Al fine di determinare se il tasso di interesse applicato al contratto di mutuo debba ritenersi usurario occorre, in primo luogo, considerare l’irrilevanza, ai fini del superamento delle soglie fissate ai sensi della L. n. 108 del 1996, degli interessi moratori.

 

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Tribunale Pordenone, civile Sentenza 28 giugno 2018, n. 528

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI PORDENONE

Il Tribunale di Pordenone, in persona del Giudice dr.ssa Maria Paola Costa, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado, promossa con atto di citazione notificato il 12 agosto 2015

da

(…) (C.F. (…)), titolare della omonima ditta individuale (P.I. (…)), rappresentata e difesa, per mandato in calce al predetto atto di citazione, dall’avv. Torquato Tasso e dall’avv. Pa.Co. e presso lo studio dell’avv. Va.Fr. in Pordenone piazza (…) elettivamente domiciliata

– attrice –

contro

(…) s.p.a. (C.F. (…)), ora (…) s.p.a., rappresentata e difesa, per mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta, dall’avv. Ri.Mu. e presso il suo studio in Pordenone piazza (…) elettivamente domiciliata

– convenuta –

Oggetto: contratto di mutuo.

RAGIONI DELLA DECISIONE

L’attrice (…), titolare della omonima ditta individuale, premesso, da un lato, di aver stipulato il 16 settembre 2002 un contratto di mutuo chirografario con la (…) s.p.a. (ora (…) s.p.a.) per la somma di Euro 40.000,00 complessivi, da restituirsi mediante il pagamento di 60 rate mensili posticipate, e precisato, dall’altro lato, che tale rapporto negoziale risultava chiuso ed estinto, ha evocato avanti al Tribunale di Pordenone la predetta Banca, per sentirla condannare alla restituzione, previa dichiarazione di gratuità del mutuo ex artt. 644 comma 1 c.p. e 1815 comma 2 c.c., di tutto quanto versato a titolo di interessi.

La Banca, costituitasi in giudizio, ha, invece, resistito alla domanda attorea, chiedendone il rigetto.

Sulle conclusioni in epigrafe trascritte, precisate in via definitiva all’udienza del 2 marzo 2018, la causa giunge ora in decisione, dopo lo scambio degli scritti finali.

Esposti, nei termini succinti che precedono, i fatti rilevanti dell’odierno contendere, la domanda va disattesa, in quanto infondata.

L’attrice chiede, più nel dettaglio, a questo Giudice di verificare anzitutto se il tasso soglia di usura, inerente al contratto di mutuo de quo, richieda il necessario computo e, quindi, la sommatoria degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, posto che – per quanto si chiarirà infra – singolarmente presi i due tassi pattuiti inter partes non travalicano affatto il summenzionato tasso soglia.

La questione che precede è già stata, peraltro, affrontata più volte dal Tribunale adito, con decisioni da cui, in assenza di spunti genuinamente innovativi, non v’è nella presente sede motivo alcuno di discostarsi.

Deve, infatti, ribadirsi (cfr., per tutte, la sentenza n. 296/2018 del 27 marzo – 11 aprile 2018 di questo Tribunale) quanto segue.

Al fine di determinare se il tasso di interesse applicato al contratto di mutuo debba ritenersi usurario occorre, in primo luogo, considerare l’irrilevanza, ai fini del superamento delle soglie fissate ai sensi della L. n. 108 del 1996, degli interessi moratori.

Sotto questo profilo, è noto che secondo Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, “si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori”.

Siffatta pronuncia richiama espressamente quanto affermato da Corte Cost., 25 febbraio 2002, n. 29, per la quale “il riferimento, contenuto nell’art. 1, comma 1, del D.L. n. 394 del 2000, agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”, e si pone sulla scia dell’orientamento espresso, tra le altre, da Cass. 4 aprile 2003, n. 5324, Cass. 17 novembre 2000, n. 14899, e Cass. 22 aprile 2000, n. 5286.

Tuttavia, il riferito orientamento giurisprudenziale, benché autorevole, non appare condivisibile in quanto, oltre a non conferire alcuna certezza sulla necessaria sommatoria dei due tipi di interessi, la pronuncia sembra trascurare la diversa funzione assolta dagli interessi corrispettivi e dagli interessi moratori, i primi, costituenti il corrispettivo previsto per il godimento diretto di una somma di denaro, avuto riguardo alla normale produttività della moneta (cfr. Cass. 22 dicembre 2011, n. 28204), i secondi, rappresentanti una liquidazione anticipata, presuntiva e forfettaria del danno causato dal ritardato adempimento di un’obbligazione pecuniaria.

Infatti, il tasso di mora ha un’autonoma funzione risarcitoria per il fatto, imputabile al mutuatario e solo eventuale, del ritardato pagamento e la sua incidenza va rapportata al protrarsi ed alla gravità della inadempienza, del tutto diversa dalla funzione di remunerazione propria degli interessi corrispettivi (cfr. Trib. Milano, 22 maggio 2014; Trib. Verona, 9 aprile 2014; Trib. Brescia, 16 gennaio 2014).

