La sanzione pecuniaria, prevista dall’art. 12 della L. n. 47 del 1948 nell’ipotesi di diffamazione commessa col mezzo della stampa, si aggiunge senza sostituirsi al risarcimento del danno causato dall’illecito diffamatorio, e presuppone la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto di diffamazione, sicché non può essere comminata alla società editrice e può esserlo, invece, al direttore responsabile, purché la sua responsabilità sia dichiarata per concorso doloso nel reato di diffamazione e non per omesso controllo colposo della pubblicazione.

 

La pronuncia in oggetto affronta il tema della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’onore e della reputazione, tema che può essere approfondito leggendo il seguente articolo: Diffamazione a mezzo stampa, profili risarcitori di natura civilistica.

Tribunale Cremona, civile Sentenza 26 giugno 2018, n. 336

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di CREMONA

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessandra Medea Marucchi ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2839/2016 promossa da:

SI.VI. (…), con il patrocinio dell’avv. En.Lo. del foro di Milano e avv. Pi.Va. del foro di Varese, domiciliata presso lo studio dell’avv. Gi.Be. in Cremona

ATTORE

contro

JA.IA. (…), MA.CA. (…), IT. S.p.A. (…), con il patrocinio dell’avv. Ca.Pa., avv. Sa.Ve. del foro di Torino e avv. CA.CR. del foro di Cremona presso la quale è eletto domicilio

CONVENUTI

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

La dott.ssa Si.Vi., la quale ha allegato di essere docente in servizio in regime di comando presso l’ufficio comunicazione del gruppo parlamentare del (…), con atto spedito in notifica il 28/9/2016 ha citato in giudizio la It. S.p.A. (editore della testata (…)), il dott. Ma.Ca. (all’epoca direttore responsabile) ed il dott. Ja.Ia. (giornalista) perché il Tribunale, accertata la natura diffamatoria dell’articolo dal titolo “La (…) sui migranti: diamo sfogo a rabbia e paura” pubblicato il 21/7/2015 nonché della replica pubblicata sul medesimo quotidiano in data 23/7/2015, li condannasse tra loro in solido al pagamento della somma di 25.000 Euro (o diversa maggiore somma ritenuta equa) a titolo di risarcimento per tutti i danni non patrimoniali subiti dalla (…) stessa in conseguenza del contenuto diffamatorio di tali articoli; chiedeva altresì la condanna dei convenuti ad equa riparazione pecuniaria ex art. 12 della L. n. 47/1948 nonché disporsi ordine di pubblicazione della sentenza sui quotidiani “(…)” e “(…)” e la rimozione dell’articolo dagli archivi online. Si sono costituiti i convenuti contestando il profilo diffamatorio degli scritti ed eccependo l’esimente del legittimo esercizio del diritto di cronaca e critica; i convenuti hanno comunque contestato ogni profilo di responsabilità solidale e chiesto il rigetto delle domande dedotte dalla dott.ssa (…).

La causa è stata istruita per via documentale ed orale quindi trattenuta in decisione all’udienza dell’11/1/2018.

La domanda è fondata nei limiti e nei termini di seguito precisati.

Lamenta l’attrice che il complessivo tenore dello scritto a firma del giornalista (…) e pubblicato sul quotidiano “(…)” in data 21/7/2015 (e sul sito web della medesima testata) avrebbe determinato un attacco personale e lesivo della dignità e reputazione dell’attrice cui sarebbe stata “falsamente attribuita l’ideazione di una propaganda politica cinica e deplorevole (anche attraverso la scorretta rappresentazione del senso delle schede comunicative) ed una attitudine alla manipolazione delle persone che le avrebbe permesso di ritagliarsi un ruolo di assoluta influenza all’interno del (…)” (pag. 7 dell’atto di citazione).

In particolare la dott.ssa (…) lamenta che il giornalista:

1) avrebbe “sapientemente” (pag. 3 dell’atto di citazione) estrapolato frasi tratte da una scheda comunicativa, la cui paternità veniva falsamente ricondotta alla dott.ssa (…), si attribuendo alla stessa un approccio cinico e spregiudicato alla questione migranti;

2) avrebbe rappresentato la dott.ssa (…) in una posizione di potere e influenza negli equilibri e nelle scelte interne al movimento screditandone l’immagine ed impiegando termini evocativi di profili manipolatori quale “zarina” (pag. 7 dell’atto di citazione) e 3) avrebbe insinuato dubbi in ordine ai titoli professionali della stessa.

Va effettivamente rilevato che il complessivo tenore dell’articolo in oggetto ha, in alcune sue parti, portata e capacità diffamatoria.

Quanto al primo tra i profili lamentati, va osservato che efficace è l’articolo nel comunicare al lettore l’approccio “cinico” e “spregiudicato” (sì come qualificato dallo stesso giornalista) dell’autore delle c.d. “schede comunicative” (da questi asseritamente) elaborate per istruire i parlamentari sui rilevanti temi di attualità.

L’articolo prende le mosse citando direttamente un passo della c.d. scheda comunicativa, si legge: “”l’argomento immigrazione suscita molte emozioni, tra cui la in primis la paura e la rabbia. Per questo, in tv iniziare ad argomentare o spiegare trattati o proporre soluzioni più o meno realistiche è inutile, perché le persone sono in preda alle emozioni e sentono minacciate la loro famiglia; non si può pretendere che seguano un discorso puramente razionale”. La conclusione è cinica, consiglia di puntare tutto sul “ricalco emotivo”. “Diamo sfogo a rabbia + paura”. E ancora, parlando della tristissima vicenda dei migranti bloccati a (…): “Questa storia può far gioco per ritirare fuori il tema non Euro e no Europa dei burocrati. Gli Italiani si sentono soli, la Francia ci sta schiacciando, è l’evidenza che la UE non ci dà alcun supporto, sia in ambito economico sia in ambito sociale, possiamo legarci il nostro referendum”. Chi utilizza in modo così spregiudicato il problema migranti e il caso (…) dentro (…)? la donna più potente in quanto momento dentro il (…); formalmente è solo un consulente di comunicazione, la coach tv, quella che sta istruendo i parlamentari – con una serie di “schede comunicative “scritte con le frasi evidenziate in giallo – su come devono esprimersi in tv, su i temi di attualità. Immigrati, scuola, taglio delle tasse del premier (…)”;

il titolo dell’articolo chiosa: “la (…) sui migranti “diamo sfogo a rabbia e paura” – istruzioni agli eletti e nomine: l’irresistibile ascesa di Si.Vi.”.

