il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, rispondendo all’esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio, quale corollario del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (Cass. n. 6427 del 1989 ed in seguito Cass. n. 1694 del 1997 secondo cui, qualora un contratto venga stipulato senza l’indicazione di una scadenza, ciò non implicherebbe che gli effetti perdurino nel tempo senza limiti, atteso che – in sintonia con il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c. ed in coerenza con la naturale temporaneità dell’obbligazione civile – dovrebbe essere riconosciuta alla parti la possibilità di farne cessare l’efficacia, previa disdetta, anche in difetto di previsione legale, non essendo a ciò di ostacolo il disposto dell’art. 1373 c.c. che, regolando il recesso unilaterale nei contratti di durata quando tale facoltà è stata prevista dalle parti, nulla dispone per il caso di mancata previsione pattizia al riguardo.

Tribunale Milano, Sezione 7 civile Sentenza 2 aprile 2019, n. 3275

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

SETTIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Serena Nicotra

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 30028/2017 promossa da:

(…) SRL (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. LO.GI. e dell’avv. SE.GU. ((…)) VIA (…) 20129 MILANO; elettivamente domiciliato in VIA (…) 20024 GARBAGNATE MILANESE presso il difensore avv. LO.GI.

ATTORE

contro

(…) S.R.L. (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. CO.GA. e dell’avv. CL.FR. ((…)) VIA (…) 20121 MILANO; COVA STEFANO ((…)) VIA (…) 20121 MILANO, elettivamente domiciliato in VIA (…) 20121 MILANO presso il difensore avv. CO.GA.

CONVENUTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

ESPOSIZIONE DELLE DOMANDE DELLE PARTI

1. Con atto di citazione ritualmente notificato, (…) conveniva in giudizio (…) per ottenere, in tesi, la declaratoria di validità ed efficacia del contratto sottoscritto il 30 aprile 2013 avente ad oggetto “Servizio ristoro mediante distributori automatici” e la condanna al pagamento dei danni, quantificati in Euro 124.915,46, subiti a causa del recesso della convenuta ovvero, in ipotesi di declaratoria di invalidità od inefficacia del medesimo contratto, l’accertamento della vigenza di un contratto di somministrazione e della violazione dell’obbligo di esecuzione secondo buona fede con conseguente condanna della convenuta al pagamento della minor somma pari ad Euro 13.463,97.

2. A fondamento della domanda, deduceva che il 30 aprile 2013 le parti sottoscrivevano un contratto di vending machines in forza del quale (…) si obbligava a mettere a disposizione alcune aree all’interno dei propri spazi aziendali per l’installazione di distributori automatici forniti dalla (…) per l’erogazione di bevande calde e fredde e che, in forza della clausola n. 6 delle Condizioni Generali di Contratto (doc. 2 fasc. parte attrice, pag. 3), il contratto, avente durata triennale dal 30 aprile 2013 tacitamente prorogabile di un ulteriore triennio, sarebbe stato sciolto illegittimamente mediante il recesso comunicato da (…) con messaggio di p.e.c. del 9 dicembre 2016, in quanto manifestato oltre i 90 giorni antecedenti alla prima scadenza del 30 aprile 2016 previsti nella medesima clausola.

Il recesso della convenuta, espressivo secondo parte attrice di un inadempimento contrattuale, avrebbe causato a (…), in primo luogo, un danno emergente da rapportare all’acquisto e all’installazione di un nuovo apparecchio detenuto a titolo di leasing, all’installazione di erogatori d’acqua, al costo delle c.d. chiavette C. fornite a (…) per i propri dipendenti ed, infine, ai costi relativi all’impiego di un dipendente della (…) destinato all’approvvigionamento e alla manutenzione degli apparecchi automatici direttamente nei locali aziendali; in secondo luogo, l’inadempimento alla clausola n. 6 avrebbe causato a (…) un lucro cessante derivante dal mancato incasso della cessione delle bevande ai fruitori del servizio fino alla scadenza del contratto al termine del secondo triennio (30 aprile 2019).

