In tema di risarcimento del danno causato da diffamazione a mezzo stampa, la prova del danno non patrimoniale può essere fornita con ricorso al notorio e tramite presunzioni, assumendo, come idonei parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale.

La pronuncia in oggetto affronta il tema della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’onore e della reputazione, tema che può essere approfondito leggendo il seguente articolo: Diffamazione a mezzo stampa, profili risarcitori di natura civilistica.

Tribunale La Spezia Civile Sentenza 29 aprile 2019 n. 269

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DELLA SPEZIA

In composizione monocratica, in persona del giudice Ettore Di Roberto, ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 3538/2015 R.G.(…) promossa da:

(…) s.r.l. (c.f. (…)), in persona del legale rappresentante pro tempore e (…) (c.f.: (…)), rappresentati e difesi dall’avv. C.Sc., in virtù di procura in calce all’atto di citazione.

PARTE ATTRICE.

Contro

(…) S.p.a. (p.i.: (…)), in persona del legale rappresentante pro tempore, (…) (C.F.: (…)) e (…) (C.F. (…)), rappresentati e difesi, unitamente e disgiuntamente, dagli Avv.ti E.De., F.Li. e G.Ga. come per mandati in calce alla copia notificata dell’atto di citazione e a margine della comparsa.

PARTI CONVENUTE

MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

L’articolo oggetto di causa è stato pubblicato sul quotidiano “Il Secolo XIX” il giorno 12 settembre 2015, nelle pagine dedicate alla cronaca della Spezia, sotto l’occhiello “Stralcio dell’inchiesta (…) per riciclaggio”, con il titolo “Fatture false, indagati tre noti imprenditori spezzini” e il sottotitolo “Nei guai (…), (…) e (…), accusati di aver evaso il fisco. Chiuse le indagini della Guardia di Finanza”.

Il testo è il seguente: “L’indagine è uno stralcio di un fascicolo molto più ampio, sviluppato dalla divisione investigativa antimafia, che vede l’impresario spezzino (…) al vertice di un grande giro di denaro di provenienza delittuosa.

Gli investigatori della Guardia di Finanza hanno setacciato ogni informativa per individuare notizie “criminis” sul territorio spezzino.

Il sostituto procuratore (…) ha posto la lente d’ingrandimento su tre imprenditori del settore navale che avrebbero emesso fatture fasulle per centinaia di migliaia di euro. Si tratta di (…), 80 anni, spezzino dei Colli; (…), 53 anni, anche lui residente in città e (…), 56 anni, domiciliato invece ad Arcola.

I tre, difesi d’ufficio dall’avvocato (…), sono accusati di avere triangolato fra loro operazioni fasulle finalizzate a ottenere una “illegittima deduzione di componenti negativi di reddito”.

Gli inquirenti hanno dovuto riordinare un ginepraio di fatture emesse tra il 2010 e il 2012.

Nel dettaglio: (…), essendo l’amministratore della (…) S.r.l., avrebbe dichiarato passivi fittizi per un totale di oltre 900 mila euro, di cui 170 mila di Iva e 800 mila riguardanti deduzioni illegittime.

Le fatture sono state emesse nei confronti della (…) srl e della (…) srl, società amministrate rispettivamente da (…) e (…).

Nel corso degli anni le società si sarebbero suddivise i compiti. Nel 2010 ad emettere le fatture era stata la (…), (…) invece è entrata in scena solo nel 2011 con nove operazioni taroccate effettuate insieme alla (…).

Nel 2012 la stessa società ha staccato fatture sospette per 326 mila euro.

La tre società si aggiustavano i bilanci a vicenda.

Gli inquirenti ritengono che l’obiettivo fosse evadere l’imposta sul reddito delle società e quella sul valore aggiunto.

I finanzieri della sezione in Procura hanno portato avanti un’indagine minuziosa in cui sono stati raccolti decine di indizi.

Il magistrato ha fatto notificare l’informazione di garanzia insieme all’avviso di conclusione indagini.

Ora gli indagati avranno tempo venti giorni per chiedere di essere ascoltati dal magistrato e produrre memorie”.

Al centro della pubblicazione c’è la fotografia di un militare in piedi dietro a un autovettura della Guardia di Finanza con la didascalia “la Guardia di Finanza indaga da anni su (…), il re dei Tir”.

Parte attrice ritiene che tale articolo integri gli estremi del reato di diffamazione aggravata.

