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In tema di fideiussione per obbligazioni future, per l’applicazione dell’art. 1956 c.c. (a mente del quale il fideiussore è liberato in caso di finanziamenti al terzo nonostante il sopravvenuto deterioramento delle sue condizioni economiche, conosciuto dal creditore), devono ricorrere sia il requisito oggettivo della concessione di un ulteriore finanziamento successivo al deterioramento delle condizioni economiche del debitore e sopravvenuto alla prestazione della garanzia, sia quello soggettivo della consapevolezza del creditore del mutamento delle condizioni economiche del debitore, raffrontate a quelle esistenti all’atto della costituzione del rapporto; a tal fine, è onere della parte che la invoca provare gli elementi della fattispecie normativa di cui al predetto art. 1956, mentre vanno ricomprese nell’ambito delle semplici deduzioni difensive le osservazioni della controparte che si limitano a sostenere l’inesistenza di tali fatti.

 

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Tribunale Pordenone, civile Sentenza 26 giugno 2018, n. 511

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL TRIBUNALE DI PORDENONE

in persona del Giudice dr. Piero Leanza ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 5081/2014 di Ruolo Generale vertente

tra

(…) S.R.L., (…), (…) e (…) – rappresentati e difesi, come da mandato in atti, dall’avv. DE.GI. ((…)) e dall’avv. GU.RA. ((…)) e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. MI.AN. ((…)) in Pordenone;

– parte attrice – opponente –

e

(…) DEL (…) – (…) S.C.((…)) – rappresentata e difesa, come da mandato in atti, dall’avv. CE.AL. ((…)) e dall’avv. GE.SU. ((…)), con domicilio eletto presso il loro studio in Portogruaro

– parte convenuta – opposta –

Oggetto: Opposizione a decreto ingiuntivo n. 1765/14 – Bancari

MOTIVI DELLA DECISIONE

Si omette l’analitica esposizione dello svolgimento del processo, non più prevista dall’art. 132, n. 4, c.p.c., in seguito alle modifiche apportate dall’art. 45, comma 17, L. n. 69 del 2009, e si procede alla concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, ai sensi degli artt. 132, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c.

Con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo n. 1765/14 il Tribunale di Pordenone ordinava agli odierni opponenti (…) s.r.l ed a (…), (…) e (…) (quali eredi del defunto (…)), in solido fra loro, di pagare in favore della Banca odierna opposta la somma di Euro 22.519,22, oltre interessi e competenze, per quanto dovuto in virtù dell’affidamento concesso dalla Banca ad (…) s.r.l. e della fideiussione concessa in favore di questo dal de cuius sig. (…).

Con atto di citazione ritualmente notificato gli ingiunti proponevano opposizione al decreto ingiuntivo, deducendo l’invalidità del procedimento monitorio e la nullità del decreto ingiuntivo, la nullità o giuridica inesistenza del contratto fideiussorio, la presenza di tassi extra soglia nel contratto di fido bancario, la violazione dell’art. 2697 c.c., la violazione del dovere di correttezza e di buona fede contrattuale, la responsabilità della banca per concessione abusiva del credito e l’indeterminatezza del credito. Chiedevano pertanto la revoca del decreto ingiuntivo, con vittoria di spese.

Si costitutiva in giudizio la Banca opposta, contestando – per i motivi specificamente indicati in comparsa di risposta e qui da intendersi richiamati – tutti gli assunti attorei e chiedendone il rigetto, con conferma del decreto ingiuntivo e con vittoria di spese.

Respinta dal precedente g.i. l’istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo, depositate memorie autorizzate ai sensi dell’art. 183 6 comma c.p.c.ed istruita la causa mediante c.t.u. contabile, intervenuto nelle more del giudizio il mutamento del giudice assegnatario, la causa veniva da ultimo trattenuta in decisone sulle conclusioni riportate in epigrafe, previa concessione dei termini per le comparse conclusionali e di replica ex art. 190 c.p.c.

Va preliminarmente rilevato, con riferimento alla doglianza di parte opponente in relazione alla provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo, che sulla stessa si è già pronunciato il g.i. alla prima udienza, respingendo la richiesta di sospensione, sicché non v’è luogo a provvedere sul punto.

Nel merito, l’opposizione è infondata e andrà pertanto respinta, per i motivi appresso indicati.

Il decreto ingiuntivo opposto ha ad oggetto le somme risultanti a debito dal fido in conto corrente aperto da (…) S.r.l. presso la Banca convenuta, garantito dalla fidejussione del signor (…).

In seguito al decesso di questi (in data 16.4.2009), gli eredi (…), (…) e (…) rispondono del debito del loro dante causa per l’intero, ai sensi dell’art. 3 del contratto di fideiussione stipulato dal dante causa, secondo cui “le obbligazioni derivanti dalla fidejussione sono solidali e indivisibili anche nei confronti dei successori o aventi causa”.

