il compratore può ottenere la risoluzione del contratto soltanto se il difetto di qualità della cosa venduta non sia di scarsa importanza; tuttavia, quando l’inadempienza non sia di tale gravità da giustificare la risoluzione del contratto, l’acquirente può agire per il risarcimento del danno sotto forma di una proporzionale riduzione del prezzo corrispondente al maggior valore che la cosa avrebbe avuto.

Tribunale|Salerno|Sezione 2|Civile|Sentenza|14 febbraio 2020| n. 638

Data udienza 11 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Salerno, seconda sezione civile, nella persona del giudice onorario Dr Avv. Francesco Saverio Ruggiero, pronunzia la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. R.G. 20002266 dell’anno 2008

TRA

CASEIFICIO Tr., in persona del titolare omonimo, elettivamente domiciliato in Battipaglia, alla Via (…), presso l’Avv. Cl.Ga. dal quale è rappresentato e difeso, come da procura in atti,

– ATTORE –

E

Az.Ag., in persona del titolare omonimo, elettivamente domiciliato in Capaccio Scalo, alla Via (…), presso l’Avv. Ca.Fr. dal quale è rappresentato e difeso, come da procura in atti,

– CONVENUTA –

OGGETTO: Inadempimento contrattuale, danni. Riconvenzionale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato, il CASEIFICIO Tr. conveniva in giudizio l’Az.Ag., per sentirla condannare al pagamento della somma di Euro 69.985,60 a titolo di risarcimento danni, previa declaratoria di risoluzione del contratto di somministrazione stipulato fra le parti in data 31/8/2007. A sostegno della domanda è stato dedotto che con il citato contratto la convenuta Azienda si impegnava a somministrare – ed il Caseificio attore ad acquistare – la produzione giornaliera di latte bufalino, per il prezzo concordato e di cui all’art. 7 del contratto di somministrazione.

Che il latte acquistato veniva lavorato da esso Caseificio in prodotti caseari e rivenduto alla clientela.

Che il contratto aveva la durata di un anno dal 01/9/2007 al 31/8/2008. Che esso caseificio, per le forniture dei mesi di settembre ed ottobre 2007, aveva applicato l’art. 9 del contratto, provvedendo a decurtare di una percentuale del 20% e del 30% sull’importo dovuto per i detti mesi, in quanto il latte fornito non aveva le qualità promesse.

Che in data 28/12/2007 l’incaricato dal Caseificio, recatosi come di consueto a ritirare il latte dall’Azienda, si vedeva opposto il rifiuto alla consegna del latte, e così anche per i successivi giorni. Che la convenuta Azienda non ha più provveduto a fornire il latte come da accordi, nonostante la diffida a mezzo telegramma del 29/12/2007.

Che essendosi resa inadempiente al contratto, avendo omesso la fornitura del latte per un periodo di giorni 248, l’Azienda convenuta gli aveva causato un danno, in termini di mancato guadagno, pari ad Euro 69.985,60, come da conteggio esposto.

Concludeva, pertanto, per la risoluzione del contratto e per la condanna della convenuta al pagamento dei danni, vinte le spese di lite.

Si costituiva tempestivamente la convenuta Azienda che contestava diffusamente l’avverso assunto, deducendo, a sua volta, l’inadempimento del Caseificio al pagamento delle forniture ricevute. Deduceva che il contratto non si era perfezionato non essendo stato firmato dal titolare del Caseificio, per cui non trovava applicazione l’art. 9 della detta scrittura, peraltro non assistito dalla doppia sottoscrizione. Contestava che il latte fornito non avesse le qualità previste per legge, atteso che il proprio allevamento era sottoposto a continui controlli da parte della ASL competente; che ad ogni modo, il Caseificio aveva unilateralmente provveduto a decurtare dall’importo dovuto le penalità di cui al citato art. 9, senza che il controllo di qualità del latte fosse stato effettuato in contraddittorio. Spiegava, quindi, domanda riconvenzionale per l’importo di Euro 6.163,37, quale importo ancora dovuto a saldo delle forniture di Settembre ed Ottobre 2007. Ha concluso, quindi, per il rigetto della domanda, per l’accoglimento della riconvenzionale, previa declaratoria di risoluzione del contratto vinte le spese di lite.

