L’istituto della stepchild adoption nella prassi Giurisprudenziale.

La sentenza della Suprema Corte n. 12962 del 24 maggio 2016  che ha sdoganato l’applicabilità dell’istituto giuridico in esame anche alle famiglie omosessuali, ha dato la possibilità anche ad altre corti di merito, di rinnovare e moltiplicare le occasioni di discussione ed approfondimento.

L’orientamento della Suprema Corte, sebbene in chiaro riferimento ai principi giuridici ed alla richiesta sensibilità sociale per il sistema di filiazione delineato dalla disciplina delle adozioni e dalla L.219/2012, non è supportato – fino ad ora – da un concreto intervento del legislatore che regolamenti le adozioni garantendo un’informazione ed una lettura “neutra” dell’orientamento sessuale dei soggetti aspiranti adottanti.

Una maggiore tutela dell’interesse del minore che, grazie allo Stato, può ottenere maggiore forza e visibilità e conferire dignità anche ai legami familiari con gli adulti di riferimento.

La giurisprudenza di merito, come accennato, in più occasioni ha fornito momenti di dibattito su questioni relative all’applicazione della norma.

Il riferimento va alle pronunce dei Tribunali per i minorenni di Venezia 31.5.2017 , Palermo 30.7.2017 e Bologna 20.7.2017 che hanno aderito all’indirizzo della Cassazione e confermato l’applicabilità dell’art.44.d della l.184/83 anche alle coppie omosessuali.

Ma a ben vedere differiscono tra loro per alcune argomentazioni che, alla fine, conducono a decisioni diverse.

Sono ormai assorbiti dal dibattito sia il richiamo alla consolidata giurisprudenza della CEDU che vieta – in materia di adozione – qualsivoglia discriminazione tra coppie conviventi eterosessuali ed omosessuali (in forza degli artt.8 e 14 CEDU); che il giudizio di pari idoneità genitoriali tra coppie etero e coppie omosessuali – ben saldo nel giudizio della comunità scientifica che si è espressa positivamente dopo appositi studi scientifici.

Questi documenti costituiscono la garanzia in virtù della quale futuri dibattiti si confermeranno ad essi. Ed eventuali argomentazioni divergenti sulla posizione attiva delle coppie oppure che ponga nuovi dubbi sulla uguale idoneità genitoriale delle coppie etero/omosessuali, dovranno essere respinte.

Osserviamo, ora, le pronunce di giudici di merito, sopracitati, partendo da quella di Palermo del 30.07.2017.

Sebbene non venga contestata l’applicabilità della legge sulle adozioni anche alle coppie dello stesso sesso, diversamente è a dirsi per la domanda di adozione avanzata dal genitore “sociale” sulla base del raccordo esistente tra l’art.44 (ove si regolamenta l’azione nelle forme “speciali”) e gli artt.48 e 50.

In ragione di ciò, la valutazione positiva ed il riconoscimento della relazione genitoriale, tra chi richiede l’adozione e colui nei cui confronti è richiesta, causerebbe la decadenza dalla responsabilità genitoriale in capo al genitore biologico.

A simili conclusioni il Tribunale dei minorenni siciliano giunse dopo un’interpretazione restrittiva – e probabilmente non in linea con il sistema della filiazione così come delineato dalla L.219/2012 – dell’art.48 di quest’ultima.

In questa previsione testè citata, viene precisato che, in presenza di adozione da parte del “coniuge” del figlio dell’altro “coniuge” la responsabilità genitoriale viene esercitata dai due soggetti e quindi – per converso  se l’adozione avvenisse all’interno di un vincolo non matrimoniale, in forza dell’adozione del minore da parte del genitore sociale, il genitore biologico perderebbe la responsabilità genitoriale.

Il tribunale rigettò la domanda sulla base del mancato consenso manifestato dal genitore biologico rispetto a tale conseguenza dell’adozione richiesta da parte del suo convivente.