Inoltre l’articolo, il quale non ha invero portata diffamatoria nella parte in cui attribuisce alla dott.ssa (…) una posizione di rilievo in seno all’organizzazione in armonia con l’indirizzo del movimento (sì come si evince dalla annotazione mossa in articolo della vicinanza con Luigi Di Maio e dell’apprezzamento di Alessandro Di Battista, esponenti di primo piano del movimento e certamente di questo rappresentativi), ha invece portata diffamatoria nella parte in cui connota la posizione di asserito potere in termini personalistici, lasciando intendere un uso manipolatorio di tale potere; sul punto, nel trafiletto a margine dell’articolo, si legge: “mandata da Casaleggio a Roma come consulente tv alla camera, il suo ruolo si è molto allargato e oggi condiziona scelte politiche di fondo e nomine dentro il (…)” ed ancora, nel corpo dell’articolo: “l’ultimo episodio del suo potere sono le nomina del nuovo sistema operativo (…) che di fatto allargano il direttorio dei cinque: è un caso che molti siano amici di (…) (…)”; invero tale ultima annotazione, riferita in articolo a chiusura dello stesso, viene dal lettore inevitabilmente letta alla luce (in quanto segue la lettura) del complessivo intervento giornalistico e certamente assume connotazione negativa in quanto segue il racconto mosso dal giornalista in ordine all’uso (qualificato cinico e spregiudicato) di alcuni temi attinenti l’immigrazione da parte della dott.ssa (…), si come illustrato nella prima parte dell’articolo e riscontrato dalla sintesi, pure giornalistica, del titolo nel quale alla dott.ssa (…) viene in definitiva ascritto il ruolo “di zarina”, in seno all’organizzazione.

Da ultimo del pari diffamatorio deve ritenersi il passaggio svolto, con ambiguità e suggestione, in riferimento ai titoli della dott.ssa (…);

si legge: “si chiama Si.Vi. è una quarantenne della provincia di Parma (…). Laureata in glottologia a Vienna racconta di avere un master in economia alla (…), ma se ne hanno pochissime tracce in giro e moltissimi dei link che riportano a lei si Internet risultano cancellati”; l’incerto passato della dott.ssa (…) viene ribadito nella nota del giornalista in replica e pubblicata sul giornale il 23/72015 nella quale il giornalista, dopo aver precisato di aver inteso riferire la difficoltà di reperire in formazioni “alla persona e non al master”, ribadisce: “sappiamo che tantissimi link e pagine di Internet che riportano informazioni su (…) risultano page not found; possono essere stati cancellati a richiesta legittima dell’interessata. Abbiamo riportato questa interessante circostanza”; ebbene la complessiva lettura del passo consente agevolmente al lettore di riferire, perlomeno in forma ambigua e dubitativa, la circostanza attinente le “pochissime tracce” lamentate dal giornalista all’asserito master in economia; tale interpretazione della frase (in sé ambigua in quanto il “ne”, stante l’uso fattone nel linguaggio comune, potrebbe riferirsi sia alla persona della dott.ssa (…) sia al master) è riscontrata dall’avversativo “ma” impiegato immediatamente dopo (e quindi a negazione della) l’annotazione inerente il master in economia; e comunque se anche il riferimento alla mancanza di notizie fosse riferibile alla persona della dott.ssa (…) ciò non priverebbe l’annotazione del carattere diffamatorio: il giornalista, infatti, espressamente richiama l’attenzione del lettore sulla difficoltà di riscostruire compiutamente il profilo personale e professionale della (…), subito dopo aver riportato titoli la cui esistenza viene desunta dalla sola dichiarazione della (…), consentendo l’immediata associazione, nella mente del lettore, di un rapporto non casuale tra mera allegazione di titoli da parte della (…) e la mancanza di riscontri obiettivi in rete circa il suo passato.

Va dunque accertato se la portata diffamatoria dell’articolo giornalistico nei termini sopra evidenziati, possa ritenersi scriminata dal corretto esercizio del diritto di cronaca e critica.

E’ utile precisare che la giurisprudenza della Suprema Corte ha individuato alcuni criteri e fissato alcuni principi (verità del fatto, pubblica rilevanza e continenza) in ragione dei quali è possibile tracciare i confini del diritto di cronaca e critica costituzionalmente garantito ex art. 21 Cost., oltrepassati i quali la ragione di chi vuol far valere la propria libertà di espressione ed il proprio diritto/dovere di informazione deve cedere il passo alla tutela del diritto all’onore e alla reputazione altrui.

Venendo quindi al tenore del pezzo giornalistico oggetto di indagine, va osservato che appaiono soddisfatti i criteri della pubblica rilevanza del fatto (pertinenza) e della continenza. Risulta evidente, in via generale ed astratta, la pubblica rilevanza dei fatti oggetto dell’articolo e ciò sia in riferimento alle modalità di formazione e confezionamento delle c.d. schede comunicative sia in riferimento alla conoscenza delle dinamiche interne del movimento sia in riferimento alla formazione ed al profilo professionale della dott.ssa (…), attenendo tali profili alla maggiore conoscenza di una tra le maggiori forze politiche nel paese o di un personaggio che svolge il proprio lavoro al servizio del movimento stesso.

Del pari, risulta pacificamente rispettato il criterio della continenza (correttezza formale), avuto riguardo ai toni, anche grafici, della notizia, resa in modo sostanzialmente equilibrato, come si evince anche dalla collocazione della stessa all’interno del quotidiano e della pagina (pag. 8).

