ex art. 183, co. VI, c.p.c., la S.p.A. ((…) precisava di essersi costituita in ordine al contratto di conto corrente n. (…) ed ai rapporti innestati su questa linea di credito con la ditta attrice, in particolare gli affidamenti concessi con i contratti di mutuo n. (…) e n. (…); in seguito, il giudice disponeva consulenza tecnica d’ufficio, quindi fissava per la precisazione delle conclusioni l’udienza del 7/6/2018, al cui esito, sulle conclusioni rassegnate, tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini per le memorie conclusive.

Con la comparsa conclusionale la parte convenuta dava atto che la S.p.A. ((…) aveva mutato la propria denominazione in ((…) S.p.A., mandataria della S.p.A. ((…) in ordine all’intera posizione processuale.

L’eccepita decadenza della parte attrice dalle doglianze relative ai rapporti di conto corrente inter partes per l’omessa contestazione degli estratti conto nei termini previsti dal combinato disposto degli articoli 1857 e 1832, co. II, c.c. sollevata dalla parte convenuta è infondata.

Per costante giurisprudenza, la mancata contestazione degli estratti conto inviati al cliente dalla banca, oggetto di tacita approvazione in difetto di contestazione ai sensi dell’art. 1832 cod. civ., non vale a superare la nullità della clausola relativa agli interessi ultralegali, perché l’unilaterale comunicazione del tasso d’interesse non può supplire al difetto originario di valido accordo scritto in deroga alle condizioni di legge, richiesto dall’art. 1284 cod. civ. (cfr. Cass. civ. n. 17679 del 29/07/2009).

In relazione all’eccezione con cui la S.p.A. ((…), già ((…), eccepisce la prescrizione delle avverse pretese relative al rapporto bancario di conto corrente acceso il 13/3/2002 ed estinto l’11/9/2006, si rileva che l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'”accipiens” (cfr. Cass. civ. sez. un. n. 24418 del 02/12/2010).

La citata pronuncia muove dal rilievo per cui non può ipotizzarsi il decorso del termine di prescrizione del diritto alla ripetizione se non da quando sia intervenuto un atto giuridico, definibile come pagamento, che l’attore pretende essere indebito, perché prima di quel momento non è configurabile alcun diritto di ripetizione. In conseguenza, se il correntista, nel corso del rapporto, abbia effettuato non solo prelevamenti ma anche versamenti, in tanto questi ultimi potranno essere considerati alla stregua di pagamenti, tali da formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti), in quanto abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca. E questo accadrà ove si tratti di versamenti eseguiti su un conto in passivo cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, o quando i versamenti siano destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’affidamento: non così in tutti i casi nei quali i versamenti in conto, non avendo il passivo superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, fungano unicamente da atti ripristinatori della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere. Ben si comprende, quindi, come, in base ai principi richiamati, sia necessario distinguere i versamenti solutori da quelli ripristinatori della provvista: giacché solo i primi possono considerarsi pagamenti nel quadro della fattispecie di cui all’art. 2033 c.c.; con la conseguenza che la prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorre, per tali versamenti, dal momento in cui le singole rimesse abbiano avuto luogo. I versamenti ripristinatori, invece – come precisato dalle Sezioni Unite – non soddisfano il creditore ma ampliano (o ripristinano) la facoltà d’indebitamento del correntista: sicché, con riferimento ad essi, di pagamento potrà parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia percepito dal correntista il saldo finale, in cui siano compresi interessi non dovuti (cfr. Cass. civ. n. 4372 del 22/2/2018).

Nella fattispecie, la prescrizione dovrà essere valutata con riferimento alla natura delle rimesse risultanti dai documenti versati in atti.

Ciò posto, con particolare riferimento alla causa petendi, ((…), in proprio e quale titolare dell’omonima ditta individuale, chiede la condanna della S.p.A. ((…) S.p.A. alla ripetizione delle somme indebitamente percepite in forza dei contratti di conto corrente, di apertura di credito e di mutuo a titolo di interessi corrispettivi e moratori applicati con tassi ultra legali e con illecita capitalizzazione, nonché a titolo di commissione di massimo scoperto, previo accertamento della nullità parziale ex art. 1815 c.c. dei contratti.

Le domande sono infondate.

