quando d’un contratto d’opera ne sia parte la P.A. e pur ove questa agisca “iure privatorum”, e’ richiesta, in ottemperanza al disposto del Regio Decreto 18 novembre 1923, n. 2440, articoli 16 e 17, come per ogni altro contratto stipulato dalla P.A. stessa, la forma scritta “ad substantiam”, che e’ strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attivita’ amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettivita’, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, ed e’, quindi, espressione dei principi d’imparzialita’ e buon andamento della P.A. posti dall’articolo 97 Cost.; pertanto il contratto deve tradursi, a pena di nullita’, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’Ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere ed al compenso da corrispondere. Di conseguenza, in mancanza di detto documento contrattuale, ai fini d’una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l’esistenza di una deliberazione con la quale l’organo collegiale dell’Ente abbia conferito un incarico ad un professionista, o ne abbia autorizzato il conferimento, in quanto detta deliberazione non costituisce una proposta contrattuale nei confronti del professionista, ma un atto con efficacia interna all’Ente di natura autorizzatoria e diretta al diverso organo legittimato ad esprimere la volonta’ all’esterno. Deve inoltre escludersi che il contratto possa essere concluso a distanza, a mezzo di corrispondenza, occorrendo che la pattuizione sia versata in un atto contestuale, anche se non sottoscritto contemporaneamente. Tale difetto di forma scritta richiesta “ad substantiam” puo’ essere rilevato d’ufficio dal giudice chiamato a decidere sulla domanda del professionista volta al pagamento del compenso, anche in grado di appello, salvo che sulla validita’ del contratto vi sia stata pronuncia del giudice di primo grado, non investita da specifico motivo di gravame.

Corte di Cassazione|Sezione 2|Civile|Sentenza|7 giugno 2019| n. 15497

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2737/2013 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE (OMISSIS) in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5234/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/02/2019 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso e precisamente del I, II e del III motivo accoglimento del IV, inammissibilita’ del V motivo;

udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza pubblicata il 6/12/2011, rigetto’ l’impugnazione proposta da (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso la sentenza del 5/12/2003 del Tribunale di Rieti, Sezione Distaccata di Poggio Mirteto, con la quale, revocato il decreto, a suo tempo emesso in favore di (OMISSIS) (al quale i due appellanti erano succeduti mortis causa), con il quale era stato ingiunto al comune di (OMISSIS) di pagare la complessiva somma di Euro 89.274,13, oltre accessori, era stata rigettata la domanda azionata con il provvedimento monitorio. Entrambe le sentenze avevano ritenuto che fosse affetto da nullita’ il contratto di prestazione d’opera professionale (nella specie ingegneristica) posto alla base della pretesa per difetto dei requisiti di forma imposti dalla presenza di pubblico contraente e da inammissibilita’, la domanda nuova di indebito arricchimento ex articolo 2041 c.c., tardivamente proposta.

Avverso la statuizione d’appello ha proposto ricorso per cassazione, corredato da cinque motivi, (OMISSIS), ulteriormente illustrato da memoria.

Ha resistito con controricorso il comune di (OMISSIS).

Questa Corte all’esito dell’adunanza camerale del 20/9/2017 rimetteva, con ordinanza depositata il 3/11/2017, alla pubblica udienza.

In prossimita’ della pubblica udienza il ricorrente ha depositato nuova memoria.

Con ordinanza interlocutoria depositata il 24/5/2018 il processo veniva rinviato a nuovo ruolo in attesa della decisione delle S.U. sulla remissione di cui all’ordinanza n. 7079/2017.

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 24 e 111 Cost., articolo 183 c.p.c., commi 3 e 4, articolo 6, § 1, CEDU.

