Dal 1.1.2018 l’esercizio in forma associata della professione forense e’ regolato dalla L. n. 247 del 2012, articolo 4-bis (inserito dalla L. n. 124 del 2017, articolo 1, comma 141, e poi ulteriormente integrato dalla L. n. 205 del 2017), che – sostituendo la previgente disciplina contenuta nel Decreto Legislativo n. 96 del 2001, articoli 16 e ss. – consente la costituzione di societa’ di persone, di capitali o cooperative i cui soci siano, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, avvocati iscritti all’albo, ovvero avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni, societa’ il cui organo di gestione deve essere costituito solo da soci e, nella sua maggioranza, da soci avvocati.

 

Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile Sentenza 19 luglio 2018, n. 19282

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Primo Presidente f.f.

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di Sez.

Dott. MANNA Antonio – rel. Presidente di Sez.

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sez.

Dott. TRIA Lucia – Consigliere

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2927-2017 proposto da:

(OMISSIS), in persona del socio accomandatario (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI PERUGIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI PERUGIA, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI PERUGIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 334/2016 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 24/11/2016.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/05/2018 dal Presidente Dott. ANTONIO MANNA;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento, p.q.r., del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pubblicata il 24.11.16 il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) contro la delibera del 29.11.13 con cui il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Perugia aveva respinto la loro domanda di iscrizione all’albo dello (OMISSIS), societa’ costituita fra i medesimi avvocati (OMISSIS) ed un terzo socio, la dott.ssa (OMISSIS), laureata in economia, quest’ultima con una partecipazione del 20%.

2. In proposito il CNF ha ritenuto inapplicabile la disciplina di cui alla L. n. 183 del 2011, articolo 10, commi da 3 a 11, e vigente il divieto di societa’ multidisciplinari per gli avvocati contenuto nell’articolo 5 della relativa legge professionale (L. n. 247 del 2012); ha altresi’ escluso che nel caso di specie si sia formato, Decreto Legislativo n. 59 del 2010, ex articolo 45, il silenzio-assenso sulla domanda di iscrizione.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre lo (OMISSIS), affidandosi a due motivi.

4. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Perugia non ha svolto attivita’ difensiva.

5. Inizialmente fissata l’udienza del 23.5.2017, con ordinanza interlocutoria n. 15278 del 20.6.2017 queste Sezioni Unite impregiudicata ogni valutazione sulla fondatezza o meno del primo motivo di ricorso – sul secondo motivo di doglianza formulato da parte ricorrente hanno disposto acquisirsi relazione dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo per una ricostruzione completa del quadro normativo di riferimento e dei contributi, anche dottrinari, concernenti la questione della legittimita’ o non di societa’ tra avvocati con partecipazione di soci non iscritti all’albo forense e, in particolare, della questione attinente al significato da attribuire alla clausola di salvaguardia contenuta nella cit. L. n. 183 del 2011, articolo 10, comma 9, che espressamente fa salvi i diversi modelli societari e le associazioni professionali gia’ vigenti alla data di entrata in vigore della legge.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 59 del 2010, articolo 45 – concernente il silenzio assenso decorsi 60 giorni dalla presentazione della domanda di iscrizione – per averne il CNF escluso l’applicazione in base all’erroneo presupposto dell’applicabilita’ al caso in esame, quale disciplina speciale, della L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 17, comma 7, (legge professionale), nonostante che quest’ultima disposizione fosse stata emanata in epoca successiva alla formazione di detto silenzio assenso, atteso che la domanda di iscrizione della societa’ era stata presentata, mediante notifica del relativo atto costitutivo, il 16.5.12.

1.2. Con il secondo motivo ci si duole di violazione, falsa ed errata applicazione della L. n. 183 del 2011, articolo 10, norma che ha introdotto la facolta’ di costituire societa’, anche di capitali, multidisciplinari e con la presenza di professionisti iscritti in altri albi o di soci di capitale; lamenta parte ricorrente che la pronuncia impugnata abbia ritenuto tale articolo 10 inapplicabile sull’erroneo presupposto d’un perdurante divieto, per gli avvocati, di costituire societa’ multidisciplinari contenuto nella L. n. 247 del 2012, articolo 5, nonostante che la delega legislativa in essa contenuta sia scaduta il 4.8.13, senza che il Governo abbia provveduto ad esercitarla.