Quanto infine al criterio della verità dei fatti riportati nell’articolo va in primo luogo precisato che le informazioni a contenuto diffamatorio oggetto di causa si inseriscono in un contesto di diritto di cronaca e certamente di critica, come si evince dai toni anche provocatori dello scritto; ebbene, la Suprema Corte, in riferimento al criterio della verità dell’informazione, ha ripetutamente avuto modo di precisare che la legittimità dell’esercizio del diritto di cronaca “presuppone la fedeltà dell’informazione, cioè l’esatta rappresentazione del fatto percepito dal giornalista (…). La verità della notizia può anche essere solo putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca; pertanto l’esimente del diritto di cronaca opera se il giornalista in buona fede ritenga vera una notizia che si riveli falsa in un secondo momento, sempre che l’abbia accuratamente verificata” (tra le tante conformi, Cass. n. 2751/2007).

Inoltre “in tema di responsabilità civile per diffamazione, il diritto di critica non si concreta nella mera narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio avente carattere necessariamente soggettivo rispetto ai fatti stessi; per riconoscere efficacia esimente all’esercizio di tale diritto, occorre tuttavia che il fatto presupposto ed oggetto della critica corrisponda a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze soggettive” (da ultimo Cass. sent n. 25420/2017);

la Suprema Corte ha opportunamente precisato che “la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell’onore è scriminata per legittimo esercizio del diritto di cronaca se ricorrono (…) la verità oggettiva (o anche solo putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca), la quale non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato, ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive, sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore false rappresentazioni della realtà” (Cass. sent. n. 14822/2012)

Ebbene va osservato che il giornalista, come suo onere fare (Cass. sent. n. 9458/2013) non ha offerto in giudizio sufficiente evidenza della verità anche putativa di tutte le circostanze riferite, in ordine ad alcune delle quali non risulta aver svolto (rectius non vi è sufficiente prova abbia svolto) accurato procedimento di verifica.

In primo luogo va precisato che una parte della citazione ripresa nell’articolo giornalistico della c.d. “scheda comunicativa”, non solo è del tutto aderente al dato testuale delle stessa ma la citazione è stata riportata nel sua effettivo significato; fedele al dato testuale ed al senso dell’argomentare mosso nella scheda è infatti l’annotazione mossa in articolo rispetto ai complessi eventi di (…); l’articolo si come la scheda comunicativa chiariscono l’intento di veicolare temi politici cari al movimento, facendo leva sul processo emotivo ingenerato da tali eventi: si legge, nella scheda comunicativa ad uso del (…), così come fedelmente nell’articolo: “Questa storia può far gioco per ritirare fuori il tema non Euro e no Europa dei burocrati. Gli Italiani si sentono soli, la Francia ci sta schiacciando, è l’evidenza che la UE non ci dà alcun supporto, sia in ambito economico sia in ambito sociale, possiamo legarci il nostro referendum”

Al contrario, va osservato che se pure corretta sia la prima parte della citazione mossa in articolo circa la componente emotiva delle persone nell’ascolto e approccio alle tematiche migratorie, chiaramente difforme dal senso evincibile dalla scheda comunicativa, è il significato attribuito dal giornalista a tale premessa con l’accostamento di espressioni che, nella scheda, non risultano accostate o risultano precisate in termini inequivocabilmente difformi:

è utile riprendere testualmente due scritti, l’articolo e la scheda comunicativa, e metterli tra loro a confronto.

Si legge nell’articolo: “l’argomento immigrazione suscita molte emozioni, tra cui la in primis la paura e la rabbia. Per questo, in tv iniziare ad argomentare o spiegare trattati o proporre soluzioni più o meno realistiche è inutile, perché le persone sono in preda alle emozioni e sentono minacciate la loro famiglia; non si può pretendere che seguano un discorso puramente razionale” ); La conclusione è cinica, consiglia di puntare tutto sul “ricalco emotivo”. “Diamo sfogo a rabbia + paura”” Si legge invece nella scheda: “l’argomento immigrazione suscita molte emozioni, tra cui la in primis la paura e la rabbia. Per questo, in tv iniziare ad argomentare o spiegare trattati o proporre soluzioni più o meno realistiche è inutile, perché le persone sono in preda alle emozioni e sentono minacciate la loro famiglia; non si può pretendere che seguano un discorso puramente razionale”; la successione di ogni nostro intervento dovrebbe seguire questo schema: 1. Ricalco emotivo = mostrare comprensione per paura e rabbia e sottolineare il lato umano della vicenda 2. (questa fase si può evitare se il giornalista o il servizio hanno appena spiegato un avvenimento) (…) 3. Soluzioni = cosa proponiamo noi (…) 4. Attacchi politici = dare giusta responsabilità (..) va fatto DOPO aver proposto soluzioni (…) le responsabilità nella percezione delle persone appartengono al passato mentre i cittadini hanno il problema ADESSO e vogliono soluzioni subito 1. Ricalco: possono servire frasi come “io posso immaginare che una persona che vede queste immagini (..) oppure che sente queste notizie (scontri con la polizia circa 800.000 migranti previsti in arrivo nel 2015) si spaventa. E capisco anche la rabbia. e come cittadino la mia rabbia è per quei politici che hanno causato e mantenuto tutto questo per anni (…) mi spaventa che chi ha davvero potere non faccia niente e non abbia idee (diamo sfogo alla rabbia + paura ma le rivolgiamo contro chi ha il potere, non contro gli immigrati)”.