Poiché, tuttavia, il contratto era stato sottoscritto dai componenti della rappresentanza sindacale unitaria (e non già dal legale rappresentante della (…)), parte attrice chiedeva anche il previo accertamento della efficacia del contratto alla data del recesso, deducendo che il contratto, ancorché in ipotesi concluso da falsus procurator, sarebbe stato ratificato per facta concludentia dallo stesso legale rappresentante della (…), il quale nel corso del rapporto (segnatamente nell’anno 2015) avrebbe sì implicitamente ma altresì inequivocabilmente manifestato l’intenzione di imputare alla società gli effetti del vincolo negoziale attraverso l’invio della fattura n. (…) del 18.2.2016 (e della successiva nota di credito n. (…) del 1.3.2016) per il rimborso dei costi dell’energia elettrica e per esser indennizzato dell’occupazione relativa agli spazi aziendali.

In caso di rigetto della domanda giudiziale di accertamento, parte attrice domanda, in via subordinata, la condanna della convenuta al risarcimento del danno derivante dall’inadempimento contrattuale di un vincolo negoziale comunque intercorso tra le parti e da qualificarsi alla stregua di una somministrazione, limitando tuttavia la quantificazione al danno emergente.

3. Si costituiva (…) mediante tempestivo deposito di comparsa di costituzione e risposta chiedendo il rigetto integrale di ogni domanda.

4. Parte convenuta si difendeva sostenendo la legittimità del recesso; eccepiva l’inefficacia assoluta del contratto di vending per esser stato concluso da falsus procurator, contestando la sussistenza dei presupposti sostanziali per il perfezionamento della ratifica; deducendo la natura onerosa della clausola n. 6 delle condizioni generali di contratto, eccepiva poi la sua inefficacia sia per non esser la stessa conosciuta o conoscibile sia per mancanza del requisito formale della sua doppia sottoscrizione. Contestava, infine, la quantificazione del lamentato danno patrimoniale operata da parte attrice nella sua duplice componente del danno emergente e del lucro cessante, chiedendo altresì il rigetto della domanda subordinata.

5. All’udienza del 13 dicembre 2017 le parti chiedevano l’assegnazione dei termini di cui all’art. 183, co. 6, c.p.c.

6. Seguiva lo scambio delle memorie autorizzate, senza che le domande fossero modificate.

7. A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 21 aprile 2018, con ordinanza del 23 aprile 2018 veniva formulata proposta conciliativa ai sensi dell’art. 185-bis c.p.c.

8. La proposta conciliativa prevedeva, in favore di (…), il pagamento di un importo compreso tra Euro 10.000 ed Euro 15.000,00 evidenziando che le questioni sottese alle domande attoree presentavano profili di criticità soprattutto con riferimento alla natura onerosa della invocata clausola n. 6 delle condizioni generali di contratto e all’onere probatorio afferente all’esatta quantificazione del danno, non solo con riferimento al lucro cessante fondato su un documento di dubbia valenza probatoria ma altresì con riferimento alle componenti del danno emergente che non risultavano in concreto adeguatamente documentate pur potendo agilmente esserlo in astratto.

9. All’udienza del 10 ottobre 2018 (…) manifestava la sua indisponibilità integrale ad accettare la proposta conciliativa, mentre (…) si rendeva disponibile al pagamento dell’importo minimo.

10 Ritenuta la causa matura per la decisione, le parti si riportavano alla precisazione delle conclusioni depositate telematicamente e la causa veniva trattenuta in decisione in forma scritta, mediante assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., cui seguiva il regolare e tempestivo scambio tra le parti dei rispettivi atti conclusionali.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. In primo luogo va dichiarata l’opponibilità a (…) del contratto sottoscritto il 30 aprile 2013 tra i componenti delle sue rappresentanze sindacali unitarie e (…), essendo l’originaria inefficacia assoluta venuta meno con effetto retroattivo a seguito della manifestazione per facta concludentia, da parte della società, della volontà di ratifica ai sensi dell’art. 1399 c.c.