2.1. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.

Ai sensi del Decreto Legislativo n. 59 del 2010, articolo 45, comma 5, relativo al procedimento di iscrizione in albi, registri o elenchi per l’esercizio di professioni regolamentate, “L’iscrizione all’albo o all’elenco speciale per l’esercizio di una professione regolamentata, in mancanza di provvedimento espresso, si perfeziona al momento della scadenza del termine per la formazione del silenzio assenso.” (termine che il precedente comma 2, stesso articolo, fissa in due mesi dalla presentazione della domanda).

La censura in esame muove dal presupposto che la notifica al COA di Perugia, avvenuta il 16.5.12, dell’atto costitutivo della societa’ equivalga a domanda di sua iscrizione, sicche’, allo scadere dei 60 giorni senza alcun espresso provvedimento del COA medesimo, l’iscrizione richiesta dovrebbe considerarsi come perfezionatasi, senza che in contrario possa opporsi – come invece si legge nella sentenza impugnata – la diversa regolamentazione contenuta nella L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 17, comma 7, (legge professionale), intervenuta posteriormente al formarsi del silenzio assenso.

In contrario va – invece – osservato che gia’ il COA di Perugia, come riferito nello stesso ricorso, aveva ritenuto che la mera notifica dell’atto costitutivo della S.a.s. oggi ricorrente non equivalesse a domanda di iscrizione e che solo il 3.4.13 gli avv.ti (OMISSIS) avevano fatto pervenire al COA di Perugia una nota con cui ritenevano di qualificare come domanda di iscrizione la notificazione al medesimo COA – avvenuta il 16.5.12 – della costituzione della societa’.

Ne’ con il ricorso al CNF si e’ specificamente censurato o confutato tale rilievo, sicche’ la doglianza si palesa inammissibile perche’ nuova.

Pertanto, l’unico atto che potrebbe considerarsi equipollente ad una domanda di iscrizione sarebbe la nota presentata il 3.4.13, in epoca in cui era gia’ entrata in vigore la nuova legge professionale, che esclude che l’iscrizione possa perfezionarsi mediante silenzio assenso.

Ne’ tale nota puo’ retrodatare la decorrenza dell’obbligo del COA di pronunciarsi, obbligo sorto soltanto a partire dal 3.4.13.

2.2. La disamina del secondo motivo di ricorso, che merita accoglimento nei sensi di seguito chiariti, va preceduta da un breve excursus (senza pretesa alcuna di esaustivita’) dell’evoluzione legislativa in materia di esercizio in forma associata della professione di avvocato.

2.3. L’esercizio in comune dell’attivita’ professionale fu regolamentato per la prima volta con la L. 23 novembre 1939, n. 1815, che consentiva l’esercizio in forma associata della professione da parte di persone abilitate, ma con l’obbligo di utilizzare esclusivamente la dizione di “studio tecnico, legale, commerciale, contabile, amministrativo o tributario” seguita dal nome e cognome e dai titoli professionali dei singoli associati (articolo 1); ogni diversa forma di esercizio associato di attivita’ professionale era vietato (articolo 2).

Il divieto venne meno soltanto nel 1997 con l’abrogazione della L. n. 1815 del 1939, articolo 2 da parte della L. 7 agosto 1997, n. 266, articolo 24, comma 1, che al comma successivo rinviava la regolamentazione della materia ad un successivo decreto ministeriale, mai emanato (con conseguente permanente incertezza sul modello societario utilizzabile).