Quanto ripreso nell’articolo giornalistico dunque, non è semplice sintesi del contenuto della scheda informativa (che certamente il giornalista non aveva il dovere di riprendere per esteso) ma l’accostamento improprio tra periodi e le omissioni di alcuni passaggi hanno, nell’articolo, veicolato un messaggio differente rispetto a quello evincibile dalla scheda;

gli impropri accostamenti svolti (premessa: il discorso puramente razionale non verrebbe seguito conseguenze: diamo sfogo alla rabbia) hanno radicalmente mutato il senso dello scritto (scheda comunicativa): nella prima parte della suddetta scheda infatti si evince l’intento dell’autore di impostare un percorso argomentativo che partendo con empatia dai sentimenti degli ascoltatori (“ricalco emotivo = mostrare comprensione per rabbia e paura e sottolineare il lato umano della vicenda”) consentisse di affrontare argomenti (“soluzioni” ed “attacchi politici”), veicolando i sentimenti negativi verso gli avversari politici “e non contro gli immigrati”;

ciò che invece si evince dalla lettura dell’articolo è che lo scopo del “ricalco emotivo” fosse fine a se stesso e fosse quindi la “conclusione” della premessa, come espressamente scritto dal giornalista (“La conclusione è cinica, consiglia di puntare tutto sul “ricalco emotivo”. “Diamo sfogo a rabbia + paura”);

ebbene rappresentando e presupponendo tale (distorto) messaggio il giornalista ha poi esercitato il proprio diritto di critica, giudicando appunto tale passaggio cinico e pregiudicato, in tale modo tuttavia esercitando tale diritto in modo non legittimo, esprimendo critica e giudizio su fatti non rispondenti al vero.

Va poi osservato che la dott.ssa (…), oltre ad aver stigmatizzato l’uso di stralci delle scheda comunicativa “sapientemente” accostati, ha contestato la paternità di tale scheda; ebbene il giornalista come suo onere fare non ha offerto evidenza del fatto che, anche in ragione di valutazioni svolte ex ante, ma sulla base di scrupolosa ricerca, la scheda fosse riconducibile alla dott.ssa (…);

va infatti osservato che la scheda risulta inoltrata dall’ufficio comunicazione del movimento 5 stelle alla camera (…) alla mail istituzionale della dott.ssa (…) (…) e, se pure con un passaggio in atti non desumibile dagli indirizzi email (doc. n. 3), dalla dott.ssa (…) successivamente inoltrata a terze persone, come si evince dalla nota accompagnatoria: “ecco l’aggiornamento della scheda comunicativa su immigrazione (fatti (…) e sospensione (…)). Un saluto. Si.Vi.”;

i convenuti non hanno offerto in giudizio comunicazione del nominativo cui la mail sarebbe stata inoltra dalla dott.ssa (…) e successivamente girata alla c.d. fonte del giornalista, opponendo ragioni di riservatezza.

Se pure dunque la mail con l’aggiornamento della scheda risulti inoltrata dalla dott.ssa (…) a terzi, una anche superficiale attività di riscontro e verifica della fonte avrebbe consentito al giornalista in primo luogo di osservare che la mail era stata previamente girata con identico oggetto (“aggiornamento scheda immigrazione – (…)”) dall’ufficio comunicazione del movimento alla (…) e un riscontro più accurato avrebbe consentito di verificare, come avvenuto in giudizio, che le c.d. schede comunicative vengono di regola elaborate dai componenti dell’ufficio comunicazione in ragione delle aree tematiche, vengono rimaneggiate nel tempo a seconda degli eventi e che la dott.ssa (…), pure inserita nell’ufficio comunicazione, non era addetta a tale area sicché l’esclusiva imputazione dello scritto alla dott.ssa (…) (pure eventualmente evincibile da altre fonti) non poteva evincersi dal doc. n. 3, entrato nella disponibilità del giornalista;

in giudizio, ferma la mancanza di evidenze documentali ex ante in ordine alla riconducibilità di tale scheda in via inequivoca alla dott.ssa (…), dalla deposizione della teste (…), responsabile dell’ufficio comunicazione (…) alla Camera, si è evinto che la scheda comunicativa “spesso frutto del lavoro di più persone anche in collaborazione dell’ufficio comunicazione del senato’, di regola viene visionata dal responsabile il quale provvede “personalmente a dare indicazioni circa gli inoltri delle schede cui poi provvedono gli addetti dell’ufficio comunicazione; Si.Vi. è inserita nell’ufficio comunicazione e quindi al pari degli altri è incaricata da me di inoltrare le schede ai parlamentari; lei ha pacificamente accesso alla mail dell’ufficio al pari di tutti i membri dell’ufficio stesso (…) non vi è assolutamente coincidenza necessaria tra chi inoltra la scheda e chi la redige; io do indicazioni dell’inoltro a seconda dei tempi e delle necessità’, la deposizione ha dunque riscontrato quanto desumibile, se pure in modo parziale, dal documento n. 3.

Né invero i convenuti hanno provato in giudizio di aver avuto conoscenza della riconducibilità di tale scheda alla dott.ssa (…) da terzi, circostanza pure implicitamente allegata (cap. 2 dedotto nella seconda memoria ex art. 183 co. 6 cpc: “vero che) la dott.ssa (…) ha predisposto nel giugno 2015 la scheda comunicativa sull’immigrazione prodotta sub do. n. 3 (…) curandone i contenuti? – teste sig. (…)).

Ebbene il teste, già responsabile dell’ufficio comunicazione (…) alla Camera sino al luglio/novembre 2014, ha riferito che, grazie ai contatti di natura strettamente personale mantenuti con alcuni parlamentari del movimento, era venuto in possesso della mail in oggetto nonché della relativa scheda allegata; in quel contesto, il parlamentare che avrebbe condiviso con il giornalista l’informazione, avrebbe riferito al giornalista “guarda cosa mi ha mandato (…)” ((…)), verbalizzando poi di non condividerne il contenuto;

e dunque se tali dichiarazioni consentono di ricondurre con sufficiente certezza alla dott.ssa (…) l’effettivo inoltro della mail ai parlamentari, non consentono tuttavia di accertare se la dott.ssa (…) abbia “girato” la nota si come formata dall’ufficio comunicazione (come riscontrato dagli indirizzi mail e dell’aggetto di della mail in atti e come riferito dalla teste (…)) ovvero abbia effettivamente redatto la scheda;