1.2. E’ regola pretoria risalente quella che recepisce il noto principio romanistico secondo cui il negozio giuridico non tantum verbis ratum haberi potest, sed etiam actu e che si esplicita nella massima in base a cui “la ratifica del contratto concluso dal rappresentante senza poteri, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1399 c.c., può derivare, sia il dominus persona fisica ovvero persona giuridica, non soltanto da dichiarazione espressa, ma anche da atti o fatti che implichino necessariamente la volontà di far proprio il negozio medesimo, ivi inclusa pertanto la sua esecuzione, ancorché parziale” (Cass. civile, Sez. III, 13 dicembre 1980, n. 6476; Cass. civile, Sez. II, 21 ottobre 1991, n. 11123; Cass. civile, Sez. Lav., 23 aprile 1990, n. 3358).

Poiché la ratifica tacita comporta che il soggetto falsamente rappresentato nel compimento del negozio si appropri della dichiarazione negoziale fatta dal falsus procurator e dei suoi effetti, è necessario che la parte che ha trattato con il falsus procurator nel negozio bilaterale sia posta in grado di percepire l’appropriazione, in modo da poter regolare di conseguenza il suo agire, venendo in gioco il suo affidamento (Cass. civ., 11 luglio 2006, n. 15699).

Per la giurisprudenza, pertanto, la condotta del dominus negotii che dimostra (alla parte che ha concluso il negotium con un falsus procurator) l’approvazione dell’operato di chi abbia agito in suo nome, pur in assenza dei poteri rappresentativi, integra i presupposti sostanziali per ritenere il negozio ratificato per l’intero e con effetto retroattivo, a condizione che tale approvazione, ancorché implicita, risulti “in modo chiaro ed inequivoco” (Cass. civ., Sez. I, 8 aprile 2004, n. 6937; Cass. civ., Sez. III, 23 marzo 1998, n. 3071).

1.3. Nel caso di specie, la volontà chiara ed inequivoca di (…) di approvare l’operato delle RSU in occasione della sottoscrizione del contratto di vending con (…) è documentalmente provata (doc. 3 fasc. di parte attrice) dalla fattura n. (…) del 18.2.2016 e della successiva nota di credito n. (…) del 1.3.2016, emessa dalla stessa (…) su sua carta intestata e regolarmente pervenuta all’indirizzo di (…) per il rimborso dei costi sostenuti per il consumo di energia elettrica necessaria al funzionamento dei distributori automatici per tutto l’anno 2015; nella fattura commerciale (…) viene anche identificata a mezzo di un codice cliente (C03199) che normalmente non verrebbe attribuito a chi non fosse riconosciuto come controparte contrattuale.

La fattura commerciale, regolarmente recapitata e quietanzata, è allora idoneo atto recettizio a comprovare il fatto che, in un momento successivo alla conclusione del contratto concluso dal falsus procurator, il falsamente rappresentato (almeno dall’anno 2015) abbia posto in essere una condotta di implicita ma inequivoca approvazione dell’operato dei membri della RSU.

2.1. L’efficacia sopravvenuta del contratto concluso il 30 aprile 2013 non può tuttavia predicarsi sic et sempliciter anche per quelle clausole dello stesso che hanno natura onerosa, per esser ricomprese nell’elenco di cui all’art. 1341, co. 2, c.c. (Cass. civ., Sez. II, 17 maggio 1999, n. 4794 la quale sembra escludere l’operatività della ratifica tacita per le clausole onerose, in quanto “essendo necessaria la forma scritta per l’approvazione delle condizioni generali elencate nell’art. 1341, co. 2, c.c. la stessa forma è imposta anche per la ratifica”).

2.2. L’invocata clausola n. 6 delle condizioni generali di contratto, infatti, stabilendo la tacita proroga o la rinnovazione del contratto, ove non venga trasmessa disdetta nei 90 giorni precedenti la scadenza triennale, va, senz’altro, qualificata come clausola onerosa ricadente nella disciplina di cui all’art. 1341 c.c.