Sebbene la distinzione tra le due figure risultasse meno sfumata sotto il vigore dell’art. 41 cod. comm., il quale ammetteva l’automaticità della produzione di interessi non moratori limitatamente ai soli rapporti oggettivamente commerciali, non può per ciò solo ritenersi che l’art. 1282 c.c. sia sovrapponibile all’art. 1224 c.c. e che, dunque, gli interessi corrispettivi e quelli moratori possano porsi sullo stesso piano, in quanto, come evidenziato anche da autorevole dottrina, sono identificabili diverse situazioni in cui si verifica un’esigibilità o un ritardo nel pagamento senza una corrispondente situazione di mora (quale, ad esempio, il caso del corrispettivo pecuniario divenuto esigibile per l’appaltatore dopo la consegna e l’accettazione dell’opera da parte dell’appaltante, esigibile anche qualora non sia decorso il termine per l’adempimento), situazioni riconducibili nell’alveo della prima disposizione, ma non in quello della seconda, il cui ambito di applicazione è circoscritto in quello della prima.

Le due tipologie di interessi si distinguono anche sul piano della disciplina applicabile, in quanto gli interessi moratori sono dovuti, a differenza di quelli corrispettivi, dal giorno della mora e a prescindere dalla prova del danno subito, ai sensi dell’art. 1224, primo comma, c.c., e vengono introdotti coattivamente ex lege, per il caso dell’inadempimento, anche in un rapporto contrattuale che non li abbia originariamente previsti, attesa la loro natura latamente punitiva (cfr. Trib. Roma, 16 settembre 2014).

Il disatteso orientamento seguito dalla citata Cass. n. 350/13 sembra porsi in contrasto anche con la ratio sottesa alla fattispecie delittuosa del reato di usura, che sanziona, all’art. 644 c.p., la condotta di chi si fa dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari quale corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, da individuarsi, come desumibile anche dal disposto del comma terzo del medesimo articolo, nel divieto di convenire un corrispettivo sproporzionato per la concessione in godimento del denaro di altra utilità.

Pertanto, assumono rilevanza ai fini dell’integrazione degli estremi dell’usura solo quelle prestazioni di natura corrispettiva (siano esse interessi convenzionali, remunerazioni, commissioni o spese diverse da quelle legate ad imposte e tasse) legate alla fisiologica attuazione del programma negoziale, non essendo possibile estendere l’ambito di applicazione della fattispecie in esame anche alle prestazioni riconducibili alla mora debendi (cfr. Tribunale Verona 9 aprile 2014; in materia penale, vedi Trib. Torino, GUP, 10 giugno 2014). …

Non appare decisivo, in senso opposto, il dettato dell’art. 1 comma 1, D.L. n. 394 del 2000, convertito, con modificazioni, nella L. n. 24 del 2001, secondo cui “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e dell’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”, emanata al dichiarato fine di evitare effetti pregiudizievoli in ordine alla stabilità del sistema creditizio nazionale che sarebbero potuti derivare dall’orientamento giurisprudenziale (v. Cass. n. 14899/00, cit.) propenso a riconoscere la sopravvenuta usurarietà dei tassi di interesse, benché legittimi al momento della conclusione del contratto di mutuo, per effetto della variazione medio tempore del c.d. tasso – soglia.

Non sembra, infatti, potersi riconoscere a tale norma, in considerazione della sua natura di interpretazione autentica, carattere innovativo rispetto alla disciplina dettata dall’art. 644 c.p. e, come tale, idonea ad ampliare la fattispecie delittuosa del reato di usura, includendo anche oneri non ricollegabili alla erogazione del credito.

Sotto altro profilo, occorre rilevare che i decreti del Ministero dell’economia e delle finanze con cui, in attuazione della L. n. 108 del 1996, sono periodicamente individuati i tassi effettivi globali medi rilevanti ai fini dell’usura non tengono in considerazione gli interessi moratori.

Sul punto, a partire dal D.M. 25 marzo 2003, si è avuto cura di precisare espressamente che i tassi effettivi globali medi non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento e che l’indagine statistica condotta a fini conoscitivi dalla (…) e dall’Ufficio Italiano dei Cambi già all’epoca aveva rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali.

In data 3 luglio 2013, successivamente all’emanazione della richiamata pronuncia della Cassazione, la (…) ha diffuso un comunicato secondo il quale gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, in ragione del fatto che trattasi di oneri eventuali la cui debenza ed applicazione cadono solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente e ha conseguentemente chiarito che prenderà in considerazione nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, come base del tasso – soglia per gli interessi moratori, il TEGM dei corrispettivi elevato del 2,1%, ossia la differenza che una rilevazione statistica aveva riscontrato correre tra gli interessi corrispettivi ed i moratori.

Appare, pertanto, del tutto coerente e logico prendere in considerazione, ai fini dell’accertamento dell’usurarietà dei tassi di interesse – laddove si sostenga la rilevanza a tali fini anche di quelli moratori – soglie determinate con riferimento ai soli interessi corrispettivi e a tutti gli oneri connessi all’erogazione del credito.

