la dicatio ad patriam sorge in presenza di un comportamento ad uso pubblico del proprietario (nella specie, verificatosi) che, seppur non intenzionalmente diretto a dar vita al relativo diritto, metta volontariamente, con carattere di continuita’, un proprio bene a disposizione della collettivita’, assoggettandolo al relativo uso.

 

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 14 giugno 2018, n. 15618

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. CAVALLARI Dario – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12796/2015 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrenti –

e contro

(OMISSIS), (OMISSIS), COMUNE DI MONTECICCARDO, (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 124/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 26/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/12/2017 dal Dott. DARIO CAVALLARI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, il quale ha concluso per l’accoglimento del quinto motivo di ricorso ed il rigetto degli altri;

uditi gli Avvocati (OMISSIS), per delega, per la ricorrente, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso, e (OMISSIS), per i controricorrenti, che ne ha chiesto il rigetto;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 16 ottobre 1986 (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno convenuto (OMISSIS) e (OMISSIS), deceduta nelle more del processo, davanti al Tribunale di Pesaro.

Essi hanno dedotto di essere proprietari di un terreno con sovrastanti fabbricati sito in Comune di (OMISSIS), cui accedevano tramite la via vicinale delle Coppe, strada che costeggiava la proprieta’ delle convenute, le quali ne avevano eliminato un tratto.

Gli attori hanno domandato, pertanto, la condanna di (OMISSIS) e (OMISSIS) al ripristino del detto tratto di strada ed al risarcimento dei danni patiti.

(OMISSIS) si e’ costituita deducendo che:

la strada non era piu’ demaniale poiche’ utilizzata dai soli proprietari frontisti;

la modifica lamentata risaliva ad oltre dieci anni prima ed il Comune interessato non si era mai doluto della circostanza, tanto che doveva essere considerato acquiescente;

gli attori potevano utilizzare altra strada di accesso al fondo.

Essa ha chiesto, quindi, il rigetto delle domande degli attori.

Si e’ costituito pure il Comune di Monteciccardo, convenuto iussu iudicis dagli attori in virtu’ di provvedimento del 1 dicembre 1995, emesso sul presupposto che il percorso in questione fosse sito su strada vicinale di carattere pubblico, e ha chiesto che la domanda fosse dichiarata inammissibile o respinta.

Istruita la causa con due consulenze tecniche di ufficio, prova per testi ed interrogatorio formale, e’ stata disposta la chiamata in causa di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali proprietari dei terreni attraverso i quali gli attori accedevano al loro fondo.

Il processo, una volta trasmesso alla sezione stralcio, e’ stato interrotto il 29 maggio 2000 per decesso di (OMISSIS).

Il Tribunale di Pesaro, con sentenza n. 558/2004, ha accolto la domanda degli attori e condannato (OMISSIS) a ripristinare il passaggio in questione ed a risarcire i danni in favore dei medesimi attori e di (OMISSIS).

(OMISSIS) ha proposto appello contro la menzionata sentenza.

Si sono costituiti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), chiedendo il rigetto dell’appello e, in via incidentale, la condanna dell’appellante al risarcimento dei danni in un importo maggiore.

Si sono costituiti anche (OMISSIS), che ha domandato il rigetto dell’appello, e (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno chiesto fosse riconosciuto che essi non avevano compiuto attivita’ lesive di diritti.

La Corte di Appello di Ancona, con sentenza n. 585/2005, ha riformato la decisione impugnata, rigettando le originarie domande degli attori.

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno proposto ricorso per cassazione, cui ha resistito con controricorso la sola (OMISSIS).

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 25817/2011, accogliendo il ricorso, ha cassato la sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Bologna.

Con atto di citazione notificato nel febbraio 2012 (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno riassunto la causa, concludendo per la conferma della sentenza del Tribunale di Pesaro e l’accoglimento del loro appello incidentale.

Si e’ costituita in giudizio (OMISSIS), chiedendo il rigetto delle domande degli originari attori.

Si sono pure costituiti (OMISSIS) e (OMISSIS), domandando il rigetto di ogni domanda proposta nei loro confronti.

Non si sono costituiti il Comune di Monteciccardo e (OMISSIS).

La Corte di Appello di Bologna, con sentenza n. 124/2015, ha rigettato le domande di risarcimento dei danni avanzate nei confronti di (OMISSIS), confermando la condanna della medesima (OMISSIS) a ripristinare il passaggio oggetto del contendere.