L’intera L. n. 1815 del 1939 e’ stata definitivamente abrogata soltanto dalla L. n. 183 del 2011, articolo 10, comma 11, ma prima di allora a disciplinare le societa’ tra avvocati (e non quelle fra altri professionisti) e’ intervenuto il titolo II del Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 96, di attuazione della direttiva comunitaria 98/5/CE, che all’articolo 16 dispone: “L’attivita’ professionale di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio puo’ essere esercitata in forma comune esclusivamente secondo il tipo della societa’ tra professionisti, denominata nel seguito societa’ tra avvocati”. Il relativo modello societario e’ regolato dalle norme sulla societa’ in nome collettivo di cui al capo III del titolo V del libro V del codice civile.

In sintesi, la disciplina introdotta dal Decreto Legislativo n. 96 del 2001 prevede che la societa’ tra avvocati abbia quale oggetto esclusivo l’esercizio in comune della professione da parte dei propri soci (articolo 17), tutti necessariamente in possesso del titolo di avvocato (articolo 21, comma 1); la societa’ deve essere iscritta nel registro delle imprese (nella sezione speciale relativa alle societa’ tra professionisti, con funzione di pubblicita’ notizia) e all’albo degli avvocati, nell’apposita sezione speciale (articoli 16 e 27); la ragione sociale deve contenere l’indicazione di “societa’ tra avvocati” (nota anche con l’acronimo STA); la partecipazione ad una STA e’ incompatibile con la partecipazione ad altra STA (articolo 21, comma 2); l’amministrazione spetta ai soci (a ciascuno di essi disgiuntamente dagli altri, fatta salva eventuale diversa pattuizione) e non puo’ essere affidata a terzi (articolo 23); non e’ soggetta a fallimento (articolo 16, comma 3); ai sensi dell’articolo 24, comma 1, l’incarico professionale conferito alla societa’ tra avvocati puo’ essere eseguito solo da uno o piu’ soci in possesso dei requisiti per l’esercizio dell’attivita’ professionale richiesta; secondo l’articolo 26, comma 1, il socio o i soci incaricati sono personalmente e illimitatamente responsabili per l’attivita’ professionale svolta in esecuzione dell’incarico, mentre la societa’ risponde con il suo patrimonio; e’ sancita anche la responsabilita’ disciplinare della societa’ (ai sensi dell’articolo 30 essa risponde delle violazioni delle norme professionali e deontologiche applicabili all’esercizio in forma individuale della professione forense; se la violazione commessa dal socio e’ ricollegabile a direttive impartite dalla societa’, la responsabilita’ disciplinare del socio concorre con quella della societa’).

Qualche anno dopo, il Decreto Legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, ha eliminato in linea generale il divieto di esercizio professionale di tipo interdisciplinare stabilendo (articolo 2, comma 1) che “In conformita’ al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di liberta’ di circolazione delle persone e dei servizi, nonche’ al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facolta’ di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attivita’ libero professionali e intellettuali: (…) c) il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di societa’ di persone o associazioni tra professionisti, fermo restando che l’oggetto sociale relativo all’attivita’ libero-professionale deve essere esclusivo, che il medesimo professionista non puo’ partecipare a piu’ di una societa’ e che la specifica prestazione deve essere resa da uno o piu’ soci professionisti previamente indicati, sotto la propria personale responsabilita’.”.

La possibilita’ di costituire societa’ di persone multidisciplinari e’ stata poi confermata, sempre in via generale (cioe’ non con specifico riferimento agli avvocati), dalla L. n. 183 del 2011, articolo 10, comma 8, – modificato dal Decreto Legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27. Lo stesso articolo ha poi introdotto ulteriori novita’ nell’intento di favorire la liberalizzazione del fenomeno delle societa’ tra professionisti.

