In tema di divisione giudiziale immobiliare, il debito da conguaglio che grava sul condividente assegnatario di un immobile non facilmente divisibile ha natura di debito di valore, da rivalutarsi, anche d’ufficio, se e nei limiti in cui l’eventuale svalutazione si sia tradotta in una lievitazione del prezzo di mercato del bene tale da comportare una chiara sproporzione nel valore delle quote di cui sono titolari i condividenti; l’esistenza di poteri officiosi del giudice, peraltro, non esclude che la parte sia comunque tenuta ad allegare l’avvenuta verificazione di tale evento, posto che la rivalutazione non puo’ avvenire tramite criteri automatici.

 

Corte di Cassazione, Sezione 6 2 civile Ordinanza 21 giugno 2018, n. 16383

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20242-2016 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) in virtu’ di procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 831/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 28/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/03/2018 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

(OMISSIS) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Pesaro le sorelle Loredana e Serena, affinche’ fosse pronunciato lo scioglimento della comunione esistente sull’immobile sito in (OMISSIS), appartenente in comunione e per quote eguali alle condividenti.

Si costituivano le convenute che non si opponevano alla domanda di divisione, ma chiedevano, previo accorpamento delle loro quote, che l’intero immobile fosse loro assegnato, previa determinazione del conguaglio da versare all’attrice.

Il Tribunale all’esito dell’istruttoria, con la sentenza del 27/9/2007, dichiarava lo scioglimento della comunione, e dichiarato il bene non comodamente divisibile, lo attribuiva alle convenute, che erano condannate al versamento del conguaglio in favore dell’attrice determinato in Euro 129.144,22. La Corte d’Appello di Ancona con la sentenza n. 831 del 28 luglio 2015 rigettava l’appello proposto dall’originaria parte attrice rilevando che, una volta esclusa la possibilita’ di poter addivenire ad una comoda divisione in natura mediante la formazione di tre quote di identico valore, non poteva nemmeno accedersi alla diversa soluzione di redigere un progetto di divisione con la formazione di due quote, di cui una del valore di 1/3 e l’altra del valore di 2/3 atteso che le convenute avevano si’ chiesto di accorpare le loro quote, ma solo ai fini di essere preferite in vista dell’attribuzione del bene ex articolo 720 c.c., in caso di non comoda divisibilita’, non avendo mai chiesto di accorpare le loro quote anche ai fini della formazione di un progetto di divisione in natura.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), sulla base di due motivi. (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

Il primo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione degli articoli 720, 726, 727 e 728 c.c., nella parte in cui la Corte d’Appello non ha provveduto ad adeguare il valore del bene ai fini della determinazione del conguaglio.

Dopo aver ricordato che l’obbligo de quo costituisce pacificamente un’obbligazione di valore, che deve essere adeguato al mutamento di valore del bene anche d’ufficio, evidenzia che in sede di conclusioni le appellate avevano espressamente chiesto procedersi ad un aggiornamento della stima dell’immobile in considerazione del notevole lasso di tempo trascorso tra la data della CTU (2002) e quella della riserva in decisione in appello (2015), anche alla luce del notorio crollo del mercato immobiliare che si era manifestato come particolarmente significativo proprio nel settore delle abitazioni ad uso turistico, quale era appunto quella oggetto di causa.

Il secondo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione degli articoli 99 e 112 c.p.c., in quanto il giudice di appello non si sarebbe pronunciato su tutte le domande proposte ed in particolare sulla richiesta delle convenute di provvedere all’aggiornamento della stima del bene, anche mediante il rinnovo della CTU.

I due motivi che possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati e vanno accolti.

Ed, invero una volta ribadita la pacifica riconducibilita’ dell’obbligazione di conguaglio tra le obbligazioni di valore (cfr. Cass. n. 5606/2001), il cui adeguamento all’effettivo valore di mercato del bene deve essere assicurato d’ufficio dal giudice, deve ritenersi che il totale silenzio serbato dal giudice di appello sulla richiesta formulata dalle appellate in sede di conclusioni, violi i principi costantemente affermati in materia da questa Corte.

La circostanza che l’adeguamento dell’importo del conguaglio al valore di mercato del bene debba operare anche d’ufficio consente in primo luogo di escludere che la doglianza sia preclusa dalla mancata proposizione di uno specifico motivo di gravame incidentale da parte delle odierne ricorrenti, e cio’ anche alla luce del fatto che essendo il rilevante mutamento di valore un evento che e’ suscettibile di verificarsi anche nel corso del giudizio di appello (e del quale come detto occorre tenere conto ex officio), non necessariamente l’inadeguatezza della misura del conguaglio puo’ presentarsi al momento della scadenza del termine per le proposizione del gravame (nel caso di specie incidentale) ben potendo manifestarsi nel corso del giudizio, ed anche a causa del suo protrarsi nel tempo, giustificando in tal modo la sollecitazione in un momento successivo al giudice in ordine all’esercizio del suo potere dovere officioso di assicurare il detto adeguamento.