Secondo l’articolato assunto censuratorio plurimi erano stati gli errori nei quali era incorsa la sentenza d’appello:

a) il giudice aveva rilevato d’ufficio la questione della nullita’ quando, scaduti i termini di cui all’articolo 183 c.p.c., il thema decidendum era stato oramai definito, con violazione, quindi dei principi costituzionali del contraddittorio e del giusto processo;

b) il rilievo non aveva incontrovertibile fondamento probatorio, stante che nel passato il professionista aveva avuto diversi incarichi regolari ed aveva fornito numerosi documenti, senza che l’opponente avesse eccepito la inesistenza di tali incarichi e cio’ avrebbe dovuto essere considerato almeno sul piano presuntivo;

c) l’attore avrebbe dovuto essere rimesso in termini per dedurre nuove prove;

d) il giudice aveva violato, in uno al contraddittorio, il dovere di collaborare con lealta’ al fine di giustizia;

e) non erano stati riaperti i termini ex articolo 183 c.p.c., e non si era dato corso all’istruttoria;

f) in appello era stata vanamente chiesta la rimessione in termini;

g) il Comune aveva eccepito la mancanza di forma scritta solo a riguardo di cinque delle ventuno parcelle contestate e, comunque, “l’opponente si e’ limitato, tutt’al piu’, a contestare la mancata indicazione nel ricorso per d.i. delle delibere autorizzato rie, cioe’ di atti diversi e precedenti l’atto d’incarico”;

h) aveva errato la sentenza impugnata nel ritenere che la mancanza di una fissazione di udienza apposita non aveva privato l’opposto di articolare prove, valendosi della stessa ordinanza emessa ex articolo 184 c.p.c.;

i) non era corretto affermare che gli appellanti non avevano indicato neppure in appello “in che cosa sarebbe consistita l’attivita’ difensiva sia con riferimento alla precisazione delle domande che alle richieste istruttorie”, poiche’ la parte appellante aveva invocato la rimessione in termini.

1.1. La censura e’ infondata per una pluralita’ di convergenti ragioni.

Non solo il ricorrente non spiega, neppure in questa sede, in cosa specificamente sia consistito il vulnus, ma prioritariamente va rilevato che costituisce approdo pacifico il principio secondo il quale quando d’un contratto d’opera ne sia parte la P.A. e pur ove questa agisca “iure privatorum”, e’ richiesta, in ottemperanza al disposto del Regio Decreto 18 novembre 1923, n. 2440, articoli 16 e 17, come per ogni altro contratto stipulato dalla P.A. stessa, la forma scritta “ad substantiam”, che e’ strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attivita’ amministrativa nell’interesse sia del cittadino, costituendo remora ad arbitri, sia della collettivita’, agevolando l’espletamento della funzione di controllo, ed e’, quindi, espressione dei principi d’imparzialita’ e buon andamento della P.A. posti dall’articolo 97 Cost.; pertanto il contratto deve tradursi, a pena di nullita’, nella redazione di un apposito documento, recante la sottoscrizione del professionista e del titolare dell’organo attributario del potere di rappresentare l’Ente interessato nei confronti dei terzi, dal quale possa desumersi la concreta instaurazione del rapporto con le indispensabili determinazioni in ordine alla prestazione da rendere ed al compenso da corrispondere.

Di conseguenza, in mancanza di detto documento contrattuale, ai fini d’una valida conclusione del contratto rimane del tutto irrilevante l’esistenza di una deliberazione con la quale l’organo collegiale dell’Ente abbia conferito un incarico ad un professionista, o ne abbia autorizzato il conferimento, in quanto detta deliberazione non costituisce una proposta contrattuale nei confronti del professionista, ma un atto con efficacia interna all’Ente di natura autorizzatoria e diretta al diverso organo legittimato ad esprimere la volonta’ all’esterno.

Deve inoltre escludersi che il contratto possa essere concluso a distanza, a mezzo di corrispondenza, occorrendo che la pattuizione sia versata in un atto contestuale, anche se non sottoscritto contemporaneamente.

Tale difetto di forma scritta richiesta “ad substantiam” puo’ essere rilevato d’ufficio dal giudice chiamato a decidere sulla domanda del professionista volta al pagamento del compenso, anche in grado di appello, salvo che sulla validita’ del contratto vi sia stata pronuncia del giudice di primo grado, non investita da specifico motivo di gravame (Sez. 3, n. 1702, 26/1/2006, Rv. 588321; ex multis, conf.: nn. 11930/06, 1752/07, 13508/07, 15296/07, 17650/07, 1167/013, 24679/013).