Istruita la causa con la escussione dei testi ammessi e con i documenti esibiti, rigettata l’istanza di CTU contabile, fatte precisare le conclusioni, questo giudicante la tratteneva per la decisione con i termini di cui all’art. 190 c.p.c.

La domanda principale non è fondata per insufficienza di prova.

1. In via preliminare, va ricordato come secondo un principio oramai graniticamente accolto in giurisprudenza in tema di ripartizione dell’onere della prova, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento deve provare l’esistenza del titolo, ossia la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, ed il relativo termine di scadenza, allegando l’inadempimento della controparte, mentre spetta al debitore convenuto l’onere di provare il fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’adempimento dell’obbligazione. Eguale criterio di riparto dell’onere della prova è applicabile quando è sollevata l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., rispetto alla quale si realizza una inversione dei ruoli essendo sufficiente per il debitore eccipiente allegare l’altrui inadempimento, spettando, di contro, al creditore fornire la prova del proprio adempimento.

Non pare inutile ricordare, poi, che in tema di risoluzione per inadempimento, il principio sancito dall’art. 1455 c.c. – secondo cui il contratto non può essere risolto se l’inadempimento ha scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altra parte – va adeguato anche ad un criterio di proporzione fondato sulla buona fede contrattuale: il giudice, infatti, per valutarne la gravità, deve tener conto sia di un criterio oggettivo, attraverso la verifica che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile sull’economia del rapporto, dando luogo ad un sensibile squilibrio del sinallagma contrattuale avuto riguardo all’interesse della controparte all’adempimento della prestazione, sia ad eventuali elementi di carattere soggettivo, che valorizzino il comportamento tenuto dalle parti.

2. Detto principio, applicato al caso in esame, induce ad affermare che spetta al compratore, odierno attore, allegare la presenza del vizio, ed al venditore, di aver esattamente adempiuto la propria prestazione.

Orbene, va subito rilevato, a fronte della eccezione sollevata dalla convenuta Azienda che il contratto di somministrazione si è perfezionato ed ha avuto efficacia – anche se limitata nel tempo -. Non senza previamente rilevare la contraddittorietà della difesa della convenuta Azienda che prima contesta l’esistenza stessa del contratto, poi contesta la validità di singole clausole. Nono si può, ovviamente, impugnare singole pattuizioni di un contatto che si disconosce.

Ad ogni modo, il contratto è stato stipulato fra il sig. Gi.La. quale delegato ed autorizzato per quell’atto, ed il sig. Fe.Do., come dichiarato nella premessa del contratto. Ma ciò che rileva è che le stesse parti hanno dato spontanea esecuzione a quell’accordo, ritenendolo, pertanto, valido ed efficace.

Infatti, appare opportuno ricordare come gli elementi costitutivi del contratto sono quelli elencati nell’art. 1325 c.c. (“Indicazione dei requisiti: I requisiti del contratto sono: 1) l’accordo delle parti; 2) la causa; 3) l’oggetto; 4) la forma quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità”). E solo la mancanza di uno di questi che produce la nullità del contratto. Peraltro, nella fattispecie vige il principio di libertà della forma, per cui quello che rileva è la esecuzione data all’accordo da parte dei contraenti. E su questo aspetto non vi è alcun dubbio, atteso che la convenuta dichiara di aver fornito il latte, e l’attore afferma di averlo ricevuto (almeno nei limiti temporali indicati). Per cui seppure vi fosse stata una mera irregolarità, l’esecuzione del rapporto contrattuale sviluppatosi nel tempo, in conformità alla propria natura di contratto ad esecuzione continuata, ha svolto una funzione di sanatoria.

3. Chiarito quanto sopra, parte attrice lamenta l’inadempimento della convenuta nel fornirle il latte coma pattuito. Di contro, parte convenuta eccepisce l’inadempimento del Caseificio nel pagamento del saldo delle fatture del mese di Settembre ed Ottobre 2007. Sul punto il Caseificio ha dedotto la mancanza di qualità nel latte fornito con la consequenziale applicazione di quanto previsto all’art. 9 del contratto di somministrazione.