La clausola è inoltre contenuta in un contratto da qualificarsi come contratto per adesione predisposto da (…) per regolare una serie indefinita di rapporti. Ciò si desume dal documento 8 di parte attrice, recante diverso contratto del 1 aprile 2010 e avente identica formulazione del contratto per cui è causa nonché dalla circostanza che il testo contrattuale sia redatto su carta intestata di (…) ed indirizzato alla (…), definita sempre genericamente “cliente”. Inoltre la stessa attrice non contesta minimamente la sussistenza di tale presupposto.

2.3. In tema di specifica approvazione per iscritto delle clausole onerose, va dato seguito al principio di diritto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, aderendo all’indirizzo più rigoroso della miglior dottrina, ha precisato di recente che “il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive del carattere vessatorio, e la sottoscrizione indiscriminata delle stesse, sia pure apposta sotto la loro elencazione secondo il numero d’ordine, non determina la validità e l’efficacia, ai sensi dell’art. 1341, secondo comma, c.c. di quelle onerose, non potendosi ritenere che in tal caso sia garantita l’attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole fra quelle richiamate” (Cass. civ., Sez. VI – II, ord. 11 giugno 2012, n. 9492).

2.4. Nel caso di specie, a pag. 3 del contratto sottoscritto il 13 aprile 2013 (doc. 2 fasc. parte attrice), l’apposizione della doppia sottoscrizione è sì presente in fondo alla pagina ma essa riguarda in blocco tutte le clausole del medesimo, (così richiamate testualmente: “clausole N.2 N.3 N.4 N.5 N.6”), ivi comprese quelle non vessatorie, con un rinvio unico alla numerazione da 2 a 6, senza neppure la indicazione dell’oggetto della clausola anche mediante la sola menzione della rubrica. Peraltro si rileva che la clausola n. 1 che non è richiamata neppure esiste e che dopo la clausola n. 3 che elenca i prodotti somministrati segue la clausola n. 5, senza che esista la pur richiamata clausola n. 4.

In sostanza, di tutte le clausole richiamate in blocco l’unica che può qualificarsi come vessatoria e sulla quale andava richiamata l’attenzione del contraente per adesione mediante sua specifica approvazione per iscritto era proprio la clausola n. 6, la quale prevede il diritto di esclusiva, la durata triennale “rinnovabile automaticamente di pari anni”, la necessità della disdetta 90 giorni prima della scadenza triennale, il divieto di ius variandi e la riserva di risarcimento danni “per mancato incasso dei corrispettivi” in caso di inadempimento o “non motivata cessazione del contratto”.

2.5. Poiché l’invocata clausola n. 6 non risulta validamente e specificamente approvata per iscritto, essa va dichiarata radicalmente improduttiva di effetti, con riferimento alla durata triennale del contratto, alla sua proroga tacita e alla necessità del preavviso scritto di 90 giorni per evitare il rinnovo automatico.

3. Dalle declaratorie contenute nei punti 1.1 e 2.5 deriva l’accertamento che le parti sono vincolate al contratto di vending machines del 13 aprile 2013, per l’oggetto contenuto a pag. 1 del contratto e secondo le clausole n. 2, 3 e 5 contenute nelle restanti pagg. 2 e 3; dichiarata inefficace la clausola n. 6 ed in mancanza di altra efficace pattuizione delle parti sul termine finale, il contratto è da considerarsi a tempo indeterminato ed è su questo accertamento che va valutata la legittimità del recesso – avente a questo punto fonte non più convenzionale bensì legale – operato da (…).

4. Dal medesimo accertamento deriva, altresì, l’immediato assorbimento della domanda subordinata proposta da (…) “nella denegata e non creduta ipotesi che il Tribunale ritenesse di non valutare come rati e validi gli accordi inseriti nel contratto stipulato dalle parti”.

5.1. Il recesso esercitato il 9 dicembre 2016 da (…) attraverso l’invio a (…) a mezzo p.e.c. della comunicazione versata in atti (doc. 1 fasc. parte convenuta) è legittimo, in quanto, essendo qualificabile alla stregua di recesso liberatorio (o determinativo), risulta finalizzato a sciogliere un vincolo negoziale che, in seguito alla declaratoria di inefficacia della clausola n. 6, risulta perpetuo.