Il comma 3 consente “la costituzione di societa’ per l’esercizio di attivita’ professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dal titolo V e VI del libro V del codice civile”, vale a dire anche secondo i modelli delle societa’ di capitali o cooperative di professionisti con almeno tre soci. Il comma 4 dispone che possono assumere la qualifica di “societa’ tra professionisti” (nota anche con l’acronimo STP) le societa’ il cui atto costitutivo preveda, tra l’altro, l’esercizio in via esclusiva dell’attivita’ professionale da parte dei soci (lettera a), l’ammissione in qualita’ di soci dei soli professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi, anche in differenti sezioni, nonche’ dei cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea, purche’ in possesso del titolo di studio abilitante, ovvero di soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche o per finalita’ di investimento, ma in ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci (lettera b). Sempre il cit. comma 4 prevede che l’esecuzione dell’incarico professionale sia curata solo dai soci in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione professionale richiesta (lettera c). Il comma 5 dispone che la denominazione sociale deve comunque contenere l’indicazione di “societa’ tra professionisti”. Il comma 6 stabilisce l’incompatibilita’ in caso di partecipazione del socio a piu’ STP. Il comma 7 ribadisce l’obbligo dell’osservanza del codice deontologico del proprio ordine da parte dei soci professionisti e la soggezione della STP al regime disciplinare dell’ordine al quale risulta iscritta.

Tuttavia il comma 9 del cit. articolo 10 contiene una clausola di salvaguardia che ha determinato le incertezze interpretative che sono alla base del presente giudizio: “Restano salve le associazioni professionali, nonche’ i diversi modelli societari gia’ vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge.”.

E fra tali modelli societari vi e’ anche quello delineato, specificamente per la professione forense, dal Decreto Legislativo n. 96 del 2001, articoli 16 e ss..

La citata legge n. 183 del 2011 si e’ limitata a dettare disposizioni di principio, demandando (articolo 10, comma 10) l’attuazione delle materie non direttamente da essa disciplinate – ossia quelle di cui ai commi 4, lettera c), 6 e 7) – ad un regolamento da adottarsi dal Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico (tale disciplina attuativa e’ contenuta nel Decreto Ministeriale 8 febbraio 2013, n. 34).

Nelle more dell’emanazione del decreto ministeriale e’ intervenuta la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, la L. n. 247 del 2012, poi modificata – per gli aspetti che in questa sede interessano – dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, articolo 1, comma 141, (v. meglio infra).

Nella sua formulazione originaria la nuova legge professionale si limitava, all’articolo 4, a prevedere che la professione forense potesse essere esercitata individualmente o con la partecipazione ad associazioni tra avvocati, demandando al Governo, con la disposizione delegante contenuta nel successivo articolo 5, la disciplina dell’esercizio della professione forense in forma societaria nel rispetto di principi e criteri direttivi fra i quali annoverava il principio secondo cui l’esercizio della professione forense in forma societaria sarebbe stato consentito esclusivamente a societa’ di persone, societa’ di capitali o societa’ cooperative, i cui soci fossero avvocati iscritti all’albo.

Restava, quindi, esclusa la partecipazione di soci di mero investimento o di soci non abilitati all’esercizio della professione forense.

Inoltre, sempre il cit. articolo 5 inseriva tra i principi e i criteri direttivi della delega anche la previsione che alla societa’ tra avvocati si applicassero, in quanto compatibili, le disposizioni sull’esercizio della professione di avvocato in forma societaria di cui al summenzionato Decreto Legislativo n. 96 del 2001.

In tal modo ne confermava espressamente la vigenza, consentendo di superare i dubbi a riguardo derivanti dal cit. Decreto Legge 4 luglio 2006, n. 223, articolo 2, comma 1, che – con disposizione generale valevole per tutte le libere professioni – aveva abrogato il divieto di fornire all’utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di societa’ di persone o associazioni tra professionisti.

Infine, la L. 4 agosto 2017, n. 124, articolo 1, comma 141, al dichiarato scopo di garantire una maggiore concorrenzialita’ nell’ambito della professione forense, ha modificato le previsioni della legge di riforma dell’ordinamento forense n. 247 del 2012 sulle associazioni tra avvocati e multidisciplinari di cui all’articolo 4 (eliminando il limite della partecipazione dell’avvocato ad una sola associazione) e, previa abrogazione espressa del cit. articolo 5 della legge professionale (che, come detto, conteneva la delega legislativa al Governo per la disciplina dell’esercizio della professione forense in forma societaria, delega poi scaduta), ha nuovamente modificato la disciplina dell’esercizio in forma societaria della professione forense inserendo nella L. n. 247 del 2012 l’articolo 4-bis.