1.2. La forma qui e’ costitutiva e pertanto il giudice ha il dovere di verificarne la sussistenza e in caso di constatata assenza non si e’ in presenza di una terza via che spiazza la difesa, senza che rilevi il grado di compiutezza dell’eccezione dell’ente pubblico.

Questa Corte, come noto, ha da tempo precisato che la rilevabilita’ d’ufficio della nullita’ del contratto in ogni stato e grado del processo opera solo se da parte dell’attore se ne richieda l’adempimento, essendo il giudice tenuto a verificare l’esistenza delle condizioni dell’azione e a rilevare d’ufficio le eccezioni che, senza ampliare l’oggetto della controversia, tendano al rigetto della domanda e possano configurarsi come mere difese del convenuto.

Ne consegue che quando la domanda sia, invece, diretta a far valere l’invalidita’ del contratto o a pronunciarne la risoluzione per inadempimento, non puo’ essere dedotta tardivamente un’eccezione di nullita’ diversa da quelle poste a fondamento della domanda, essendo il giudice, sulla base dell’interpretazione coordinata dell’articolo 1421 c.c., e articolo 112 c.p.c., tenuto al rispetto del principio dispositivo, anche alla luce dell’articolo 111 Cost., che richiede di evitare, al di la’ di precise indicazioni normative, ampliamenti dei poteri d’iniziativa officiosa (ex multis, Sez. 1, n. 9395, 27/4/2011, Rv. 617956).

Successivamente le S.U. hanno avuto modo di precisare, come spiega recente sentenza di questa Sezione (n. 21418 del 30/08/2018), “che il rilievo ex officio di una nullita’ negoziale deve ritenersi consentito, sempreche’ la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata ragione piu’ liquida, in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), senza, per cio’ solo, negarsi la diversita’ strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poiche’ tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, affatto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullita’ contrattuale (Sez. U, Sentenza n. 26242 del 12/12/2014 Rv. 633504; sostanzialmente conforme, Sez. U, Sentenza n. 14828 del 04/09/2012 Rv. 623290)”.

Nel caso al vaglio, avendo l’odierno ricorrente agito per l’adempimento e, peraltro, avendo il Comune eccepito la mancanza della forma prescritta per cinque delle ventuno parcelle azionate, non puo’ sorgere dubbio sulla correttezza del rilievo della nullita’ operato dal giudice.

In ragione di quanto esposto e’ appena il caso di soggiungere la mancanza di rilevanza di indizi e prove, che a dire del (OMISSIS) dimostravano il conferimento degli incarichi.

1.3. In ogni caso, non e’ dato riscontrare alcuna violazione del principio del contraddittorio: la questione, come dice la Corte locale, era stata prospettata dal Giudice di primo grado, con ordinanza del 27/6/2006, senza che fosse stata avanzata alcuna richiesta di prove nuove. Prove che, peraltro, il (OMISSIS), trascura di specificare anche in ricorso.

Va soggiunto che la richiesta di remissione in termini, che il ricorrente assume aver formulato con la comparsa conclusionale e di replica in primo grado, non merita spendita di argomenti, tenuto conto della tardivita’ della dedotta sede.

La remissione in appello correttamente e’ stata disattesa, poiche’ l’accoglimento era stato condizionato alla dimostrazione che in primo grado v’era stata impossibilita’ della proposizione di “domande nuove conseguenti all’eccezione officiosa di cui all’ordinanza 27.1016”.

1.4. Infine, val la pena soggiungere che la violazione delle norme costituzionali non puo’ essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimita’ costituzionale della norma applicata (di recente, Sez. 5, n. 15879, 15/6/2018, Rv. 649017; conf. n. 3709/2014).

2. Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli articoli 24 e 111 Cost., articoli 115, 184 e 210 c.p.c., articolo 2724, n. 3, e articolo 2725, comma 2, nonche’ articoli 2727 – 2729 c.c.; nonche’ insufficiente e contraddittoria motivazione, secondo la formulazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, anteriore alla riforma operata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, conv. nella L. n. 134 del 2012.

