la cronaca giudiziaria è lecita quando sia esercitata correttamente, limitandosi a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sé ovvero a riferire o a commentare l’attività investigativa o giurisdizionale; quando invece le informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario sono utilizzate per ricostruzioni o ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare o a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti e autonomamente offensive, il giornalista deve assumersi direttamente l’onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza, non potendo reinterpretare i fatti nel contesto di un’autonoma e indimostrata ricostruzione giornalistica.

La pronuncia in oggetto affronta il tema della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’onore e della reputazione, tema che può essere approfondito leggendo il seguente articolo: Diffamazione a mezzo stampa, profili risarcitori di natura civilistica.

Tribunale Milano, Sezione 1 civile Sentenza 11 aprile 2019, n. 3592

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI MILANO – Sezione Prima Civile

Il Tribunale, nella persona della dott. Paola Maria Gandolfi

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al N. 21278/2017 R.G. promossa da:

(…) (c.f. (…)), con il patrocinio degli avv. SI.PA. e MI.AL. ((…)) SALA (…) MILANO,

ATTORE;

contro:

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. RI.DI. e CA.EL. ((…)) VIA (…) 20122 MILANO;

CONVENUTO

(…) (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. RI.DI. e CA.EL. ((…)) VIA (…) 20122 MILANO;

CONVENUTO

(…) SPA (C.F. (…)), con il patrocinio dell’avv. RI.DI. e CA.EL. ((…)) VIA (…) 20122 MILANO;

CONVENUTO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 21/4-/3/5/17 (…) chiamava in giudizio (…), (…) e la s.p.a. (…) per sentire accertare che R., a mezzo dell’articolo “Affari con i bagarini” -pubblicato su La Repubblica il 17/11/16- aveva leso l’onore, la reputazione e l’identità personale dell’attrice, mentre C. era responsabile per omesso controllo ex art. 52 c.p. e (…) ex art. 11 L. n. 47 del 1948, con conseguente condanna al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 250.000,00, sanzione pecuniaria e pubblicazione del provvedimento.

Allegava l’attrice che nel contesto dell’articolo si affermava che L., Presidente di (…), multinazionale americana leader della distribuzione di eventi on line, avrebbe preso parte ad una trasmissione televisiva (le Iene) del 8/9/16, svolgendo il ruolo di consulente anonima dell’intervistatore, rivolgendo gravi accuse alla stessa società di cui era ai vertici.

La difesa di L. non si doleva della pubblicazione della notizia (vera) dell’iscrizione dell’attrice nel registro degli indagati, per il reati di truffa nella commercializzazione dei biglietti, ma solo della (falsa) attribuzione del ruolo di fonte anonima del programma TV, quindi di dipendente infedele e maldestra della società da lei stessa amministrata.

Si costituivano i convenuti, sottolineando come oggetto dell’articolo fossero le vicende processuali che avevano coinvolto L., il Presidente di (…) ed altri per il reato di truffa per avere posto in essere un meccanismo fraudolento attraverso cui vendevano i biglietti cartacei alla piattaforma on line (…), ai danni dell’unico soggetto autorizzato alla vendita ((…)), favorendo fenomeni di vero e proprio “bagarinaggio”.

Nel contesto dell’articolo, il riferimento a L. come persona intervistata dalle Iene era frutto di una “svista” del giornalista, priva di effetti compromissori sulla sua identità personale.

Concesso lo scambio di memorie ex art. 183,VI c.p.c., senza istruttoria orale, all’udienza del 18/12/18 la causa veniva trattenuta in decisione, con i termini di legge per le difese finali.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Come accennato, i convenuti non contestano la non veridicità della notizia che fosse (…) il “testimone mascherato” alle Iene, ma ne affermano la assoluta marginalità nel contesto dell’articolo che ha per oggetto le indagini sul “bagarinaggio on line”, priva di autonoma rilevanza lesiva.

Per il vero, osserva il giudice come le prime due colonne (di quattro) del testo oggetto di doglianza siano interamente dedicate alla testimonianza raccolta da Le Iene, proseguendo “nonostante fosse di spalle e la sua voce criptata, (…) è stata smascherata; la scorsa settimana, intervistata da Le Iene la presidente di L.N.I. era stata chiara nella sua accusa”.

