Costituisce, infatti, donazione indiretta la rinunzia alla quota di comproprietà, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comproprietari. In tal caso si è infatti di fronte ad una rinunzia abdicativa alla quota di comproprietà, perché l’acquisto del vantaggio accrescitivo da parte degli altri comunisti si verifica solo in modo indiretto attraverso l’eliminazione dello stato di compressione in cui l’interesse degli altri contitolari si trovava a causa dell’appartenenza del diritto in comunione anche ad un altro soggetto. Per l’effetto non è necessaria la forma dell’atto pubblico, essendo utilizzato per la realizzazione del fine di liberalità un negozio diverso dal contratto di donazione.

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Il testamento olografo, pubblico e segreto.

La donazione art 769 c.c.

La revoca della donazione.

Eredità e successione ereditaria

Tribunale Bergamo, Sezione 4 civile Sentenza 25 gennaio 2019, n. 231

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Bergamo, Sezione Quarta civile, nella persona del Giudice unico dott.ssa Laura Brambilla

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile n. 5927/2014 Ruolo Generale promossa

DA

(…) (C.F. (…)) e (…) (C.F. (…)), entrambi rappresentati e difesi dall’Avv.to FE.SI. e dall’Avv.to AU.AN. per procura in atti

ATTORI

contro

(…) (C.F. (…)) e (…) (C.F. (…)), entrambi rappresentati e difesi dall’Avv.to GH.RI. per procura in atti

CONVENUTI

In punto: altri rapporti condominiali

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato in data 29 aprile 2014 (…) e (…) hanno convenuto in giudizio, avanti l’intestato Tribunale, (…) (in qualità di nudo proprietario) e (…) (in qualità di usufruttuario) al fine di sentirli condannare al ripristino dei beni comuni del condominio minimo di loro proprietà, nonché al risarcimento dei danni patiti.

Gli attori hanno allegato, in particolare, di aver acquistato in data 15 dicembre 2008 dagli eredi legittimi di (…) la piena proprietà della porzione di fabbricato sito in D., Via (…), identificato al NCEU foglio (…), particella (…) sub. (…), nonché la quota di metà del giardino di pertinenza censito al foglio (…), mappali (…) e (…).

Hanno lamentato che i (…), a far tempo dal mese di marzo 2010, hanno violato il loro pacifico godimento sulle parti comuni, ed in specie:

– hanno rimosso l’appezzamento di giardino esistente e realizzato una pavimentazione con una residuale rimanenza di area verde;

– hanno pavimentato le scale comuni conducenti all’altra area comune di cui al mappale (…) ed hanno apposto un cancello in ferro senza fornire loro le relative chiavi;

– hanno rotto il muro perimetrale comune del fabbricato con realizzazione di una porta finestra (in luogo della precedente finestra) ed hanno recintato tale area mediante una ringhiera;

– hanno realizzato ignote opere al di sotto del sedime comune.

A queste doglianze si aggiungano la continua occupazione dell’intero perimetro lungo le mura del fabbricato con accatastamento di legna da ardere e collocazione di oggetti vari, nonché la presenza di un’irregolare canna fumaria collocata in un immobile adiacente di proprietà esclusiva di (…).

Hanno, pertanto, formulato una domanda di condanna della controparte al ripristino delle aree comuni nello stato originario, nonché al risarcimento dei danni patiti quantificati in Euro 25.000,00.

Costituendosi in giudizio (…) e (…) hanno contestato l’avversa ricostruzione fattuale, atteso che – nella loro prospettiva – la scala, il cancellino e l’area di giardino non insistono su fondi comuni, bensì sul fondo identificato al foglio (…), mappale (…) di loro proprietà esclusiva.

Hanno, in ogni caso, evidenziato che la pavimentazione delle scale comuni rappresenterebbe al più una miglioria, mentre il cancellino sarebbe sempre aperto; quanto, invece, alla trasformazione della finestra preesistente in porta finestra hanno dedotto come la predetta apertura affacci direttamente sul terrazzo di loro proprietà esclusiva, identificato al NCEU foglio (…), mappale (…) sub. (…).

I convenuti hanno allegato anche l’atto di permuta immobiliare stipulato nel 1995 con la dante causa degli attori (…) (doc. 3 fascicolo parte convenuta), in forza del quale le parti hanno stabilito di concedersi la reciproca facoltà di praticare nelle porzioni di edificio di rispettiva appartenenza nuove aperture per luci e vedute senza limitazioni.

Hanno, inoltre, chiarito che le opere ignote realizzate al di sotto del sedime comune altro non sono che un’intercapedine realizzata negli anni 1996-1997 durante i lavori di ristrutturazione dell’immobile, e che la dante causa degli attori (…) aveva riconosciuto di proprietà esclusiva di (…) (doc. 18 fascicolo convenuti).

Hanno, dunque, concluso per il rigetto di tutte le domande avverse, ed in via subordinata – laddove il Tribunale dovesse ritenere comune l’intercapedine – hanno formulato una domanda per la determinazione del valore dell’opera con conseguente rifusione agli attori della quota di loro proprietà.

La causa, istruita con l’assunzione della prova testimoniale dedotta e con la nomina di più consulenti tecnici, è stata infine trattenuta in decisione sulle precisate conclusioni.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Gli attori hanno lamentato la violazione da parte dei convenuti del combinato disposto degli artt. 1117 e 1102 c.c., atteso che i (…) avrebbero indebitamente occupato delle parti comuni non consentendo ai (…) il pari uso.

E’, dunque, di primaria importanza stabilire la proprietà esclusiva ovvero comune delle aree dedotte in causa, onde poter accertare se le attività poste in essere dai convenuti siano legittime e rispettose del diritto di comproprietà degli attori.