I rapporti controversi traggono origine dai seguenti contratti stipulati tra ((…), titolare dell’omonima ditta individuale, e la S.p.A. ((…):

a) conto corrente aperto in data 13/03/2002 ed estinto l’11/09/2006 con saldo zero – coordinate bancarie: (…);

b) conto corrente per apertura di credito su documenti, codice (…), acceso il 8/01/2004 ed estinto in data 22/09/2006 con saldo zero, coordinate bancarie (…);

c) conto corrente a rimborso rateale, denominato flexicredito, intrattenuto presso la Filiale di Nola cod. (…), acceso il 13/10/2003 ed estinto il 31/12/2009 con saldo zero, coordinate bancarie (…);

d) conto corrente ordinario, codice (…), acceso il 5/2/2007 ed estinto in data 12/1/2012 con saldo zero, coordinate bancarie (…);

e) rapporto di conto corrente per apertura di credito anticipo su fatture acceso il 5/7/2007 ed estinto il 14/4/2011 con saldo zero, coordinate bancarie (…);

f) mutuo chirografario numero (…) a tasso variabile di Euro 41.800,00, stipulato presso la filiale di Arzano, codice (…), da rimborsare in 60 rate mensile con inizio il 1/8/2007 e fino 31/7/2012, risolto dalla banca in data 1/12/2011 con esposizione in linea capitale di Euro 6.672,31 e n. 2 rate scadute e non pagate per Euro 1.448,37;

g) mutuo chirografario n. (…) a tasso variabile per Euro 68.000,00, acceso il 18/02/2011, da rimborsare in n. 60 rate mensili a far tempo dal 31/03/2011 e con scadenza 29/02/2016, risolto dalla convenuta in data 1/12/2011 con esposizione in linea capitale di Euro 60.562,54 e 5 rate scadute e non pagate per Euro 6.061,24.

Con riferimento a tutti i contratti di conto corrente l’attore deduce l’illegittima applicazione del tasso di interesse ultra legale e della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, con conseguente violazione degli articoli 1284 e 1283 c.c.

Quanto all’anatocismo, premesso che, ai sensi dell’art. 32 della deliberazione del C.I.C.R. del 9/2/2000, in materia di mutui bancari, è consentita la produzione di interessi moratori sulla quota di interessi corrispettivi compresa nelle rate scadute in caso di inadempienza del mutuatario al pagamento delle rate scadute, in condizioni di reciprocità tra gli interessi debitori e creditori, nella specie, l’attore non ha provato gli elementi costitutivi della domanda di ripetizione di indebito.

Invero, in applicazione dei principi generali ex art. 2697 c.c., secondo cui chi intende azionare un diritto deve provarne i fatti costitutivi – quindi produrre in giudizio i documenti rilevanti a sostenere la propria pretesa – l’onere della prova gravante sull’attore correntista è assolto attraverso la produzione dei contratti bancari che si contestano (necessari per verificare la sussistenza ed il rispetto di tutte le condizioni economiche applicate al rapporto) e degli altri documenti che rilevano nel caso specifico. Più nel dettaglio, nel caso in cui la domanda abbia ad oggetto un conto corrente è necessaria la produzione in giudizio del contratto e degli estratti conto trimestrali completi dall’inizio del rapporto.

Come affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione con riguardo alle azioni di accertamento negativo del credito, “L’onere probatorio ex art. 2697 c.c., che grava su chi intenda far valere in giudizio un diritto, ovvero eccepisca la modifica o l’estinzione di un altrui diritto, non subisce deroga, poiché pur avendo ad oggetto “fatti negativi”, tale negatività non esclude né inverte il relativo onere, persistendo quest’ultimo sempre sulla parte che faccia valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, assume carattere costitutivo” e specificando che “. Sotto il profilo della possibilità di produrre il documento può legittimamente ipotizzarsi una posizione paritaria tra correntisti ed istituto di credito” (cfr. Cassazione civile, sez. I, 07/05/2015, n. 9201).

Si deve altresì rilevare che “Non può aderirsi all’interpretazione secondo cui, in ragione del principio di prossimità o vicinanza della prova, doveva essere la Banca a fornire la documentazione che la cliente non aveva avuto cura di conservare. Infatti, il richiamato principio di prossimità o vicinanza della prova, in quanto eccezionale deroga al canonico regime della sua ripartizione, secondo il principio ancor oggi vigente che impone (incumbit) un onus probandi ei qui dicit non ei qui negat, deve trovare una pregnante legittimazione che non può semplicisticamente esaurirsi nella diversità di forza economica dei contendenti, ma esige l’impossibilità della sua acquisizione simmetrica, che nella specie è negata proprio dall’obbligo richiamato dall’art. 117 TUB, secondo cui, in materia bancaria, i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti” (cfr. Cass. civ. 12/09/2016, n. 17923).

Nella stessa direzione si pone la giurisprudenza di merito maggioritaria che ha sostenuto che “Detta produzione è, in particolare, necessaria per accertare e verificare tra le altre cose, il rispetto dei requisiti sagomati dall’art. 117 TUB (…); la data della stipulazione, anche al fine di individuare la disciplina legislativa applicabile al caso concreto; le condizioni del rapporto bancario (tassi di interesse attivi e passivi, anatocismo, spese, valute, commissioni massimo scoperto); l’ammontare della somma capitale eventualmente affidata al correntista” (Trib. Agrigento, n. 969 del 20/6/2016; Trib. Monza, n. 1411 del 17/5/2016; Trib. Roma, 17/5/2016; Trib. Agrigento n. 446 del 14/3/2016; Trib. Cosenza, 24/11/2014).