In particolare, in atto di citazione viene lamentato:

– l’accostamento della notizia riguardante l’indagine effettivamente in corso nei confronti di (…) quale amministratore unico di (…) s.r.l. per l’emissione di fatture false all’altra vicenda giudiziaria relativa ad operazioni di riciclaggio di denaro da parte dell’autotrasportatore (…) (sulle quali stava indagando la direzione investigativa antimafia);

– l’allusione all’esistenza di una associazione a delinquere tra gli amministratori di (…), (…) e (…).

Secondo tale prospettazione, dunque, l’articolo de quo insinuerebbe che (…) s.r.l. abbia partecipato ad operazioni di riciclaggio di denaro compiute d’intesa con altre società mediante la falsificazione dei rispettivi bilanci e che tali attività siano da inserire in un più vasto contesto criminoso, ricollegabile a (…).

Tale insinuazione sarebbe illecita in quanto non giustificata dal contenuto dell’avviso di garanzia notificato ad (…).

I convenuti si sono costituiti opponendosi ed evidenziando come nell’articolo in esame il giornalista, dando atto delle oggettive risultanze dell’inchiesta giudiziaria condotta dalla Procura della Spezia, si sia limitato a:

– sintetizzare le accuse rivolte ai soggetti coinvolti, senza avallarne la fondatezza e senza operare alcun illecito collegamento fra inchieste giudiziarie diverse o ipotizzando imputazioni inesistenti;

– fare riferimento al fatto che l’indagine nei confronti di (…) ebbe origine dalle intercettazioni telefoniche a carico del coindagato (…) disposte appunto nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria – per riciclaggio ed altri reati – a carico di (…) (e altri soggetti); specificando, però, come si trattasse di vicende distinte.

Si ritiene che la domanda attorea meriti accoglimento, per le ragioni e nei limiti che si vengono qui di seguito ad esplicitare.

Come noto, secondo costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Cass. 2066/2002):

“Affinché la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell’onore, della reputazione o della riservatezza di terzi possa considerarsi lecito esercizio del diritto di cronaca, devono ricorrere le seguenti condizioni: la verità dei fatti esposti, che può essere oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, e che è esclusa quando vengano riferiti fatti veri, ma incompleti; l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto oggetto della cronaca (c.d. pertinenza); la correttezza dell’esposizione (c.d. continenza).

Quest’ultima condizione va intesa sia come correttezza formale, sia come limite sostanziale, individuabile in ciò che è strettamente necessario per soddisfare l’interesse generale alla conoscenza di determinati fatti di rilievo sociale, e che va accertato in base ad un’indagine orientata verso il risultato finale della comunicazione e vertente imprescindibilmente, in particolare, sui seguenti elementi:

1) accostamento di notizie, quando esso sia dotato di autonoma attitudine diffamatoria;

2) accorpamento di notizie che produca un’espansione di significati;

3) uso di determinate espressioni nella consapevolezza che il pubblico le intenderà in maniera diversa o addirittura contraria al loro significato letterale;

4) tono complessivo della notizia e titolazione”.

Cass. 18264/2014 precisa, poi, che: “la verità di una notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste allorché essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti di sorta, dovendo il limite della verità essere restrittivamente inteso, poiché non è sufficiente la mera verosimiglianza in quanto il sacrificio della presunzione di non colpevolezza richiede che non si esorbiti da ciò che è strettamente necessario ai fini informativi”

Ancora, sempre in termini generali, con Cass. 25157/2008, si osserva che: “Per stabilire se uno scritto giornalistico abbia o meno contenuto diffamatorio non è sufficiente avere riguardo alla verità delle notizie da esso diffuse, né limitarsi alla sola analisi testuale dello scritto, ma è invece necessario considerare tutti gli ulteriori elementi – come ad esempio i titoli, l’occhiello, le fotografie, gli accostamenti, le figure retoriche – che formano il contesto della comunicazione e che possono arricchirla di significati ulteriori, anch’essi lesivi dell’altrui onore o reputazione”.

Ebbene, nella specie, secondo quanto dedotto dagli stessi convenuti, l’ambito delle indagini che si stavano svolgendo nei confronti di (…) aveva rappresentato la mera occasione attraverso cui la notizia relativa al reato poi oggetto dell’informazione di garanzia indirizzata ad (…) giunse all’attenzione della Procura della Repubblica.

Il collegamento tra le due vicende, dunque, fu di tipo “casuale”, estemporaneo, comunque non sostanziale.

