nel caso della concessione abusiva del credito, in tema di fidejussione, va osservato, al riguardo, che la banca che concede finanziamenti al debitore principale, pur conoscendone le difficoltà economiche, fidando nella solvibilità del fideiussore, senza informare quest’ultimo dell’aumentato rischio e senza chiederne la preventiva autorizzazione, incorre in violazione degli obblighi generici e specifici di correttezza e di buona fede contrattuale. La mancata richiesta di autorizzazione non può, difatti, configurare una violazione contrattuale liberatoria solo se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale è comune, o dev’essere presunta tale, come nell’ipotesi in cui debitrice sia una società nella quale il fideiussore ricopre la carica di amministratore o della quale è socio.

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Tribunale|Latina|Sezione 2|Civile|Sentenza|13 febbraio 2020| n. 381

Data udienza 11 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI LATINA

SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Giudice, dott. Gaetano Negro, ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al numero 3617 del ruolo generale degli affari dell’anno 2016, trattenuta in decisione all’udienza del 17.12.2019, all’esito della discussione orale ex art. 281 quinquies comma 2 c.p.c., vertente

tra

GR. S.A.S., in persona del l.r.p.t. – c.f. (…);

SI.SI., in proprio, C.F. (…);

HO.GR., in proprio, C.F. (…)

Tutti elettivamente domiciliati in Terracina in via (…), presso lo studio dell’avv. Ma.Fo. che li rappresenta e difende per procura alle liti allegata agli atti del processo telematico,

– opponenti –

e

DO. S.P.A., NELLA QUALITÀ DI MANDATARIA DI UN. S.P.A, in persona del legale rappresentante p.t. C.F. (…), p. iva (…) elettivamente domiciliata in Latina in via (…), presso l’Avv. Fa.Ta. che la rappresenta e difende per procura generale a rogito del notaio Ma.Ma. in Verona in data 16.9.2010 in atti,

– opposta –

OGGETTO: opposizione a decreto ingiuntivo in materia bancaria.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Si.Si. e Gr.Ho., la prima anche nella qualità di legale rappresentante di GR. S.A.S., hanno proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 795/2016 emesso in data 4 aprile 2016, con il quale questo Tribunale ha ingiunto a GR. S.r.l., quale debitrice principale, ed agli opponenti, quali fideiussori, il pagamento della somma di Euro 100.545,36, oltre interessi e spese in favore di Do. S.p.A. A sostegno dell’opposizione gli attori hanno dedotto: la improcedibilità del ricorso monitorio per mancato esperimento della mediazione obbligatoria prevista ex lege; la mancanza di prova scritta a sostegno della domanda monitoria; la responsabilità contrattuale e precontrattuale dell’istituto di credito per aver concesso il credito oggetto di monitorio pur nella consapevolezza della crisi economica della società finanziata; la ulteriore condotta scorretta dell’istituto di credito per non aver consentito l’accesso informativo sull’andamento del rapporto bancario; l’applicazione di interessi anatocistici e usurari. Sulla scorta di tali rilievi gli opponenti hanno concluso per la revoca del decreto ingiuntivo opposto e per la condanna della controparte al risarcimento del danno veicolato in via riconvenzionale e quantificato in Euro 26.000. Si è costituita in giudizio la Do. S.p.A. svolgendo analitiche controdeduzioni in merito a ciascuna difesa attorea e concludendo per il rigetto dell’opposizione e della domanda di risarcimento del danno.

La causa, istruita unicamente per documenti, è stata assunta in decisione all’udienza del 19.12.2019, all’esito della discussione orale ex art. 281 quinquies comma 2 c.p.c..

2. In via preliminare deve essere respinta l’eccezione di improcedibilità del ricorso monitorio per lo stesso dettato legislativo che esclude il ricorso alla mediazione obbligatoria nei procedimenti monitori, salvo allorquando viene introdotta l’istanza ex art. 648 c.p.c. (cfr. art. 5 comma 4 lett. a) d.lg 28/10). Tale istanza, introdotta alla prima udienza del 2.3.2017, è comunque stata preceduta dalla mediazione obbligatoria per iniziativa di parte opponente.

2.1. Meritano, invece, più analitiche osservazioni le doglianze attinenti l’insufficienza probatoria dei documenti versati dall’istituto di credito opposto a sostegno della propria pretesa creditoria.

