Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, Ordinanza 19 luglio 2017, n. 17870

Vale osservare, in proposito, che in caso di domanda di ripetizione di indebito oggettivo l’onere della prova grava sul creditore istante, il quale e’ tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa, e quindi sia l’avvenuto pagamento, sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (Cass. 13 novembre 2003, n. 17146), sicche’ spettava alla ricorrente documentare, attraverso gli estratti conto, gli addebiti illegittimamente attuati in suo danno e le somme percepite dalla banca in dipendenza di essi.

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Corte di Cassazione, Sezione 6 civile, Ordinanza 19 luglio 2017, n. 17870

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4942/2016 proposto da:

(OMISSIS) – P.I. (OMISSIS), in persona del suo legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

BANCA (OMISSIS) A R.L. – C.F. e P.I. (OMISSIS), in persona del suo legale, rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 84/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 21/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 19/05/2017 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata, giusta Decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del Primo Presidente.

Si rileva quanto segue.

FATTI DI CAUSA

  1. – Con citazione notificata l’11 ottobre 2005 (OMISSIS) assumeva di essere titolare dal 1990 di un conto corrente bancario intrattenuto in origine con la Banca (OMISSIS) e, successivamente, con la (OMISSIS) s.r.l., le quali non le avevano inviato regolarmente gli estratti conto. La societa’ attrice contestava il saldo iniziale a debito, alla data del 31 marzo 1995, pari a Lire 10.980.722 e a Euro 5.671,07, giacche’ erano stati applicati interessi debitori ultralegali, illegittimamente capitalizzati, e commissioni di massimo scoperto non dovute. Conveniva quindi in giudizio la suddetta Banca (OMISSIS), chiedendo accertarsi la nullita’ delle clausole che prevedevano i suddetti interessi e la nominata commissione, nonche’ la condanna della controparte alla restituzione delle somme indebitamente riscosse, oltre interessi; chiedeva, inoltre, condannarsi la stessa banca alla restituzione della somma di Euro 5.671,07, di cui si e’ detto, maggiorata di rivalutazione e interessi.

Nella resistenza della Banca (OMISSIS) il Tribunale di Agrigento rigettava le domande attrici.

  1. – Interposto gravame, la Corte di appello di Palermo riconosceva la nullita’ delle clausole aventi ad oggetto gli interessi ultralegali e anatocistici, ma respingeva la domanda di ripetizione: osservava, in proposito, che il consulente si era dichiarato in grado di effettuare conteggi solo per il periodo intercorrente tra gennaio 1995 e settembre 2000, in assenza di una parte degli estratti conto del periodo successivo; rilevava, altresi’, che non era stata nemmeno acquisita una parte degli estratti conto degli anni 1994 e 1995.
  2. – La sentenza della Corte di appello di Palermo, pubblicata il 21 gennaio 2015, e’ stata impugnata da (OMISSIS) con un ricorso articolato in cinque motivi. Resiste con controricorso la Banca (OMISSIS). La ricorrente ha fatto pervenire memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. – Con il primo motivo e’ denunciata violazione o falsa applicazione dell’articolo 2033 e dell’articolo 2697 c.c.. Rileva la ricorrente che la perizia espletata dal consulente tecnico aveva dimostrato che, attraverso la capitalizzazione trimestrale applicata nel corso del rapporto, la banca aveva illegittimamente riscosso somme ammontanti a Euro 9.249,39: pertanto, aveva errato la Corte di Palermo nel non condannare l’istituto convenuto al rimborso della detta somma, maggiorata degli interessi legali: decisione, quest’ultima, assunta sulla base del rilievo per cui il consulente tecnico aveva dichiarato di aver effettuato i conteggi soltanto per il periodo dal 1 gennaio 1995 al 30 settembre 2000, visto che la mancanza degli estratti conto dal 1 ottobre al 31 dicembre 2000 impediva l’esatta ricostruzione del periodo successivo e che difettavano dati contabili per il periodo ricompreso tra ottobre 1994 e ottobre 1995. Assume l’istante che il giudice distrettuale aveva in tal modo violato sia il principio dell’onere della prova, da essa assolto mediante la produzione parziale degli estratti conto, i quali avevano permesso l’accertamento della spettanza di tale somma. Rileva, inoltre, che anche per il periodo successivo al 30 settembre 2000 dovevano essere rielaborati i conteggi, essendo stati prodotti in giudizio tutti gli estratti conto dal 2000 al 2006.

1.1. – I vizi di legittimita’ prospettati non trovano riscontro.

Vale osservare, in proposito, che in caso di domanda di ripetizione di indebito oggettivo l’onere della prova grava sul creditore istante, il quale e’ tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa, e quindi sia l’avvenuto pagamento, sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (Cass. 13 novembre 2003, n. 17146), sicche’ spettava alla ricorrente documentare, attraverso gli estratti conto, gli addebiti illegittimamente attuati in suo danno e le somme percepite dalla banca in dipendenza di essi.