Ebbene, in base al principio consacrato nell’art. 2697 c.c., onus probandi incumbit ei qui dicit non ei qui negat, l’attore che agisce in giudizio al fine di far valere la responsabilità contrattuale del convenuto e di ottenere l’adempimento dell’obbligazione dallo stesso contrattualmente assunta nei suoi confronti oppure il risarcimento del danno arrecatogli dall’inadempimento della controparte dell’obbligazione su di essa gravante ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto vantato e, quindi, deve dimostrare l’esistenza del contratto da cui deriva l’obbligazione dedotta in giudizio, l’adempimento della propria obbligazione che non abbia un termine di scadenza successivo a quella della controparte e che sia alla stessa sinallagmaticamente collegata e, nel caso in cui chieda il risarcimento del danno arrecatogli dal comportamento inadempiente dell’altro contraente, il danno subito e la sua riconducibilità sul piano causale al dedotto inadempimento.

Ora, nella fattispecie il Caseificio ha dedotto che il latte fornitogli dall’Azienda era privo delle qualità necessarie.

Ebbene, l’art. 1497 c.c., che disciplina la mancanza delle qualità promesse o delle qualità essenziali per l’uso al quale la cosa venduta è destinata, consente al compratore di ottenere la risoluzione del contratto con il rispetto dei termini di decadenza e di prescrizione dell’azione previsti dall’art. 1495 c.c.. Nel caso che ci occupa il Caseificio ha allegato (v. pag.2 della memoria dell’8/10/2008) che il latte fornitogli sarebbe stato affetto da vizi (annacquamento, carica batterica superiore e non conforme ai parametri previsti dalla legge, alta acidità) e, quindi, ha dedotto un difetto delle qualità essenziali per l’uso al quale la stessa merce era destinata, applicando, quindi, unilateralmente l’art. 9 del contratto di somministrazione che prevede una decurtazione del 20% e 30% dall’importo fatturato in caso di tali vizi.

Ora, in base al rinvio operato dall’art. 1497 c.c. alle disposizioni generali sull’inadempimento: “il compratore può ottenere la risoluzione del contratto soltanto se il difetto di qualità della cosa venduta non sia di scarsa importanza; tuttavia, quando l’inadempienza non sia di tale gravità da giustificare la risoluzione del contratto, l’acquirente può agire per il risarcimento del danno sotto forma di una proporzionale riduzione del prezzo corrispondente al maggior valore che la cosa avrebbe avuto” (in tal senso Corte di cassazione n. 247 del 1981).

Pertanto, sulla base della allegazione del difetto di qualità essenziali all’uso al quale la res venduta era destinata per sua natura, il compratore che lamenti un vizio redibitorio, che riguarda le imperfezioni del processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione del bene venduto, può procedere alla riduzione del prezzo, come peraltro prevista nel citato contratto. Tuttavia, in punto di fatto, va rilevato che dall’istruttoria svolta nel corso del giudizio non è emerso né che il compratore abbia denunciato i vizi della merce venduta nel termine di otto giorni dalla scoperta del vizio, ma nemmeno i denunciati vizi, come contestati dalla convenuta, sono stati provati dal Caseificio.

Parte attrice non ha esibito alcun documento o certificazione dalla quale dedurre e rilevare i denunciati vizi. A sostegno del proprio assunto non ha prodotto nemmeno i rapporti o dichiarazioni tecniche del laboratorio di analisi a cui afferma di essersi rivolta. Nulla è stato rinvenuto nella produzione dell’attore. A prescindere dalla considerazione che, comunque, tali rapporti, richiesti dal solo attore, su un campionamento non svolto nel contraddittorio delle parti, non potevano provare l’effettiva ed originaria provenienza del latte campionato ed esaminato, la cui percentuale “di annacquamento”, per giunta, non risulta indicata in difformità rispetto a quella prevista dalla legge. L’unico teste escusso nel corso del giudizio, infatti, ha riferito che, in qualità di dipendente del Caseificio, all’epoca dei fatti si occupava del ritiro del latte e che “a scadenza non fissa mi veniva consegnato un campione di latte da parte della Ma.Fe. per procedere al controllo di qualità … e tali campioni provvedevo a consegnarli al Caseificio”. Ma null’altro aggiunge circa l’effettuazione del controllo, e del relativo risultato.