Quest’ultimo conferma l’ammissibilita’ delle societa’ di persone, di capitali o cooperative iscritte in un’apposita sezione speciale dell’albo tenuto dall’ordine territoriale nella cui circoscrizione ha sede la stessa societa’; vieta la partecipazione societaria tramite societa’ fiduciarie, trust o per interposta persona (comma 1) e, al comma 2, lettera a), prevede che “i soci, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere avvocati iscritti all’albo, ovvero avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni; il venire meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della societa’ e il consiglio dell’ordine presso il quale e’ iscritta la societa’ procede alla cancellazione della stessa dall’albo, salvo che la societa’ non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi”.

Si prevede poi che la maggioranza dei membri dell’organo di gestione debba essere composta da soci avvocati (lettera b) e che i componenti dell’organo di gestione non possano essere estranei alla compagine sociale; i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori (lettera c).

Il comma 3 dispone che, anche nel caso di esercizio della professione forense in forma societaria, resta fermo il principio della personalita’ della prestazione professionale. L’incarico puo’ essere svolto soltanto da soci professionisti in possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento della specifica prestazione professionale richiesta dal cliente, i quali assicurano per tutta la durata dell’incarico la piena indipendenza e imparzialita’, dichiarando iniziali o sopravvenuti conflitti di interesse o casi di incompatibilita’.

Il comma 4 ribadisce il concorso della responsabilita’ della societa’ e dei soci con quella del professionista che ha eseguito la specifica prestazione.

Il comma 5 dispone che la sospensione, cancellazione o radiazione del socio dall’albo costituisce causa di esclusione dalla societa’.

Il comma 6 ribadisce, infine, che le societa’ sono in ogni caso tenute al rispetto del codice deontologico forense e sono soggette alla competenza disciplinare dell’ordine di appartenenza.

2.4. Cosi’ ricostruita l’evoluzione normativa in materia, osserva questa Suprema Corte che il rigetto dell’istanza di iscrizione dello (OMISSIS) non e’ predicabile in base all’asserita sopravvivenza dispositiva (sostenuta nella sentenza impugnata) del principio contenuto nella L. n. 247 del 2012, articolo 5 (consentire l’esercizio della professione forense in forma societaria soltanto a societa’ i cui soci siano avvocati iscritti all’albo) e cio’ in virtu’ dell’assorbente rilievo che si tratta di norma ormai espressamente abrogata – come si e’ ricordato – dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, articolo 1, comma 141.

Tale espressa abrogazione supera la rilevanza di ogni ulteriore discorso – che ha impegnato e impegna tuttora la dottrina costituzionalistica – relativo agli effetti producibili dai principi direttivi (non anche dai criteri) contenuti nella legge delega pur a fronte di vana scadenza del termine di esercizio della delega stessa.

Riepilogando, con l’entrata in vigore della L. n. 183 del 2011, articolo 10 e, in particolare, della clausola di salvaguardia contenuta nel relativo comma 9, in tema di societa’ tra professionisti si era determinata la coeva vigenza di due differenti cornici di riferimento, una generale e una speciale.

La prima era contenuta nella L. n. 183 del 2011, articolo 10, comma 4, che prevede la possibilita’ di costituire societa’, anche di capitali, fra professionisti (in genere) e soci non professionisti (sia pure con alcune peculiari disposizioni concernenti i rapporti fra di essi, le maggioranze all’interno della societa’ e l’esercizio dell’attivita’ professionale con i relativi obblighi deontologici).

Tale e’ la disposizione normativa su cui si basa la richiesta di iscrizione all’albo avanzata da parte ricorrente.

La seconda cornice di riferimento era quella di cui al cit. Decreto Legislativo n. 96 del 2001, riferita ai soli avvocati (e non anche ad altri professionisti) e ritenuta ancora vigente grazie alla clausola di salvaguardia contenuta nella L. n. 183 del 2011, articolo 10, comma 9 (“Restano salve le associazioni professionali, nonche’ i diversi modelli societari gia’ vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge.”).