Con il ricorso per decreto ingiuntivo la DO. S.p.A. quale procuratrice speciale di Un. S.p.A. ha, infatti, agito al fine di ottenere il pagamento dell’importo di Euro 85.075,90 quale saldo debitore del conto corrente ordinario n. (…) intrattenuto presso la filiale di Terracina addì 28-8-07e l’importo di 15.469,46 quale saldo debitore del prestito chirografario di Euro 20.000,00 del 13.2.2014.

La banca opposta ha inteso documentare siffatti rapporti contrattuali producendo in relazione al primo la scrittura in data 28.8.2007 del fascicolo del monitorio e, in relazione al secondo, il contratto di mutuo dell’importo di Euro 20.000 in data 13.02.2014 con il correlato documento di sintesi in pari data.

Un. ha, inoltre, prodotto la certificazione ex art. 50 t.u.b. tanto del conto n. (…) quanto del prestito chirografario.

Ha inoltre prodotto i contratti di fidejussione della Si. e dell’Ho. del 13.2.2014.

Nell’atto di citazione in opposizione questi ultimi hanno, tuttavia, contestato, tra l’altro, la mancata prova della comunicazione degli estratti conto e altresì la preclusione all’accesso sull’andamento dei rapporti bancari descritti.

Cionondimeno, dal punto di vista probatorio, deve osservarsi che la opposta ha prodotto in sede di giudizio ex art. 645 c.p.c. tutti gli estratti conto analitici relativi all’intero rapporto, ovvero degli unici documenti capaci di spiegare efficacia probatoria, salvo prova contraria, ai fini della sussistenza del credito, anche nei confronti dei fideiussori del correntista.

2.2 Per quel che concerne il silenzio dell’istituto di credito sulla richiesta documentata di accesso agli estratti di conto corrente, occorre precisare quanto segue. A riguardo, l’art. 119 TUB – come modificato prima dall’art. 24, comma 2, D.Lgs. 9 agosto 1999, n. 342 e poi interamente sostituito dall’articolo 4 del D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141 – pone l’obbligo a carico della banca di fornire al cliente “in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente stesso”, alla scadenza del contratto e comunque almeno una volta all’anno, una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto. Per i rapporti regolati in conto corrente poi, il comma 2 precisa che l’estratto conto deve essere inviato al cliente “con periodicità annuale o, a scelta del cliente, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile”, mentre il comma 3 soggiunge che gli estratti conto e le altre comunicazioni periodiche alla clientela si intendono approvati trascorsi sessanta giorni dal ricevimento, in mancanza di opposizione per iscritto.

Si tratta di un diritto soggettivo autonomo, il quale trova fondamento nei doveri di solidarietà e negli obblighi di comportamento secondo buona fede nell’esecuzione del rapporto, da interpretare, alla luce del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), nel senso che esso attribuisce ai suddetti soggetti il diritto di ottenere la documentazione inerente a tutte le operazioni del periodo a cui il richiedente sia in concreto interessato.

La giurisprudenza della Suprema Corte ha già avuto modo di precisare che questa norma riconosce al cliente della banca il diritto di ottenere la documentazione inerente a tutte le operazioni del periodo a cui il richiedente sia in concreto interessato, nel rispetto del limite di tempo decennale fissato dalla norma, e che comunque non è necessario che il richiedente indichi specificamente gli estremi del rapporto a cui si riferisce la documentazione richiesta in copia, essendo sufficiente che l’interessato fornisca alla banca gli elementi minimi indispensabili per consentirle l’individuazione dei documenti richiesti, quali, ad esempio, i dati concernenti il soggetto titolare del rapporto, il tipo di rapporto a cui è correlata la richiesta e il periodo di tempo entro il quale le operazioni da documentare si sono svolte, (Cass. sez. I, 15 marzo 2016, n. 5091; Cass. sez. I, 12 maggio 2006, n. 11004).

Ne deriva che, pur ammettendo, che tale richiesta sia intervenuta, e che l’istituto di credito sia rimasto inerte, tale situazione di fatto deve essere ovviata con l’ordine di esibizione documentale ex art. 210 c.p.c. e la eventuale successiva ctu contabile (cfr. Cass. 5091/16 cit.)