va infatti osservato che il teste (…) ha svolto riferimento ad una fonte (di cui non ha inteso, legittimamente riferire il nome) asserendo tuttavia di aver ricevuto da tale fonte informazioni affatto circoscritte ed in sé del tutto inidonee (processualmente) ad imputare lo scritto alla dott.ssa (…); ed infatti, a prescindere dal valore della deposizione indiretta, va in via assorbente osservato che (secondo quanto deposto in giudizio dal teste pur a fronte dei numerosi chiarimenti richiesti) neppure l’ignota fonte avrebbe riferito al teste circostanze obiettive in ragione delle quali desumere la paternità della scheda; il teste ha riferito che il parlamentare/fonte “non mi ha precisato come si fosse formata la scheda in oggetto; neppure i colleghi dell’ufficio che poi ho sentito (con i quali ero rimasto in contatto) non mi hanno mai detto che il documento era stato frutto di una riunione, tutti erano stupiti del carattere politico del documento, alcuni di loro mi avevano detto che non lo avevano scritto e loro davano per scontato che fosse ascrivibile a (…); ADR non posso precisare come loro fossero giunti a questa conclusione”, si rendendo processualmente poco utile il richiamo al fatto “che tutti dessero per scontato” che lo scritto fosse ascrivibile alla dott.ssa (…), circostanza in nessun modo riscontrabile non solo in giudizio ma, invero, neppure dal giornalista che avrebbe dovuto svolgere scrupolosa verifica della verità delle informazioni ricevute, ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica e cronaca;

né invero è emerso, e questo neppure secondo una verifica che poteva essere svolta ex ante, che la dott.ssa (…) avesse il compito di visionare, controllare e intervenire sulla redazione delle schede: lo

stesso teste (…) ha affermato “per quanto sperimentato lavorando nell’ufficio comunicazione posso dire che l’ufficio è diviso per aree tematiche; l’ufficio lavorava in equipe e poi il documento così elaborato veniva normalmente inviato ai parlamentari a firma del responsabile dell’area tematica; la dott.ssa (…) non era fisicamente presente negli uffici, né era addetta ad una specifica area tematica, né ho mai saputo bene di cosa esattamente lei si occupasse; ADR io non dovevo inoltrare il documento elaborato dall’ufficio alla (…) né ricevevo da lei documenti modificati o elaborati da inoltrare ai parlamentari; non ho mai visto un documento a firma di Si.Vi. sino a che io ho lavorato nell’ufficio comunicazione”;

la teste (…) ha poi precisato in giudizio “sono io unitamente al responsabile della comunicazione al Senato che verifichiamo la adeguatezza della scheda nei contenuti e forme prima dell’inoltro ai parlamentari, non ci interessa verificare chi quella scheda abbia specificatamente redatto, anche perché spesso è rimaneggiata nel tempo da più mani a seconda degli eventi e della attualità”. E’ utile precisare che l’incertezza della prova sul punto, e quindi in ordine al fatto che la scheda comunicativa fosse stata confezionata dalla dott.ssa (…) si come pacificamente lascia intendere l’articolo, determina effetti pregiudizievoli in capo alla parte che quella prova era onerata di fornire e quindi in capo al giornalista convenuto.

Pertanto, alla luce di quanto emerso nel corso del giudizio, va ritenuto che alcuni stralci della c.d. “scheda comunicativa”, pacificamente elaborata dall’ufficio comunicazione del (…), siano stati ripresi e citati nell’articolo pubblicato in data 21/7/2015 sul quotidiano (…) e sul sito web della medesima testata in modo del tutto fedele (nel dato testuale e nel loro significato) rispetto a quanto si legge nella scheda comunicativa versata in atti ed in particolare quanto allo stralcio attinente ai “migranti bloccati a (…)” laddove, nell’articolo giornalistico così come nella scheda comunicativa del movimento si legge: “Questa storia può far gioco per ritirare fuori il tema non Euro e no Europa dei burocrati. Gli Italiani si sentono soli, la Francia ci sta schiacciando, è l’evidenza che la UE non ci dà alcun supporto, sia in ambito economico sia in ambito sociale, possiamo legarci il nostro referendum”; va però ulteriormente ritenuto che, al contrario, l’omissione di alcuni passaggi di rilievo e l’accostamento tra loro di alcune espressioni impiegate nella suddetta scheda, abbia radicalmente mutato il significato di altri passaggi comunicativi in essa mossi e veicolato nell’articolo giornalistico un messaggio non fedele alla scheda comunicativa stessa; ed infatti, ferma e fedele la premessa riportata in articolo: “l’argomento immigrazione suscita molte emozioni, tra cui la in primis la paura e la rabbia. Per questo, in tv iniziare ad argomentare o spiegare trattati o proporre soluzioni più o meno realistiche è inutile, perché le persone sono in preda alle emozioni e sentono minacciate la loro famiglia; non si può pretendere che seguano un discorso puramente razionale”, si legge poi nell’articolo: “la conclusione è cinica, consiglia di puntare tutto sul “ricalco emotivo”. “Diamo sfogo a rabbia + paura”” in luogo di quanto invece si legge nella scheda comunicativa dalla lettura della quale si evince l’intento dell’autore di impostare un percorso argomentativo che, partendo con empatia dai sentimenti degli ascoltatori si legge: “ricalco emotivo = mostrare comprensione per rabbia e paura e sottolineare il lato umano della vicenda”), consentisse di affrontare argomenti (“soluzioni” ed “attacchi politici”), veicolando i sentimenti negativi verso gli avversari politici “e non contro gli immigrati”.

Va del pari concluso che non è emersa in giudizio sufficiente prova del fatto che la scheda comunicativa in oggetto, pur pacificamente riconducibile all’ufficio comunicazione del (…) del quale la dott.ssa (…) faceva parte, sia stata redatta dalla dott.ssa Si.Vi. o anche dalla dott.ssa Si.Vi., come invece pacificamente allegato nell’articolo pubblicato in data 21/7/2015 sul quotidiano (…) e sul sito web e come ribadito nell’articolo in replica pubblicato in data 23/7/2015 sul medesimo quotidiano; sicché l’esercizio del diritto di cronaca e critica risulta essere stato esercitato in modo non legittimo e non ha quindi capacità di scriminare la condotta diffamatoria posta in essere dal giornalista con la pubblicazione degli articoli in oggetto.