La dizione legislativa era, dunque, chiara nel fare salvi i “modelli societari” (non semplicemente le societa’) gia’ in vigore e, quindi, anche quelli di cui al Decreto Legislativo n. 96 del 2001.

La piu’ restrittiva esegesi suggerita in sede di discussione da parte ricorrente – secondo cui tale clausola di salvaguardia avrebbe avuto l’unico scopo di garantire la validita’ delle societa’ gia’ costituite, escludendo la possibilita’ di costituirne di nuove secondo lo schema predisposto dal Decreto Legislativo n. 96 del 2001 – non solo collide con il tenore testuale della norma (la’ dove parla di “modelli societari” e non semplicemente di societa’), ma soprattutto trascura che non vi sarebbe stato alcun bisogno di specificare la perdurante validita’ delle societa’ gia’ costituite sotto il vigore del suddetto Decreto Legislativo n. 96.

Infatti, non esistono nel nostro ordinamento casi di c.d. nullita’ successiva, ossia nullita’ conseguente a norme che, in deroga al principio generale secondo cui i requisiti di validita’ del negozio devono esistere nel momento in cui lo stesso viene posto in essere, stabiliscano – invece – che i requisiti essenziali debbano esistere alla stregua della legge vigente non solo nel momento genetico, ma anche in quello di produzione degli effetti.

Ne’ con tale figura possono confondersi i casi disciplinati dagli articoli 687, 800, 801 e 803 (revocazione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni) o dagli articoli 610, 615 e 618 c.c. (in tema di testamenti nelle forme speciali), che piu’ esattamente attengono ad ipotesi di mera inefficacia sopravvenuta.

Cio’ detto, la perdurante validita’ dei modelli societari di cui al Decreto Legislativo n. 96 del 2001, articoli 16 e ss. teoricamente poteva dare luogo a due ipotesi ermeneutiche alternative fra loro:

a) pur dopo la L. n. 183 del 2011, articolo 10 l’unico tipo di societa’ tra avvocati sarebbe stato quello di cui alla lex specialis contenuta nel citato Decreto Legislativo n. 96 del 2001 (in tal senso era orientata la prevalente dottrina);

b) oltre a tale tipo di societa’ (note con l’acronimo STA) disciplinato dal cit. Decreto Legislativo n. 96 del 2001, gli avvocati avrebbero potuto altresi’ costituire societa’ tra professionisti (note con l’acronimo STP) ai sensi della L. n. 183 del 2011, articolo 10 e, quindi, societa’ anche di capitali, multidisciplinari e con la presenza di professionisti iscritti in altri albi o di soci di capitale (opinione – questa – di altra autorevole, seppur sostanzialmente isolata, voce di dottrina).

Osserva questa Suprema Corte che, in realta’, l’avverbio “esclusivamente”, contenuto nel cit. Decreto Legislativo n. 96 del 2001, articolo 16, non consentiva per gli avvocati un concorso in via elettiva di entrambi i modelli societari che evitasse il conflitto tra le due norme (articolo 16 cit. e L. n. 183 del 2011, articolo 10).

Tale conclusione era avvalorata anche dalla cit. L. n. 247 del 2012, articolo 5 e dalla L. 21 dicembre 1999, n. 526, articolo 19, norme contenenti delega legislativa al Governo per la regolamentazione dell’esercizio in forma societaria della professione forense con la fissazione del principio direttivo di esclusione dalla compagine sociale di soci non avvocati.

Pertanto, in virtu’ del principio regolatore del conflitto di norme di pari rango secondo il quale lex posterior generalis non derogat priori speciali, doveva necessariamente darsi prevalenza al capo a) dell’alternativa che precede, ossia alla disciplina contenuta nel Decreto Legislativo n. 96 del 2001, con conseguente divieto di STP tra avvocati regolate dalla L. n. 183 del 2011, articolo 10.