Come già osservato con l’ordinanza datata 20 marzo 2018, la decisione del presente giudizio si fonda sull’accertamento dell’esatta individuazione delle aree comuni (identificate ai mappali (…) e (…)) e delle aree di proprietà esclusiva (identificate ai mappali (…) e (…)); trattasi di accertamento tecnico indispensabile al fine di poter prendere posizione sulle domande attoree di condanna dei convenuti alla rimessione in pristino e di risarcimento del danno.

Tanto osservato, pare opportuno svolgere delle brevi premesse, necessarie – a parere del Tribunale – al fine di meglio comprendere le conclusioni che verranno assunte nella presente sentenza.

a) Onere della prova nell’ambito dei diritti autodeterminati

I diritti assoluti, quali i diritti reali (oggetto del presente giudizio), si identificano in sé e non in base alla loro fonte, come accade per i diritti di obbligazione, sicché, l’attore può mutare il titolo in base al quale chiede la tutela del diritto assoluto senza incorrere nelle preclusioni (artt. 183, 189 e 345 cod. proc. civ.) e negli oneri (art. 292 cod. proc. civ.) della modificazione della “causa petendi”, né viene a concretarsi una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato se il giudice accoglie il “petitum” sulla scorta di un titolo diverso da quello invocato. Infatti, la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti “diritti autodeterminati”, individuati, cioè, in base alla sola indicazione del loro contenuto, rappresentato dal bene che ne costituisce l’oggetto, onde, nelle azioni a difesa di tali diritti, la causa petendi si identifica con il diritto stesso (diversamente da quanto avviene in quelle a difesa dei diritti di credito, nelle quali la causa petendi si immedesima con il titolo), mentre il titolo, necessario ai fini della prova di esso, non ha alcuna funzione di specificazione della domanda (cfr. ex plurimis Cass., 21 novembre 2006, n. 24702; Cass., 20 novembre 2007, n. 24141; Cass., 26 novembre 2008, n. 28228; Cass., 24 novembre 2010, n. 23851).

L’indicata premessa si è resa necessaria al fine di paralizzare l’eccezione sollevata dalla parte attrice nella comparsa conclusionale da ultimo depositata, secondo cui i convenuti sarebbero incorsi in decadenza per non aver allegato nel termine delle preclusioni assertive (coincidente con la memoria ex art. 183, comma sesto, n. 1 c.p.c.) l’errata estensione dei mappali (…) e (…).

Nel rispetto del principio giurisprudenziale appena richiamato, i convenuti hanno, infatti, legittimamente integrato le rispettive difese nella memoria ex art. 183, comma sesto, n. 2 c.p.c., in quanto non hanno mutato il petitum cristallizzato nelle proprie conclusioni volte a sentir rigettare ogni domanda attorea, sul presupposto che ogni innovazione dagli stessi posta in essere è collocata in aree di loro proprietà esclusiva.

b) Poteri del consulente tecnico d’ufficio ed acquisizione di documenti – esito degli accertamenti peritali

Una volta affermata la legittimità dell’integrazione difensiva svolta dalla parte convenuta, secondo cui “la superficie di mq. 104,00 (da are 1,04) è palesemente errata, determinata, per altro, sulla base di un cartiglio mappale inadeguato, per non dire errato. La superficie di mq. 104 non si riferisce infatti a quello che oggi leggiamo per mappale (…) (ex (…)) ma si riferisce all’area del fabbricato, oggi (…): l’errore sta nell’atto divisionale del 1955: leggendolo con la mappa del tempo si comprende l’errore grossolano” (cfr. memoria ex art. 183, comma sesto n. 2 c.p.c.), deve affermarsi la piena legittimità dell’attività svolta dal nominato consulente tecnico d’ufficio.

Ed, infatti, il consulente tecnico d’ufficio può acquisire documenti pubblicamente consultabili o provenienti da terzi o dalle parti nei limiti in cui siano necessari sul piano tecnico ad avere riscontro della correttezza delle affermazioni e produzioni documentali delle parti stesse, o quando emerga l’indispensabilità dell’accertamento di una situazione di comune interesse, indicandone la fonte di acquisizione e sottoponendoli al vaglio del contraddittorio ma non può ricercare aliunde ciò che costituisce materia rimessa all’onere di allegazione e prova delle parti stesse (cfr. ex multis Cass., 14 novembre 2017, n. 26893).

Il consulente tecnico d’ufficio arch. Fa.Da. (da ultimo nominato in sostituzione dei precedenti consulenti Gu. e As.) ha acquisito il frazionamento del mappale (…) del 29 marzo 1955 e la nota di voltura n. 28 del 25 luglio 1955; trattasi di documentazione connessa all’atto di divisione del 1955, ritualmente prodotto dalla parte convenuta.

Ritiene, pertanto, il Tribunale che il consulente abbia acquisito documentazione in modo del tutto legittimo, atteso che si tratta di documenti pubblicamente consultabili ed, in ogni caso, necessari sul piano tecnico a fornire un riscontro della correttezza delle affermazioni svolte dai convenuti circa l’incongruità dei dati catastali con la realtà fattuale.

E’ allora del tutto evidente la correttezza dell’operato del consulente tecnico, il quale – contrariamente a quanto invocato dagli attori – si è attenuto al quesito demandatogli, nella parte in cui gli è stato chiesto di individuare le aree di proprietà esclusiva e le aree di proprietà comune tenendo “in considerazione la consistenza dimensionale dei fondi comuni (foglio (…) mappali (…) e (…)), così come individuata negli atti di acquisto del 15 dicembre 2008 e del 4 dicembre 2012, nonché nel precedente atto di divisione del 1955”.

Si badi bene che ciò non imponeva al consulente di rispondere al quesito conteggiando necessariamente 23 mq per il mappale (…) e 104 mq per il mappale (…); ed, infatti, avendo la parte convenuta rappresentato un errore catastale, il consulente ha correttamente posto in essere ogni indagine utile al fine di accertare la veridicità dei dati contenuti negli atti pubblici richiamati nel quesito.

