Il decoro architettonico di cui all’art. 1120, II comma, c.c. attiene a tutto ciò che nell’edificio è apprezzabile dall’esterno, posto che esso si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, cioè alla sua particolare struttura e fisionomia, che contribuisce a dare ad esso una sua specifica identità. Ne consegue che – a prescindere da ogni considerazione sulla proprietà dei muri perimetrali, che l’art. 1117, n. 1, c.c. espressamente annovera tra i beni comuni – il proprietario della singola unità immobiliare non può mai, senza autorizzazione del condominio, esercitare una autonoma facoltà di modificare quelle parti esterne, siano esse comuni o di proprietà individuale.

Tribunale|Brescia|Sezione 3|Civile|Sentenza|24 aprile 2020| n. 802

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI BRESCIA

Sezione Terza

nella persona del Giudice Unico On. dr. T. Pezzotta ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 21473/16 del ruolo generale degli affari contenziosi civile

tra

Ma.Br., Bo.Ma., Ma.Ri., Ma.An. e Ma.Si., con gli Avv. Gi.Fr. ed En.Fr. nel cui studio eleggono domicilio attori

contro

So.Ma. e Mo.Si., con l’avv. Vi.Mi. nel cui studio eleggono domicilio convenuti

Oggetto: violazione regolamento condominiale

In fatto e diritto. Nell’atto di citazione introduttivo del presente giudizio gli attori hanno esposto che il pergolato realizzato dai convenuti, con una struttura fissa sulla sommità della terrazza di loro proprietà, sita al 12esimo piano della Torre “C” del supercondominio “(…)” in Brescia, costituisce un’innovazione vietata in quanto: a) lede ai sensi dell’art. 1120 c.c. il decoro architettonico dell’edificio; b) viola gli artt. 27 e 28 del regolamento contrattuale del condominio; c) viola le norme delle N.T.A. del Comune di Brescia e della L. 1444/68 in materia di distanze dalle costruzioni e dai confini; d) pregiudica il diritto di veduta e di panorama che gli attori esercitano dalle finestre poste nell’appartamento del 13esimo piano di loro proprietà. Ne chiedono pertanto la demolizione.

Si costituivano i convenuti che eccepivano la legittimazione degli attori ad agire, quanto meno alla luce dei punti da 1 a 4 del petitum, rilevando che trattandosi di parti comuni avrebbe dovuto essere il Condominio nella persona dell’amministratore a contestare l’opera eseguita dagli stessi (eccezione dedotta in sede di replica alla comparsa conclusionale avversa). Che comunque altri condomini avevano realizzato gazebo al piano ultimo del complesso che è un supercondominio con la presenza di tre torri. Oltre ad aver avuto l’assenso del condominio nelle persone dei consiglieri, non trattandosi peraltro di innovazione, ex art. 1120 cod. civ. ma ex art. 1102 cod. civ. dunque alcuna sostanziale violazione del regolamento. Infine che non risulta vero che il decoro del condominio risulti leso dalla loro realizzazione anche assentita dal Comune di Brescia.

In corso di causa sono stati concessi i termini per le memorie ex art. 183 VI comma c.p.c., effettuata ispezione nel luogo di causa e disposta CTU.

Il thema decidendum è relativo alla realizzazione di un gazebo/pergolato sulla propria terrazza da parte dei convenuti. Le lamentele poste dalle parti attrici sono state come in premessa molteplici, dalla realizzazione di una innovazione, al non rispetto di distanze, al mancato rispetto del diritto di veduta. Con la contestazione dei convenuti in ordine invece ad un utilizzo sia assentito dal Comune con l’opera eseguita quanto ai sensi dell’art. 1102 cod. civ. e anche una realizzazione su proprietà esclusiva.

In primis sull’eccezione dei convenuti, che ritengono essere rilevabile anche d’ufficio senza preclusioni temporali pendendo il giudizio, che “Deve esser infatti sottolineato che gli attori hanno ritenuto di procedere per la tutela di situazioni giuridiche che di cui non possono esser ritenuti titolari” sui punti da 1 a 4 del petitum attoreo.