In tal senso le ricorrenti in sede di conclusioni, come si ricava dalla trascrizione delle stesse cosi’ come rese all’udienza del 28/10/2014, avevano chiesto disporsi una nuova CTU al fine di determinare l’effettivo ed attuale valore dell’immobile, considerato il notorio deprezzamento del mercato sopravvenuto dall’inizio del contenzioso, e comunque dalla emanazione della sentenza che aveva definito il giudizio in primo grado.

Ritiene il Collegio che alla fattispecie appaia applicabile quanto statuito da questa Corte nella sentenza n. 10624/2010, la cui massima recita: “In tema di divisione giudiziale immobiliare, il debito da conguaglio che grava sul condividente assegnatario di un immobile non facilmente divisibile ha natura di debito di valore, da rivalutarsi, anche d’ufficio, se e nei limiti in cui l’eventuale svalutazione si sia tradotta in una lievitazione del prezzo di mercato del bene tale da comportare una chiara sproporzione nel valore delle quote di cui sono titolari i condividenti; l’esistenza di poteri officiosi del giudice, peraltro, non esclude che la parte sia comunque tenuta ad allegare l’avvenuta verificazione di tale evento, posto che la rivalutazione non puo’ avvenire tramite criteri automatici”.

Tali principi hanno poi ricevuto conferma anche nella successiva giurisprudenza di questa Corte, essendosi a tal fine sostenuto che (cfr. Cass. n. 15288/2014, richiamata anche dalla difesa delle ricorrenti) in tema di divisione ereditaria, la determinazione del conguaglio in denaro, ai sensi dell’articolo 728 c.c., prescinde dalla domanda di parte, concernendo l’attuazione del progetto divisionale, che appartiene alla competenza del giudice. Ne consegue che il giudice deve procedere d’ufficio alla rivalutazione del conguaglio, qualora vi sia stata un’apprezzabile lievitazione del prezzo di mercato del bene, tale da alterare la funzione di riequilibrio propria del conguaglio, spettando alla parte un mero onere di allegazione, finalizzato a sollecitare l’esercizio del potere officioso del giudice.

Avuto riguardo alle motivazioni di tale ultimo precedente, da un lato si conferma che la necessita’ di assicurare la rivalutazione del bene prescinde dalla proposizione di uno specifico motivo di gravame, costituendo la richiesta de qua non una domanda in senso proprio (o meglio la conseguenza della proposizione di uno specifico motivo di gravame) quanto la sollecitazione dell’esercizio di un potere ufficioso del giudice, e dall’altro che non e’ necessario documentare in dettaglio se ed in che termini si sia verificato un disallineamento tra il reale valore di mercato e la stima posta alla base della decisione sulla domanda di divisione, essendo invece sufficiente allegare le circostanze che avrebbero portato a tale situazione (nel caso deciso da Cass. n. 15288/2014 si indicava come elemento confortante la richiesta di rinnovo delle operazioni di stima, la crisi verificatasi a seguito dell’attacco terroristico alle cc.dd. Torri gemelle del 2001).

Inoltre il principio secondo cui la necessita’ di rivalutazione prescinde dalla avvenuta proposizione di un motivo di gravame, essendo ricollegata all’esigenza di assicurare un costante adeguamento del valore del bene comune alle vicende del processo di divisione, esclude altresi’ che possa affermarsi l’esistenza di un giudicato interno quanto alla stima del bene, e di riflesso del conguaglio, in conseguenza della mancata proposizione di uno specifico motivo di appello incidentale.

Reputa, inoltre, la Corte che nel caso in esame il riferimento alla ormai risalente data di confezione della CTU (2002) ed al fatto che la decisione di primo grado a sua volta risalisse a circa 8 anni prima, unitamente alla menzione della crisi che si era manifestata negli ultimi anni dello scorso decennio, e che aveva in particolare colpito il settore immobiliare, soddisfino il requisito di allegazione posto a carico della parte, imponendo pertanto di assicurare il compimento delle attivita’ processuali necessarie a dar contezza dell’attuale valore di mercato, o quanto meno ad estrinsecare le ragioni in base alle quali la stima posta a fondamento della sentenza appellata dovesse ancora reputarsi attuale.

I motivi devono quindi essere accolti e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

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Avv. Umberto Davide

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