In tema di diffamazione a mezzo della stampa, l’offesa della reputazione, necessaria ad integrare l’illecito, presuppone l’attitudine della comunicazione a rendere individuabile il diffamato sulla base di elementi che, sebbene non univoci, siano oggettivamente tali da far convergere il fatto offensivo su un determinato soggetto (v. Cass. 10/10/2014, n. 21424, secondo cui l’indicazione del solo cognome, se talvolta permette di identificare una determinata persona (come nel caso di un politico che rivesta un importante incarico pubblico, di un campione sportivo o di una “star” del cinema), non e’, di norma, sufficiente ove non sia munita di immediata attitudine individualizzante).

 

La pronuncia in oggetto affronta il tema della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’onore e della reputazione, tema che può essere approfondito leggendo il seguente articolo: Diffamazione a mezzo stampa, profili risarcitori di natura civilistica.

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 26 settembre 2018, n. 22791

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 2630/2015 R.G. proposto da:

(OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso il suo studio in (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), e (OMISSIS) S.r.l., rappresentati e difesi dall’Avv. (OMISSIS), con domicilio eletto presso il suo studio in (OMISSIS);

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 706/15, depositata il 23 settembre 2015;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 aprile 2018 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Mistri Corrado, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) conveniva davanti al Tribunale di Roma, tra gli altri, il giornalista (OMISSIS) e la societa’ (OMISSIS) S.r.l. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della pubblicazione sul quotidiano “(OMISSIS)”, in data (OMISSIS), di un articolo, intitolato “(OMISSIS)”, in cui, in un elenco di soggetti condannati con sentenza definitiva per reati su minori, figurava, come primo della lista, il proprio nome e cognome. Nel corpo dell’articolo si affermava testualmente: ” (OMISSIS), condannato ad un anno e otto mesi di reclusione dalla Corte d’appello di Roma perche’ il (OMISSIS) ha toccato ripetutamente nelle parti intime una bambina non ancora quattordicenne”.

L’attore si doleva della falsita’ della notizia, sostenendo di non avere mai riportato condanne per reati a danno di minori e di essere vittima di un caso di omonimia nella capitale dove risiedeva.

I convenuti eccepivano, tra l’altro, il legittimo esercizio del diritto di cronaca.

Con sentenza del 5/10/2009 il Tribunale di Roma, ritenuta la natura diffamatoria dell’articolo, accoglieva la domanda nei soli confronti del (OMISSIS) e lo condannava al pagamento della somma di Euro 35.000, oltre interessi e spese processuali.

2. Con sentenza depositata in data 10/6/2014 la Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello proposto tra gli altri da (OMISSIS) S.r.l. e da (OMISSIS) e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, ha rigettato la domanda dell’ (OMISSIS).

Hanno infatti ritenuto i giudici d’appello che “nella fattispecie, in presenza di una obiettiva incertezza identificativa e, comunque, (in mancanza, n.d.r.) di esatta riconoscibilita’ della parte lesa della diffamazione, difetti del tutto la prova del dolo richiesta per tale illecito”, posto che, in particolare, “l’incompleta indicazione dei dati anagrafici di (OMISSIS)… potrebbe al piu’ costituire un errore colposo… ma certo non integra i presupposti dell’intento lesivo e denigratorio riferibile al giornalista, ai fini dell’esistenza dell’elemento psicologico del reato di diffamazione a mezzo stampa (delitto, questo, doloso e non colposo)”.

Hanno inoltre soggiunto che “al di la’ della mera omonimia, nessun ulteriore accostamento ad personam era contenuto nella pubblicazione giornalistica (ad esempio fotografia, abitazione, data di nascita coincidenti, etc.) per cui fosse possibile, anche solo astrattamente, ai fini della riconoscibilita’, avvicinare l’attore (OMISSIS), nato nel (OMISSIS), al soggetto, con il suo stesso nome e cognome, nato nel (OMISSIS), effettivamente condannato per pedofilia”.

I giudici d’appello hanno infine rigettato la domanda degli appellanti di restituzione delle somme asseritamente corrisposte a controparte nelle more del giudizio in esecuzione della sentenza di primo grado, per non essere stato, tale pagamento, documentato.