Ne consegue che nell’ambito delle informazioni che venivano fornita con l’articolo per cui è causa, la circostanza dell’origine della relativa notitia criminis costituiva un aspetto solo marginale, di dettaglio.

Diversamente, ad essa fu dato particolare risalto, sin dall’occhiello e dalla scelta della didascalia della foto centrale; quindi occupando l’apertura dell’articolo.

Soprattutto, il dato venne trattato mediante l’utilizzo di termini impropri e, in ogni caso, equivoci.

Il giornalista, infatti, come visto parla di “stralcio”.

Stralciare comunemente significa eliminare o separare un elemento da un insieme in cui si trovi inserito; l’espressione, nel diritto processuale penale, per esempio, indica (appunto) la separazione della posizione di un indagato da un procedimento relativo a più persone; essa presuppone una qualche pertinenza di quella posizione con quel procedimento.

Tale pertinenza, come detto, nella specie era, però, assente.

Equivoco, nella medesima prospettiva, appare anche il riferimento, contenuto sempre all’inizio dell’articolo, all’esistenza di un fascicolo “molto più ampio”.

Ebbene, in tale quadro, assume particolare rilevanza la scelta dell’occhiello e della foto, di cui si è già detto.

In questo modo, infatti, come detto, viene data particolare evidenza all’indagine “originaria”, così da insinuare nel lettore il dubbio che un collegamento sostanziale tra le due vicende in effetti potesse sussistere; quelle scelte, anche di impaginazione, altrimenti, risultando immotivate.

Può ulteriormente osservarsi, da un lato, che nel resto dell’articolo, laddove si procede a descrivere i fatti oggetto dell’informazione di garanzia indirizzata ad (…) e agli altri due imprenditori, nulla viene più specificato e chiarito sul punto qui in discussione; dall’altro, che, in astratto, il reato imputato ad (…) può tipicamente essere compiuto anche a fini di riciclaggio (oltre che di evasione).

Tutto ciò contribuisce a generare confusione in relazione alla circostanza qui in rilievo. Conclusivamente, può ritenersi:

– che l’articolo alluda consapevolmente a un coinvolgimento (anche) di (…) in una vicenda criminosa ulteriore rispetto ai fatti contestati nel solito avviso di conclusione di indagine;

– che, in mancanza di elementi oggettivi che potessero giustificare detta allusione, sia da escludere che il diritto di cronaca (giudiziaria) nella specie sia stato esercitato legittimamente;

– che la condotta esaminata sia lesiva della reputazione e dell’onore di (…) e dell’immagine di (…) S.r.l.; tanto ben potendo presumersi, secondo comune esperienza, considerata la natura del fatto così accertato.

Si tratta ora di quantificare i danni risarcibili; premettendosi che gli attori hanno dedotto in giudizio di aver patito esclusivamente pregiudizi di tipo non patrimoniale.

Secondo costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Cass. ord. 13153/2017): “In tema di risarcimento del danno causato da diffamazione a mezzo stampa, la prova del danno non patrimoniale può essere fornita con ricorso al notorio e tramite presunzioni, assumendo, come idonei parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima, tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale”.

Con specifico riferimento, poi, al danno non patrimoniale subito dalle persone giuridiche, la Suprema Corte (cfr. Cass. 12929/2007) afferma che: “anche nei confronti della persona giuridica ed in genere dell’ente collettivo è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell’ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione, e fra tali diritti rientra l’immagine … dell’ente”; “danno non patrimoniale costituito – come danno c.d. conseguenza – dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell’ente nel che si esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell’agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell’ente e, quindi, nell’agire dell’ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l’ente di norma interagisca. Il suddetto danno non patrimoniale va liquidato alla persona giuridica o all’ente in via equitativa, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto”.

Ebbene, sul punto si ritiene di evidenziare, oltre alle circostanze relative alla diffusione dello stampato e alla posizione sociale dei soggetti diffamati, anche il fatto che la reputazione di (…) e l’immagine di (…) nella specie sarebbero state in ogni caso già significativamente pregiudicate della pubblicazione in questione, pur epurata dagli elementi sulla cui base è stato ritenuto il suo contenuto diffamatorio.

Tale articolo, infatti, avrebbe comunque legittimamente dato conto della notizia relativa all’indagine in corso per condotte finalizzate all’evasione dell’imposta sul reddito delle società e sul valore aggiunto.