Altro punto da esaminare prima di soffermarsi sulle risultanze peritali attiene all’utilizzabilità del rilievo topografico, eseguito dal geom. (…), da parte del ctu arch. (…).

Nel verbale delle operazioni peritali del 10 aprile 2018 si legge che “i consulenti tecnici di parte e le parti presenti accettano che il ctu utilizzi interamente il rilievo strumentale topografico dello stato dei luoghi realizzato dal precedente ctu (geom (…)) senza necessità di ripetere le operazioni di rilievo in economia di causa”.

In tesi di parte attrice, il consulente non avrebbe diligentemente condotto le operazioni peritali, atteso che lo stesso – nel rispetto del quesito affidatogli – avrebbe dovuto elaborare un nuovo rilievo.

Ritiene il Tribunale destituita di fondamento l’indicata eccezione.

Ed, infatti, come ricordato dagli stessi attori, il consulente già in sede di conferimento dell’incarico (oralmente) ha dichiarato che avrebbe richiesto il consenso per l’utilizzo del rilievo svolto dal geom. (…) in un’ottica di contenimento dei costi; non sorprende, dunque, che durante il primo incontro del 10 aprile 2018 il consulente abbia chiesto alle parti presenti ed ai loro consulenti l’autorizzazione per l’utilizzo del rilievo già in atti.

La circostanza, poi, che fosse presente la sola attrice (…) e non anche l’attore (…) non inficia la validità delle operazioni peritali, atteso che simile atto di consenso è stato espresso dal consulente tecnico di parte attrice, incaricato anche dall’attore (…).

Pari conclusione deve esprimersi anche per l’accordo raggiunto dalle parti sul confine del mappale (…) (“le parti accettano congiuntamente che il confine del mappale (…) lato ovest è posto a metri 1,27 parallelo al fabbricato esistente”), così come emergente dalla planimetria elaborata dal consulente tecnico geom. (…) e sottoscritta per accettazione da entrambi i consulenti tecnici di parte in data 15 settembre 2017 (vedi allegato P terza perizia del geom. (…)).

Tanto premesso, non condivisibili risultano le contestazioni di parte attrice, ancorché la medesima non erri nella parte in cui afferma che l’accordo dei consulenti di parte e del consulente d’ufficio su determinati punti di fatto non può assumere valore negoziale e non può vincolare il giudice, il cui apprezzamento al riguardo resta sempre sovrano (cfr. Cass., 22 giugno 1972, n. 2044)

Tuttavia, il presente giudice, in qualità di peritus peritorum, per la formazione del suo convincimento non può prescindere dal parere espresso dal consulente tecnico, il quale è stato assunto in modo del tutto logico e scevro da vizi.

La ragionevolezza della soluzione concordata dai consulenti tecnici (di parte e d’ufficio) emerge peraltro dalle stesse parole del consulente tecnico di parte attrice: “per quanto riguarda il confine del mappale (…), esso è individuato attraverso una semplice operazione geometrica: la superficie del mappale è nota (mq 23,00), la sua lunghezza media (in direzione nord-sud) misurata sul posto è di circa 18,00 m, da ciò ne consegue che la larghezza (in direzione est-ovest) non può essere che m. 1,28 misurata ortogonalmente alla facciata ovest del fabbricato: 18,00 * 1,28 = 23,04 mq” (osservazioni alla CTU Geom. (…) del 25 settembre 2017 – allegato T alla terza perizia del geom. (…)).

Trattasi, dunque, di conclusione del tutto logica e coerente con i dati catastali, e con gli errori negli stessi contenuti ed accertati dall’arch. (…), la cui relazione verrà ora esaminata, così da consentire di prendere posizione sulle domande attoree.

L’immobile di causa è costituito da tre piani fuori terra ed uno seminterrato, circondato da un’area cortilizia, così identificato al NCEU e al CT del Comune di (…):

– Appartamento piano 1-2 (Foglio (…), mappale (…), sub. (…)) cointestato agli attori (…) e (…) in forza dell’atto di compravendita del 15 dicembre 2008;

– Appartamento piano terra (Foglio (…), mappale (…), sub. (…)) intestato ad (…) e (…), in qualità di usufruttuario, in forza dell’atto di compravendita del 4 aprile 2012;

– Appartamento piano S1 (Foglio (…), mappale (…), sub. (…)), intestato ad (…) e (…), in qualità di usufruttuario, in forza dell’atto di compravendita del 4 aprile 2012;

– Terreno (Foglio (…), mappale (…), superficie 01.04 are), cointestato a (…), (…), (…) e (…) (con diritto di usufrutto su 2/4);

– Terreno (Foglio (…), mappale (…), prato, classe (…), superficie 00.23 are), cointestato a (…), (…), (…) e (…) (con diritto di usufrutto su 2/4).

Per le ragioni sopra indicate (natura autodeterminata del diritto di proprietà e facoltà di acquisizione di documenti da parte del consulente tecnico), condivisibile e pienamente legittima risulta l’indagine peritale volta alla ricostruzione degli atti dispositivi interessanti i mappali di causa.

L’atto da cui è necessario partire è rappresentato dall’atto di cessione e divisione rep. N. (…) del (…), che è stato stipulato tra (…), (…), (…), (…), (…) e (…), in seguito alla successione per morte del padre (…), deceduto il 4 aprile 1954.

Nella prima parte di tale atto, le sorelle (…), (…) e (…) cedevano ai fratelli (…), (…) e (…) la quota di 3/6 che ad esse spettava degli immobili pervenuti dalla successione (tra cui, tra gli altri, anche il compendio immobiliare attualmente oggetto di contenzioso); nella seconda parte dello stesso atto, i signori (…), (…) e (…) procedevano alla divisione degli immobili in D., pervenuti dall’eredità paterna.