3. Avverso tale decisione (OMISSIS) propone ricorso sulla base di due motivi, cui resistono (OMISSIS) S.r.l. e (OMISSIS), depositando controricorso e a loro volta proponendo ricorso incidentale con unico mezzo.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale (OMISSIS) denuncia violazione o falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c. e dell’articolo 595 c.p., per avere la Corte d’appello ritenuto che per l’accertamento e la declaratoria della responsabilita’ civile costituisse requisito necessario l’accertamento della sussistenza del reato di diffamazione e, dunque, del dolo.

Sostiene che, indipendentemente dalla configurabilita’ di un vero e proprio reato, la diffamazione a mezzo stampa puo’ determinare un danno ingiusto ex articolo 2043 c.c., ancorche’ soggettivamente connotata da mera colpa, e cio’ in tutti quei casi in cui l’offesa alla reputazione non e’ voluta dal diffamatore ma e’ conseguenza della sua leggerezza o superficialita’ nell’uso di espressioni lesive dell’onore altrui. Rileva che, nel caso di specie, la sentenza riconosce l’esistenza di un profilo di colpa, per essersi il giornalista determinato a pubblicare il nome e il cognome dei soggetti che avevano riportato la condanne penali senza indicare il luogo di nascita e, pertanto, assumendo il rischio e la possibilita’ del danno arrecato ai terzi omonimi.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione delle norme sopra citate per avere la Corte d’appello “escluso la configurabilita’ del reato di diffamazione per difetto dell’elemento soggettivo di dolo, ritenuto condizione essenziale per l’accertamento e la declaratoria della responsabilita’ civile da illecito e per la conseguente condanna al risarcimento del danno”.

Premesso che, per la configurabilita’ del reato di diffamazione a mezzo stampa, e’ richiesto il dolo generico (ad integrare il quale “e’ sufficiente la volontaria realizzazione della condotta da parte di un soggetto che si sia reso conto della capacita’ offensiva delle parole pronunciate o scritte oppure degli atti compiuti”) ovvero anche il dolo eventuale (laddove l’autore della condotta accetti il rischio dell’offesa) – cio’ premesso, sostiene il ricorrente che la sentenza e’ incorsa in error iuris laddove ha affermato che, in presenza di una obiettiva incertezza identificativa del soggetto leso, non potrebbe ritenersi raggiunta la prova di tale coefficiente psicologico, essendo al contrario sufficiente che il giornalista abbia accettato il rischio che, in difetto di una puntuale identificazione del soggetto cui i fatti diffamatori venivano attribuiti, nell’ambito di una vasta platea di possibili omonimi, tali fatti potessero essere riferiti e ledere anche soggetti diversi.

Il ricorrente lamenta inoltre la mancata valutazione della sentenza penale di condanna resa, in relazione al medesimo fatto, con riferimento ad altri danneggiati rilevando che, pur negandosi ad esse autorita’ di giudicato del presente giudizio, le stesse potevano tuttavia costituire oggetto di valutazione alla stregua di ogni altro possibile elemento probatorio.

3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale (OMISSIS) S.r.l. e (OMISSIS) denunciano, con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 115, 167 e 347 c.p.c., in relazione al rigetto della domanda di ripetizione delle somme versate a favore dell’attore in esecuzione della sentenza di primo grado.

Rilevano i ricorrenti incidentali che tale pagamento, espressamente dedotto nelle conclusioni dell’atto di citazione in appello, non era stato specificamente contestato dall’appellato e che, pertanto, la Corte d’appello, ritenendo necessaria la prova del pagamento, ha violato il principio di non contestazione.

4. E’ fondata l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso in quanto proposto nei confronti di (OMISSIS) S.r.l..

Riferisce lo stesso ricorrente che di quest’ultima la sentenza di primo grado aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva (recte: della titolarita’ del rapporto dedotto dal lato passivo) non essendo stata dimostrata la qualita’ di editore all’epoca della pubblicazione dell’articolo.