Il decreto ingiuntivo è un accertamento anticipatorio e, radicatosi il contraddittorio a seguito della proposizione dell’opposizione, si instaura un giudizio a cognizione piena caratterizzato dalle ordinarie regole processuali (art. 645, 2 comma, c.p.c.) anche in relazione al regime dell’onere della prova (cfr., ex multis, Cass. 17371/2003), con la conseguenza che oggetto del giudizio di opposizione non è la valutazione di legittimità o di validità del decreto ingiuntivo opposto, ma piuttosto la fondatezza nel merito della pretesa creditoria azionata in via monitoria, con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della sentenza (cfr. Cass. 15026/2005; Cass. 6663/2002).

In base ai principi generali in materia di adempimento, il creditore che agisce per l’adempimento del suo credito è tenuto unicamente a fornire la prova del rapporto o del titolo da cui deriva il suo diritto e della scadenza del termine per l’adempimento, ma non anche a provare il mancato pagamento, che va solo allegato, con la conseguenza che – poiché il pagamento integra un fatto estintivo dell’obbligazione – la relativa prova incombe sul debitore che l’eccepisce, al pari della prova di eventuali fatti modificativi o impeditivi (cfr. Cass. Sez. Un. 13533/2001; Cass. 15677/2009; Cass. 15659/2011; Cass. 7530/2012).

Il provvedimento monitorio è stato ritualmente emesso sulla base degli estratti conto certificati, ai sensi dell’art. 50, D.Lgs. n. 385 del 1993 (T.U.B.).

Nel presente giudizio di opposizione, la prova del credito in capo alla Banca risulta, oltre che da detta documentazione, dagli estratti conto periodici inviati e non contestati dal correntista, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 119 T.U.B., da cui risultano movimenti e saldo (cfr., in tema, Cass. 26318/2008; Cass. 12233/2003; Cass. 2751/2002), nonché dal contratto di fideiussione sottoscritto dal de cuius e dante causa degli odierni opponenti (doc. 6 della fase monitoria).

Con riferimento a quest’ultimo, va rilevato che gli opponenti rispondono del relativo debito nella qualità di eredi, sicché risulta irrilevante la circostanza che ad essi venne consegnata o meno una copia della fideiussione.

Altresì infondato è l’assunto di parte opponente secondo cui i fideiussori sarebbero liberati da qualsiasi obbligazione derivante dal contratto di fideiussione, ai sensi dell’art. 1956 c.c., per avere la Banca continuato a concedere credito al garantito pur essendo a conoscenza del deterioramento della sua solidità finanziaria e della conseguente maggiore difficoltà di soddisfacimento del proprio credito.

Ed invero, come ribadito da condivisibile giurisprudenza di legittimità: “In tema di fideiussione per obbligazioni future, per l’applicazione dell’art. 1956 c.c. (a mente del quale il fideiussore è liberato in caso di finanziamenti al terzo nonostante il sopravvenuto deterioramento delle sue condizioni economiche, conosciuto dal creditore), devono ricorrere sia il requisito oggettivo della concessione di un ulteriore finanziamento successivo al deterioramento delle condizioni economiche del debitore e sopravvenuto alla prestazione della garanzia, sia quello soggettivo della consapevolezza del creditore del mutamento delle condizioni economiche del debitore, raffrontate a quelle esistenti all’atto della costituzione del rapporto; a tal fine, è onere della parte che la invoca provare gli elementi della fattispecie normativa di cui al predetto art. 1956, mentre vanno ricomprese nell’ambito delle semplici deduzioni difensive le osservazioni della controparte che si limitano a sostenere l’inesistenza di tali fatti” (Cass. 10870/2005). Nello stesso senso, più di recente: “Il fideiussore che chieda la liberazione della garanzia prestata invocando l’applicazione dell’art. 1956 c.c. ha l’onere di provare, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’esistenza degli elementi richiesti a tal fine, e cioè che, successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche” (Cass. 23422/2016; conforme: Cass. 2524/2006).

Nella specie, gli opponenti non hanno fornito prova né dell’esistenza di un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle esistenti al momento della nascita del rapporto, né – soprattutto – che la Banca ne fosse a conoscenza prima della revoca della linea di credito.

Infondata è infine la contestazione di parte opponente, sollevata peraltro tardivamente, relativa alla presenza, nel contratto di fideiussione per cui è causa, della sola firma del fideiussore e dell’assenza della firma della Banca.

Va invero osservato che, pur a prescindere dal rilievo che nel contratto di fideiussione l’impegno è assunto unilateralmente dal garante, dalla copia del contratto prodotto dall’opposta (doc. 6 della fase monitoria) risultano apposti in calce a sinistra (sia nel contratto che nel ‘documento di sintesi’), dopo le sottoscrizioni del cliente, un timbro della Banca ed una sigla apposta a penna.

In ogni caso, in applicazione dei principi generali affermati dalla giurisprudenza di legittimità e da ultimo ribaditi dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. 898/2018) in materia di contratti bancari, deve ritenersi sufficiente, anche nella specie, la sola sottoscrizione del cliente, purché il contratto sia redatto in forma scritta e ne sia consegnata a questi una copia da parte della Banca, non essendo necessaria anche la sottoscrizione dell’istituto, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti.