Per quanto concerne l’immobile di causa era previsto che “rimane indivisa e di uso comune tra i condividenti l’area esterna al fabbricato distinta in tipo coi m.n. (mappali numero):

(…) area di fabbricato are 1.04 – senza rendita;

(…) area di fabbricato are 0.63 – senza rendita;

(…) prato are 0.29 RD.L. 0.55 che verrà adibita a transito”.

Come evidenziato nella perizia a firma dell’arch. (…), l’atto di divisione del 20 agosto 1955 non contiene in allegato alcun elaborato grafico, ma si riferisce “ai tipi di frazionamento e Mod. 6 a firma dell’Ing. C.B. da S. e al certificato catastale (omissis)”.

Del tutto legittimamente il consulente ha reperito presso l’archivio dell’Agenzia del Territorio di Bergamo, la copia della Nota di Voltura n. 28 e dell’allegato frazionamento a firma dell’Ing. C.B. del 29 marzo 1955, cui si riferisce l’atto di divisione.

Trattasi, dunque, del frazionamento dell’originario mappale (…) (su cui era già edificato il fabbricato) nei tre subalterni numerici dei lotti assegnati ai tre fratelli.

L’acquisizione degli indicati documenti ha consentito di accertare l’esistenza dell’errore già allegato dai convenuti.

Ed, infatti, nell’atto di frazionamento del mappale (…) a firma dell’ing. C.B. (coerente con la mappa cartacea storica) emerge che dal mappale (…) (di superficie totale pari a 220 mq) furono ricavati i seguenti mappali:

a) (…) = area esterna di 53 mq;

b) (…) = fabbricato di 104 mq;

c) (…) = area esterna di 63 mq.

Per contro, invece, la nota di voltura n. 28, a cui è allegato il frazionamento del 1955 (così come l’atto di divisione), contiene un errore, essendo stati invertiti i riferimenti del fabbricato e dell’area esterna; e quindi, riporta il frazionamento del fabbricato riferendosi erroneamente al mappale (…) di consistenza 53,00 mq, mentre nel frazionamento allegato, il fabbricato è identificato con il mappale (…) di consistenza 104,00 mq.

L’errore individuato dal consulente è riscontrato in termini fattuali, atteso che la superficie coperta del fabbricato (escluso il fabbricato accessorio realizzato a lato e utilizzato come legnaia/deposito), dal rilievo strumentale effettuato, è esattamente pari a 104,00 mq.

L’errore allegato dai convenuti è, dunque, stato confermato atteso che l’atto di divisione (e la nota di voluta n. 28) tratta il mappale dell’area esterna ((…)) come fabbricato (in realtà (…)).

L’errore commesso, e perpetrato anche nei successivi atti di vendita del 15 dicembre 2008 e del 4 aprile 2012, non è relativo al solo riferimento catastale invertito (“a” per il fabbricato e non già “b”), ma anche alla consistenza dimensionale dei fondi, atteso che sommando le superfici (risultanti dall’atto) dei lotti assegnati ai tre fratelli si ottiene una superficie totale di 53 mq, che in realtà è l’area esterna ((…) come risultante dall’atto di frazionamento dell’ing. B.).

Logica conseguenza è quindi che:

– il fabbricato (identificato al mappale (…) nell’atto di frazionamento) ha consistenza di 104 mq;

– l’area esterna (identificata al mappale (…) nell’atto di frazionamento ed attuale mappale (…)) ha consistenza di 53 mq;

– l’area esterna (identificata al mappale (…) nell’atto di frazionamento) ha consistenza di 63 mq.

Altro atto importante che è necessario richiamare è l’atto di permuta immobiliare rep. N. (…) del (…) (doc. 3 fascicolo parte convenuta) stipulato tra T.G. (avente causa di B.T. e dante causa degli odierni attori) e (…)(…) (odierno convenuto in qualità di usufruttuario).

Nell’indicato atto di permuta immobiliare, le parti hanno convenuto la cessione reciproca di porzioni del fabbricato; in specie:

– (…) è divenuta “proprietaria esclusiva degli interi piano primo e sottotetto dell’immobile (…omissis…) identificati coi mappali (…) sub. (…),(…),(…)” (allegato K della perizia arch (…)), poi divenuto sub. (…);

– (…) è divenuto “proprietario esclusivo “della porzione di edificio (…omissis…) sorta sull’area del mappale (…) e precisamente della porzione contrassegnata con le particelle (…) sub. (…),(…),(…) (poi divenuto sub. (…)) e che individua gli interi piani seminterrato e terra (allegato K alla presente). Nonché delle intere spettanze della cedente pari alla quota di 1/2 su piccola area di cortile distinta a partita (…) del C.T. col mappale (…) (ex (…)) area urbana di are 0.63”.

E’ con questo atto, dunque, che le porzioni di fabbricato sono state divise come da attuale proprietà (piano interrato e piano terra di proprietà dei convenuti, da un lato, e piano primo e sottotetto di proprietà degli attori, dall’altro lato).

A ciò si aggiunga, come condivisibilmente osservato dal consulente tecnico d’ufficio, che:

a) il mappale (…) sub (…) assegnato a (…), oltre alle porzioni assegnate di fabbricato principale, comprende, al piano seminterrato, la porzione d fabbricato accessorio (deposito/legnaia);

b) il mappale (…) (ex (…) pari a 63,00 mq area esterna) diventa area cortilizia di proprietà esclusiva di (…);

c) il mappale (…) (area esterna) non viene citato nel presente atto, e continua a rimanere di proprietà comune delle parti;

d) nelle clausole generali dell’atto di permuta, al punto 3, viene specificato che “i contraenti si concedono reciprocamente la facoltà di praticare nelle porzioni di edificio di rispettiva appartenenza nuove aperture per luci e vedute nonché sporti di balconi senza limitazioni”.