Per il resto, il motivo e’ carente di autosufficienza, dal momento che non riproduce i passaggi della consulenza tecnica che assumono rilievo ai fini del suo scrutinio, non indica le risultanze degli estratti conto, per quanto specificamente attiene al saldo finale, non chiarisce la localizzazione dell’elaborato peritale e degli estratti conto all’interno dei fascicoli di causa. In particolare, la mancata trascrizione del passaggio della consulenza tecnica in cui si da’ conto di non potersi procedere alla ricostruzione del saldo per,l’insufficienza della documentazione contabile non consente di apprezzare la censura svolta con riguardo al mancato accertamento del rapporto di dare e avere a partire dall’anno 2000: censura che, oltretutto, non puo’ nemmeno essere ricondotta nell’alveo del denunciato vizio di violazione o falsa applicazione di legge.

Non ha comunque fondamento la deduzione vertente sull’illegittima riscossione, da parte della banca, della somma di Euro 9.249,39. Anzitutto l’assunto da cui muove la ricorrente si basa su risultanze peritali che non vengono riprodotte, nemmeno parzialmente, nel corpo del ricorso, sicche’ la deduzione svolta appare priva della necessaria specificita’. In secondo luogo, l’importo indicato costituisce, per quanto e’ dato di comprendere, un dato intermedio (calcolato, secondo quanto esposto in ricorso, dal c.t.u., alla data del 30 settembre 2000), e non gia’ il saldo finale del conto. Non si vede, allora, come sia possibile riconoscere, in questa sede, il fondamento della pretesa restitutoria. La Corte ignora, infatti, quale sia stato il successivo andamento del rapporto: andamento che, in ipotesi, potrebbe essere stato negativo e tale da escludere, in tutto o in parte, il credito per l’importo indicato. Infatti, la domanda di ripetizione avente ad oggetto la somma di Euro 9.249,39 potrebbe ritenersi fondata solo ove risultasse accertato che, nel successivo corso del rapporto di conto corrente la correntista non abbia maturato una esposizione debitoria nei confronti della banca, giacche’, in caso contrario, il saldo passivo andrebbe detratto dall’importo di cui (OMISSIS) si dice creditrice.

  1. – Il secondo mezzo lamenta violazione degli articoli 343 e 356 c.p.c., violazione del principio di vicinanza della prova, nonche’ violazione dell’articolo 210 c.p.c.. Secondo a ricorrente la Corte di appello aveva errato nel non tenere in alcun conto la mancata produzione in giudizio, da parte defila banca, degli estratti conto mancanti, nonostante l’ordine di esibizione ex articolo 210 c.p.c., emesso dal giudice di prime cure; la stessa Corte di merito aveva, del resto, illegittimamente revocato il provvedimento in assenza di alcun appello incidentale proposto in tal senso. Rileva, inoltre, che sussistevano tutti i presupposti per farsi luogo alla esibizione.

2.1. – Anche tale censura e’ priva di autosufficienza. L’istante menziona l’ordine di esibizione senza trascrivere il contenuto del relativo provvedimento, ne’ precisare quando esso sia stato adottato (cosi’ contravvenendo a quanto disposto dall’articolo 366 c.p.c., nn. 4 e 6).

In ogni caso, la mancata valorizzazione dell’inosservanza dell’ordine di esibizione ai fini della decisione di merito e’ insindacabile nel giudizio di legittimita’ (Cass. 27 gennaio 2017, n. 2148; Cass. 13 agosto 2004, n. 15768).

  1. – Con il terzo motivo viene dedotta la violazione o falsa applicazione degli articoli 1334 e 1335 c.p.c.. La ricorrente si duole del fatto che il giudice distrettuale non abbia condannato l’istituto bancario alla restituzione della somma di Euro 5.671,07 indicata quale saldo iniziale negativo alla data del 31 marzo 1995: infatti la controparte non aveva fornito alcuna prova circa la fondatezza di tale addebito. Inoltre – assume l’istante – non aveva valore giuridico l’affermazione della Corte di merito secondo cui gli estratti conto sarebbero stati tempestivamente inviati all’indirizzo della correntista: infatti tale prova, che spettava alla banca, non era stata mai fornita.

3.1. – Il motivo non ha fondamento.

Per quanto concerne la mancata condanna al pagamento della somma di Euro 5.671,07 – che costituirebbe il saldo a debito della societa’ correntista alla data del 31 marzo 1995: saldo che la stessa ricorrente intenderebbe stornare – vale quanto osservato con riguardo all’importo di Euro 9.249,39; deve inoltre osservarsi che poiche’ l’onere della prova degli addebiti illegittimi grava sul correntista, la pretesa in esame non ha comunque fondamento, visto che la ricorrente non ha documentato, avanti ai giudici di merito, l’appostazione di interessi passivi non dovuti nel periodo anteriore per quell’importo (o per un importo diverso). La somma di Euro 5.671,07 identifica, infatti, il saldo a debito della societa’ alla data del 31 marzo 1995 (cfr. ricorso, pag. 2), e non l’ammontare degli interessi non dovuti a quella data.