Non è inoltre emersa prova in giudizio del fatto che la dott.ssa (…), alla quale l’articolo in modo non diffamatorio attribuisce posizione di prestigio in seno al movimento, abbia impiegato, per quanto invece di rilievo ai fini dell’efficacia diffamatoria dello scritto, tale (asserito) credito per “condizionare scelte politiche di fondo e nomine dentro il (…)” o indirizzare le nomine di persone “amiche” in ruoli apicali.

Sul punto infatti non solo non sono state dedotte o capitolate specifiche prove ma nulla è stato specificatamente provato in ordine ai processi decisionali e soprattutto ai meccanismi di nomina ai quali l’articolo svolge richiamo, in modo da consentire valutazioni circa la verità anche putativa (in ragione di scrupolosa ricerca) dei fatti riferiti nell’articolo.

Anche sul punto deve dunque ritenersi che il diritto di critica e cronaca non sia stato esercitato in modo legittimo e quindi non abbia capacità di scriminare la condotta diffamatoria posta in essere.

Quanto infine alle suggestioni mosse dall’articolo, nel contesto giornalistico sopra ampiamente illustrato, in riferimento alla difficoltà di reperire informazioni relative alla storia personale e professionale della dott.ssa (…) non è emersa in giudizio prova delle difficoltà opposte da parte convenuta nel reperimento di informazioni sia in riferimento ai titoli professionali (di cui la dott.ssa (…) ha offerto evidenza in giudizio) sia “ai link che riportano a lei su internet”, sicché non è emersa prova in giudizio del fatto che l’informazione resa fosse conforme al vero.

Accertata dunque la portata diffamatoria dell’articolo giornalistico nel caso di specie non scriminata dall’esercizio del diritto di critica e cronaca per le ragioni sopra evidenziate e pacifica la consapevolezza del giornalista della capacità diffamatoria dei fatti riferiti (nella richiesta dimensione del dolo generico), sussistono dunque i presupposti per valutare la domanda di risarcimento del danno

non patrimoniale, si come dedotta da parte attrice nei suoi confronti ex art. 2043, 2059 cc, 595 e 185 cp;

Circa l’an (il se del danno) va osservato che “in tema di responsabilità civile per diffamazione a mezzo stampa, il danno all’onore ed alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non è “in re ipsa”, identificandosi il danno risarcibile non con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, assumendo a tal fine rilevanza, quali parametri di riferimento, la diffusione dello scritto, la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della vittima” (Cass. sent. n. 25420/2017).

Ebbene la parte attrice ha allegato in citazione di aver subito “ricadute negative sulla reputazione della stessa nell’ambito privato, professionale e sociale” (pag. 9) sul punto non ha ulteriormente dedotto ed argomentato;

deve agevolmente ritenersi che le notizie pubblicate abbiano non solo leso l’onore e la reputazione della dott.ssa (…) ma da ciò, secondo l’id quodplerumque accidit, sia derivato un danno alla sua persona nella dimensione non patrimoniale connessa alla sofferenza giuridicamente apprezzabile conseguita alla falsa rappresentazione di sè e connessa ai danni ordinariamente (e presuntivamente) prodotti in conseguenza dell’alterazione del riconoscimento e reputazione tra i consociati, avuto riguardo alla delicatezza dei temi trattati (afferenti la storia personale e professionale della dott.ssa (…) nonché alle sue inclinazioni e condotte), nonché avuto riguardo alla diffusione dell’articolo pubblicato su quotidiano a distribuzione non solo locale;

può dunque ritenersi vi sia sufficiente evidenza dell’an del danno, se pure seguendo precorsi presuntivi; circa il quantum (ferma la valutazione equitativa) va osservato che il danno, in assenza di specifiche ed ulteriori evidenze neppure specificatamente allegate in giudizio da parte diffamata, non può che ritenersi essersi prodotto in misura contenuta e ciò valorizzando, tra gli indici elaborati dalla giurisprudenza di merito sul punto, la media notorietà, nel grande pubblico, del giornalista che ha posto in essere la condotta, il lungo tempo trascorso tra la pubblicazione dell’articolo e l’azione intentata (a distanza di oltre un anno), la collocazione dell’articolo nel quotidiano (ben oltre la terza pagina) nonché da ultimo il rilievo in forza del quale quella parte di scheda comunicativa fedelmente ripresa nell’articolo (e quindi il richiamo alle specifiche vicende di (…) ed all’uso politico di tali fatti per sostenere i temi cari al movimento del referendum, “no euro” e “no Europa dei burocrati”) che pure ha contribuito a stigmatizzare la condotta della dott.ssa (…), se pure illecitamente a lei attribuita è stato pacificamente scritta ed elaborata dall’ufficio comunicazione (…) nel quale la dott.ssa (…) era ed è (perlomeno sino al settembre 2017) inserita e con l’operato del quale può presumersi, in assenza di evidenze di segno difforme, che la dott.ssa (…) non si ponesse in netta antitesi (in nessuno degli atti del giudizio la dott.ssa (…) ha asserito di aver espresso dissenso all’ufficio comunicazione rispetto all’intero contenuto della scheda da lei inoltrata); sul punto non è infatti superfluo osservare che se, sul piano della condotta, è certo illegittimo imputare alla dott.ssa (…) la genesi di un documento avente capacità diffamatoria, sul piano del danno può invece presumersi che l’adesione del diffamato alla condotta di chi quel documento abbia redatto (ufficio comunicazione) abbia nei fatti limitato di molto l’impatto negativo di tale diffusione (evidentemente nella parte in cui si è dimostrata conforme al vero) nella vita personale, sociale e di relazione della dott.ssa (…), sicché se certo permane l’illecito, il danno deve però essere adeguatamente ridimensionato e quindi in via equitativa liquidato, tenuto conto dei restanti profili diffamatori, in Euro 10.000; sulla somma vanno riconosciuti gli interessi legali dalla sentenza, che liquida il danno, al saldo effettivo.

Sì come disposto dall’art. 11 legge n. 47/1948, il quale recita “per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l’editore”, va riconosciuta la responsabilità solidale della It. S.p.A. e la stessa va condannata, in solido con il giornalista, al risarcimento del danno in favore dell’attore.