Per tutto quanto sin qui osservato, il consulente tecnico, nel contraddittorio con i consulenti di parte, con motivazione ampia ed immune da vizi logici, sulla scorta di un analitico esame della documentazione agli atti e di quella acquisita nel corso delle indagini, ha accertato che i fondi di causa hanno le seguenti consistenze dimensionali:

1) mappale (…) (identificato negli atti di compravendita del 2008 e del 2012): 23 mq:

2) mappale (…): 53 mq;

3) fabbricato: 104 mq.

c) Azione ex art. 1102 c.c.

Le domande formulate dagli attori si basano sull’asserita violazione da parte dei T. del combinato disposto degli artt. 1102 e 1117 c.c..

Pare, dunque, opportuno premettere che l’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell’art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la normale ed originaria destinazione (per il cui mutamento è necessaria l’unanimità dei consensi dei partecipanti) e di impedire agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto (cfr. Cass., 23 giugno 2017, n. 15705: nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte è stato configurato in termini di abuso la condotta del condomino consistente nella stabile e pressoché integrale occupazione di un “volume tecnico” dell’edificio condominiale, funzionale al miglior godimento della sua proprietà individuale).

Osserva ancora il Tribunale che la nozione di pari uso della cosa comune che ogni partecipante, utilizzando la cosa, deve consentire agli altri non va intesa nel senso di uso identico, perché l’identità nello spazio e nel tempo potrebbe importare un ingiustificato divieto per ogni condomino di fare un uso particolare o un uso a proprio esclusivo vantaggio. Pertanto, per stabilire se l’uso più intenso da parte di un condomino alteri il rapporto di equilibrio tra i partecipanti e, perciò, sia da ritenere non consentito a norma dell’art. 1102 c.c., non deve aversi riguardo all’uso fatto in concreto dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno (cfr. Cass., 9 novembre 1998, n. 11268).

Le premesse sin qui svolte consentono ora al Tribunale di esaminare nel merito le domande attoree.

1) violazione ex artt. 1102 e 1117 c.c. da parte dei convenuti in conseguenza della rimozione dell’area di giardino esistente

Le operazioni peritali non hanno potuto accertare l’esatta collocazione dell’area di giardino, in quanto già rimossa e sostituita dalla pavimentazione contestata dagli attori; il sopralluogo ha consentito di accertare che la parte attualmente pavimentata è situata su porzioni di area di proprietà comune degli attori e dei convenuti, e quindi sui mappali (…) e (…), e sulla porzione di mappale (…) di proprietà esclusiva dei convenuti.

Ne discende che, contrariamente a quanto affermato dai convenuti sin dalla comparsa di costituzione e risposta, il prato non insisteva sulla sola area distinta al numero di mappale (…) di loro esclusiva proprietà, bensì anche sulle aree di proprietà comune identificate ai mappali (…) e (…).

Tanto premesso, è allora provato che i convenuti hanno pavimentato anche una porzione in comproprietà con gli attori, senza il consenso dei medesimi.

Occorre, dunque, interrogarsi se l’indicata innovazione abbia travalicato i limiti posti dall’art. 1102 c.c. (alterazione della destinazione della cosa comune e impedimento al pari uso), ed in ogni caso se si tratti di una modificazione necessaria per il migliore godimento della cosa.

In argomento si evidenzia che la norma contenuta nell’art. 1102 del codice civile, nel sancire il diritto di ogni partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto, gli attribuisce la facoltà di apportarvi, a tal fine, le modificazioni necessarie al suo miglioramento ma non certamente quella di eliminarla, sia pure per sostituirla poi con altra di diversa consistenza e struttura (cfr. Cass., 11 novembre 1994, n. 9497).

Tanto premesso, il Tribunale ritiene infondata in parte qua la domanda attorea.

Ed, infatti, le aree comuni identificate ai mappali (…) e (…) erano pacificamente aree a prato/giardino prima dell’innovazione unilateralmente disposta dai convenuti, mentre ora sono delle aree cortilizie cementate.

Tuttavia, gli attori hanno allegato delle fotografie (doc. 3 e 4) attestanti lo stato attuale dei luoghi successivamente alla modifica disposta dai convenuti, mentre non hanno allegato e provato se l’area in discussione era precedentemente costituita da un prato/sterrato ovvero da un giardino.

Per verità dalle fotografie allegate, da cui è visibile l’area verde circostante l’abitazione, deve presumersi che anche l’area modificata dagli attori in luogo delle piastrelle presentava un prato e non già un giardino.

Per l’effetto deve ritenersi che la pavimentazione costituisca una modificazione necessaria per il miglior godimento della cosa comune, attesa la miglior fruibilità del bene ottenuta in seguito alla modifica.

2) violazione ex artt. 1102 e 1117 c.c. da parte dei convenuti per intervenuta pavimentazione delle scale comuni ed apposizione di un cancello in ferro

Il consulente tecnico ha accertato che le scale pavimentate ed il cancello lamentato dagli attori sono stati posti su un’area di esclusiva proprietà dei convenuti, eccezion fatta per una piccola porzione della larghezza di 2 cm ricadente nel mappale comune (…).

Ne discende che non vi è stata alcuna violazione del disposto dell’art. 1102 c.c., atteso che gli attori hanno “occupato” la cosa comune per un’area evidentemente trascurabile, avendo per contro installato le opere lamentate su un’area di loro esclusiva proprietà.

In ogni caso, quand’anche si volesse diversamente opinare, la domanda attorea sarebbe in ogni caso infondata.

Ed, infatti, l’istruttoria orale svolta ha consentito di accertare che il cancello è sempre stato aperto e dotato di un catenaccio in alto al fine di impedirne la relativa apertura da parte dei bambini. Non contrasta l’indicata conclusione la deposizione resa da N.C., padre dell’attrice (…), secondo cui il cancello sarebbe stato chiuso con filo di ferro, in quanto lo stesso è un mero espediente di chiusura del cancello che consente a chiunque un’agevole rimozione.

Per quanto sin qui osservato, deve allora ritenersi che le innovazioni lamentate dagli attori (id est pavimentazione delle scale e apposizione del cancello) non violino il disposto dell’art. 1102 c.c., neppure qualora le stesse insistessero su delle porzioni di area comune.