A tal riguardo non può essere condivisa la valutazione della difesa di parte attrice, secondo cui, di per sé, la relativa notizia non sarebbe stata tale da suscitare l’interesse dei lettori del giornale.

Si tratta, invece, anche in considerazione dell’entità degli importi in rilievo, di reati gravi, in grado di gettare discredito sui loro autori nell’opinione pubblica.

Le pretese risarcitorie attoree devono, dunque, essere ridimensionate, trattandosi sotto questo punto di vista di liquidare una sorta di danno differenziale (i.e.: illecito aggravamento del pregiudizio).

Ritiene lo scrivente, procedendo con liquidazione equitativa globale, che il danno così sofferto da (…) possa essere congruamente determinato in misura corrispondente a Euro 8.000,00 e che analogo importo spetti a (…).

Ai sensi dell’art. 2055 c.c., rispondono in solido (…) e (…), nelle loro rispettive non contestate qualità di giornalista autore dell’articolo e direttore responsabile (che ha omesso il dovuto controllo sulla pubblicazione); con loro viene condannata anche la società editrice del quotidiano, ex art. 11 della L. n. 47 del 1948.

Passando alla domanda accessoria di condanna ai sensi dell’art. 12 della solita L. n. 47 del 1948, si tratta di un’ipotesi eccezionale di pena pecuniaria privata prevista per legge, che come tale può aggiungersi al risarcimento del danno autonomamente liquidato.

Come chiarito dalla giurisprudenza (cfr. Cass. 14485/2000), essa presuppone la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto di diffamazione (ancorché accertati dal giudice civile in via incidentale) e non può quindi essere comminata alla società editrice e neppure al direttore responsabile, laddove la sua responsabilità sia stata dichiarata come nella specie per omesso controllo colposo della pubblicazione.

E’, dunque, il solo (…) a dover essere condannato a tale titolo.

Gli importi che il convenuto dovrà, dunque, corrispondere si determinano in Euro 1.000,00 in favore di (…) e in Euro 1.000,00 in favore di (…), da ritenersi adeguati alla fattispecie.

Infine, ai sensi dell’art. 120 c.p.c., si ritiene opportuno disporre la pubblicazione per estratto della presente sentenza sui quotidiani indicati da parte attrice; tale misura, oggetto di un potere discrezionale del giudice, costituendo una sanzione autonoma che, grazie alla conoscenza da parte della collettività della reintegrazione del diritto offeso, assolve ad una funzione riparatoria in via preventiva rispetto all’ulteriore propagazione degli effetti dannosi dell’illecito (diversamente dal risarcimento del danno per equivalente che mira al ristoro di un pregiudizio già verificatosi; cfr. Cass. 1091/2016).

Venendo alle spese di lite, esse seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, alla luce dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, assumendo quale valore della lite quello corrispondente alle somme riconosciute in favore degli attori e operando un aumento dei valori medi relativi alle prime due fasi, stante la natura delle questioni trattate (nulla invece riconoscendosi per la fase istruttoria, la parte neppure avendo depositato le memorie ex art. 183 comma 6 c.p.c.).

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:

– dichiara la natura diffamatoria, per le ragioni di cui in parte motiva, dell’articolo pubblicato in data 12 settembre 2015 a pagina 19 dell’edizione locale del giornale Il Secolo XIX con il titolo “Fatture false, indagati tre noti imprenditori spezzini” e per l’effetto condanna i convenuti, in solido tra loro, al pagamento delle somme di Euro 8.000,00 in favore di (…) e di Euro 8.000,00 in favore di (…) S.r.l., in via equitativa, a titolo di risarcimento del danno; oltre interessi dalla sentenza al saldo;

– condanna (…) al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore di (…) e di Euro 1.000,00 in favore di (…) S.r.l., a titolo di riparazione pecuniaria ex art. 12 L. n. 47 del 1948; oltre interessi dalla sentenza al saldo;

– dispone, a cura e spese dei convenuti, la pubblicazione per estratto della presente sentenza su due edizioni domenicali dei quotidiani “(…)”, nel foglio dedicato alla cronaca della Spezia e “(…)”;

– condanna i convenuti, in solido tra loro, a rifondere a parte attrice le spese relative al presente giudizio, che si liquidano in Euro 814,76 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfettario, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Così deciso in La Spezia, il 29 aprile 2019.

Depositata in Cancelleria il 29 aprile 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.