Quanto alla responsabilità del direttore del quotidiano;

l’attore in atto di citazione ha affermato la responsabilità del direttore “per concorso nel reato ex art. 110 c.p. o in subordine per aver omesso il doveroso controllo sul contenuto della pubblicazione (art. 57 c.p.)”.

Va in primo luogo esclusa la responsabilità del direttore a titoli di concorso nel reato: nessuna argomentazione è stata specificatamente mossa in atti dall’attore né sono state dedotte prove, orali o documentali sul punto, né invero sono state anche solo allegate le circostanza che hanno indotto l’attore a ritenere sussistenti i presupposti del concorso (ovviamente doloso) nel reato.

Quanto invece alla responsabilità ex art. 57 c.p. (esclusa la natura oggettiva della stessa) va osservato che “la responsabilità del direttore del giornale per i danni conseguenti alla diffamazione a mezzo stampa trova fondamento nella sua posizione di preminenza, che si estrinseca nell’obbligo di controllo e nella facoltà di sostituzione. Tali attività non si esauriscono nell’esercizio di un adeguato controllo preventivo, consistente nella scelta oculata di un giornalista idoneo alla redazione di una determinata inchiesta, ma richiede altresì la vigilanza “ex post” sui contenuti e sulle modalità di esposizione, mediante la verifica della verità dei fatti o dell’attendibilità delle fonti, al fine di evitare di esporre un terzo ad un ingiustificato discredito, anche con l’assunzione di iniziative volte ad elidere eventuali profili penalmente rilevanti” (Cass. sent. n. 10252 del 12/05/2014)

va poi osservato che la prova di tale responsabilità può essere raggiunta anche per via presuntiva e ferma la valutazione di evidenze di segno contrario che consentano di superare tale presunzione; va infine precisato che, rispettato il limite della continenza e della rilevanza sociale della notizia, se pure il dovere del direttore di controllare la verità (anche putativa) dei fatti sottesi all’informazione pubblicata non renda esigibili dal direttore condotte che si sovrappongano all’attività, di scrupolosa ricerca e verifica, che invece si impongono al cronista, deve tuttavia esigersi dal direttore un’attività di controllo dell’operato di questi e quindi, ad esempio, di verifica del fatto che il giornalista abbia correttamente fatto uso delle proprie fonti e le abbia verificate (a prescindere dal merito di cui invece risponde il cronista, se non in presenza di evidenti omissioni).

Ebbene nel caso di specie, rispettato il limite della continenza e della rilevanza sociale della notizia, va ritenuto che la parziale incoerenza tra la scheda comunicativa citata (documento a disposizione del cronista) ed il contenuto dell’articolo, il mancato riscontro delle generiche informazioni ricevute dalla ignota fonte del giornalista, le affermazioni, non riscontrate, mosse dal giornalista circa l’influenza esercitata dalla dott.ssa (…) nelle nomine in seno al (…), infine i riferimenti, non riscontrati, in ordine alle difficoltà allegate nella ricostruzione del precorso personale e professionale della dott.ssa (…), vi siano sufficienti elementi per presumere che il direttore abbia nei fatti omesso la verifica in ordine alla attività di scrupolosa ricerca da parte del cornista;

né, invero, il direttore convenuto ha dedotto prove idonee a superare tale presunzione, ad esempio dimostrando di aver diligentemente agito, in ipotesi anche ricevendo sufficienti e circostanziate rassicurazioni dal proprio giornalista (senza che al direttore possa essere richiesto di ripercorrere tutte le fasi di ricerca svolte dal giornalista).

Vi sono dunque i presupposti per la condanna dell’allora direttore del giornale dott. Ma.Ca. al risarcimento del danno in favore della dott.ssa (…), ex art. 2043, 2059 c.c. ed ex art. 57, 185 cp, in solido con il giornalista e It. S.p.A. senza che osti alla responsabilità solidale dei convenuti.

Il diverso elemento soggettivo sotteso (ex multis Cass. sent. n. 25157/2008).

Parte attrice ha poi dedotto domanda di condanna delle parti in solido alla riparazione pecuniaria ex art. 12 legge n. 47/1948;

Va in primo luogo esclusa la condanna della It. S.p.A. e del direttore dott. Calabresi atteso che “la sanzione pecuniaria, prevista dall’art. 12 della L. n. 47 del 1948 nell’ipotesi di diffamazione commessa col mezzo della stampa, si aggiunge senza sostituirsi al risarcimento del danno causato dall’illecito diffamatorio, e presuppone la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto di diffamazione, sicché non può essere comminata alla società editrice e può esserlo, invece, al direttore responsabile, purché la sua responsabilità sia dichiarata per concorso doloso nel reato di diffamazione e non per omesso controllo colposo della pubblicazione” (Cass.. sent. n. 16054/2015, Cass. Sent. n. 17395/2007, Cass. Sent n. 14485/2000, Cass. Sent. n. 9672/1997), come invece nel caso di specie.

Vi sono invece i presupposti per la condanna del giornalista, ex art. 12 della legge n. 47/1948, accertati i presupposto del reato di diffamazione nei termini sopra indicati, sanzione che, tenuto conto della gravità dell’offesa e la diffusione della stessa si stima equo porre in misura pari ad Euro 3.000.

Da ultimo parte attrice chiede venga ordinata la pubblicazione della sentenza per estratto ai sensi dell’art. 120 cpc; la domanda merita accoglimento se pure nei termini di seguito indicati;

va premesso che la pubblicazione costituisce “una modalità di risarcimento in forma specifica volta ad aggiungersi al risarcimento per equivalente al fine di assicurare, nei casi in cui il giudice la ritenga utile, l’integrale riparazione del danno”, al fine di rimuovere il discredito gettato su un soggetto e di ricostruire la sua immagine pubblica (Cass. sent. n. 1091/2016), ebbene va ritenuto che al fine di assicurare adeguata riparazione del danno nel rispetto dell’equilibrio dei diritti contrapposti, avuto riguardo al tempo trascorso dall’evento ed alla diffusione dello scritto, debba essere ordinata la pubblicazione della sentenza mediante inserzione per estratto (in particolare debba essere ordinata la pubblicazione delle parti di sentenza indicate in neretto) sul quotidiano (…), a pagina 8 del quotidiano, a cura e spese delle parti convenute ex art. 120 c.p.c., entro il termine di 30 giorni dalla pubblicazione della sentenza.