Non avendo gli opponenti provato un’eventuale rinuncia all’eredità, gli stessi rispondono, quali successori universali, per il debito del loro dante causa.

Nel corso del giudizio è stato nominato consulente tecnico d’ufficio il rag. (…), al quale è stato conferito l’incarico di determinare i rapporti di dare – avere tra le parti, con particolare riferimento a quanto indicato nel punto 3) dell’opposizione ed alla presenza di usura.

Il consulente tecnico, in esito ad indagini sorrette da motivazione congrua ed esente da vizi logici, ha rassegnato le seguenti conclusioni, le quali vanno in questa sede condivise.

Premesso che la società (…) s.r.l. ha acceso in data 9.2.2006, presso la Banca convenuta, di un unico conto corrente (n. (…)), con anticipazioni concesse dalla banca ed utilizzabili dal cliente mediante apertura di credito bancario ordinario e anticipazione s.b.f., il rag. (:..) ha precisato che “si è reso necessario procedere ad elaborare separatamente le due linee di credito, distinguendo il rapporto n. (…) tra utilizzo ordinario ed extra fido e utilizzo anticipi-s.b.f., in modo da individuare a quale categoria di operazioni riferire i numeri debitori calcolati, le spese addebitate ed i tassi di interessi applicati così come rinvenibili dagli scalari” (pag. 4).

Ha quindi dato atto che tra i documenti di causa risultano depositati la lettera di apertura di conto corrente (rapporto n. (…)) datata 9.2.2006, sottoscritta da (…) S.r.l. (doc. 3), con allegate le annesse condizioni economiche, nonché tutti i documenti di sintesi e le proposte di modifiche unilaterali del rapporto con le evidenze delle linee di credito (di cassa e s.b.f.) tempo per tempo in essere, precisando che “per tutti i trimestri sono stati depositati i conti scalari, ad eccezione dell’ultimo periodo (30.09.2014 – 18.11.2014) in cui si realizza il passaggio a sofferenza per la somma di Euro 23.786,76” (pag. 5).

Quanto alla metodologia utilizzata per la verifica dell’esistenza di un eventuale superamento della soglia del tasso d’usura, il c.t.u. ha evidenziato di avere utilizzato un duplice metodo per il calcolo del T.E.G. (tasso effettivo globale), in considerazione dell’arco temporale oggetto della relazione (dal 1 trimestre 2006 al 3 trimestre 2014ttivo Globale (T.E.G.): “a) la metodologia di calcolo della (…) prevista nelle istruzioni 2002-2006, integrate con la nota del 2 dicembre 2005 prot. n. (…), in vigore fino al 31.12.2009; b) la metodologia di calcolo della (…) prevista nelle istruzioni dell’agosto 2009, emanate in seguito all’applicazione dell’art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008 convertito con L. n. 2 del 28 gennaio 2009, che prevedono la rilevazione della c.m.s. ai fini del calcolo del TEGM a partire dal 3 trimestre 2009 con decorrenza dal 01.01.2010” (pag. 8).

Il perito ha quindi concluso nel senso che “non si sono mai individuati interessi superiori al tasso soglia usura di cui alla L. n. 108 del 1996 né sulla linea di fido ordinario né sulla linea di fido s.b.f.” (v. tabelle n. 2 e 4 allegate alla relazione peritale finale, depositata il 5.7.2017), escludendo altresì la presenza di clausole anatocistiche nulle.

Va infine rilevato che il c.t.u. ha effettuato anche alcuni calcoli relativi a “c.m.s. e ulteriori remunerazioni per la messa a disposizione dei fondi”, ritenendone la non debenza, pur non essendo tali punti oggetto della citazione in opposizione.

Avendo il c.t.u. escluso la presenza di usura nei rapporti oggetto del presente giudizio e non essendo tali specifiche questioni sollevate dall’opponente, nulla può statuirsi al riguardo, in quanto un’eventuale pronuncia in merito sarebbe ultra petita.

Per quanto sopra, assorbente rispetto alle altre questioni prospettate dalle parti, l’opposizione va respinta e il decreto ingiuntivo confermato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in base alle tariffe di cui al D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore della causa ed applicati i valori medi in ragione dell’attività svolta e della complessità della controversia.

In applicazione dello stesso criterio, le spese di c.t.u. vanno poste definitivamente a carico di parte attrice opponente.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando nella causa n. 5081/2014 R.G., ogni diversa domanda, istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

1. rigetta l’opposizione e, per l’effetto, conferma il decreto ingiuntivo opposto;

2. condanna parte opponente al pagamento, in favore di parte opposta, delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 4.835,00 per compensi, oltre spese forfetarie, i.v.a. e c.p.a. come per legge;

3. pone gli oneri di c.t.u., separatamente liquidati definitivamente a carico di parte opponente.

Così deciso in Pordenone il 12 giugno 2018.

Depositata in Cancelleria il 26 giugno 2018.

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Avv. Umberto Davide

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