L’onere probatorio non può ritenersi assolto dall’attore attraverso la produzione delle perizie contabili che costituiscono una mera allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio (cfr. Cass. civ. n. 16552 del 6/8/2015; Cass. civ. s.u. n. 13902 del 3/6/2013; Trib. Roma, n. 7449 del 13 aprile 2016).

Nella specie, dai documenti versati in atti e dalla consulenza tecnica d’ufficio redatta dalla dr.ssa Ma.Sc. è emerso quanto segue in ordine ai contratti stipulati tra l'(…) e la S.p.A. ((…):

– conto corrente ordinario n. (…): con applicazione dei criteri metodologici e di stampo matematico – finanziario è emerso che – nel periodo dal 13.03.2002 (data di apertura del c/c) al 11.09.2006 (estinzione conto corrente) – il T.E.G. del rapporto ha superato il corrispondente tasso – soglia ex L. n. 108 del 1996 nel II trim. 2004;

– conto corrente per apertura di credito su documenti n. (…): è emerso che nel periodo dall’8.1.2004 (data di apertura del c/c) al 22.9.2006 (data di estinzione del conto corrente) il T.E.G. del rapporto ha superato il corrispondente tasso – soglia ex L. n. 108 del 1996 nel I, II, III e IV trim. 2005 e nel I 2006;

– conto corrente a rimborso rateale n. (…) è risultato che – nel periodo dal 13.10.2003 (data di apertura del c/c) al 31.12.2004 (ultimo estratto conto disponibile) il T.E.G. del rapporto non ha mai superato il corrispondente tasso – soglia ex L. n. 108 del 1996 del periodo;

– conto corrente ordinario n. (…) è risultato che – nel periodo dal 05.02.2007 (data di apertura del c/c) al 12.01.2012 (data di chiusura c/c) – il T.E.G. del rapporto ha superato il corrispondente tasso – soglia ex L. n. 108 del 1996 nel IV trim. 2010 e I, II e IV 2011;

– conto corrente per apertura di credito anticipo su fatture n. (…) è risultato che – nel periodo dal 05.07.2007 (data di apertura del c/c) al 14.04.2011 (((…) data di chiusura c/c) – il T.E.G. del rapporto ha superato il corrispondente tasso – soglia ex L. n. 108 del 1996 nel IV trim. 2010 e I, II e IV 2011.

Orbene, quanto all’eccepita usurarietà dei tassi di interesse applicati, si rileva che, ai fini della verifica del rispetto della normativa in materia antiusura, deve aversi riguardo al momento della stipulazione, essendo del tutto irrilevante il fenomeno della cosiddetta usura sopravvenuta: osserva a tale riguardo il recente arresto delle sezioni unite della Suprema Corte che, nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto (cfr. Cass. civ. sez. un. n. 24675 del 19/10/2017).

Nel caso in esame, nei contratti di conto corrente sopra menzionati il superamento del tasso soglia è avvenuto in alcuni trimestri successivi alla data di stipulazione del contratto, tranne che per il n. (…), in cui il tasso d’interesse è sempre stato inferiore al tasso soglia, e non vi è prova che sia avvenuto per effetto di variazioni dei tassi d’interesse apportate dalla banca, pertanto non rileva ai fini della validità ed efficacia dei contratti inter partes, stante l’irrilevanza della c.d. usura sopravvenuta.

Relativamente alla capitalizzazione degli interessi, risulta dalla consulenza tecnica d’ufficio che nei contratti di mutuo n. (…) e n. (…) la capitalizzazione è stata pattuita conformemente all’art. 120 D.Lgs. n. 385 del 1993, pertanto non sussiste alcuna ipotesi di anatocismo contra legem.

Anche in ordine ai rapporti di conto corrente è stata prevista la identica periodicità della regolamentazione dei rapporti di dare/avere: trattasi, quindi, di una clausola contrattuale conforme al disposto della Del.CICR del 9 febbraio 2000, che prevede la validità e l’efficacia delle clausole contrattuali che, in materia di interessi, prevedono l’identica periodicità della loro capitalizzazione con riferimento agli interessi attivi e passivi.