Non può invece accogliersi la richiesta di “rimozione dell’articolo per cui è causa dall’archivio on line de (…) e dal sito (…)”: sul punto si è espressa in modo condivisibile la Corte Europea dei diritti dell’Uomo;

la Corte Edu ha affrontato la questione facendo riferimento agli art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 10 (libertà di espressione) della Cedu, affermando la necessità di effettuare un corretto bilanciamento tra i due diritti: il diritto al rispetto della vita privata, e la libertà di espressione che può essere limitata solo nei casi e nei limiti in cui ciò sia strettamente necessario per garantire la salvaguardia dei diritti dei terzi, tra cui rientra anche quello alla reputazione, violato dalla diffamazione; laddove quindi un articolo sia stato dichiarato diffamatorio da parte dell’autorità giudiziaria, i giudici di Strasburgo ritengono non possa essere negata la possibilità di procedere all’archiviazione on-line di detto contenuto, consentendo invece, ai fini del bilanciamento dei diritti sopra indicati, l’aggiunta alla notizia diffamatoria di un’appendice o di una nota indicizzata nei motori di ricerca, che faccia riferimento alla pronuncia passata in giudicato (Corte Europea Dir. Uomo sent. del 16 luglio sul ricorso n. 33846/07).

Va dunque respinta l’istanza di cancellazione degli articoli dall’archivio on line de la Stampa e dal sito, e va invece disposto che i convenuti, a loro spese e cura, ed a titolo di risarcimento del danno in forma specifica curino l’aggiornamento di tale archivio, associando agli articoli in oggetto una nota indicizzata nei motori di ricerca che faccia espresso riferimento alla pronuncia.

L’esito del giudizio consente la parziale compensazione delle spese di lite, stante il significativo ridimensionamento delle pretese mosse da parte attrice (Cass. sent. n. 342/2016) e la soccombenza in ordine alla domanda di condanna ex art. 12 l. n. 47/1948 nei confronti del dott. Calabresi e della It. spa; le spese di lite debbono poi liquidarsi avuto riguardo ai parametri di cui al dm 8/3/2018 n. 37 ed entrato in vigore il 27/4/2018, visto il disposto di cui all’art. 6 e dunque, tenuto conto del “delle caratteristiche, dell’urgenza e del pregio dell’attività prestata, dell’importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate”, del pregio e dell’urgenza dell’opera, in relazione alle singole fasi dell’attività giudiziale svolta debbono condannarsi i convenuti tra loro in solido alla rifusione di 2/3 delle spese di lite in favore di parte attrice che, in tale quota, si liquidano in Euro 3.504 a titolo di compenso della difesa di parte attrice (euro 280 per la fase di attivazione del procedimento di mediazione, Euro 583 per la fase di studio, Euro 494 per la fase introduttiva, Euro 1.067 per la fase istruttoria ed Euro 1.080 per la fase decisionale, esclusa la maggiorazione ex art. 4 co. 2 in ragione della diminuzione dovuta ex art. 4 co. 4 avuto peraltro riguardo alla contenuta complessità delle difese mosse connessa alla pluralità di controparti) oltre al 15% per spese forfetarie, Iva e CPA ed accessori di legge ed Euro 255 per spese, compensate le spese per la restante parte.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

1. accertata la natura diffamatoria dell’articolo intitolato “la (…) sui migranti Diciamo sfogo a rabbia e paura” sottotitolo “istruzioni agli eletti e nomine: l’irresistibile ascesa di Si.Vi.” a firma del giornalista Ja.Ia. pubblicato il 21/7/2015 su (…) e sul sito web della medesima testata, nonché della replica alla rettifica chiesta, a firma del medesimo giornalista e pubblicata sul quotidiano (…) in data 23/7/2015, per l’effetto

2. condanna il giornalista Ja.Ia. ex art. 595-185 cp, 2043, 2059 cc, It. S.p.A. ex art. 11 legge n. 47/1948 nonché Ma.Ca. ex art. 57-185 cp, 2043, 2059 c.c. tra loro in solido ex art. 2055 c.c. a pagare all’attore Si.Vi. la somma di Euro 10.000 a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali conseguenti alla pubblicazione degli articoli sopra indicati, oltre interessi al tasso legale dalla presente sentenza al saldo;

3. condanna il giornalista Ja.Ia. al pagamento in favore di Si.Vi. di ulteriori Euro 3.000 a titolo di sanzione pecuniaria ex art. 12 legge n. 47/1948;

4. rigetta la domanda di condanna ex art. 12 legge n. 47/1948 dedotta da Si.Vi. nei confronti di It. S.p.A. e Ma.Ca.;

5. ordina ex art. 120 c.p.c. la pubblicazione della presente sentenza mediante inserzione per estratto (parti di sentenza indicate in neretto) sul quotidiano (…), a pagina 8 del quotidiano ed a cura e spese delle parti convenute entro il termine di 30 giorni dalla pubblicazione della sentenza;

6. rigetta la domanda di risarcimento del danno in forma specifica a mezzo rimozione degli articoli dall’archivio on line de (…) e dal sito (…), disponendo invece che i convenuti Ja.Ia., It. S.p.A. e Ma.Ca., a loro spese e cura, a titolo di risarcimento del danno in forma specifica, curino l’aggiornamento di tale archivio, associando agli articoli di cui al precedente punto 1) nota indicizzata nei motori di ricerca che faccia espresso riferimento alla presente pronuncia;

7. condanna i convenuti Ja.Ia., la It. S.p.A. e Ma.Ca. tra loro in solido alla refusione di due terzi delle spese di lite in favore di Si.Vi. che in tale quota si liquidano in Euro 3.504 a titolo di compenso della difesa di parte attrice, oltre al 15% per spese forfetarie, Iva e CPA ed accessori di legge ed Euro 255 per spese, compensate le spese per la restante parte.

Così deciso in Cremona il 4 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.