5.2. La giurisprudenza di legittimità è da tempo pervenuta all’elaborazione del principio in base a cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, rispondendo all’esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio, quale corollario del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (Cass. n. 6427 del 1989 ed in seguito Cass. n. 1694 del 1997 secondo cui, qualora un contratto venga stipulato senza l’indicazione di una scadenza, ciò non implicherebbe che gli effetti perdurino nel tempo senza limiti, atteso che – in sintonia con il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c. ed in coerenza con la naturale temporaneità dell’obbligazione civile – dovrebbe essere riconosciuta alla parti la possibilità di farne cessare l’efficacia, previa disdetta, anche in difetto di previsione legale, non essendo a ciò di ostacolo il disposto dell’art. 1373 c.c. che, regolando il recesso unilaterale nei contratti di durata quando tale facoltà è stata prevista dalle parti, nulla dispone per il caso di mancata previsione pattizia al riguardo; più di recente Cass. civ., 4 agosto 2004, n. 14970 e Cass. civ., 7 marzo 2002, n. 3296).

Peraltro il contratto stipulato dalle parti, che ha natura atipica, presenta aspetti comuni alla figura della somministrazione, che, ai sensi dell’art. 1659 cod. civ., in caso di mancata previsione di durata, attribuisce alle parti la facoltà di recedere dal contratto nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi o in mancanza in un termine congruo avuto riguardo alla natura della somministrazione.

5.3. Nel caso di specie, l’esercizio del recesso liberatorio, essendo per (…) l’unico strumento per sciogliersi da un vincolo negoziale perpetuo, si è configurato come diritto soggettivo potestativo che, peraltro, in mancanza di disciplina convenzionale, non era sottoposto ad un termine di preavviso prefissato (Cass. civ., 4 agosto 2004, n. 1497, dove il recesso è espressamente qualificato ad nutum).

In ogni caso, la circostanza che il recesso, comunicato il 9 dicembre 2016, fosse dichiarato efficace solo a partire dal 1 gennaio 2017 (dunque, con un termine di preavviso di tre settimane) induce a ritenere che siano stati adeguatamente salvaguardati gli interessi di (…), senza che fosse stato imposto a suo detrimento un apprezzabile sacrificio.

Peraltro (…) non ha neppure svolto specifiche allegazioni sulla congruità del termine di preavviso e non ha indicato quale sarebbe stato quello da ritenersi congruo ed anche nella corrispondenza antecedente al giudizio non vi sono riferimenti a tale aspetto.

5.4 Neppure vi sono elementi per affermare che il recesso sia stato esercitato con modalità contrarie a buona fede.

Il distacco dei distributori automatizzati non può essere ritenuta, di per sé, condotta abusiva, dal momento che risulta coerente con l’invito rivolto a (…) di ritirare i medesimi a partire dal 2 gennaio 2017; se i distributori automatizzati fossero rimasti collegati alla rete di distribuzione dell’energia elettrica, l’intenzione di sciogliersi dal vincolo negoziale sarebbe stata contraddetta da una condotta incompatibile e avrebbe legittimato (…) a far valere l’inefficacia del recesso; dal distacco dalla rete, non risultano, peraltro, danni ai distributori.

5.6. Accertata la legittimità del recesso operato da (…), la domanda risarcitoria di (…) va, pertanto, integralmente rigettata.

6.1. La domanda risarcitoria risulta, peraltro, infondata, oltre che sotto il profilo dell’an della pretesa, anche sotto il profilo del quantum essendo del tutto carente la prova del danno e, segnatamente, della sua esatta quantificazione, il cui onere probatorio incombe sulla parte danneggiata (ex pluribus, Cass. civ., Sez. I, 10 ottobre 2007, n. 21140).

6.2. E’ innanzi tutto sfornita di prova la componente del lucro cessante: (…) ha quantificato in Euro 113.344,00 l’ammontare del danno imputabile al mancato guadagno “moltiplicando le erogazioni giornaliere (almeno due) per il numero di dipendenti di (…) e successivamente considerano un prezzo medio pari ad Euro 0,40 per ogni erogazione”.