Non potrebbe ritenersi inefficace la Del.CICR del 9 febbraio 2000 per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 425/2000 dichiarativa della illegittimità costituzionale dell’art. 25, comma III, D.Lgs. n. 342 del 1999, che aveva introdotto il terzo comma dell’art. 120 D.Lgs. n. 385 del 1993, che disponeva: “Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente”, per sostenere che il meccanismo di adeguamento dei contratti di conto corrente alla disciplina dell’anatocismo sia ormai non più valido; al contrario, ritiene il giudicante che la Del.CICR del 9 febbraio 2000 è comunque valida ai sensi dell’art. 120, comma secondo D.Lgs. n. 385 del 1993 nel testo vigente quando venne emanata, secondo cui: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”. Ed invero, la citata sentenza della Corte Costituzionale n. 425/2000 ha dichiarato illegittimo l’art. 120, co. III D.Lgs. n. 385 del 1993 solo nella parte in cui sanava retroattivamente la capitalizzazione degli interessi effettuata prima che entrasse in vigore la deliberazione del CICR del 9/2/2000, quindi non ha effetto invalidante di quest’ultima delibera, che prevede la regolamentazione della capitalizzazione degli interessi per l’avvenire.

E’ priva di pregio altresì l’eccepita illegittimità dell’applicazione della commissione di massimo scoperto.

La commissione di massimo scoperto (CMS), intesa come remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma, applicata fino all’entrata in vigore dell’art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008, introdotto con la legge di conversione n. 2 del 2009, è “in thesi” legittima, almeno fino al termine del periodo transitorio, fissato al 31 dicembre 2009, posto che i decreti ministeriali che hanno rilevato il tasso effettivo globale medio (TEGM) – dal 1997 al dicembre del 2009 – sulla base delle istruzioni diramate dalla ((…), non ne hanno tenuto conto al fine di determinare il tasso soglia usurario (essendo ciò avvenuto solo dall’1 gennaio 2010); ne consegue che l’art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008, cit. non è norma di interpretazione autentica dell’art. 644, comma 3, c.p., ma disposizione con portata innovativa dell’ordinamento, intervenuta a modificare – per il futuro – la complessa disciplina, anche regolamentare (richiamata dall’art. 644, comma 4, c.p.), tesa a stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono presuntivamente sempre usurari. Ne deriva, inoltre, che, per i rapporti bancari esauritisi prima dell’1 gennaio 2010, allo scopo di valutare il superamento del tasso soglia nel periodo rilevante, non deve tenersi conto delle CMS applicate dalla banca, ma occorre procedere ad un apprezzamento nel medesimo contesto di elementi omogenei della rimunerazione bancaria, al fine di pervenire alla ricostruzione del tasso soglia usurario, come sopra specificato (cfr. Cass. civ. n. 12965 del 22/06/2016).

Con il citato intervento legislativo del 2009 si è dunque stabilito che: 1) è legittima la commissione di massimo scoperto, sub specie sia di commissione di massimo scoperto, sia di commissione di messa a disposizione dei fondi; 2) vanno introdotte alcune limitazioni a tutela della clientela per entrambe le ipotesi (sussistenza di un saldo a debito – su un conto affidato – per un periodo continuativo pari o superiore a trenta giorni); 3) sono nulle le (sole) clausole contrattuali stipulate in violazione delle suddette limitazioni; 4) la CMS (letteralmente le “commissioni comunque denominate che prevedono una remunerazione per la banca dipendente dall’effettiva durata di utilizzazione dei fondi da parte del cliente”) è rilevante, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, ai fini dell’applicazione tanto dell’art. 1815 cod. civ. che dell’art. 644 cod. pen.. Può pertanto dirsi che la norma, pure omettendo ogni definizione più puntuale della CMS, abbia effettuato una ricognizione dell’esistente con l’effetto sostanziale di sancire definitivamente la legittimità di siffatto onere e, per tale via, di sottrarla alle censure di legittimità sotto il profilo della mancanza di causa.

Successivamente, l’art. 6-bis del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201-Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici, convertito con modificazioni, dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214, (inserito in sede di conversione), ha introdotto nel TUB l’art. 117-bis rubricato “Remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamene” e, poi, a distanza ravvicinata, prima l’art. 27, co. 4, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1-Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, ha abrogato il primo e il terzo comma dell’art. 2-bis del D.L. n. 185 del 2009 e a seguire l’art. 1, co. 1, del D.L. 24 marzo 2012, n. 29-Disposizioni urgenti recanti integrazioni al D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, e al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, nonché modifiche alla L. 31 luglio 1997, n. 249, convertito, con modificazioni, in L. 18 maggio 2012, n. 62, ha novellato il ridetto art. 117-bis TUB.

Infine, in attuazione di quanto disposto dall’art. 117-bis, Infine, in attuazione di quanto disposto dall’art. 117-bis, co. 4, TUB, è stato approvato il D.M. 30 giugno 2012, n. 644-Disciplina della remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti in attuazione dell’articolo 117-bis del Testo unico bancario, entrato in vigore il successivo 1 luglio 2012.

