la liquidazione equitativa del danno, ai sensi dell’art. 1226 c.c., presuppone che il pregiudizio economico del quale la parte reclama il risarcimento, sia certo nella sua esistenza ontologica, mentre se tale certezza non sussiste, il giudice non può procedere alla quantificazione del danno in via equitativa, non sottraendosi tale ipotesi all’applicazione del principio dell’onere della prova quale regola del giudizio, secondo il quale se l’attore non ha fornito la prova del suo diritto in giudizio la sua domanda deve essere rigettata.

Tribunale Latina, civile Sentenza 29 marzo 2019, n. 800

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE CIVILE DI LATINA

in composizione monocratica, in persona della dott.ssa Concetta Serino, ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al numero 2234 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2018, trattenuta in decisione all’udienza del 22.1.2019 e vertente

TRA

(…), rappresentato e difeso, in virtù di procura allegata in atti, dall’avv. Fe.Va. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma Via (…),

ATTORE

E

(…) S.P.A.

CONTUMACE

OGGETTO: risarcimento del danno per illegittima segnalazione Centrale Rischi

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, (…) conveniva in giudizio, dinanzi all’intestato Tribunale, la (…) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, deducendo di aver stipulato con quest’ultima, contratto di prestito personale di durata quinquennale.

Lamentava, quindi, che nel 2015 l’istituto di credito aveva segnalato al sistema interbancario la sua morosità e che tali segnalazioni non sono state precedute dal preavviso prescritto dalla normativa di settore, per cui ciò si era per lui tradotto in un danno.

Chiedeva, quindi, al Tribunale: “Piaccia all’Ill. mo Sig. (…) del Tribunale Ordinario di Latina, ogni contraria domanda, eccezione ed istanza disattesa:

a) accertare e dichiarare, per le causali di cui in premessa, la responsabilità della convenuta (…) s.p.a. per le illegittime segnalazioni a sofferenza descritte in narrativa dalla stessa inoltrate, a carico dell’attore (…), presso i Servizi di Informazione Creditizia;

b) condannare, per l’effetto, la convenuta (…) s.p.a. a risarcire all’attore (…) il danno dal medesimo subito per la lesione della sua immagine sociale nella misura di Euro 100.000,00 o nella diversa minor o maggior somma che l’adito Giudicante riterrà giusto ed equo liquidare equitativamente, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto sino al soddisfo”.

Parte convenuta, pur regolarmente evocata in giudizio, non si costituiva, per cui ne veniva dichiarata la contumacia.

Concessi i termini di cui all’art. 183 comma VI c.p.c., a cui ha fatto seguito il mancato deposito delle memorie istruttorie, all’udienza del 22.1.2019 la causa veniva trattenuta in decisione con i termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito della comparsa conclusionale di parte attrice.

La domanda attorea è infondata.

Innanzitutto, occorre rilavare che parte attrice, a fondamento della domanda, ha prodotto documentazione attestante la decisione assunta in data 21.10.2016 dall’Arbitro Bancario e Finanziario di Roma il quale, accertato il mancato assolvimento dell’onere informativo di cui all’art. 4, comma 7, del Codice Deontologico, ha dichiarato l’illegittimità delle segnalazioni effettuate dalla Banca convenuta, ordinandole, pertanto, di provvedere alla loro cancellazione. (All. 1 all’atto di citazione).

Ciò detto va premesso che, in materia analoga al caso di specie, la semplice illegittimità del protesto, pur costituendo un indizio quanto all’esistenza di un danno, da valutare nelle sue diverse articolazioni, non è di per sé sufficiente per la liquidazione del danno medesimo, essendo necessarie la gravità della lesione e la non futilità del pregiudizio conseguente, elementi, questi, che possono essere provati anche mediante presunzioni semplici, fermo restando l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio (Cassazione civile 23 giugno 2010 n. 15224).

Ebbene, già sotto il punto di vista dell’allegazione le asserzioni contenute nell’atto di citazione sono risultate generiche e indimostrate: si osserva, infatti, che la parte si duole di un danno all’immagine sociale in quanto ingiustamente indicata come insolvente.