Tale criterio presuntivo non può essere sufficiente a ritenere assolto l’onere probatorio, poiché si basa su un prospetto di parte (doc. 11 fasc. di parte attrice) che risulta privo di idoneità probatoria, in quanto, da un lato, è del tutto privo dei riscontri contabili sui quali si basa e, dall’altro, veniva tempestivamente contestato dalla convenuta.

Soprattutto, il criterio di calcolo è del tutto opinabile, laddove si osservi (come già avvenuto con l’ordinanza del 23 aprile 2018) che il danno da lucro cessante non coincide con i presunti ricavi derivanti dall’esecuzione del contratto, bensì dall’utile netto, pari alla differenza tra i ricavi e i costi prospettati e che l’esatta determinazione del danno richiederebbe la documentazione dei ricavi e dei costi sostenuti negli anni in cui il contratto è stato eseguito.

In mancanza della produzione di documentazione contabile relativa alla società non si ritiene ammissibile l’accertamento di tale componente di danno a mezzo di consulenza tecnica, in quanto la stessa avrebbe natura esplorativa, in quanto volta alla ricerca di quegli elementi di prova che era specifico onere dell’attrice fornire.

In base alle stesse considerazioni non è possibile fare ricorso alla liquidazione in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod.civ., trattandosi di istituto che non esonera la parte dall’assolvimento dell’onere probatorio.

6.3. In secondo luogo, è pure sfornita di prova la componente del danno emergente: non è dimostrata la circostanza che (…) abbia dovuto assumere un dipendente da adibire esclusivamente alla manutenzione dei distributori automatizzati installati nelle aree aziendali di (…), mancando peraltro agli atti il titolo contrattuale e, soprattutto, le buste paga del dipendente (anche in tal caso, infatti, l’ammontare della pretesa viene desunta dal prospetto riepilogativo di cui al doc. 10 del fasc. di parte attrice, privo dei riscontri documentali e oggetto di tempestiva contestazione.

Quanto al danno relativo all’acquisto di un nuovo distributore di cui alla fattura prodotta, si rileva che si tratta di un bene utilizzabile nell’ambito dell’ordinaria attività commerciale della attrice e che non vi sono elementi da cui desumere l’impossibilità di un utile reimpiego. Inoltre, sia per il distributore che per le chiavette, è agli atti la prova che (…) abbia invitato a più riprese (…) a ritirare tutti i distributori automatizzati e le c.d. chiavette C. e che, invece, sia stata proprio (…) a tergiversare nella presa in consegna, tanto che il 6 giugno 2017 era destinataria di una seconda diffida da parte di (…) (doc. 6 fasc. di parte convenuta).

L’impossibilità di utilizzo per (…) dei distributori automatizzati rimasti nei locali aziendali di (…) non è dipesa dal contegno di quest’ultima ma unicamente da una scelta consapevole della prima.

7. Le spese vengono poste a carico dell’attrice in base al principio di soccombenza e tenuto conto altresì della disponibilità manifestata da (…) di accettare la proposta conciliativa formulata dal giudice – prevedente il pagamento di un importo compreso tra 10.000 e 15.000 euro in favore della attrice – e del rifiuto manifestato da (…).

Le spese vengono liquidate sulla base degli importi contenuti nella Tabella n. 2 allegata al D.M. n. 37 del 2018, in base al valore della domanda attorea e con riduzione del 50% rispetto ai valori medi per i compensi della fase istruttoria e decisoria in quanto non si è proceduto ad istruttoria e gli atti conclusionali non hanno richiesto la trattazione di specifiche questioni derivanti dalla valutazione delle prove, essendo di fatto esaurita con i documenti depositati dalle parti la trattazione delle principali questioni.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone: – rigetta le domande svolte da (…) S.r.l. nei confronti di (…) S.r.l.;

– condanna (…) s.r.l. alla rifusione in favore di (…) s.r.l. delle spese del giudizio che liquida in Euro 8.705,00 per compensi , oltre spese generali, IVA (se non detraibile) e CPA come per legge.

Così deciso in Milano il 2 aprile 2019.

Depositata in Cancelleria il 2 aprile 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.