Nella formulazione dell’articolo 117-bis, attualmente vigente – nel testo a decorrere dal 22 maggio 2012 – al primo comma vengono tipizzate le commissioni di affidamento (CA) per l’apertura di credito in conto corrente, al secondo comma sono disciplinate le commissioni applicabili in caso di sconfinamento; il terzo comma prevede la nullità delle clausole che prevedono oneri diversi e non conformi a quelli indicati nei primi due. Il quarto comma, infine, attribuisce al CICR la competenza ad adottare disposizioni, anche di trasparenza, applicative dell’articolo e ad estendere il raggio di azione della norma a contratti ulteriori rispetto ad aperture di credito e conti correnti “per i quali si pongano analoghe esigenze di tutela del diente”. Conseguentemente, nel vigore della nuova disciplina, i contratti di apertura di credito possono prevedere, quali unici “oneri” per il cliente, da un lato, una commissione “omnicomprensiva” (ma inferiore allo 0,5 per cento per trimestre), “calcolata in maniera proporzionata rispetto alla somma a disposizione del cliente e alla durata dell’affidamento”, dall’altro, un tasso di interesse debitore sulle somme utilizzate. Secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 2, lett. il), del D.M. 30 giugno 2012, n. 644 (del CICR) la commissione di affidamento si applica “sull’intera somma messa a disposizione del cliente in base al contratto”, e per il periodo in cui la stessa somma è messa a disposizione del cliente.

Nella specie, considerata la normativa applicabile ratione temporis, non vi è prova che la commissione di massimo scoperto sia stata applicata in violazione della legge e delle condizioni contrattuali pattuite in conformità alla legge.

Gli attori deducono la nullità del contratto di mutuo inter partes stipulato in data 5/7/2007, n. (…), in quanto privo della sottoscrizione di entrambe le parti e stipulato per la ristrutturazione di un immobile da adibire ad uso commerciale e per l’acquisto di macchinari, sebbene il denaro fosse stato, in realtà, destinato al pagamento dell’assicurazione a garanzia del prestito, contravvenendo allo scopo del contratto; deduce, inoltre, l’applicazione del tasso d’interesse ultra legale e della capitalizzazione trimestrale degli interessi in violazione di legge.

Le deduzioni sono infondate.

Dalla copia del contratto versata in atti risulta che il documento è stato sottoscritto da entrambi i contraenti, i quali hanno, inoltre, pattuito il tasso d’interesse nella misura iniziale del 7,5% annuo, pari alla quotazione dell’Euribor a tre mesi moltiplicato per il coefficiente 365/360, arrotondato allo 0,05% superiore, in essere per valuta alla data del 5/7/2007, maggiorato di 3,25 punti in ragione di anno, l’I.S.C. del 7,96325% ed il tasso moratorio pari a quello corrispettivo maggiorato di due punti in ragione di anno.

Le questioni giuridiche rilevanti nel caso di specie attengono pertanto all’applicabilità della disciplina in materia di usura al tasso d’interesse moratorio ed al criterio di determinazione del TEG.

Giova premettere che, in tema di contratto di mutuo, con norma di interpretazione autentica, l’art. 1, comma 1, D.L. n. 394 del 2000, conv. da L. n. 24 del 2001, ha stabilito che si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento e, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (cfr. Cass. civ. n. 5598 del 06/03/2017; Cass. civ. n. 5324 del 04/04/2003).

Rileva, tuttavia, il giudicante che il tasso di mora ha una funzione autonoma e distinta rispetto agli interessi corrispettivi, poiché mentre l’uno sanziona il ritardato pagamento, gli interessi corrispettivi costituiscono la effettiva remunerazione del denaro mutuato, pertanto, stante la diversa funzione ed il diverso momento di operatività, la verifica della usurarietà degli interessi moratori va effettuata in modo distinto ed autonomo da quella relativa agli interessi corrispettivi, con esclusione della loro sommatoria.

Si sono diffusi al riguardo due opposti orientamenti: il primo (Trib. Cremona 9.1.2015; Trib. Milano 29.1.2015; Trib. Roma 7.5.2015; Trib. Rimini 6.2.2015; Trib. Vibo Valentia; Trib. Brescia 24.11.2014; Trib. Salerno 27.7.1998; Trib. Macerata 1.6.1999; Trib. Napoli 5.5.2000; Trib. Treviso 12.11.2015; Cass. Pen. 5689/2012) esclude l’applicabilità agli interessi di mora della normativa antiusura sulla base dei seguenti rilievi: gli artt. 1815, comma 2, c.c. e 644, comma 1, c.p. si riferiscono, rispettivamente, agli interessi “convenuti” e “in corrispettivo”, dunque valorizzano la fase fisiologica del rapporto (Trib. Verona 12.9.2015); le Istruzioni della ((…) per il calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) non contemplano gli interessi di mora (c.d. principio di omogeneità di confronto), posto che la L. n. 108 del 1996 esige la rilevazione comparata di “operazioni della stessa natura”; la mancanza di un tasso soglia ad hoc degli interessi moratori (cfr. Trib. Varese 26.4.2016 e Trib. Milano 28.4.2016); la diversa funzione degli interessi moratori – peraltro eventuali – aventi natura risarcitoria/sanzionatoria, rispetto agli interessi corrispettivi, aventi natura remunerativa (cfr. Trib. Treviso 12.11.2015, secondo cui gli interessi moratori non remunerano affatto il creditore dell’erogazione del credito, ma lo ristorano per il protrarsi della perdita della disponibilità di somme di denaro che egli non ha accettato, ma che subisce per effetto dell’inadempimento del debitore e per un periodo di tempo non prevedibile); il TAEG di cui alle Direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE non contempla gli interessi moratori.