Si dissente da tale assunto e va evidenziato che, secondo un orientamento ormai consolidato della Suprema Corte (Sez. Un., sent. n. 19663/2014), la legittimazione processuale dell’amministratore di condominio, accordata dall’art. 1131 c.c. nei limiti delle sue attribuzioni, in ordine alle liti aventi ad oggetto interessi comuni dei condomini, rappresenta niente più che una deroga alla disciplina valida per ogni altra ipotesi di pluralità di soggetti del rapporto giuridico dedotto in lite, sopperendo all’esigenza di rendere più agevole la costituzione del contraddittorio nei confronti del condominio, senza la necessità di promuovere il litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini. Pertanto, ciò implica una forma di rappresentanza processuale reciproca, attributiva a ciascuno di una legittimazione sostitutiva, nascente dal fatto che ogni compartecipe non potrebbe tutelare il proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere l’analogo diritto degli altri.

La conseguenza di tali premesse porta, ad esempio, ad affermare che il condòmino che intervenga personalmente nel processo in cui sia già parte l’amministratore ed in cui sia dedotta una situazione giuridica ascrivibile alla collettività condominiale, non si comporta come un terzo, ma appare come una delle parti originarie determinatasi a far valere direttamente le proprie ragioni; sicché, tale intervento non conoscerebbe nemmeno le preclusioni segnate dall’art. 268 c.p.c. e, ove spiegato in grado di appello, dall’art. 344 c.p.c..

Il condominio non è un soggetto giuridico dotato di propria personalità distinta da quella di coloro che ne fanno parte, bensì un semplice ente di gestione, il quale opera in rappresentanza e nell’interesse comune dei partecipanti, limitatamente all’amministrazione e al buon uso della cosa comune, senza interferire nei diritti autonomi di ciascun condomino.

Ne deriva che l’amministratore per effetto della nomina ex art. 1129 c.c. ha soltanto una rappresentanza ex mandato dei vari condomini e che la sua presenza non priva questi ultimi del potere di agire personalmente a difesa dei propri diritti, sia esclusivi che comuni, costituendosi personalmente anche in grado di appello per la prima volta, senza che spieghi influenza, in contrario, la circostanza della mancata partecipazione al giudizio di primo grado instaurato dall’amministratore (Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2000, n. 7891).

Configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all’edificio condominiale, né, di conseguenza, di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata assunta dall’amministratore, nonché di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio rappresentato dall’amministratore (Cass.. 5084/1993-Cass. 7891/2000).

In corso di causa come detto è stata esperita ctu i cui risultati sono i seguenti. A pag. 18 della relazione: Ma.Fu., creatore dell’edificio, “ha inteso realizzare un progetto equilibrato di corpi nei volumi con linee di contorno e d’insieme pulite ed essenziali che si manifestano nei prospetti e nella loro prospettiva accidentale e razionale… il mantenimento e/o incremento del valore dell’immobile si ottiene se, nel corso del tempo, la struttura architettonica, così come concepita, non sarà stata oggetto d’interventi che ne possano alterare l’estetica e l’equilibrio formale. Di conseguenza, si ritiene che non possa essere concessa ai singoli condomini la libertà di apportare modifiche di ordine estetico e funzionale nè sulla parte di comune proprietà né su quelle di proprietà esclusiva”. Dalle fotografie di rilievo il Consulente Tecnico ha evidenziato, a pag. della sua relazione, che “di questi volumi “puliti”, si può constatare che elementi strutturali aggiunti non razionalmente concepiti con quelli che costituiscono l'”esistente” non possono essere accolti e/o ricevuti da queste forme, ancor più se esteticamente producono un effetto “volumetrico” in contrasto con i volumi esistenti, ancora più se appaiono come elementi aggiunti inseriti in un progetto che non li prevedeva e avulsi dalla preesistenza e, tutto ciò, anche se elementi strutturali ammessi e giustificati dalla amministrazione comunale”.

L’Arch. Fe.Pa., inoltre, ha evidenziato che “è da rilevare che, in questa condizione, “formale”, l’appartamento dei convenuti è stato compravenduto, pertanto gli stessi erano consapevoli delle predette limitazioni al momento dell’acquisto”. Secondo il perito, a pag. 26 della relazione, “la struttura del pergolato è apprezzabile nel suo insieme anche dalla scala comune e, anche se non ne limita la luce, s’impone volumetricamente e costituisce una “innovazione formale” apportata non solo sulla proprietà esclusiva ma anche su una parete comune del supercondominio (la copertura)”.

