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Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed e’ insindacabile in sede di legittimita’, ove non presenti vizi di motivazione.

 

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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Ordinanza 28 giugno 2018, n. 17102

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12362/2014 R.G. proposto da:

(OMISSIS) S.a.s., rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del ricorso dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza della corte d’Appello di Bari n. 49, depositata il 22 gennaio 2014;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15 febbraio 2018 dal Consigliere Giuseppe Tedesco.

FATTO E DIRITTO

Rilevato in fatto:

La presente controversia trae origine dal fatto che in un edificio in condominio la societa’ ricorrente, proprietaria di un locale al piano terreno, adibito a pub, aveva appoggiato una canna fumaria al muro condominiale a distanza minore di tre metri dal balcone dell’appartamento degli odierni resistenti, proprietari di un’unita’ immobiliare compresa nel medesimo edificio.

La Corte d’Appello di Bari ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva ordinato la rimozione della canna fumaria.

Per la cassazione della sentenza la societa’ (OMISSIS) S.a.s. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Ambedue le parti hanno depositato memoria.

Considerato in diritto:

1. La corte d’appello ha riconosciuto che la canna fumaria costituiva costruzione, facendo discendere da tale qualificazione l’applicabilita’ dell’articolo 907 c.c..

Secondo la corte di merito, se la distanza prevista dalla norma non e’ osservata, non c’e’ spazio per una valutazione discrezionale in ordine all’entita’ della limitazione che ne deriva alla veduta del vicino.

Tale ratio decidendi e’ oggetto del primo motivo di ricorso, con il quale si sostiene al contrario che l’applicazione dell’articolo 907 cit., non e’ automatica, ma implica esattamente quella valutazione discrezionale, di incidenza del manufatto sulla veduta, che la corte d’appello ha ritenuto di non fare.

La corte d’appello ha inoltre affermato che non poteva applicarsi al conflitto inter partes l’articolo 1102 c.c..

Tale ragione del decidere e’ oggetto del secondo motivo.

La ricorrente sostiene che la corte d’appello, prima di negare l’applicabilita’ della norma in base al rilievo che la canna fumaria, al pari dell’appartamento dei ricorrenti, costituiva oggetto di proprieta’ esclusiva, avrebbe dovuto chiedersi se l’appoggio della canna fumaria non costituisse legittimo uso della cosa comune da parte del condomino, in conformita’ ai consolidati principi giurisprudenziali in materia di condominio.

La corte d’appello ha infine riconosciuto che la canna fumaria pregiudicava il decoro architettonico dell’edificio, in base al rilievo che essa “larga cm 30 e altra oltre tredici metri e’ inserzione architettonica di rilevante impatto, capace di interferire negativamente pur sui modesti canoni architettonici espressi dall’edificio, cosi’ come appare nelle fotografie in atti di prime cure di parte appellante”.

Tale ragione della decisione e’ oggetto del terzo motivo.

2. Si impone in via prioritaria l’esame del terzo motivo, che e’ infondato perche’ volto evidentemente a censurare una valutazione di merito insindacabile in cassazione.

“Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed e’ insindacabile in sede di legittimita’, ove non presenti vizi di motivazione (Cass. 10350/2011)”.

Nello stesso tempo, l’apprezzamento compiuto su questo punto dalla corte d’appello si atteggia quale autonoma ratio decidendi, suscettibile di giustificare da sola la decisione, conseguendone pertanto l’inammissibilita’ degli altri motivi, in applicazione del principio secondo il quale “qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralita’ di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitivita’ delle altre, alla cassazione della decisione stessa” (Cass. n. 2108/2012).

3. In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto l’articolo 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 2.700,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge;

dichiara ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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Avv. Umberto Davide

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