A parte tali indicazioni del tutto generiche, l’attore ha, inoltre, omesso di dare prova documentale o di richiedere prova orale dei presunti danni incidenti sulla reputazione.

Lo stesso, infatti, si è limitato a depositare raccomandata con la quale il suo legale si rivolgeva alla (…) s.p.a. per chiedere il risarcimento del danno subito in seguito alla illecita iscrizione, ma ha omesso qualsivoglia prova alcuna del danno che lamenta di aver patito e, né, tantomeno, che esso fosse imputabile a tali segnalazioni.

Dunque, la domanda risarcitoria relativamente al danno all’immagine presuntivamente sofferto dall’attore, deve essere rigettata, dal momento che al di fuori dei casi determinati da legge, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente e costituzionalmente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale (cfr. Cass., SSUU, n. 26972/08).

Invero, anche il danno non patrimoniale è danno – conseguenza che doveva essere allegato e provato (cfr. Cass. n. 8827/03, n. 8828/03, n. 16004/03, SSUU n. 26972/08; Sez. VI, n. 2370/14; Cass., Sez. VI – 3, 04/02/2014, n. 2370), mentre, nel caso di specie, manca qualsiasi prova.

Si tenga, poi, presente che anche in caso di illegittima segnalazione a sofferenza alla Centrale Rischi, il danno non può essere ritenuto in re ipsa: può semmai ammettersi che, ai fini del risarcimento, non già il danno, ma la sua prova sia “in re ipsa”, nel senso che gode di facilitazioni agganciate al congegno presuntivo (Cassazione 1931/17).

Anche il danno non patrimoniale non è, poi, un danno risarcibile “in re ipsa”; infatti, ogni qual volta emerga che la notizia lesiva risulti presente nella banca dati della Centrale per un tempo sufficiente a consentirne la percepibilità da parte di coloro che vi hanno accesso, può ritenersi verificata la presunzione di un danno non patrimoniale in capo al segnalato, per la cui determinazione può procedersi in via equitativa.

Ebbene, quindi, deve essere rilevato che, ai fini della risarcibilità del danno, la parte deve allegare non solo l’altrui inadempimento, ma deve anche allegare e provare l’esistenza di una lesione, cioè della riduzione del bene della vita (patrimonio, salute, immagine, ecc.) di cui chiede il ristoro, e la riconducibilità della lesione al fatto del debitore: in ciò appunto consiste il danno risarcibile, che è un quid pluris rispetto alla condotta asseritamente inadempiente; in difetto di tale allegazione e prova la domanda risarcitoria mancherebbe di oggetto (cfr. Cass. 5960/05: “Sia nell’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, sia in quella di responsabilità contrattuale, spetta al danneggiato fornire la prova dell’esistenza del danno lamentato e della sua riconducibilità al fatto del debitore”).

Tanto premesso, in adesione al suddetto principio ermeneutico ed escludendo l’ipotizzabilità di un risarcimento automatico e di un danno in re ipsa, appare evidente che la domanda risarcitoria debba essere provata, sia pure ricorrendo a presunzioni, sulla base di conferente allegazione, visto che non si potrebbe provare ciò che non è stato oggetto di rituale ed adeguata allegazione (cfr. Cass. SU 26972/08).

Va, poi, detto che la parte ha richiesto un danno per complessivi Euro 100.000,00, senza, tuttavia, indicare le singole voci di esso e il criterio di calcolo utilizzato per addivenire a tale quantificazione.

Né può dedursi, dai documenti in atti, l’inadempimento della Banca convenuta relativo all’obbligo di provvedere alla cancellazione del nominativo presso la Centrale Rischi a seguito di dichiarata illegittimità delle segnalazioni, attesa l’assenza di idonea comunicazione atta a dimostrare l’effettiva richiesta di cancellazione da parte dell’attore.

Ciò premesso, quindi, ritiene il Tribunale che la domanda proposta debba essere respinta, non avendo, la stessa, correttamente adempiuto agli oneri di allegazione e probatori sulla stessa gravanti in applicazione degli ordinari principi vigenti in materia e desumibili dall’art. 2697 c.c.