Per quanto concerne la lesione del decoro architettonico conclude la sua relazione dichiarando che: “la struttura dell’edificio non è in grado di assorbire la struttura realizzata, poiché la stessa crea danno all’edificio nel suo insieme, per i motivi e le riflessioni esposte”. Da quanto espresso nella relazione peritale appare palese la conferma delle doglianze attoree di cui ai punti 1 e 3 quali violazione del decoro architettonico a norma dell’art. 1120 c.c., e pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio ai sensi dell’art. 1122 c.c.. Sul punto n. 2 (violazione degli artt. 27 lett. b – e-o e art. 28 lettera b del regolamento contrattuale).

Di detta eccezione si ravvisa il fondamento negli artt. menzionati. Prevedono rispettivamente (art. 27 lett. b) “occupare in qualsiasi modo con materiali di qualsiasi genere le parti condominiali ..” con autorizzazione eccezionale per restauri e modifiche all’interno delle singole proprietà”. Lett. o) del medesimo articolo ” fare non solo innovazioni, ma anche le modifiche delle cose comuni di cui all’art. 1102 c.c. non preventivamente consentito dall’assemblea con sanzione della riduzione in pristino della cosa comune”. L’art. 28 lett. b): “apportare modifiche agli infissi, ai balconi, alle tende ed alle pareti esterne delle proprietà esclusive che contrasti con il decoro del condominio e con l’unità e l’armonia estetica del complesso a meno che non siano autorizzati all’unanimità dall’assemblea del condominio”.

La lett. d) del medesimo articolo: “qualunque altro oggetto esterno che alteri il profilo estetico e la sagoma dell’edificio a meno che non sia autorizzato all’unanimità dall’assemblea del condominio”. Ora in relazione alla natura dell’opera eseguita, sia pure come detto assentita dal Comune di Brescia Settore urbanistica, si deve rilevare che essa viola i disposti regolamentari. Detta opera non ha avuto l’assenso unanime dell’assemblea condominiale ma solo una autorizzazione di consiglieri dell’amministrazione (come doc. in atti che espone che su sei la maggioranza ha assentito).

Peraltro si deve rilevare che detta terrazza è si un uso esclusivo dei convenuti, tuttavia essa costituisce copertura degli immobili sottostanti, sicché eventuali interventi manutentivi sarebbero da ripartire secondo il disposto ex art. 1126 cod. civ.. Inoltre vale sempre il disposto che le autorizzazioni amministrative non vincolano i terzi, come in questo caso il condominio e soprattutto se vi sono, come nel caso di specie precise norme regolamentari, come quelle menzionate.

Si deve poi aggiungere che anche in assenza di disposizioni regolamentari così precise, la violazione del decoro sarebbe dovuto essere valutata sulla base dei criteri di legittimità da statuizioni emesse. Ma nel caso che ci occupa è lo stesso ctu che descrive il complesso e l’evidente intenzione del progettista Architetto Ma.Fu., e non servono ulteriori commenti.

Peraltro detto Architetto ha espresso una propria opinione sulla realizzazione che si apprezza solo come mero commento alla realizzazione di un pergolato. Anche se detto parere è certamente tardivo, quale preclusione procedurale comunque per il deposito delle memorie decorse in antecedenza. Ma rileva questo giudicante che dalle fotografie rese in atti l’impatto visivo del pergolato sul complesso appare notevole ravvisando una chiara alterazione dell’uniformità e linearità del complesso nella sua struttura.

E non ravvisabile un mero intervento ai fini dell’art. 1102 cod. civ. per un miglior utilizzo della cosa comune, laddove si tratta si effettiva innovazione. Anch’essa vietata dal regolamento, salvo espressa ed unanime autorizzazione. Il regolamento menzionato appare poi molto rigido rispetto ai divieti posti, contemplando ogni possibile intervento sol che si legga anche la lett. d) prima riportata.

Il decoro architettonico di cui all’art. 1120, II comma, c.c. attiene a tutto ciò che nell’edificio è apprezzabile dall’esterno, posto che esso si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, cioè alla sua particolare struttura e fisionomia, che contribuisce a dare ad esso una sua specifica identità.

Ne consegue che – a prescindere da ogni considerazione sulla proprietà dei muri perimetrali, che l’art. 1117, n. 1, c.c. espressamente annovera tra i beni comuni – il proprietario della singola unità immobiliare non può mai, senza autorizzazione del condominio, esercitare una autonoma facoltà di modificare quelle parti esterne, siano esse comuni o di proprietà individuale (Cassazione civile, sez. II, 30/08/2004n. 17398).