Il giornalista aggiunge “perché è stata proprio la L. -secondo la ricostruzione della procura- ad indicare il business illecito che si nasconde dietro alla vendita dei biglietti dei concerti” affermando che il grosso degli affari avviene grazie agli accordi con gli organizzatori degli eventi, arrivando a mostrare le fatture sequestrate dagli inquirenti.

Siffatta ricostruzione, che costituisce l’incipit ed anche il “cuore” dell’articolo è certamente utile a dare “colore” al pezzo, ma appare pacificamente priva del requisito della verità, anche putativa.

Come è noto, il giudice di legittimità ha da tempo statuito che: “per considerare la divulgazione di notizie lesive dell’onore, lecita espressione del diritto di cronaca ed escludere la responsabilità civile per violazione del diritto all’onore, devono ricorrere tre condizioni consistenti:

a) nella verità oggettiva (o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, (…) siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (od ascoltatore) rappresentazioni della realtà oggettiva false; il che si esprime nella formula che “il testo va letto nel contesto”, il quale può determinare un mutamento del significato apparente della frase altrimenti non diffamatoria, dandole un contenuto allusivo, percepibile dall’uomo medio (Cass. 14 ottobre 2008, n. 25157);

b) nella sussistenza di un interesse pubblico all’informazione, vale a dire la cd. pertinenza (ex multis: Cass. 15 dicembre 2004, n. 23366; Cass. n. 15999/2001; Cass. n. 5146/2001);

c) nella forma “civile” dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, e cioè la cd. continenza, posto che lo scritto non deve mai eccedere lo scopo informativo da conseguire ed essere improntato a serena obiettività, con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio e nel rispetto di quel minimo di dignità cui ha pur sempre diritto anche la più riprovevole delle persone, evitando forme di offese indiretta (Cass. 18 ottobre 1984 n. 5259).

In sostanza soltanto la correlazione rigorosa tra fatto e notizia di esso soddisfa all’interesse pubblico dell’informazione, che è la ratio dell’art. 21 Cost., di cui il diritto di cronaca è estrinsecazione, e riporta l’azione nell’ambito dell’operatività dell’art. 51 cod. pen., rendendo la condotta non punibile nel concorso degli altri due requisiti della continenza e pertinenza.

Invero il potere-dovere di raccontare e diffondere a mezzo stampa notizie e commenti, quale essenziale estrinsecazione del diritto di libertà di informazione e di pensiero, incontra limiti in altri diritti e interessi fondamentali della persona, come l’onore e la reputazione, anch’essi costituzionalmente protetti dagli artt. 2 e 3 Cost.” (sintesi dei principi così espressa in Cass.21404/14).

In particolare, “la cronaca giudiziaria è lecita quando sia esercitata correttamente, limitandosi a diffondere la notizia di un provvedimento giudiziario in sé ovvero a riferire o a commentare l’attività investigativa o giurisdizionale; quando invece le informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario sono utilizzate per ricostruzioni o ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare o a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti e autonomamente offensive, il giornalista deve assumersi direttamente l’onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza, non potendo reinterpretare i fatti nel contesto di un’autonoma e indimostrata ricostruzione giornalistica” (Cass. 54496/18).

Va in proposito ricordato che in materia di cronaca giudiziaria, la giurisprudenza, anche penale della S.C. sottolinea il particolare rigore con cui deve essere valutato il requisito della verità della notizia, che deve essere fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti di sorta, dovendo il limite della verità essere restrittivamente inteso (v. Cass. pen. 3 giugno 1998, P.; Cass. pen. 21 giugno 1997, (…); Cass. pen. 14 febbraio 2005, n. 12859).