Pertanto, anche l’interpretazione del dato normativo condotta sotto il profilo più strettamente economico conduce alla conclusione della impossibilità di attribuire rilevanza, ai fini dell’usura, agli interessi moratori.

D’altra parte, come evidenziato nella richiamata comunicazione della (…), l’esclusione degli interessi moratori dal calcolo dell’usura evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. In effetti, se si prendessero in considerazione anche tali interessi, potrebbe determinarsi un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela, così frustrando le finalità della stessa normativa antiusura.

Da ultimo, va evidenziato che, diversamente opinando, secondo quanto stabilito dalla citata Cass. n. 350/13, si dovrebbe concludere nel senso della non coerenza dei decreti ministeriali emanati in attuazione della L. n. 108 del 1996 con la stessa legge, in quanto adottati sul non corretto presupposto della non rilevanza degli interessi moratori, con conseguente inapplicabilità delle soglie fissate per i soli interessi corrispettivi e gli ulteriori oneri connessi all’erogazione del credito.

Del tutto inconferente, poi, risulta il richiamo effettuato da parte attrice alla sentenza della Cassazione n. 23192/2017 a sostegno della propria tesi, in quanto nel” caso “recente su cui si è pronunciata la Suprema Corte si trattava di esaminare l’usurarietà originaria dei soli interessi di mora e le sue implicazioni sul contratto di mutuo in essere tra le parti, fattispecie che esula dal caso in esame, rendendo così il richiamo alla predetta pronuncia del tutto decontestualizzato e, pertanto, non apprezzabile ai fini dell’accoglimento della domanda attorea”.

Soffermandosi ulteriormente sulla pronuncia appena citata (Cassazione n. 23192/2017), che anche (…) ha menzionato al fine di supportare la propria argomentazione difensiva, va ribadito (cfr. sentenza n. 404/2018 del 3 maggio – 18 maggio 2018 del Tribunale di Pordenone) che tale pronuncia “non apporta nessuna apprezzabile argomentazione a favore della tesi attorea, non solo perché del tutto indeterminato rimane il criterio con il quale parte attrice” ha “calcolato il tasso di mora secondo le determinazioni contrattuali, ma anche perché la recente pronuncia di legittimità si limita a citare pedissequamente il precedente orientamento – non condivisibile in questa sede per le ragioni sopra esposte – senza apportare nuovi argomenti in grado di superare le criticità sopra illustrate”.

Appare, a questo punto, utile tornare allora sul tema, solo accennato in premesse, secondo cui, nel caso di specie, gli interessi corrispettivi e quelli moratori, ove singolarmente presi, non travalicano il tasso soglia di usura.

Se, infatti, quanto ai primi non vi è questione, poiché è la stessa attrice ad indicare in 7,25% il tasso corrispettivo iniziale, a conclusione diversa rispetto a quella prospettata da (…) si deve invece pervenire quanto ai secondi.

Un tanto emerge, in modo tranciante, dalla documentazione versata in atti dalla attrice, posto che il contratto di mutuo che costei ha messo a disposizione di questo Giudice (cfr. suo documento 2) statuisce, all’art. 6, che “In caso di ritardo di qualsivoglia pagamento, a qualsiasi causa tale ritardo sia attribuibile, saranno dovuti gli interessi di mora calcolati per il numero di giorni intercorrenti dal giorno successivo a quello di scadenza della rata impagata e fino alla data di pagamento compresa, sulla base dell’anno civile (divisore anno civile) ad un tasso per ciascun mese pari alla quotazione dell’EURIBOR … ad 1 mese, moltiplicata per il coefficiente 365/360, aumentata di (…) (…) punti percentuali. Su tali interessi non è consentita la capitalizzazione periodica”.

Stando, insomma, al dato letterale del contratto prodotto da (…) il tasso di mora, al momento della stipula, non era affatto pari a 9,36%, ma era pari al tasso EURIBOR ad 1 mese senza alcuna maggiorazione, ben al di sotto, perciò, del tasso soglia di usura che, sempre a quella data, l’attrice ci ricorda essere stato pari ad 8,43%.

E ciò quand’anche si volesse tener conto del valore della polizza convenuta (non essendovi, ad ogni modo, evidenza circa il fatto che quella prodotta sia riferita al mutuo per cui è causa).

Quanto, invece, alla commissione per l’estinzione anticipata, essa non appare connessa all’erogazione del credito, quanto piuttosto alla fase restitutoria del prestito, essendo rimessa all’esercizio, da parte del mutuatario, di un potere a lui esclusivamente riservato di estinguere in via anticipata l’operazione.

Per le assorbenti ragioni che precedono, la domanda va, perciò, rigettata.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale di Pordenone, in persona del Giudice dr.ssa Maria Paola Costa, definitivamente pronunciando nella causa civile di cui in epigrafe, così provvede:

1) rigetta la domanda;

2) condanna l’attrice (…), titolare della omonima ditta individuale, alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla convenuta (…) s.p.a., ora (…) s.p.a., che liquida in Euro 4.835,00 per compenso, oltre rimborso forfetario 15%, CNA ed IVA come per legge.

Così deciso in Pordenone il 20 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 28 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.