Due, in sintesi, i profili essenziali della doglianza:

a) non era condivisibile l’affermazione secondo la quale la prova documentale offerta era generica, poiche’, afferma il ricorrente, un conto e’ “la necessita’ della forma scritta ad substantiam (…) altra cosa e’ il modo con cui la parte che non ne ha in mano una copia conforme puo’ comunque dare la prova della loro (dei documenti) esistenza “in origine””;

b) avrebbero dovuto essere ammessi di mezzi di prova ed in particolare, l’ordine di esibizione ex articolo 210 c.p.c., che non aveva carattere esplorativo e la prova per testi, ai sensi dell’articolo 2725 c.c., comma 2, e articolo 2724 c.c., n. 3, praticabile “quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento”; infine si sarebbero dovute apprezzare le inferenze di causa ai sensi degli articoli 2727 – 2729 c.c..

2.1. La doglianza e’ nel suo complesso, e sotto tutti i profili evidenziati, manifestamente destituita di giuridico fondamento.

La forma scritta richiesta ad substantiam non tollera surrogati, salva la sola ipotesi eccezionale contemplata dal combinato disposto dell’articolo 2725 c.c., u.c., e articolo 2724 c.c., n. 3, quando “il contraente ha senza sua colpa perduto il documento” e non e’, pertanto, consentito provare per testi e presunzioni la stipula di un contratto per il quale la legge impone la scrittura a pena di nullita’. Evenienza che qui non ricorre affatto, in quanto il ricorrente, lungi dal prospettare, con l’ovvia necessaria puntualita’, l’intervenuta stipula per iscritto e la perdita incolpevole del documento, si duole del mancato esperimento di un’indagine esplorativa, tanto generica quanto sommaria, diretta a riscontrare l’ipotetica esistenza “dall’inizio dei disciplinari d’incarico scritti”.

3. Con il quarto motivo il (OMISSIS) lamenta violazione e/o falsa applicazione degli articoli 3, 24 e 111 Cost., articolo 183 c.p.c., commi 3 e 4, articolo 2041 c.c., 6, CEDU.

La domanda d’arricchimento senza causa era stata dichiarata inammissibile per tardivita’. Invece, proprio la circostanza del tardivo rilievo d’ufficio ben avrebbe giustificato l’introduzione della domanda di cui all’articolo 2041.

3.1. La doglianza e’ fondata nei termini seguenti.

Le S.U. nel 2015 (sent. n. 12310/015, Rv. 635536) avevano enunciato il principio seguente: la modificazione della domanda ammessa ex articolo 183 c.p.c., puo’ riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda cosi’ modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, percio’ solo, si determini la compromissione delle potenzialita’ difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali. Ne consegue l’ammissibilita’ della modifica, nella memoria ex articolo 183 c.p.c., dell’originaria domanda formulata ex articolo 2932 c.c., con quella di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo.

Sulla scia e a completamento dell’arresto di cui alla massima sopra riportata, le S.U., con la sent. n. 22404, 13/9/2018, hanno ulteriormente specificato che nel processo introdotto mediante domanda di adempimento contrattuale e’ ammissibile la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento formulata, in via subordinata, con la prima memoria ai sensi dell’articolo 183 c.p.c., comma 6, qualora si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, trattandosi di domanda comunque connessa per incompatibilita’ a quella originariamente proposta.

Poiche’ nel caso in esame il (OMISSIS) formulo’ domanda d’indebito arricchimento nel rispetto dell’articolo 183 c.p.c., la decisione sul punto della Corte locale si rivela non conforme all’enunciazione di cui sopra, senza che possa assumere rilievo l’aver qualificato la pretesa quale vera e propria domanda nuova e non mera reconventio reconventionis.

4. Con il quinto ed ultimo motivo il ricorso prospetta l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, costituito dall’omesso esame del quarto motivo d’appello, con il quale era stata contestata l’eccezione di prescrizione presuntiva e la deduzione di carenza nella produzione delle delibere, proposte dal Comune.

La questione era rimasta evidentemente assorbita (assorbimento improprio) dal rigetto della domanda e oggi resta assorbita dall’accoglimento del quarto motivo.

5. In ragione dell’esposto la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, demandandosi al Giudice del rinvio anche il compito di regolare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il quarto motivo del ricorso e rigetta il primo, il secondo e il terzo e dichiara assorbito il quinto, cassa e rinvia alla Corte d’appello di Roma, altra Sezione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimita’.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.