E’ destituito pertanto di fondamento sia il rilievo della improcedibilità del ricorso per mancata prova della comunicazione degli estratti conto, sia il rilievo risarcitorio collegato alla violazione del diritto informativo illustrato; quest’ultimo, in astratto fondato, posto che l’istituto di credito non ha dimostrato di aver adempiuto alla richiesta scritta in tal senso del 14.10.15. Tali allegazioni non costituiscono tuttavia, nella fattispecie in giudizio, evento di danno risarcibile posto che l’esercizio del diritto di difesa degli opponenti poteva essere effettivamente esercitato (cfr. art. 24, 111 Cost.) mediante la richiesta di esibizione documentale ex. art. 210 c.p.c. nel corso del presente giudizio. Né d’altro canto la difesa attorea ha precisato ulteriori profili di afflittività nell’esercizio del diritto di difesa, dovendosi a contrario rilevare che tutti gli estratti conto erano esaminabili sin dalla costituzione della DO. (cfr. allegati telematici al ricorso). Non derivano pertanto ostacoli al diritto di difesa, ben potendosi articolare analitiche doglianze contro tali documenti. Il rilievo della necessità della ctu, siccome reiterato negli atti conclusionali, è erroneo, non potendosi disporre ctu esplorative anche in quelle di natura percipiente (cfr. sul tema Sezioni Unite 9522/96 e Cass. civ. 6502/01).

2.3 Venendo, quindi, alla prova del credito oggetto di giudizio, costituisce, invero, principio consolidato in giurisprudenza che in tema di prova del credito fornita da un istituto bancario nel procedimento monitorio e nel successivo giudizio contenzioso di opposizione, vada distinto l’estratto di saldaconto – dichiarazione unilaterale di un funzionario della banca creditrice accompagnata dalla certificazione della sua conformità alle scritture contabili e da un’attestazione di verità e di liquidità del credito – dall’ordinario estratto conto – funzionale a certificare le movimentazioni debitorie e creditorie intervenute, con le condizioni attive e passive applicate dalla banca – poiché il saldaconto riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall’istituto, mentre l’estratto conto, trascorso il debito periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente.

Con la conseguenza che non può ritenersi assolto l’onere probatorio da parte dell’istituto di credito ove lo stesso ometta di produrre gli estratti conto nel giudizio di opposizione, non essendo sufficiente il mero riferimento, negli atti di causa, all’invio dei medesimi al cliente e alla ricezione e non contestazione di essi da parte del debitore (Cass. n. 12233/2003; Cass. n. 11749/2006).

Ciò in quanto ai sensi dell’art. 1832 c.c. la mancata contestazione dell’estratto conto e la connessa implicita approvazione delle operazioni in esso annotate riguardano gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, nonché la verità contabile, storica e di fatto delle operazioni annotate, ma non impediscono la formulazione di censure concernenti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti (Cass. n. 11626/2011; Cass. n. 3574/2011).

2.4. Nel caso di specie l’onere probatorio della banca deve ritenersi sussistente in quanto, alla stregua della documentazione in atti, e, segnatamente del contratto di conto corrente e del mutuo chirografario non agevolato di Euro 20.000, risulta pienamente adempiuto l’Onere di provare l’andamento del rapporto sin dalla sua origine (cfr. Cass. civ., 23974/10: cd. onere di conservazione della documentazione). La mancata prova della comunicazione periodica di tali estratti conto non ha precluso in ogni caso agli opponenti di svolgere specifiche doglianze dopo l’ostensione in giudizio dei medesimi.

Si ritiene in definitiva che l’istituto di credito abbia offerto valida prova dei fatti costitutivi del credito e, in particolare, delle operazioni bancarie che hanno condotto alla determinazione dei saldi negativi.

Va, sul punto, evidenziato che parte opposta sin dalla costituzione nella presente fase di giudizio ha puntualmente allegato tutti i contratti oggetto di giudizio e il loro andamento analitico nel tempo.

Alla luce delle considerazioni che precedono la documentazione versata dalla banca opposta può ritenersi idonea a comprovare il credito azionato.