Il secondo indirizzo ermeneutico esclude il tasso di mora dall’ambito di operatività della L. n. 108 del 1996, valorizzando il D.L. n. 132 del 2014, convertito in L. n. 162 del 2014, che all’art. 17, comma 1, ha novellato l’art. 1284, ult. co., c.c., prevedendo che il saggio degli interessi (di mora), dal momento in cui è proposta la domanda giudiziale, ove non sia pattuito dalle parti, è pari a quello previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002 in materia di transazioni commerciali e questo tasso, con riferimento a talune categorie di operazioni, quali i mutui, è spesso risultato superiore al tasso – soglia: ne consegue, secondo questo indirizzo giurisprudenziale, la liceità della pattuizione di un interesse di mora pari o anche superiore a quello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, quindi superiore al tasso – soglia (Trib. Cremona 9.1.2015; Trib. Vibo Valentia 22.7.2015; Trib. Treviso 12.11.2015; Trib. Monza 3.3.2016; Trib. Varese 26.4.2016; Trib. Milano 28.4.2016).

Prevale, tuttavia, in dottrina ed in giurisprudenza l’orientamento secondo cui gli interessi moratori sono soggetti alle soglie d’usura (cfr. Cass. civ. nn. 4251/1992, 5286/2000, 14899/2000, 5324/2003, 350/2013, 602/2013, 603/2013 nonché Corte Cost. n. 29/2002, secondo cui è “plausibile l’assunto” che gli interessi di mora siano assoggettati al tasso – soglia): il principale argomento posto a sostegno di questo indirizzo è l’affermazione del “principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione” e la circostanza che “il ritardo colpevole … non giustifica il permanere della validità di una obbligazione così onerosa e contraria alla legge” (così la Corte di cassazione nelle decisioni da ultimo citate).

Quest’ultimo orientamento, consolidatosi nella recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (cfr. Cass. civ. n. 5598 del 06/03/2017; Cass. civ. 23192/2017), si fonda anche sui seguenti ulteriori argomenti:

a) la L. 28 febbraio 2001, n. 24, di interpretazione autentica della L. n. 108 del 1996, testualmente disciplina gli “interessi … promessi o convenuti, a qualunque titolo”, quindi anche gli interessi moratori (depone in tale direzione anche la Relazione governativa al D.L. n. 394 del 2000);

b) l’art. 644 c.p. statuisce il “limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” senza distinzioni tra tipologie di interessi;

c) i rischi dell’utilizzazione strumentale degli interessi moratori, se sottratti alla disciplina antiusura;

d) l’irrazionalità di sanzionare i vantaggi usurari nella fase fisiologica del rapporto e non in quella patologica (mora)

Orbene, l’adito giudicante condivide l’ultimo degli orientamenti sopra citati ed i principi su cui si fonda: nondimeno, la rilevazione dell’usurarietà degli interessi moratori postula l’analisi dei relativi tassi autonomamente rispetto agli interessi corrispettivi, con esclusione di ogni ipotesi di sommatoria tra gli stessi.

Invero, nei contratti di mutuo, ai fini della verifica del rispetto della L. n. 108 del 1996, l’interesse di mora non va sommato a quello convenzionale, poiché, qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse moratorio non si aggiunge agli interessi convenzionali, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi convenzionali si applicano sul capitale a scadere, costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di disporre della somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (artt. 821 e 1815 c.c.), mentre gli interessi di mora si applicano solamente sul debito scaduto (art. 1224 c.c.). L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe comunque la somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla parte degli interessi convenzionali già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale.

Non vale in contrario richiamare la nota sentenza della Corte di cassazione n. 350 del 9/1/2013, che non contiene alcuna affermazione nel senso della necessità di cumulare il tasso moratorio al tasso corrispettivo, avendo invece semplicemente affermato che sono soggetti al tasso soglia anche gli interessi moratori; in tal senso si è espressa la più recente e maggioritaria giurisprudenza di merito.