(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 392 c.p.c. ed articolo 825 c.c., poiche’ la corte territoriale avrebbe omesso di valutare l’incidenza sulla persistenza della destinazione di uso pubblico della strada in questione della delibera del Comune di Monteciccardo del 19 ottobre 1996, che tale uso aveva dichiarato cessato.

La doglianza e’ inammissibile.

Innanzitutto, si osserva che la Corte di Appello di Bologna ha valutato la suddetta circostanza, reputandola priva di rilievo perche’ il provvedimento del Comune di Monteciccardo era intervenuto dopo l’interruzione del tratto di strada in esame. In particolare, il giudice di secondo grado ha sottolineato che proprio a tale interruzione era potuto seguire un disuso da parte della collettivita’ locale e che, quindi, il Comune interessato avrebbe dovuto, in seguito al ripristino della medesima strada, rivedere la sua precedente determinazione.

Inoltre, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25817/2011, ha chiaramente “Tenuto conto che e’ stata accertata la natura pubblica della strada e del conseguente transito su di essa di una generalita’ di persone” e ha affermato che era necessario verificare “se gli attori non potessero essere considerati membri della collettivita’ che ne facesse uso”. Pertanto, la questione dell’esistenza o meno di una servitu’ di uso pubblico non e’ piu’ oggetto del contendere, considerato che la Corte di Appello di Ancona aveva respinto la domanda degli originari attori in primo grado poiche’ “gli attori non sono membri della collettivita’ interessata all’utilizzazione della strada delle Coppe”, ma aveva stabilito, senza che, poi, vi fossero state contestazioni al riguardo, che questa “era riconosciuta di uso pubblico, ad eccezione del tratto c.d. delle Ginestre, che era una strada privata”.

Se ne ricava che la questione dell’accertamento della presenza di una servitu’ di uso pubblico in loco e’ passata ormai in giudicato e che la Corte di Appello di Bologna, stando a quanto deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 25817/2011, doveva solo limitarsi a decidere se gli originari attori in primo grado fossero membri della collettivita’ avente diritto all’uso del tragitto.

2. Con il secondo motivo la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 392 c.p.c. ed articolo 825 c.c., poiche’ la corte territoriale avrebbe errato nell’affermare la natura di via vicinale di uso pubblico della strada (OMISSIS) e la costituzione tramite dicatio ad patriam di detto uso in assenza di ogni domanda al riguardo degli originari attori in primo grado.

La doglianza e’ inammissibile, non avendo la ricorrente colto la ratio della decisione.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25817/2011, ha considerato privi di rilievo il fatto che la strada delle Coppe non collegasse direttamente il fondo degli attori e le valutazioni sulla natura pubblica o privata della strada (OMISSIS), “ben potendo l’eventuale uso della strada pubblica delle Coppe essere finalizzato a raggiungere una strada privata, essendo sotto il profilo in esame – per quel che si e’ detto – irrilevante che la strada pubblica o ad uso pubblico non dia diretto accesso al fondo degli attori”.

La Corte di Appello di Bologna, quindi, nel rispetto di tale statuizione, ha ordinato ad (OMISSIS) di ripristinare pure l’accesso attraverso la strada (OMISSIS) perche’ la natura privata della stessa non escludeva che gli attuali controricorrenti avessero diritto al passaggio sulla medesima per raggiungere, dal loro fondo, la strada pubblica (OMISSIS) e, poi, la strada comunale e gli agglomerati urbani del Comune di Monteciccardo e dei Comuni limitrofi.

In particolare, la corte territoriale ha rilevato che sulla via (OMISSIS), nonostante il suo carattere privato, era esercitato da tempo immemorabile un pubblico transito mai ostacolato ne’ dalla (OMISSIS) ne’ dai (OMISSIS), che ne erano i proprietari, e che, in seguito alla soppressione del tratto di via (OMISSIS), la via (OMISSIS) era stata invasa da arbusti ed erbe.

D’altronde, i controricorrenti avevano fondato la loro domanda sull’avvenuta interruzione del loro passaggio a causa dell’intervento della ricorrente e quali utenti di una servitu’ di uso pubblico e la Corte di Cassazione ha chiarito che tale passaggio ben poteva essere tutelato anche se essi, per accedere a via (OMISSIS), dovevano transitare su una strada privata, quale via (OMISSIS).