Ma, dopo l’ordinanza interlocutoria n. 15278 del 20.6.2017, i termini della questione sono mutati grazie all’avvento della L. n. 247 del 2012, articolo 4-bis (articolo inserito ad opera della L. n. 124 del 2017, articolo 1, comma 141, e poi ulteriormente integrato dalla L. n. 205 del 2017), espressamente dedicato all’esercizio della professione forense in forma societaria, che – come sopra anticipato dettando una compiuta e speciale disciplina delle societa’ tra avvocati, esplicitamente al comma 2 consente anche la partecipazione di soci non avvocati seppur in misura non superiore ad un terzo del capitale sociale.

2.5. In conclusione, prima del cit. articolo 4-bis, unico consentito modello societario tra avvocati era quello di cui al Decreto Legislativo n. 96 del 2001, articoli 16 e ss..

Oggi, invece, il carattere anch’esso speciale dell’articolo 4-bis della legge professionale degli avvocati fa si’ che tale nuova disciplina prevalga sulla (anteriore e) generale disposizione della L. n. 183 del 2011, articolo 10 e sulla parimenti speciale, ma anteriore, disciplina di cui al Decreto Legislativo n. 96 del 2001, articoli 16 e ss..

2.6. La nullita’ della societa’ in oggetto per contrasto con norme imperative, ossia con il Decreto Legislativo n. 96 del 2001, articoli 16 e ss., in vigore al tempo della sua costituzione, non pregiudica l’efficacia degli atti da essa compiuti e cio’ vuoi in forza dell’articolo 20, comma 2, stesso d.lgs., vuoi in forza della giurisprudenza di questa S.C. (cfr., da ultimo e per tutte, Cass. n. 9124/15) secondo cui anche la nullita’ del contratto costitutivo di una societa’ di persone e’ equiparabile, quoad effectum, al suo scioglimento.

Nondimeno, lo ius superveniens di cui al cit. articolo 4-bis in tema di esercizio in forma associata della professione forense, introducendo la nuova disciplina d’un rapporto sociale ancora in corso, va applicato anche d’ufficio in questa sede (gli unici limiti all’applicazione d’uno ius superveniens nel giudizio di legittimita’, che pero’ non vengono in rilievo nel caso di specie, sono quelli del rispetto di eventuali giudicati interni e del divieto di reformatio in peius).

Di conseguenza, si pone la necessita’ di accertare se, in concreto, i connotati della societa’ ricorrente siano compatibili con detto ius superveniens, accertamento cui provvedera’ il giudice di rinvio.

2.6. In conclusione, accolto il secondo motivo di ricorso e rigettato il primo, si cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio al CNF affinche’ – sempre in sede giurisdizionale, ma in diversa composizione – accerti in concreto la compatibilita’ della societa’ in oggetto con il modello societario delineato dalla cit. L. n. 247 del 2012, articolo 4-bis, attenendosi al seguente principio di diritto:

“Dal 1.1.2018 l’esercizio in forma associata della professione forense e’ regolato dalla L. n. 247 del 2012, articolo 4-bis (inserito dalla L. n. 124 del 2017, articolo 1, comma 141, e poi ulteriormente integrato dalla L. n. 205 del 2017), che – sostituendo la previgente disciplina contenuta nel Decreto Legislativo n. 96 del 2001, articoli 16 e ss. – consente la costituzione di societa’ di persone, di capitali o cooperative i cui soci siano, per almeno due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto, avvocati iscritti all’albo, ovvero avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in albi di altre professioni, societa’ il cui organo di gestione deve essere costituito solo da soci e, nella sua maggioranza, da soci avvocati.”.

Si compensano le spese del presente giudizio di legittimita’, considerato che in materia di societa’ tra professionisti (avvocati e non) vi e’ stato un problematico sovrapporsi nel tempo di scelte legislative tra loro non sempre coerenti.

P.Q.M.

accoglie il secondo motivo, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia al Consiglio Nazionale Forense in sede giurisdizionale e in diversa composizione.

Compensa le spese del giudizio di legittimita’.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.