Ed, infatti, non è impedito il pari uso, in quanto ciò si sarebbe verificato nel caso in cui il cancello fosse stato chiuso con catenaccio e/o a chiave, il che non è neppure possibile nel caso di specie in quanto il cancello è privo del cilindro della serratura.

In tal senso si è pronunciata anche la giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è ravvisabile una turbativa o molestia del compossesso degli altri comunisti in caso di apposizione di un cancello a chiusura dell’accesso ad un cortile, qualora (come nel caso di specie) non venga reso meno agevole il normale passaggio (cfr. Cass., 18 maggio 1076, n. 1765).

D’altro verso, la pavimentazione delle scale non determina alcun mutamento della destinazione della cosa comune e non impedisce agli attori di farne parimenti uso; trattasi in ogni caso di miglioria funzionale al godimento della cosa, attesa la più comoda fruibilità (anche sotto un profilo di sicurezza) delle scale dotate di pavimentazione rispetto a quelle che ne sono prive.

3) violazione ex artt. 1102 e 1117 c.c. da parte dei convenuti in conseguenza della realizzazione di una porta finestra con scalini esterni d’ingresso e di uscita sull’area comune in luogo della precedente finestra – recinzione di tale area mediante ringhiera

Il consulente tecnico con motivazione logica e immune da vizi, per i motivi meglio indicati alla premessa sub b), ha accertato che la porta finestra realizzata in luogo della precedente finestra e la recinzione sono poste su un’area di esclusiva proprietà dei convenuti; ne discende l’infondatezza della domanda attorea.

In specie la porta finestra, realizzata in luogo della precedente finestra, si affaccia sul terrazzo che costituisce la copertura del fabbricato accessorio adibito a deposito, esistente già dal 1958 e di proprietà esclusiva dei convenuti.

Tuttavia, quand’anche dovesse diversamente opinarsi, la domanda attorea è in ogni caso infondata; in tal senso deve essere valorizzato l’atto di permuta del 26 maggio 1995 (doc. 3 fascicolo parte convenuta) sottoscritto da (…) – dante causa degli odierni attori – e (…), in cui “i contraenti si concedono reciprocamente la facoltà di praticare nelle porzioni di edificio di rispettiva appartenenza nuove aperture per luci e vedute nonché sporti di balconi senza limitazioni”.

Contrariamente a quanto argomentato dalla parte attrice, ritiene il Tribunale che l’indicata scrittura abbia facoltizzato anche la realizzata porta finestra in luogo della precedente finestra; ed, infatti, le parti si sono accordate per concedersi reciprocamente il diritto di realizzare nelle porzioni di edificio di rispettiva proprietà esclusiva nuove aperture per luci e vedute, nonché sporti di balconi senza limitazione alcuna.

L’interpretazione della richiamata clausola induce, infatti, il Tribunale a ritenere che i convenuti avessero il diritto di sostituire liberamente, id est senza limitazioni, la precedente finestra con una porta finestra; nel “più” deve invero essere ricompreso il “meno”, per cui se le parti si sono concesse reciprocamente il diritto di costruire liberamente dei balconi, nulla osta alla sostituzione di una finestra in una porta finestra.

D’altro canto la porta finestra per cui è causa deve essere qualificata in termini di veduta, così da essere ricompresa nell’atto di permuta del 1995; ed, infatti oltre ad assolvere alla funzione di dare accesso ad un locale consente anche la stabile ed univoca funzione di assoggettare il fondo vicino ad una visione completa, ossia obliqua e laterale.

La porta-finestra di causa consente, infatti, sia la inspectio che la prospectio, ossia lo sguardo frontale, obliquo e laterale sul fondo del vicino, cosicché integra una veduta (cfr. Cass., 13 agosto 2014, n. 17950), la cui apertura è stata autorizzata dai convenuti e dalla dante causa degli attori.

4) violazione ex artt. 1102 e 1117 c.c. da parte dei convenuti per l’occupazione continua e sistematica dell’intero perimetro comune lungo le mura della palazzina

Ritiene il Tribunale parzialmente fondata in parte qua la domanda attorea.

Ed, infatti, dalle evidenze documentali in atti emerge che l’accatastamento di legna da ardere lungo il muro perimetrale della palazzina ha integrato una violazione del disposto dell’art. 1102 c.c..

Come già segnalato nella premessa sub lett. c), ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune una utilità maggiore e più intensa di quella degli altri comproprietari, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di questi ultimi. In particolare, per stabilire se l’utilizzo più intenso del singolo sia consentito ai sensi dell’art. 1102 c.c., deve aversi riguardo non all’uso concreto fatto dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno (cfr. Cass., 16 aprile 2018, n. 9278).

E’ invero evidente che l’occupazione del muro perimetrale da parte dei convenuti con l’accatastamento di legna da ardere (doc. 12 fascicolo parte attrice) ha di fatto impedito il pari uso anche potenziale degli attori, ai quali è stato così impedito l’utilizzo del muro comune ed il passaggio lungo quel tratto della palazzina.

E’, tuttavia, emerso in giudizio che i convenuti hanno già rimosso la legna da ardere, di talché nessuna statuizione di condanna alla riduzione in pristino viene pronunciata.

La domanda attorea non risulta, invece, meritevole di accoglimento con riferimento all’asserita occupazione del perimetro dell’immobile da parte dei convenuti con tavoli, sedie e panche da esterno.

Ed, infatti, non è certo se gli indicati beni siano di proprietà dei convenuti ovvero anche degli attori; in ogni caso la loro agevole rimozione non consente di ritenere che si sia stata posta in essere una violazione del disposto dell’art. 1102 c.c..