Con riferimento all’invio degli estratti conto, la Corte di appello ha poi ritenuto, sulla base di una presunzione, che essi fossero stati sempre regolarmente inviati, giacche’ l’odierna ricorrente era stata in grado di produrne gran parte: e l’inferenza logica posta a fondamento della ritenuta trasmissione dei detti documenti si sottrae a censura, dal momento che, come ogni presunzione, riflette un apprezzamento di fatto (Cass. 27 ottobre 2010, n. 21961; Cass. 13 novembre 2009, n. 24028; Cass. 11 maggio 2007, n. 10847), oltretutto munito, nella fattispecie, di sicura congruita’.

  1. – Il quarto motivo contiene una censura di violazione o falsa applicazione della Delib. CICR 9 dicembre 2000, nonche’ degli articoli 1283 e 1284 c.c.. Viene lamentato che la Corte di appello abbia “fermato la propria indagine” al 30 giugno 1999, assumendo che l’istituto di credito aveva applicato la reciprocita’ nell’applicazione degli interessi. E’ dedotto, in sintesi: che la Delib. CICR era entrata in vigore nell’aprile del 2000, sicche’ non era possibile che la banca avesse applicato la stessa nel periodo precedente; non vi era mai stata l’approvazione delle nuove condizioni contrattuali previste dall’articolo 7, comma 3,, della Delib. stessa; in ogni caso, per il periodo successivo al 30 giugno 1999 andavano applicati gli interessi di cui all’articolo 117 t.u.b.. La ricorrente rileva pure che la reciprocita’ (nella capitalizzazione) non era comunque stata provata.

4.1. – Nemmeno sul punto la sentenza merita cassazione.

La censura e’, ancora una volta, mancante di autosufficienza; ai fini di un’esauriente comprensione della stessa era difatti necessario trascrivere la parte della consulenza tecnica richiamata nel corpo del motivo: tanto piu’ che nella sentenza si fa riferimento a due distinti elaborati (l’uno recante il saldo alla data del 30 giugno 1999 e l’altro recante il saldo alla data del 30 settembre 2000). Va poi segnalato che, a prescindere dalla genericita’ della doglianza afferente la mancata dimostrazione della reciprocita’ (e cioe’ dell’applicazione della capitalizzazione sia agli interessi debitori che a quelli creditori) – doglianza che investe, oltretutto, un accertamento di fatto compiuto dal consulente il quale sfugge, come tale, al sindacato di legittimita’ -, il motivo concerne un periodo rispetto al quale la Corte di appello, sulla scorta delle indicazioni dell’ausiliario, ha negato si potesse procedere alla ricostruzione contabile dei saldi. E tale rilievo del giudice dell’impugnazione, come si e’ detto trattando del primo motivo, non e’ stato censurato in modo adeguato.

  1. – L’ultimo motivo denuncia violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., nonche’ dell’articolo 112 c.p.c.. La Corte di appello avrebbe omesso di condannare l’istituto bancario a rifondere il 50% delle spese liquidate al consulente tecnico e avrebbe inoltre irragionevolmente compensato le spese dei due gradi di merito.

5.1. – Il motivo non ha fondamento.

La Corte di appello ha ritenuto di compensare parzialmente le spese di giudizio, in considerazione dell’accertamento circa l’illegittima applicazione di interessi ultralegali e anatocistici, cosi’ valorizzando l’accoglimento solo parziale delle domande attrici, e ha quindi riversato la meta’ delle stesse sulla banca appellata.

Cio’ posto, esula dai limiti commessi all’accertamento di legittimita’ e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunita’ di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e cio’ sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (per tutte: Cass. 19 giugno 2013, n. 15317; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145).

Per quanto attiene alle spese di consulenza tecnica la censura non e’ munita della necessaria autosufficienza, in quanto non e’ indicato il provvedimento che avrebbe gravato la ricorrente dell’obbligo di corrisponderne l’intero importo. Si osserva, per completezza, che nessuna violazione della normativa puo’ ravvisarsi nel fatto che il giudice di merito, pur disponendo la compensazione delle spese, abbia lasciato quelle di consulenza tecnica a carico della parte che le aveva anticipate (Cass. 17 gennaio 2003, n. 633, in ipotesi di compensazione totale delle spese stesse).

  1. – Il ricorso va quindi respinto.
  2. – Le spese del giudizio possono compensarsi, concorrendo giusti motivi.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso; compensa le spese di giudizio; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto che parte ricorrente e’ tenuta al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

 

 

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.