La suddetta deposizione, quindi, non consente di ritenere acquisita al processo la prova della effettiva mancanza di qualità nel latte fornito, né della tempestiva denuncia al venditore dei vizi della merce venduta. Sicché, si può ben ritenere che nella specie manca ogni prova idonea a dimostrare l’esistenza dei lamentati vizi, posto che la disciplina generale in tema di vizi pone a carico del compratore l’onere di provare la preesistenza degli stessi al momento della compravendita, e, dunque l’inidoneità della cosa all’uso pattuito per effetto della sussistenza appunto di specifici vizi, non riconoscibili o comunque ignorati al momento dell’acquisto, dovendo appunto l’acquirente provare i difetti del bene acquistato, le eventuali conseguenze dannose e l’esistenza del nesso causale fra i primi e le seconde. Occorre concludere, pertanto, che, non avendo l’attore fornito la prova e della tempestività della denunzia dei vizi, né della sussistenza di tali vizi o quanto meno del riconoscimento dei vizi ad opera del venditore, l’inadempimento di esso Caseificio al pagamento delle fatture per la fornitura del latte diventa contrario a buona fede contrattuale e preminente nel sinallagma contrattuale.

Ed in virtù dei principi di diritto sopra richiamati deve procedersi ad un esame del comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi e all’oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale, con la conseguenza che, qualora l’inadempimento di una delle parti sia valutato come prevalente deve considerarsi legittimo il rifiuto dell’altra di adempiere alla propria obbligazione e alla risoluzione del contratto deve seguire l’esame dell’eventuale richiesta di risarcimento del danno della parte non inadempiente (ex multis, da ultimo, Cass Sez. 2, Ordinanza n. 13827 del 22/05/2019).

Per cui, valutati i contrapposti inadempimenti, quello di parte attrice – che ha omesso di pagare integralmente, senza giustificato motivo, la fornitura di latte eseguita – risulta prevalente e precedente quello della convenuta. Ne consegue, altresì che va accolta la domanda riconvenzionale di parte convenuta, essendo stato provato l’inadempimento dell’attore – peraltro ammesso esplicitamente – al pagamento di quanto dovuto in virtù della eseguita fornitura di latte.

In conclusione, alla luce delle considerazioni in fatto ed in diritto sopra illustrate, la domanda principale va rigettata in quanto non compiutamente provata. Di contro va accolta la riconvenzionale spiegata, e parte attrice condanna al pagamento in favore della convenuta della somma di Euro 6.163,37, non essendo stato contestato dal Caseificio l’importo delle fatture impagate, come allegate dalla convenuta, con la declaratoria di risoluzione del contratto del 30/8/2007 inter partes concluso.

Le spese del giudizio, stante la parziale reciproca soccombenza sulle domanda ed eccezioni come formulate, vengono liquidate come in dispositivo, nella misura del 50%, e poste a carico di parte attrice.

P.Q.M.

Il Tribunale di Salerno – seconda sezione civile – definitivamente pronunciando sulla domanda proposta dal Ca.Tr., in persona del titolare omonimo, nei confronti dell’Az.Ag., in persona del titolare omonimo, ogni altra domanda o eccezione rigettata, così provvede:

– dichiara risolto il contratto di somministrazione del 31/8/2007 stipulato inter partes;

– rigetta la domanda di parte attrice in quanto non provata;

– accoglie la domanda riconvenzionale spiegata dalla convenuta AZIENDA AGRICOLA MA.FE. e per l’effetto condanna il Ca.Tr. al pagamento in favore della convenuta della somma di Euro 6.163,37, per le causali di cui in motivazione;

– condanna, infine, il Ca.Tr. al pagamento al pagamento delle spese di lite in favore di dell’AZIENDA AGRICOLA MA.FE. che liquida nella misura del 50% in Euro 1.530,00, di cui Euro 30,00 per spese, oltre la maggiorazione per spese generali IVA e Cassa come per legge, con attribuzione all’Avv. Carmine Francia per dichiarato anticipo.

Così deciso in Salerno l’11 febbraio 2020.

Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2020.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.