5) violazione ex artt. 1102 e 1117 c.c. da parte dei convenuti per la realizzazione al di sotto del sedime comune di un’intercapedine utilizzata in via esclusiva dagli stessi

Il consulente tecnico ha accertato che l’intercapedine – sia quella posta a lato nord ovest del fabbricato che l’ampliamento del locale accessorio adibito a deposito posto sul lato nord est – è stata realizzata sotto area di proprietà comune degli attori e dei convenuti nell’anno 1996.

In argomento occorre evidenziare che l’indicata opera è stata realizzata dalla parte convenuta nel 1996, e dunque prima dell’acquisto effettuato dagli attori nel 2008.

Parte convenuta, al fine di contestare la domanda attorea, ha invocato la scrittura datata 12 luglio 2002, in forza della quale (…), originaria dante causa degli attori, ha dichiarato che l’intercapedine insistente sulla particella (…) “è stata realizzata col mio consenso dal signor (…), comproprietario, al quale va riconosciuta la piena ed esclusiva proprietà” (doc. 18 fascicolo parte convenuta).

Ritiene il Tribunale fondata l’eccezione sollevata dalla parte convenuta, dovendo qualificarsi la richiamata scrittura in termini di rinunzia abdicativa della comproprietaria (…) in favore del comproprietario (…) sulla porzione di area comune ove è stata realizzata l’intercapedine.

Costituisce, infatti, donazione indiretta la rinunzia alla quota di comproprietà, fatta in modo da avvantaggiare in via riflessa tutti gli altri comproprietari. In tal caso si è infatti di fronte ad una rinunzia abdicativa alla quota di comproprietà, perché l’acquisto del vantaggio accrescitivo da parte degli altri comunisti si verifica solo in modo indiretto attraverso l’eliminazione dello stato di compressione in cui l’interesse degli altri contitolari si trovava a causa dell’appartenenza del diritto in comunione anche ad un altro soggetto.

Per l’effetto non è necessaria la forma dell’atto pubblico, essendo utilizzato per la realizzazione del fine di liberalità un negozio diverso dal contratto di donazione (cfr. Cass., 25 febbraio 2015, n. 3819).

Conseguentemente deve essere rigettata la domanda attorea, ritenendosi fondata l’eccezione sollevata dai convenuti, in relazione ai quali deve essere affermata la proprietà esclusiva dell’intercapedine di causa.

6) violazione da parte dei convenuti degli artt. 890 e 844 c.c. per la presenza presso il confine di un camino irregolare e contrario al regolamento di igiene e di sicurezza.

Gli attori hanno denunciato la presenza di una irregolare canna fumaria in un immobile adiacente di proprietà esclusiva dei convenuti e collocata, in linea d’aria, proprio sotto la porta della loro abitazione (cfr. doc. 15 e 16 fascicolo parte attrice),

Il consulente tecnico geom. (…) ha accertato che il camino era chiuso e sigillato; in sede di interrogatorio formale l’attrice (…) ha dichiarato che il camino “è stato chiuso dopo il terzo sollecito dell'(…), quindi un anno e mezzo fa”.

Nel corso dell’istruttoria è anche emerso che il camino serviva una stufa posta nella legnaia (cfr. deposizione teste C.C.), e che lo stesso al novembre 2013 era ancora funzionante (cfr. deposizione (…)); è del pari documentale che il camino presentava un terminale di canna fumaria in muratura posizionato ad una distanza inferiore di 10 metri dalle aperture finestrate e ad una quota inferiore dell’edificio di Via G. (doc. 18 fascicolo parte opponente – segnalazione inoltrata dall'(…) al Comune di Dossena).

Deve, dunque, affermarsi la fondatezza in parte qua della domanda attorea, per aver i convenuti mantenuto sul proprio fondo di proprietà esclusiva un camino in violazione delle distanze fissate dall’art. 890 c.c., e per aver propagato immissioni vietate ex art. 844 c.c.

In tal senso pare opportuno riportare ancora la segnalazione dell'(…) dell’11 novembre 2013 secondo cui “la canna fumaria è adibita all’allontanamento dei prodotti della combustione di un apparecchio termico alimentato con legna ubicato al piano seminterrato dell’edificio (…); l’apparecchio termico è utilizzato in forma saltuaria per la cottura di alimenti”.

In ogni caso, la pacifica e non contestata sigillatura del camino, comporta che gli attori abbiano allo stato perso interesse relativamente alla domanda di cessazione per intollerabilità delle immissioni nocive ex art. 844 c.c.

Fondata risulta, invece, la domanda di riduzione in pristino della canna fumaria irregolare per violazione delle distanze legali, non valendo la sigillatura (in ogni caso rimuovibile) a superare la natura illegittima del manufatto ex art. 890 c.c., posto a distanza inferiore rispetto a quella prevista dal Regolamento Locale di igiene, così come accertato dall'(…) nei documenti richiamati.

7) Domanda attorea ex art. 614 bis c.p.c. per la coercizione indiretta

Meritevole di accoglimento risulta la domanda attorea, volta a sentir fissare una somma di denaro per ogni ritardo dei convenuti nell’esecuzione del provvedimento di riduzione in pristino.

Ritenuti sussistenti i presupposti di cui all’art. 614 bis c.p.c. (provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro), ed esclusa una manifesta iniquità, fissa la somma di Euro 50,00 per ogni giorno di ritardo da parte dei convenuti nell’esecuzione del provvedimento di condanna alla riduzione al pristino stato.

8) domanda degli attori per il risarcimento del danno

Ritiene il Tribunale solo parzialmente fondata la domanda attorea.

Preliminarmente deve osservarsi che due sono le doglianze attoree che sono state effettivamente riscontrate all’esito dell’istruttoria, id est:

– camino posto in un immobile di proprietà esclusiva dei convenuti a distanza inferiore rispetto a quella prescritta dal Regolamento Locale di igiene, come invece previsto dall’art. 890 c.c.;

– occupazione dell’area perimetrale comune da parte dei convenuti con accatastamento di legna da ardere.