In particolare, non è corretta la tesi secondo cui l’interesse di mora vada sommato a quello convenzionale e tale somma vada confrontata con il tasso soglia antiusura previsto per gli interessi convenzionali dalla L. n. 108 del 1996. Infatti, qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse di mora non si aggiunge agli interessi corrispettivi, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi corrispettivi si applicano sul capitale a scadere, costituendo appunto il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere la somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (art. 1815 cod. civ.), mentre gli interessi di mora si applicano solamente sul debito scaduto (art. 1224 cod. civ.).

La clausola contenuta nel contratto di mutuo che prevede nell’ipotesi di ritardato pagamento, l’applicazione del tasso moratorio sull’intero importo delle rate scadute non comporta affatto una sommatoria di tassi, in quanto la base di calcolo, alla quale si applica il solo interesse moratorio, rimane cristallizzata nell’importo della singola rata.

Tale previsione peraltro è legittimata dall’art. 120 D.Lgs. n. 385 del 1993, come modificato dal D.Lgs. n. 349 del 1999, e dalla Del.CICR del 9 febbraio 2000, il cui art. 3 così dispone: “Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento”. L’applicazione degli interessi moratori sull’importo delle rate scadute non solo non può essere reputata illegittima (in quanto conforme all’art. 3 della Del.CICR del 9 febbraio 2000), ma nemmeno può influire sulla determinazione del tasso effettivo, essendo anatocismo ed usura fenomeni distinti ed autonomamente disciplinati. Al riguardo pare sufficiente osservare che i tassi medi che sono oggetto di rilevazione non comprendono interessi anatocistici e che sussiste una ovvia esigenza di uniformità fra dato in valutazione e parametro di riferimento.

L’eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe, quindi, una somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla parte degli interessi corrispettivi già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale.

Non rilevano, ai fini della verifica del superamento della soglia antiusura del tasso degli interessi moratori, le spese relative al contratto bancario, posto che l’interesse di mora non attiene alla remunerazione del capitale, bensì alla penalità per il ritardato adempimento del mutuatario, fatto imputabile a quest’ultimo e meramente eventuale, in una fase patologica del rapporto.

Osserva al riguardo la prevalente giurisprudenza di merito che è infondata la modalità di conteggio del “tasso effettivo di mora (T.E.MO.)”, posto che la previsione contrattuale di interessi moratori concerne la mera ipotesi, patologica ed eventuale, di un ritardo nel pagamento delle rate ed è, dunque, riferita a fattispecie che si discosta dal corso fisiologico del contratto, avendo tali oneri natura risarcitoria, diversamente dagli interessi corrispettivi, connessi all’erogazione del credito. Tanto premesso, se da un lato si reputa corretto computare, unitamente agli interessi corrispettivi, i restanti costi ed oneri connessi all’erogazione del credito ai fini della determinazione del tasso corrispettivo applicato al rapporto (conteggio del TEG), dall’altro pare incoerente replicare tale modalità di calcolo con riferimento agli interessi di mora, attesa la ribadita diversa natura di questi ultimi” (cfr. Trib. Milano, n. 11854 del 22 ottobre 2015; App. Milano, 20 gennaio 2015).

Ed ancora, pur rilevando, ai fini del tasso soglia, anche il tasso d’interesse moratorio, per verificare il superamento i due tassi d’interesse non si sommano, in quanto succedono l’uno all’altro; in particolare, il moratorio succede al corrispettivo in caso di inadempimento o ritardo (cfr. Trib. Roma, ord. 3 giugno 2015).

Non è in contrasto con tali principi la recente ordinanza della Suprema Corte n. 23192/2017, di cui si riporta il contenuto motivazionale: “Considerato che:1. l’art. 1815, co. 2, c.c. stabilisce che “se sono dovuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi” e ai sensi dell’art. 1 D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito in L. 28 febbraio 2001, n. 24, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento; il legislatore, infatti, ha voluto sanzionare l’usura perché realizza una sproporzione oggettiva tra la prestazione del creditore e la controprestazione del debitore;

2. il ricorso è manifestamente infondato; come ha già avuto modo di statuire la giurisprudenza di legittimità “è noto che in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (Cass. 4 aprile 2003, n. 5324). Ha errato, allora, il tribunale nel ritenere in maniera apodittica che il tasso di soglia non fosse stato superato nella fattispecie concreta, solo perché non sarebbe consentito cumulare gli interessi corrispettivi a quelli moratori al fine di accertare il superamento del detto tasso” (Cass. ord. 5598/2017; con principio già affermato da Cass. 14899/2000)”.

