il criterio dell’estrazione a sorte previsto, nel caso di uguaglianza di quote, dall’articolo 729 c.c., a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali contro ogni possibile favoritismo, non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, e, pertanto, e’ derogabile in base a valutazioni discrezionali, che possono attenere non soltanto a ragioni oggettive, legate alla condizione funzionale ed economica dei beni, ma anche a fattori soggettivi di apprezzabile e comprovata opportunita’, la cui valutazione non e’ sindacabile in sede di legittimita’, se non sotto il profilo del difetto di motivazione, non solo ove il giudice di merito abbia ritenuto di derogare al criterio suddetto, ma anche se abbia scelto di respingere la richiesta di deroga avanzata dalla parte.

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Corte di Cassazione, Sezione 6 2 civile Ordinanza 5 giugno 2018, n. 14408

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26477-2016 proposto da:

(OMISSIS), domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1976/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 30/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/05/2018 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

(OMISSIS) conveniva in giudizio il germano (OMISSIS) al fine di procedere allo scioglimento della comunione ereditaria scaturente dalla morte del padre (OMISSIS) e poi della madre (OMISSIS), con la condanna del convenuto alla resa dei conti dei frutti ricavati dalla gestione esclusiva dei beni relitti.

Il convenuto si costituiva e non contestando la domanda di divisione, eccepiva di avere usucapito la proprieta’ dell’appartamento sito al terzo piano in quanto costruito nel 1974, allorquando la de cuius era ancora in vita, a propria cura e spese, utilizzandolo poi in maniera esclusiva.

Chiedeva altresi’ il rimborso delle spese di manutenzione sostenute per i beni comuni, spese che andavano poste in compensazione con la quota di frutti dovuta all’attrice.

Inoltre, chiedeva il pagamento di un compenso per l’attivita’ di amministrazione dei beni relitti ed il rimborso delle somme che aveva chiesto a mutuo al fine di fare fronte alle spese derivanti dalla gestione dei beni.

Disposta CTU, il Tribunale di Venezia con la sentenza n. 1174/2014, approvava il progetto di divisione n. 1 redatto dal CTU e per l’effetto assegnava all’attrice il (OMISSIS) (comprensivo del locale commerciale al piano terra ed i garages) ed al convenuto il (OMISSIS) (comprensivo dei tre appartamenti posti ai piani superiori), disponendo un conguaglio in favore dell’attrice.

Riconosceva poi in parte il diritto al rimborso in favore del convenuto, rigettando la domanda di usucapione, quella di un compenso per l’attivita’ di amministrazione e quella di rimborso degli interessi sulle somme asseritamente prese a mutuo.

La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 1976 del 30/8/2016 rigettava l’appello.

Quanto alla domanda di usucapione, rilevava che l’utilizzo esclusivo del bene ereditario non era sufficiente a fondare l’acquisto in questione, cosi’ come non era decisiva la circostanza che ad occuparsi del bene fosse stato l’appellante, il quale aveva peraltro agito avvalendosi di una procura, poi revocata, della sorella.

Quanto al rigetto della domanda di rimborso delle spese necessarie per l’edificazione, peraltro accolta in misura inferiore rispetto alle richieste del convenuto, la sentenza rilevava che la costruzione era avvenuta allorquando era ancora in vita la de cuius, sicche’ poteva presumersi che i costi sostenuti dal figlio fossero stati rimborsati dalla madre, occorrendo quindi fornire la puntuale prova che alla fine tutte le somme fossero state effettivamente spese dall’appellante senza alcun rimborso.

In merito alle altre spese di manutenzione, la sentenza osservava che occorreva la prova che effettivamente i costi fossero stato sostenuti dal convenuto, mancando la relativa dimostrazione.

In ordine all’assegnazione dei lotti, se e’ vero che nella motivazione si faceva cenno anche all’estrazione a sorte, e’ altrettanto vero che trattavasi di un semplice refuso, posto che in altra parte della motivazione, e coerentemente con il dispositivo, si ribadiva che nel caso di specie si intendeva derogare al criterio del sorteggio per l’assegnazione dei lotti, attesa la specifica preferenza per il lotto A espressa dall’attrice, in assenza di una contraria volonta’ del fratello.

In merito ai frutti, i giudici di appello evidenziavano che l’indagine del consulente d’ufficio, alla quale si era rifatto il giudice di primo grado, era esaustiva e fondata sui valori di mercato, avendo anche fornito risposta alle osservazioni del perito di parte.

Le critiche mosse dall’appellante, oltre che pretestuose, apparivano tardive, in quanto anche in sede di conclusioni si era limitato a chiedere un’integrazione dell’indagine.

(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza sulla base di cinque motivi.

(OMISSIS) ha resistito con controricorso.

Il primo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 714, 1158 e 2697 c.c., in relazione al rigetto della domanda riconvenzionale di usucapione.