Il principio è stato rimarcato anche dalla giurisprudenza civile della Cassazione, secondo cui, nel caso di notizie lesive mutuate da provvedimenti giudiziari, il presupposto della verità deve essere restrittivamente inteso, salva la sola possibilità di inesattezze secondarie o marginali, inidonee a determinarne o aggravarne la valenza diffamatoria, nel senso che la notizia deve essere fedele al contenuto del provvedimento e che deve sussistere la necessaria correlazione tra fatto narrato e quello accaduto, senza alterazioni o travisamenti di sorta, non essendo sufficiente la mera verosimiglianza, in quanto il sacrificio della presunzione di non colpevolezza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi (Cass. 20 ottobre 2009, n. 22190; cfr. anche Cass. 17 luglio 2007, n. 15887).

E se il presupposto dell’esistenza del diritto di cronaca è – come recita l’art. 2 della legge professionale 3-2-1963, n. 69 – “il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede” (comma 1) e fermo l’obbligo di rettificare “le notizie che risultino inesatte” (comma 2), è chiaro che il giornalista deve non solo controllare l’attendibilità della fonte (non sussistendo fonti informative privilegiate), ma anche accertare e rispettare che la verità sostanziale dei fatti oggetto della notizia, la quale può dirsi non scalfita solo da inesattezze secondarie o marginali, inidonee a determinarne o ad aggravarne la valenza diffamatoria (cfr. Cass. 6041/97, cfr. Cass. 18 ottobre 2005, n. 20140).

In concreto, pur essendo vera la notizia dell’indagine penale iniziata nei confronti di L. e altri (non potendo il giornalista divinarne gli esiti pienamente assolutori per l’attrice), l’inesattezza della attribuzione del ruolo di “testimone occulta d’accusa” è da ritenere tutt’altro che secondaria o marginale, ed anzi dotata di una sua autonoma valenza lesiva.

La provenienza della stessa da “fonti interne” alla Procura, proprio per il carattere di natura confidenziale, non poteva esonerare il giornalista da un onere di seria verifica della fondatezza della notizia ricevuta, non sorretta da un provvedimento giudiziario..

Né le indagini in proposito apparivano particolarmente complesse: un semplice attento ascolto della trasmissione delle Iene, cui il giornalista si riferisce, gli avrebbe consentito di verificare come l’intervistata si fosse qualifica come dipendente di un sito di re-ticketing, non di un’organizzazione di eventi quale (…).

Peraltro, dal 9/11/16 era già nota agli inquirenti la circostanza che la pseudo-intervistata non era neppure la dipendente di (…), che si era limitata ad inviare una lettera anonima, ma (secondo un noto costume della trasmissione) un’attrice che ne interpretava il ruolo, esprimendo, con varie coloriture meramente finalizzate alla spettacolarizzazione, il contenuto della lettera.

L’insistenza nell’attribuire tali dichiarazioni ad (…), frutto dell’assenza di un lavoro di ricerca in tema, ha offerto al lettore l’immagine di una dipendente della multinazionale americana, ai vertici della stessa, del tutto infedele e pure maldestra (in quanto avrebbe consentito di aprire un indagine a proprio carico), ed assai poco seria, avendo scelto una discutibile trasmissione televisiva, di ampio ascolto, per segnalare, con un linguaggio colorito e poco consono, dubbi sulla condotta della società di cui era AD (che, ove sussistenti, avrebbero potuto essere eventualmente sottoposti al vaglio della Autorità pubblica inquirente), prestandosi alla “sceneggiata” del testimone anonimo, con voce e viso criptati.

Tale ricostruzione, in contrasto con il requisito scriminante della verità, ha avuto certamente un effetto lesivo della reputazione professionale e personale dell’attrice ex art. 2 Cost., privo di giustificazioni in riferimento al diritto di cronaca ex art. 21 Cost. Di conseguenza i convenuto vanno ritenuti responsabili della lesione così provocata e dei conseguenti danni causati.

Certamente, come sottolineato dai convenuti, siffatto danno non è “in re ipsa”, nel senso che non coincide con la lesione dell’ interesse, ma deve essere considerato con riferimento alle conseguenze che ha determinato nella sfera personale del soggetto leso, sotto il profilo del turbamento psichico (sia pure transeunte) e della ripercussione negativa sulla vita sociale e relazionale.

Si tratta di evenienze di danno-conseguenza che, laddove non siano allegati effetti di tipo patologico, possono essere valutate e liquidate utilizzando anche elementi di prova fondati sul notorio, prendendo in considerazione un soggetto-tipo nelle stesse condizioni del diffamato.