In ordine all’eccezione della realizzazione di altra struttura su altra torre, come eccepito da parte convenuta si ravvisa che anche il consulente ha ravvisato nella sua perizia una violazione di entrambe le strutture presentando le stesse delle criticità estetiche. Ma detta struttura non è in questione.

Si ravvisa solo che appare evidente che vi è una volontà sovrana nelle persone dei condomini, sia quando devono approvare determinati interventi di singoli condomini, come nel caso di specie non è avvenuto, sia quando ritengono di accettare anche tacitamente che un condomino violi il regolamento. Infine giova riprendere il pensiero del consulente sul profilo del decoro: “Il mantenimento e/o un incremento del valore dell’immobile si ottiene se, nel corso del tempo, la struttura architettonica così come concepita, non è stata oggetto d’interventi che ne possano aver alterato l’estetica e l’equilibrio formale. Di conseguenza, si ritiene che non possa essere concessa, ai singoli Condomini, la libertà di apportare modifiche di ordine estetico e funzionale né sulle parti di comune proprietà, né su quelle di proprietà esclusiva”, così nella relazione oltre a stigmatizzare che detto pergolato viola le norme regolamentari e certamente il decoro del complesso condominiale. “Dalle fotografie di rilievo di questi volumi “puliti”, si può constatare che elementi strutturali aggiunti non razionalmente compatibili con quelli che costituiscono “l’esistente”, non possono essere accolti e/o ricevuti da queste forme, ancor più se esteticamente producono un effetto “volumetrico” in contrasto con i volumi esistenti, ancora più se appaiono come elementi aggiunti inseriti in un progetto che non li prevedeva e avulsi dalla preesistenza e, tutto ciò, anche se elementi strutturali ammessi e giustificati dall’Amministrazione Comunale.

In ordine alla violazione del diritto al panorama e al pregiudizio al diritto di veduta. Il Consulente Tecnico d’Ufficio, a pag. 26 della sua relazione, ha scritto che “la struttura che è posta a metri 4,10 dalla muratura perimetrale in cui è inserita la finestra del bagno della proprietà Ma.Br. e Bo.Ma. è invasiva volumetricamente e occulta anche se parzialmente la veduta, così come rilevato dalla fotografia” (riportata anch’essa nella relazione).

Anche relativamente a tale punto risulta confermata e fondata la violazione dedotta dagli attori in atto di citazione. Cassazione del 7.9.2016 n. 17695 ha stabilito che il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi alla costruzione di altro condomino (come una veranda o un pergolato realizzato a copertura del terrazzo di un appartamento), che, direttamente o indirettamente, pregiudichi l’esercizio di tale suo diritto.

Sull’opera assentita dal comune di Brescia si ravvisa che essa era nata con intenzioni diverse da un pergolato, laddove il tetto è provvisto di lamelle, ponibili anche in orizzontale e così formando copertura, che invece per prescrizione urbanistica devono restare in posizione verticale e con verde. Il ctu ne ha anche riconosciuto la natura di pergolato a condizione che la sua struttura non venga utilizzata secondo le originarie intenzioni dei convenuti e secondo le disposizioni del Comune di Brescia settore urbanistica. Ma ciò non rileva al fine della condanna chiesta della rimozione del manufatto. Infine anche le distanze che apparrebbero non rispettate sia pure per soli dieci cm. Discende dai punti 5 e 6 che l’azione svolta dagli attori attiene anche a difesa di un diritto di proprietà e dunque comunque legittimerebbe il loro status di parte processuale.

Concludendo le domande degli attori vanno accolte, con la soccombenza alle spese di lite in carico ai convenuti, in considerazione del valore indeterminabile del giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale di Brescia,

ogni diversa istanza od eccezione disattesa, definitivamente pronunciando, contrariis reiectis,

accertate le violazioni di cui alle domande attoree per l’effetto condanna i convenuti alla rimozione del pergolato ed al ripristino dello status quo ante della terrazza.

Condanna So.Ma. e Mo.Si. alle spese di lite in favore degli attori quantificate in Euro 9.000,00 ed alle occorrende di legge oltre alle spese di consulenza.

Così deciso in Brescia il 10 aprile 2020.

Depositata in Cancelleria il 24 aprile 2020.

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Avv. Umberto Davide

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