Si richiama la giurisprudenza di questa Corte che ammette che anche un coerede possa usucapire un bene in comunione, senza la necessita’ di dover effettuare un’interversio possessionis, e si sostiene che non vi sarebbe stata un’adeguata valutazione delle risultanze istruttorie da parte dei giudici di appello. Inoltre alcuna rilevanza potrebbe avere il pagamento dell’ICI da parte dell’attrice, trattandosi di un adempimento fiscale inidoneo a configurarsi come atto interruttivo della prescrizione.

Il motivo e’ inammissibile.

La Corte di merito ha fatto corretta applicazione, nel disattendere la domanda riconvenzionale di usucapione, dei principi costantemente affermati da questa Corte in tema di usucapione dei beni in comunione da parte di un singolo comunista che sia nel godimento esclusivo del bene (cfr. Cass. n. 12775/2008 nonche’ Cass. n. 17512/2016).

La decisione di merito, lungi dall’invertire l’onere della prova, ha invece rilevato come anche l’astensione del comunista dal godimento del bene non sia atteggiamento sufficiente a consentire l’usucapione da parte dell’altro comproprietario che goda dell’intero bene comune, essendo, infatti, necessaria una manifestazione di volonta’ idonea a denotare l’estensione del possesso in termini di esclusivita’.

Il mancato riscontro di tale situazione costituisce accertamento in fatto esclusivamente riservato al giudice di merito, non potendo la conclusione raggiunta essere contrastata dal solo fatto che l’occupante abbia sostenuto delle spese per la manutenzione o la costruzione del bene, essendosi altresi’ evidenziato in senso contrario a quanto dedotto dal ricorrente che tale attivita’ si era svolta allorquando era ancora in vita la de cuius, e che anche gli adempimenti amministrativi erano stati effettuati avvalendosi di una procura rilasciata dalla sorella.

Il richiamo ad adempimenti di carattere fiscale posti in essere dall’attrice, di cui si da’ atto in sentenza, mira solo ad avallare il convincimento che il godimento del bene sia avvenuto in termini di non esclusivita’ da parte di (OMISSIS), ma anche in assenza di tali atti, in ogni caso sarebbe stato onere della parte che intende usucapire dimostrare che il possesso aveva le suddette caratteristiche, prova che non risulta che il ricorrente abbia fornito, come appunto confermato anche dal tenore dei capi di prova testimoniale riportati in ricorso, che non attestano anche un godimento del bene con caratteristiche idonee a denotare la volonta’ di escludere un concorrente diritto della sorella.

Ne deriva che, una volta esclusa la ricorrenza di una violazione o falsa applicazione delle norme in tema di usucapione di beni comuni, la censura si risolve in una non consentita contestazione degli accertamenti in fatto operati dal giudice di merito anche alla luce di quanto previsto dall’articolo 348 ter c.p.c., che per l’ipotesi di una cd. doppia conforme, come appunto nel caso di specie, in cui la sentenza di appello ha confermato quella di primo grado avvalendosi delle stesse ragioni poste a fondamento di quest’ultima, non consente la ricorribilita’ in cassazione per il motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il secondo motivo denunzia la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e articolo 2697 c.c., in ordine al mancato riconoscimento dell’intero importo richiesto a titolo di rimborso del 50 % delle somme spese per l’edificazione dell’appartamento al terzo piano.

Si lamenta che la valutazione della prova operata dalla Corte d’Appello sarebbe priva di adeguata motivazione, trascurandosi quanto emergeva dalla sentenza penale che aveva visto imputato il solo ricorrente per l’attivita’ di edificazione abusiva.

In tal senso, e cio’ rileva anche in relazione ai successivi motivi, si osserva che il motivo nella sostanza non contiene alcuna denuncia del paradigma dell’articolo 2697 c.c. e di quello dell’articolo 115 c.p.c., bensi’ lamenta soltanto l’erronea valutazione di risultanze probatorie.

La violazione dell’articolo 2697 c.c., si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioe’ attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115, e’ necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioe’ abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioe’ dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioe’ giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si puo’ ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ consentita dal paradigma dell’articolo 116 c.p.c., che non a caso e’ rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).

La formulazione della censura tradisce in maniera palese come il suo reale scopo sia quello di contestare il non sindacabile apprezzamento delle risultanze istruttorie, omettendo altresi’ di considerare la preclusione alla deducibilita’ del motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, alla luce della previsione di cui all’articolo 348 ter c.p.c., vizio nel quale al piu’ potrebbero ascriversi le doglianze in esame.

Il terzo motivo denunzia del pari la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. e articolo 2697 c.c., in ordine al mancato riconoscimento delle somme che assume avere speso per la manutenzione degli immobili.

Il motivo risulta pero’ carente del requisito della specificita’ di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Ed, infatti, a fronte dell’affermazione dei giudici di appello, secondo cui sarebbe stato specifico onere del ricorrente dimostrare che era stato lui a sostenere i costi per la ristrutturazione, non potendo tale prova essere supplita dalla perizia di parte, in ricorso si deduce che la prova de qua non era necessaria, posto che la stessa attrice non aveva contestato la circostanza che fosse stato il ricorrente a sostenere i costi per gli interventi de quibus.