2.5 Deve pure essere disatteso il rilievo concernente la capitalizzazione degli interessi passivi.

Pur condividendosi pienamente il nuovo indirizzo interpretativo inaugurato recentemente dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (sentenze n. 21095/2004; n. 24418/2010) – sintetizzabile nell’affermazione dell’illegittimità del fenomeno della capitalizzazione trimestrale degli interessi in materia bancaria, in quanto prassi contraria alla norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. e non trasfusa in un uso normativo con conseguente nullità ex tunc ex artt. 1283, 1284, 1419 c.c. delle clausole negoziali di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi – si rileva, infatti, che il rapporto bancario cristallizzato nel conto corrente si sottrae al principio appena enunciato in quanto instaurato in data 28.8.2007 e, dunque, temporalmente ricadente sotto il regime della delibera del C.I.C.R. del 9.2.2000, pubblicata in G.U. il 22.2.2000 ed entrata in vigore, ai sensi dell’art. 8 della medesima delibera, il 22.4.2000.

Il rapporto di conto corrente dedotto in giudizio appare conforme alla disposizione della deliberazione del C.I.C.R. (art. 2) – che detta le condizioni di validità della capitalizzazione periodica degli interessi debitori – in quanto in esso è stata prevista identica periodicità (trimestrale) nella contabilizzazione degli interessi attivi e passivi (cfr. l’art. 8.2. delle “norme che regolano i conti correnti di corrispondenza” sottoscritte dalla correntista, e prodotte dalla banca sin dalla fase monitoria, che dispone “I rapporti di dare ed avere relativi ai conti creditori e debitori vengono chiusi contabilmente con identica periodicità trimestrale a fine marzo, giugno, settembre e dicembre (…)”).

Con riguardo alla portata della deliberazione del C.I.C.R., pare sufficiente richiamare la recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 341/2007 con cui sono stati definitivamente fugati i dubbi di costituzionalità relativi all’art. 25, c. 2 del D.Lgs. n. 342/1999 – che ha inserito nell’art. 120 T.U.B. il seguente comma 2: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”.

Ciò posto, dall’esame degli estratti va rilevato che il regime della capitalizzazione conto prodotti, per il calcolo degli interessi attivi e passivi, è stato applicato con identica periodicità.

2.6 Con riferimento alla doglianza di usurarietà dei tassi applicati in concreto dall’istituto di credito, anche tale questione è infondata.

Va, infatti, richiamato il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, in tema di tasso di riferimento degli interessi, è inammissibile l’eccezione con la quale si deduca la violazione di decreti ministeriali determinativi del suddetto tasso, allorché essi non risultino acquisiti agli atti del giudizio, in quanto la loro natura di atti amministrativi rende inapplicabile il principio jura novit curia, di cui all’art. 113 c.p.c., che va coordinato con l’art. 1 delle disp. prel. al c.c., il quale non comprende detti atti nelle fonti del diritto (Cass. n. 8742/2001).

2.7 Venendo alla doglianza oggetto di domanda riconvenzionale, il tema dell’abusiva concessione del credito bancario nella dedotta consapevolezza della situazione di decozione in cui versava la società finanziata, occorre precisare quanto segue.

In via generale, sul punto, parte opponente ha dedotto la violazione del principio di buona fede. La giurisprudenza di legittimità ha, al riguardo, affermato che i principi di buona fede e correttezza sono previsti dal codice civile con riferimento alla fase dello svolgimento delle trattative contrattuali (art. 1337), a quella dell’interpretazione del contratto (art. 1366) ed a quella della sua esecuzione (art. 1375), sicché la violazione dell’obbligo di attenervisi, sebbene possa esser fonte di responsabilità risarcitoria, non inficia il contenuto del contratto con il quale le parti abbiano composto i rispettivi interessi, nel senso che, ove non venga in rilievo una causa di nullità o di annullabilità del contratto medesimo specificamente stabilita dal legislatore, tali vizi invalidanti non sono invocabili a fronte della inadeguatezza delle clausole pattuite a garantire l’equilibrio delle prestazioni o le aspettative economiche di uno dei contraenti (Cass. n. 25047/2009).

Sul punto le Sezioni Unite della Cassazione hanno fortemente limitato la risarcibilità della concessione abusiva del credito (cfr. Cass. Sezioni Unite civili 7029/06)

Cionondimeno, nel caso della concessione abusiva del credito in tema di fidejussione, più di recente la Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ. 16827/16) ha chiarito che: “va osservato, al riguardo, che la banca che concede finanziamenti al debitore principale, pur conoscendone le difficoltà economiche, fidando nella solvibilità del fideiussore, senza informare quest’ultimo dell’aumentato rischio e senza chiederne la preventiva autorizzazione, incorre in violazione degli obblighi generici e specifici di correttezza e di buona fede contrattuale. La mancata richiesta di autorizzazione non può, difatti, configurare una violazione contrattuale liberatoria solo se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale è comune, o dev’essere presunta tale, come nell’ipotesi in cui debitrice sia una società nella quale il fideiussore ricopre la carica di amministratore o della quale è socio (Cass. 12456/1997; 7587/2001; 3761/2006).