Ebbene, tale pronuncia, oltre a ribadire il principio ormai consolidatosi in dottrina ed in giurisprudenza, secondo cui gli interessi di mora sono soggette alla disciplina antiusura, censura il ragionamento sotteso alla pronuncia del Tribunale nella parte in cui era stata apoditticamente esclusa l’usurarietà degli interessi per il solo fatto della non applicabilità della sommatoria dei relativi tassi, dovendosi ritenere che la Suprema Corte abbia evidenziato la necessità di verificare in concreto la usurarietà dei tassi d’interesse, ma ciò non implica che debba farsi luogo alla loro sommatoria ai fini della verifica del superamento del c.d. tasso soglia.

Corrobora l’orientamento sopra espresso il punto 4) dei “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura” del 2/7/2013, che costituisce un valido parametro interpretativo della disciplina antiusura e così dispone: “I TEG medi rilevati dalla ((…) includono, oltre al tasso nominale, tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito.

Gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L’esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo, che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l’inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora. L’esclusione degli interessi di mora dalle soglie è sottolineata nei decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in cui è precisato che “i tassi effettivi globali medi (…) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento.

Venendo al caso di specie, i tassi d’interesse corrispettivi, al momento della stipulazione dei contratti de quibus, se correttamente analizzati con esclusione della sommatoria tra i tassi d’interesse corrispettivo e moratorio, sono stati legittimamente pattuiti nel rispetto del tasso soglia antiusura.

Con particolare riferimento agli interessi moratori, applicando il criterio utilizzato dalla ((…), che prevede la maggiorazione di 2,1 del T.E.G. quale base di calcolo, ovvero se si ritiene di applicare il tasso soglia in misura pari a quello previsto per gli interessi corrispettivi, il tasso degli interessi pattuito contestualmente alla conclusione del contratto è conforme alla legge antiusura, non potendosi sommare alla sua percentuale prestabilita le spese relative al contratto, le quali, se da un lato concorrono a formare il TEG unitamente agli interessi corrispettivi, dall’altro non possono sommarsi al tasso d’interesse moratorio, che attiene alla fase patologica del rapporto determinata dalla mora debendi.

Gli attori deducono, altresì, la nullità del contratto di mutuo inter partes stipulato il 18/2/2011, n. (…) perché privo della sottoscrizione della ditta attrice, per essere stato utilizzato per estinguere pregresse esposizioni debitorie pur essendo finalizzato alla realizzazione di un programma di investimenti finanziari e per l’applicazione di interessi ultra legali.

Le doglianze sono prive di pregio.

Dalla copia del contratto versata in atti risulta che il documento è stato sottoscritto da ((…) e non rileva la mancata indicazione della sua partecipazione all’atto in qualità di titolare della omonima ditta individuale, non avendo quest’ultima una soggettività giuridica diversa dal suo titolare; i contraenti hanno, inoltre, pattuito il tasso d’interesse in misura iniziale pari al 7,450% annuo, pari alla quotazione dell’Euribor a tre mesi moltiplicato per il coefficiente 365/360, arrotondato allo 0,05% superiore, in essere per valuta alla data del 18/2/2011 maggiorato di 6,30 punti in ragione di anno, il TAEG dell’8,07683% ed il tasso moratorio pari a quello corrispettivo, senza l’indicazione della maggiorazione.

I tassi d’interesse corrispettivo e moratorio previsti dal contratto di mutuo inter partes si sottraggono, quindi, alle censure attoree, risultando inferiori al c.d. tasso soglia antiusura.

Quanto allo scopo dei contratti di finanziamento, difetta la prova delle asserzioni attoree, secondo cui le somme mutuate sarebbero state destinate ad usi diversi da quelli previsti dai contratti per scelta della banca.

Ne consegue l’infondatezza delle domande attoree di accertamento della nullità parziale dei contratti di mutuo e di conto corrente inter partes, nonché delle pretese restitutorie e della domanda proposta in via gradata ai sensi dell’art. 2041 c.c.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, e quelle di c.t.u., liquidate con separato decreto, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

visto l’art. 281-quinquies c.p.c.;

il Tribunale di Roma, definitivamente pronunziando sulle domande proposte con atto di citazione in riassunzione notificato in data 12/3/2014 da ((…), in proprio e quale titolare dell’omonima ditta individuale, avverso la S.p.A. ((…), in persona del legale rappresentante pro tempore, con la costituzione della S.p.A. ((…), in persona del legale rappresentante pro tempore, quale mandataria della S.p.A. ((…), contrariis reiectis:

RIGETTA le domande proposte da ((…), in proprio e quale titolare dell’omonima ditta individuale, avverso la S.p.A. ((…), con la costituzione della S.p.A. ((…) quale mandataria della S.p.A. ((…);

CONDANNA ((…), in proprio e quale titolare dell’omonima ditta individuale, al pagamento in favore della controparte delle spese processuali, che liquida in Euro 8.000,00 per compenso professionale, oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge;

PONE le spese di c.t.u., liquidate con separato decreto, definitivamente a carico dell’attore.

Così deciso in Roma l’1 ottobre 2018.

Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.