Tuttavia, al fine di assicurare il rispetto della predetta previsione, avrebbe dovuto esattamente indicare in quale atto processuale della controparte, riportandone il contenuto essenziale, sia possibile individuare la non contestazione in merito’ alla circostanza dell’avvenuta esecuzione degli interventi di manutenzione a spese esclusive del ricorrente, essendosi per converso limitato a richiamare il contenuto del proprio atto di appello, nel quale si sosteneva che vi fosse stato il riconoscimento da parte della sorella.

Una volta quindi esclusa l’adeguata allegazione e dimostrazione di una situazione tale da determinare la non contestazione ex articolo 115 c.p.c., le restanti doglianze del ricorrente si risolvono anche in tal caso in un’indebita sollecitazione ad una rivalutazione delle istanze istruttorie ed ad una critica all’apprezzamento in fatto cosi’ come operato dai giudici di merito.

Il quarto motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 729 c.c., quanto alla deroga al criterio del sorteggio in merito all’assegnazione dei lotti.

Anche tale motivo e’ inammissibile.

I giudici di appello hanno argomentatamente spiegato le ragioni per le quali il richiamo al criterio del sorteggio, pur presente nella motivazione della sentenza del Tribunale era frutto di un mero refuso, posto che nella successiva esposizione il giudice di primo grado aveva specificato le ragioni per le quali in realta’ si doveva derogare alla regola del sorteggio, fornendo quindi una motivazione coerente con il successivo dispositivo, nel quale si procedeva alla diretta assegnazione dei lotti ai condividenti.

Quanto, invece, proprio alla correttezza della decisione di derogare al criterio di cui all’articolo 729 c.c., vale ricordare che secondo la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4426/2017) il criterio dell’estrazione a sorte previsto, nel caso di uguaglianza di quote, dall’articolo 729 c.c., a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali contro ogni possibile favoritismo, non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, e, pertanto, e’ derogabile in base a valutazioni discrezionali, che possono attenere non soltanto a ragioni oggettive, legate alla condizione funzionale ed economica dei beni, ma anche a fattori soggettivi di apprezzabile e comprovata opportunita’, la cui valutazione non e’ sindacabile in sede di legittimita’, se non sotto il profilo del difetto di motivazione, non solo ove il giudice di merito abbia ritenuto di derogare al criterio suddetto, ma anche se abbia scelto di respingere la richiesta di deroga avanzata dalla parte (conf. Cass. n. 3461/2013).

Nel caso di specie i giudici di appello hanno ritenuto di condividere gli argomenti spesi dal Tribunale per giustificare la deroga alla norma in esame, facendo leva sulla richiesta preferenziale avanzata dalla attrice, e sull’assenza di una contrastante richiesta del convenuto.

Trattasi di motivazione che appare del tutto coerente e che comunque non e’ suscettibile di censura, essendo preclusa la deducibilita’ del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, non senza doversi in ogni caso rilevare che effettivamente non risulta comprovata in primo grado la proposizione di una contrapposta richiesta di attribuzione dei beni di cui al lotto A da parte del ricorrente, in quanto anche le deduzioni del proprio CTP, come riportate in ricorso, depongono piu’ che per una richiesta di attribuzione in esclusiva, per un interesse a mantenere in comunione il bene ad uso commerciale, onde poter continuare ad incassare la propria quota di canone.

Quanto invece alla dedotta violazione dell’articolo 729 c.c., il motivo appare inammissibile ex articolo 360 bis c.p.c., n. 1, atteso che, pur a fronte di un consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce la possibilita’ di deroga, seppur motivata alla regola del sorteggio, censura la sentenza gravata, che pur ha deciso in conformita’ del detto orientamento, senza pero’ addurre elementi per indurre a mutare l’orientamento di cui e’ espressione (cfr. Cass. S.U. n. 7155/2017).

Infine il quinto motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 820 c.c. e articolo 329 c.p.c., in ordine alla eccessiva quantificazione dell’indennita’ di occupazione dei beni comuni dovuta da parte del ricorrente, nonche’ la mancata rinnovazione della CTU.

Il motivo si configura in maniera evidente come una censura di merito inammissibile in sede di legittimita’.

Il giudice di appello, a prescindere dal riferimento alla dedotta tardivita’ della critica alle risultanze della CTU, ha in ogni caso ritenuto che le stesse fossero pretestuose, ravvisando ancor prima la condivisone dei criteri di stima di cui si era avvalso l’ausiliario di ufficio, che aveva svolto ogni opportuna indagine, verificando i valori di mercato.

Il motivo in disparte l’evidente carenza del requisito di specificita’ di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui omette di riprodurre sia il contenuto della CTU sia delle osservazioni che si sostiene essere state mosse gia’ con gli scritti conclusionali in primo grado, mira nella sostanza a contestare l’apprezzamento in fatto operato dai giudici di merito circa la correttezza ed esaustivita’ degli accertamenti peritali, e cio’, oltre che in violazione dei tradizionali limiti del sindacato del giudice di legittimita’, anche della inammissibilita’ della deduzione nel presente giudizio del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto l’articolo 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 11.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 1 bis, stesso articolo 13.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.