Tale statuizione non risulta impugnata con appello incidentale. La Corte d’appello neppure esamina la questione, ma si limita a motivare sul merito della controversia dichiarando insussistente l’illecito diffamatorio. Cio’ fa in accoglimento dell’appello congiuntamente proposto anche da (OMISSIS) S.r.l., senza dunque rilevare che, sul punto, questa era priva di interesse; tale omissione resta pero’ priva di conseguenze processuali per quel che attiene alla posizione di detta parte, stante la statuizione di mero rigetto della domanda dell’ (OMISSIS) anche in quanto proposta nei confronti del giornalista (OMISSIS), “in parziale riforma della sentenza di primo grado”.

5. Cio’ precisato, deve comunque rilevarsi l’inammissibilita’ di entrambi i motivi del ricorso principale, congiuntamente esaminabili per la loro intima connessione.

Essi infatti investono solo una delle due autonome rationes decidendi poste a fondamento della decisione impugnata (quella inerente alla ritenuta mancanza dell’elemento soggettivo del dolo e alla pure ritenuta sua necessita’, anche ai fini della configurabilita’ di una responsabilita’ civile da diffamazione).

Non l’altra, che attiene invece all’elemento oggettivo del fatto illecito denunciato, negando la potenzialita’ offensiva dell’articolo, in ragione dell’assenza, “al di la’ della mera omonimia” di alcun altro elemento che rendesse “possibile, anche solo astrattamente”, identificare nell’attore il soggetto di cui e’ riferita nell’articolo la condanna per il reato di pedofilia.

Valutazione questa prettamente di merito, non fatta segno come tale di pertinenti censure e in se’ peraltro coerente con il principio, costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, in tema di diffamazione a mezzo della stampa, l’offesa della reputazione, necessaria ad integrare l’illecito, presuppone l’attitudine della comunicazione a rendere individuabile il diffamato sulla base di elementi che, sebbene non univoci, siano oggettivamente tali da far convergere il fatto offensivo su un determinato soggetto (v. Cass. 10/10/2014, n. 21424, secondo cui l’indicazione del solo cognome, se talvolta permette di identificare una determinata persona (come nel caso di un politico che rivesta un importante incarico pubblico, di un campione sportivo o di una “star” del cinema), non e’, di norma, sufficiente ove non sia munita di immediata attitudine individualizzante).

E’ stato al riguardo infatti condivisibilmente osservato che l’offesa dell’altrui reputazione necessaria ad integrare l’illecito diffamatorio presuppone necessariamente l’attitudine della comunicazione a rendere individuabile il soggetto diffamato, sulla base di elementi che, ancorche’ non univoci, siano oggettivamente tali da far convergere l’offesa o il fatto offensivo su un determinato soggetto; va escluso, pertanto, che il mero fatto che alcuni conoscenti dell’odierno ricorrente abbiano potuto ipotizzare che fosse proprio lui il soggetto condannato possa valere ad attribuire alla notizia quell’efficacia individualizzante di cui era, di per se’, oggettivamente priva (Cass. n. 21424 del 2014, cit.).

6. L’unico motivo di ricorso incidentale deve a sua volta considerarsi inammissibile per aspecificita’.

Il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve indicare specificamente sia l’atto e i termini nei quali la circostanza e’ allegata, sia il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericita’ o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto (cfr. Cass. 22/05/2017, n. 12840).

La non contestazione richiede, in altre parole, una allegazione puntuale e tale non era certamente la domanda restitutoria formulata nell’atto di appello principale che neppure indicava gli importi versati (v. ricorso incidentale, pag. 12). Neppure viene precisata la parte che avrebbe effettuato il pagamento: precisazione tanto piu’ necessaria ove si consideri che tra gli appellanti, che nelle conclusioni del comune atto di gravame chiedevano nei detti termini la restituzione delle somme asseritamente corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, figurava anche (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, che non e’ parte del presente giudizio di legittimita’.

7. Entrambi i ricorsi devono essere pertanto dichiarati inammissibili. In ragione della reciproca soccombenza le spese vanno interamente compensate.

Ricorrono le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

dichiara inammissibili il ricorso principale e quello incidentale. Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.