La Corte di Appello di Bologna, quindi, non ha deciso in assenza di una domanda degli interessati, ma ha correttamente rilevato che via (OMISSIS), nonostante fosse privata, era aperta al pubblico uso e che, in conseguenza della condotta di (OMISSIS), era divenuta impraticabile.

La tesi della ricorrente sembra presupporre che le strade di uso pubblico debbano essere di proprieta’ pubblica, quando, invece, nulla osta a che il pubblico transito riguardi una strada privata (Cass., Sez. 2, n. 17037 del 3 agosto 2007), poiche’ la semplice imposizione di un vincolo di uso pubblico sulle strade vicinali, pur permettendo alla collettivita’ di esercitarvi il diritto di servitu’ di passaggio con le modalita’ consentite dalla conformazione della strada, non altera il diritto di proprieta’ della medesima, che rimane privata (Cass., Sez. 6-2, n. 11028 del 19 maggio 2011).

Quanto alle considerazioni svolte dalla ricorrente in ordine alla dicatio ad patriam, si rileva che, avendo gli originari attori agito come titolari di un uso pubblico di passaggio, la corte territoriale ha correttamente evidenziato, in maniera implicita, gli elementi costitutivi dello stesso. Infatti, la dicatio ad patriam sorge in presenza di un comportamento ad uso pubblico del proprietario (nella specie, verificatosi) che, seppur non intenzionalmente diretto a dar vita al relativo diritto, metta volontariamente, con carattere di continuita’, un proprio bene a disposizione della collettivita’, assoggettandolo al relativo uso (Cass., Sez. 1, n. 4207 del 16 marzo 2012).

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 825 c.c., D.L.Lgt. n. 1446 del 2018, articolo 1, Decreto Legislativo n. 285 del 1992, articolo 3, comma 1, n. 52, articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, articolo 116 c.p.c., comma 1 e articolo 115 c.p.c., comma 1, articolo 184 c.p.c., comma 7, la nullita’ della sentenza o del procedimento e l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio perche’ la corte territoriale avrebbe errato nel considerare che su via (OMISSIS) esisteva un diritto di uso pubblico.

La doglianza e’ inammissibile, non avendo colto la ratio della decisione.

La Corte di Appello di Bologna ha limitato il suo giudizio al mero accertamento dell’appartenenza degli originari attori alla collettivita’ locale che godeva della via in questione poiche’ gia’ la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25817/2011, e la Corte di Appello di Ancona ne avevano rilevato la natura di strada assoggettata a diritto di passaggio pubblico.

4. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 392 c.p.c., articolo 825 c.c., D.L.Lgt. n. 1446 del 2018, articolo 1, articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, articolo 116 c.p.c., comma 1, articolo 115 c.p.c., comma 1, articolo 184 c.p.c., comma 7, nonche’ la nullita’ della sentenza o del procedimento poiche’ la corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che gli originari attori in primo grado appartenessero alla comunita’ degli utenti della strada vicinale, nonostante potessero avvalersi di altro distinto accesso al loro immobile.

La doglianza che, nella sostanza, consiste nella contestazione di un vizio di motivazione, e’ inammissibile, alla luce del vigente testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.

Infatti, la corte territoriale ha spiegato in maniera logica e completa le ragioni della propria decisione, chiarendo che gli (attori godevano della strada quali proprietari di fondi in loco al pari degli altri componenti della collettivita’ locale, similmente ai quali raggiungevano, in tale modo, la strada comunale e i luoghi di interesse generale siti in prossimita’.

Non sussistono, quindi, come sostiene, al contrario, la ricorrente, gli estremi di una motivazione apparente.

In particolare, l’uso di una strada alternativa e’ irrilevante, considerato che, come rileva la stessa Corte di Appello di Bologna, era stato concesso da alcuni vicini a titolo di amicizia.

5. Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., avendo la corte territoriale errato nel considerarla totalmente soccombente.

La doglianza e’ inammissibile.

Infatti, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non puo’ essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di Cassazione consiste nell’accertare che non risulti violato detto principio nell’accezione appena esposta.

Ne consegue che esulano da tale sindacato e rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito sia la valutazione dell’opportunita’ di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’eventualita’ di concorso con altri giusti motivi, sia la loro quantificazione, purche’ non si eccedano i limiti fissati dalle tabelle vigenti (Cass., Sez. 1, n. 19613 del 4 agosto 2017).

6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si e’ perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015).

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente a rifondere ai controricorrenti le spese di lite, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%;

– ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.