Passando ad esaminare la domanda risarcitoria, pare opportuno svolgere delle considerazioni preliminari.

Nel rispetto della più recente giurisprudenza di legittimità, che il Tribunale ritiene di condividere, non può più accogliersi il concetto di danno “in re ipsa”, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l’evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo, ponendosi così in contrasto sia con l’insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (sent. n. 26972 del 2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno – conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l’ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l’ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell’art. 23 della Costituzione.

Ne consegue che il danno da occupazione “sine titulo”, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell’onere probatorio di tale natura non può includere anche l’esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, e dunque del danno conseguenza effettivamente patito a causa del fatto illecito (cfr. Cass., 25 maggio 2018, n. 13071).

Tanto premesso, nulla può essere riconosciuto agli attori per l’occupazione del muro perimetrale, essendo stato allegato solo genericamente un danno patrimoniale per lesione della proprietà. Trattasi di allegazione evidentemente carente, atteso che nulla esclude che gli attori non transitassero mai (anche indipendentemente dalla violazione posta in essere dai convenuti) su quella porzione dell’immobile, di talché sugli stessi gravava l’onere di allegare e specificare la frequenza del passaggio e l’impedimento riscontrato.

Meritevole di accoglimento risulta, invece, la domanda risarcitoria a titolo di danno non patrimoniale, sub specie per violazione della salubrità dell’abitazione attorea, in conseguenza dell’utilizzo da parte dei convenuti della canna fumaria di cui è stata accertata la natura illegittima.

E’ in questo caso evidente la violazione di un diritto con fondamento costituzionale, incidendo la condotta dei convenuti sull’inviolabilità del domicilio attoreo ex art. 14 Cost.; ed, infatti, l’accensione del camino (ancorché saltuaria, come da segnalazione dell'(…) – cfr. doc. 18 attoreo) ha impedito agli attori di fare un utilizzo libero e pieno della propria abitazione, dovendo gli stessi chiudere le finestre al fine di preservare un ambiente salubre.

Rilevato altresì che gli attori hanno acquistato la loro abitazione con atto del 15 dicembre 2008, e che la condotta illecita – a seguito delle segnalazioni effettuate dagli stessi attori all'(…) – ha avuto termine sul finire dell’anno 2013, deve affermarsi che la stessa è proseguita per 5 anni.

Pare, pertanto, congruo riconoscere agli attori la somma complessiva di Euro 2.500,00, e dunque Euro 500,00 per ogni anno di condotta illecita tenuta dai convenuti.

Regolamento delle spese di lite

L’esito del giudizio, stante la soccombenza prevalente degli attori, impone al Tribunale di condannare gli stessi alla refusione delle spese di lite in favore dei convenuti nella misura del 50%, compensandole invece per il resto.

Le spese di lite vengono liquidate nel rispetto del D.M. n. 55 del 2014, assumendo a riferimento lo scaglione per le cause di valore indeterminabile a complessità media, quale è quella in oggetto, ed in ogni caso nel limite della domanda dei convenuti, così come contenuta nella nota spese.

Non merita invece di essere riconosciuto l’aumento ex art. 4, comma 5, D.M. n. 55 del 2014, atteso che l’aumento deve essere rimesso alla discrezionalità del giudice, così come espressamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità all’epoca della vigenza della disposizione dell’art. 5, comma quarto della tariffa professionale approvata con D.M. 8 aprile 2004, n. 127; ed, invero, nell’ipotesi di assistenza e difesa di una parte avverso più controparti, è rimessa alla facoltà del giudice di liquidare un compenso unico maggiorato per ciascuna parte del 20% e sempre che la prestazione comporti l’esame di particolari situazioni di fatto o di diritto (cfr. Cass., 21 luglio 2011, n. 16040; Cass., 7 ottobre 2015, n. 20113).

Nel caso in esame la difesa dei convenuti non ha comportato in nessun modo l’esame di particolari situazioni di fatto e di diritto, di talché si rigetta in parte qua la domanda di liquidazione dei convenuti.

Del pari le spese di consulenza tecnica, di cui ai decreti di liquidazione del 4 marzo 2016, 11 aprile 2018 e 24 luglio 2018, vengono poste a carico di entrambe le parti per la metà ciascuna.

Non si ravvisano infine i presupposti per l’accoglimento della domanda svolta dai convenuti ex art. 96 c.p.c., atteso l’accoglimento parziale delle domande attoree.

P.Q.M.

Il Tribunale, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, definitivamente pronunciando,

in parzialmente accoglimento della domanda attorea:

– accerta e dichiara la violazione ex art. 1102 c.c. posta in essere dai convenuti per l’occupazione del muro perimetrale esterno dell’abitazione con l’accatastamento di legna da ardere;

– accerta e dichiara la violazione da parte dei convenuti ex art. 890 c.c. per la presenza di un camino sulla loro proprietà esclusiva ad una distanza irregolare, e per l’effetto ne ordina la riduzione in pristino;

– condanna i convenuti a versare in favore degli attori a titolo di risarcimento del danno la somma di Euro 2.500, oltre agli interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza sino al saldo;

visto l’art. 614 bis c.p.c., fissa la somma di Euro 50,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento di condanna alla riduzione in pristino;

rigetta ogni altra domanda attorea;

rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c. svolta dai convenuti;

condanna gli attori, in solido tra loro, a rimborsare nella misura del 50% le spese di lite a favore dei convenuti, liquidandone l’ammontare per l’intero in Euro 6.131,00 per compensi professionali ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, oltre al rimborso forfetario del 15 % ai sensi dell’art. 2 D.M. n. 55 del 2014, i.v.a. e c.p.a. come per legge;

pone le spese delle consulenze tecniche d’ufficio definitivamente a carico di entrambe le parti per la metà ciascuna.

Così deciso in Bergamo il 24 gennaio 2019.

Depositata in Cancelleria il 25 gennaio 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.