Né può neppure farsi luogo ad una liquidazione equitativa del danno, come richiesto dall’attrice in sede di comparsa conclusionale, in quanto questa presuppone che, a monte, il giudice abbia accertato la sussistenza di un danno:

si veda, in particolare, la giurisprudenza di legittimità sul punto, secondo la quale “la liquidazione equitativa del danno, ai sensi dell’art. 1226 c.c., presuppone che il pregiudizio economico del quale la parte reclama il risarcimento, sia certo nella sua esistenza ontologica, mentre se tale certezza non sussiste, il giudice non può procedere alla quantificazione del danno in via equitativa, non sottraendosi tale ipotesi all’applicazione del principio dell’onere della prova quale regola del giudizio, secondo il quale se l’attore non ha fornito la prova del suo diritto in giudizio la sua domanda deve essere rigettata” (Cassazione civile, sez. III, 5 aprile 2003, n. 5375, ma si vedano anche Cassazione civile, sez. I, 10 luglio 2003, n. 10850; Cassazione civile, sez. II, 18 novembre 2002, n. 16202; Cassazione civile, sez. III, 7 marzo 2002, n. 3327; Cassazione civile, sez. II, 8 settembre 1997, n. 8711).

La parte danneggiata non è esonerata, quindi, dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l’apprezzamento equitativo sia per quanto possibile ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell’iter della determinazione dell’equivalente pecuniario del danno stesso e la necessità della prova di un concreto pregiudizio economico sussiste anche nell’ipotesi di danno in re ipsa, in cui la presunzione si riferisce solo all’an debeatur e non anche all’entità del danno ai fini della determinazione quantitativa e della liquidazione dello stesso per equivalente pecuniario (Cass., sez. II, 15 marzo 2005, n. 5551).

Peraltro, la parte ha omesso di depositare le memorie di cui all’art. 183 comma VI c.p.c., che le avrebbero permesso di meglio precisare il danno assuntivamente subito e i mezzi istruttori necessari a provarlo.

Infine, non può attribuirsi rilevanza neppure alla circostanza dedotta in sede di comparsa conclusionale per cui “la stessa condotta dell’Istituto bancario convenuto in giudizio, che non ha ritenuto di dover partecipare, rimanendo contumace pur in presenza di una condanna da parte dell’arbitro bancario, evidenzia un principio di totale assenza dei principi informatori del corretto rapporto contrattuale tra le parti., e in particolare il principio della buona fede nella esecuzione del contratto disciplinato dall’art. 1375 c.c.” (cfr. pag. 3 della comparsa conclusionale).

Invero, è prevalente sia in dottrina che in giurisprudenza il principio secondo cui la contumacia integra un comportamento neutrale cui non può essere attribuita valenza confessoria e, comunque non contestativa, dei fatti allegati dalla controparte, che resta onerata dalla prova relativa.

Pertanto, nei sensi anzidetti le doglianze di cui alla comparsa conclusionale dell’attore appaiono infondate. Ne consegue che non è possibile ritenere nella specie il principio di non contestazione, di modo che l’onere probatorio resta interamente a carico di parte attrice ex art. 2697 c.c.

Né, poi, si aggiunge, parte attrice ha in alcun modo provato il nesso causale tra la condotta posta in essere da parte convenuta e il danno genericamente allegato, onere anch’esso posto a suo carico.

Il deposito dei dati IRAP per l’anno 2015 e 2016, poi, nulla dimostrano in ordine al fatto che un eventuale calo di reddito possa essere stato determinato dall’illegittima segnalazione.

Inoltre, a tutto voler concedere, i redditi non appaiono, tra un anno e l’altro, così significativamente differenti.

In ultimo non può sottacersi che l’attore non ha neppure allegato e provato l’attività dallo stesso svolta.

Non deve adottarsi alcuna statuizione sulle spese, stante la contumacia della convenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale di Latina, definitivamente pronunciando in persona della dott.ssa Concetta Serino, così provvede:

– rigetta la domanda attorea,

– nulla dispone sulle spese.

Così deciso in Latina il 28 marzo 2019.

Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2019.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.