Di tale sofferenza psicologica e lesione della sfera relazionale, conseguenti alla lesione del valore persone garantito dall’ art. 2 Cost., deve necessariamente darsi una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., che al Tribunale -considerato da un lato il mix tra notizia vera e notizia incompleta e dall’ altro la sua diffusione- pare di poter individuare (secondo i parametri usuali di questo Tribunale) in Euro 15.000,00, in moneta attuale e comprensivi di interessi ad oggi (e su cui decorreranno gli interessi legali dalla pubblicazione della sentenza al saldo effettivo).

Non pare invece di potersi riconoscere un danno patrimoniale sotto il profilo della perdita di chances, collegabile alla ravvisabilità di un pregiudizio concettualmente autonomo (la vanificazione di chances di vita o di salute o di altro, apprezzabile sia come danno patrimoniale e sia come danno non patrimoniale) rispetto al pregiudizio complessivamente inteso (la lesione del bene vita o dell’integrità psicofisica o di altro bene).

Il riconoscimento di siffatto pregiudizio necessita almeno una compiuta allegazione, suffragata da elementi di prova, ma assai difficilmente, in casi come quello che ci occupa, potrebbe essere ritenuto sulla scorta del notorio, particolarmente ove si consideri come la sottoposizione ad indagine penale di per sé appare adeguatamente preclusiva dei possibili sviluppi di carriera.

Responsabili dei danni, come sopra quantificati, oltre all’autore, sono -ex art. 11 L. n. 47 del 1948- il direttore del quotidiano, (…) e l’ editore.

Questo giudice non ritiene, in ragione del notorio intervenuto decesso di (…) -pur non dichiarato e privo di conseguenze processuali in questa sede- di disporre la riparazione pecuniaria ex art. 12 L. n. 47 del 1948, trattandosi di sanzione civile che consegue al reato di diffamazione a mezzo stampa, che dovrebbe ritenersi estinto.

Infine può essere accolta la richiesta di riparazione in forma specifica ex art. 120 c.p.c., ordinando la pubblicazione del dispositivo della presente sentenza, a cura e spese dei convenuti, sul quotidiano La Repubblica, in caratteri doppi del normale.

Il dispositivo deve altresì essere pubblicato, nell’archivio on line della testata, a fianco dell’articolo in oggetto.

Le spese seguono la soccombenza e quindi i convenuti, in via tra loro solidale, devono essere condannati a rifonderle all’attrice, nella misura qui liquidata -considerato anche l’effettivo valore della controversia- in Euro 8.000,00 per compensi, oltre accessori di legge e 15% spese generali.

P.Q.M.

Il Tribunale definitivamente pronunciando sulle domande proposte, con atto di citazione notificato il 21/4-/3/5/17, da (…) nei confronti di (…), (…) e della s.p.a. (…) – ora (…) s.p.a. – ogni altra domanda ed eccezione disattesa

A) accerta che R., a mezzo dell’articolo “Affari con i bagarini” -pubblicato su La Repubblica il 17/11/16- ha leso l’onore, la reputazione e l’identità personale dell’attrice, mediante l’attribuzione del ruolo di fonte anonima del programma TV Le Iene del 8/11/16, quindi di dipendente infedele e maldestra della società da lei stessa amministrata;

B) condanna i convenuti, in via tra loro solidale a rifondere i danni subiti dall’attrice, come sopra quantificati in Euro 15.000,00, in moneta attuale e compresivi degli interessi ad oggi, su cui decorreranno gli interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo effettivo;

C) ordina la pubblicazione del dispositivo della presente sentenza, a cura e spese dei convenuti, sul quotidiano La Repubblica, in caratteri doppi del normale, nonché la sua pubblicazione nell’archivio on line della testata, a fianco dell’articolo in oggetto;

D) condanna i convenuti a rifondere all’attrice le spese di lite, come sopra liquidate in euro in Euro 8.000,00 per compensi, oltre accessori di legge e 15% spese generali.

Così deciso in Milano il 10 aprile 2019.

Depositata in Cancelleria l’11 aprile 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.