In particolare, nel caso – omissis – di fideiussione per obbligazione futura (art. 1938 c.c.), la garanzia fideiussoria è nulla ogni qual volta il comportamento della banca beneficiaria della fideiussione non sia improntato, nei confronti del fideiussore, al rispetto dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto. Il che si verifica quando la nuova concessione di credito sia avvenuta nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debitore principale, si che possa ritenersi che la banca abbia agito nella consapevolezza di un’irreversibile situazione di insolvenza e, quindi, senza la dovuta attenzione anche all’interesse del fideiussore. (Cass. 394/2006; 11979/2013).

Ciò premesso, perché possa riconoscersi l’illecito aquiliano delineato, occorre, in omaggio al tema dell’onere della prova degli illeciti aquiliani, che l’evento di danno sia dimostrato in tutte le sue componenti (soggettive e oggettive – dolo, colpa, nesso di causalità tra la concessione del finanziamento e l’accertata consapevolezza della decozione della finanziata). Deve, inoltre, declinarsi tale prova nell’ambito precontrattuale, mediante la allegazione di specifiche omissioni di analisi finanziarie preventive della finanziata (cfr. art. 124 e ss. TUB), e nell’ambito ex art. 1375 c.c. mediante la puntuale dimostrazione della sopravvenuta conoscenza della decozione della finanziata stessa.

Sul punto, invero, è stata prodotta una relazione tecnica di parte opponente (in allegato alla II memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c.), dove per la prima volta vengono enunciate circostanze fattuali denotative dell’evento di danno lamentato (aggravamento della decozione della finanziata, in violazione delle preclusioni assertive ex art. 183 comma 6 c.p.c.).

Tali deduzioni dovevano, al più tardi essere dedotte, invece, nella I memoria 183 comma 6 c.p.c. (del tutto omessa) con irrimediabile loro tardività (cd. emendatio libelli).

Anche l’evento di danno consistito nella dedotta opposizione della Banca alla ostensione dei dati informativi sull’andamento del rapporto è rimasta priva di afflittività, posto che seppure una richiesta di accesso appare documentata dalla produzione di email tra il 14.10.2015 e il 16.1.2016, in ogni caso in tale evenienza è consentito il rimedio processuale ex art. 210 c.p.c. (cfr. sul punto Cass. civ. 19475/05, Cass. civ. 4764/08, Trib. Marsala 4/2/2015 n. 390).

3. Va infine d’ufficio rilevata la novità della domanda in ordine alla contestazione della natura della fidejussione, in quanto non introdotta entro il termine ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. Si è in presenza di una nuova domanda quando muta l’indagine ponendo alla difesa avversaria d’improvviso argomenti nuovi (cfr. sul tema Cass. civ. 19958/13). Le domande nuove non sono delibabili dal giudice, anche quando la novità non viene espressamente contestata in omaggio ad esigenze pubblicistiche di concentrazione e speditezza dell’attività processuale (cfr. Cass. civ. 9875/05, Cass. 23127/04).

4. Alla soccombenza dell’opponente – derivante dal mancato accoglimento delle doglianze sulla prova scritta del credito avversario e dal rigetto della domanda riconvenzionale risarcitoria – consegue la condanna alle spese di lite che devono essere quantificate secondo gli importi ex dm 55/14 come aggiornati dal DM n. 37 dell’8/3/2018, senza la fase istruttoria in quanto non tenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

rigetta l’opposizione svolta da GR. SAS di Si.Si., quest’ultima anche in proprio, e da Ho.Gr., e per l’effetto conferma il decreto ingiuntivo n. 795/16 emesso da questo Tribunale addì 1.4.2016 e comunicato il 4.4.2016;

respinge la domanda di risarcimento del danno proposta dagli opponenti;

condanna parte opponente alla refusione delle spese di lite in favore della opposta, che liquida in complessivi Euro 4.015,00 oltre iva, cpa, spese generali, dovute per legge.

Così deciso in Latina l’11 febbraio 2020.

Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.