Ricordiamo però che il consenso – diversamente da quanto deciso dal Tribunale – non può mai essere validamente prestato visto che la responsabilità genitoriale non è un diritto rinunciabile. Le obiezioni sollevabili alla censura operata dal tribunale palermitano trovano riferimento proprio nella legge del 2012.

In particolare l’art.316 bis c.c. dispone la piena parità delle relazioni genitoriali e quindi a prescindere da un concepimento naturale in corso di matrimonio oppure extra coniugio, ogni figlio ha pari status giuridico ed ogni genitore ha pari doveri nei suoi confronti secondo le regole dell’esercizio della responsabilità genitoriale.

Non sarebbe corretto ed utile il richiamo, fatto dal tribunale palermitano, all’art.50 della legge sulle adozioni. L’articolo richiamato dispone che se il genitore adottante venga privato dalla responsabilità genitoriale è necessario un provvedimento del giudice per rendere nuovamente operante la responsabilità dei genitori biologici.

L’argomentazione è però fuorviante in quanto l’art.50 è norma eccezionale e vale solo nei casi in cui al genitore adottante sia stata attribuita in via esclusiva, ed in forza della adozione, la responsabilità sul minore adottato.

Non è pertinente il richiamo all’art.50 nella stepchild adoption ove i principi generali previsti dall’art.315 bis c.c. garantiscono che la responsabilità dell’adottante si aggiunge a quella del genitore biologico.

L’interpretazione della norma effettuata dal tribunale siciliano è in contrasto con il principio della bigenitorialità visto che nelle ipotesi di stepchild adoption è consentito aggiungere la figura di chi eserciterà la responsabilità genitoriale (cioè il genitore sociale) e chi la esercita già in via esclusiva (ossia il genitore biologico del minore).

Per il Tribunale dei minorenni di Bologna (20.7.2017) “l’origine del progetto genitoriale” (e quindi la natura della relazione nella quale il progetto si sviluppa, sia esso matrimoniale, di fatto, etero o omosessuale) non può incidere in modo diverso sullo status giuridico dei figli, così come disciplinato dalla legge del 2012 sulla filiazione (in particolare il richiamato art.315 e ss. c.c. Unica ragione per riconoscere l’adozione da parte del genitore sociale, risiede nell’interesse del minore a vedersi riconoscere i diritti connessi al riconoscimento pubblico nel legame genitoriale già in atto con il genitore sociale.

Il tribunale felsineo, con sentenza n.116/2017, ha avallato la c.d. stepchild adoption, pronunciata sulla richiesta di adozione presentata da una donna nei confronti della figlia naturale della compagna, civilmente unita.

Si legge nella sentenza: «ove le indagini ex lege diano esito positivo, l’adozione risponda all’interesse del minore e vi sia il consenso di tutti i soggetti interessati “non si comprende come possano essere posti ostacoli alla richiesta di adozione se non per il prevalere di pregiudizi legati ad una concezione dei vincoli familiari non più rispondente alla ricchezza e complessità delle relazioni umane nell’epoca attuale. Del resto proprio la interpretazione evolutiva della Corte EDU della nozione di vita familiare di cui all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, è giunta ad affermare che nell’ambito della vita familiare deve annoverarsi il rapporto fra persone dello stesso sesso, rapporto che non può quindi essere escluso dal diritto di famiglia con la conseguenza che non già le aspirazioni o i desideri degli adulti debbano avere necessariamente pari riconoscimento da parte dell’ordinamento, bensì i diritti dei bambini” (Corte App. Milano, cit.). Va rimarcato che – a parere di questo Collegio – la stabile relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso, che si riconoscano come parti di un medesimo progetto di vita, con le aspirazioni, i desideri e i sogni comuni per il futuro, la condivisione insieme dei frammenti di vita quotidiana, costituisce a tutti gli effetti una “famiglia”, luogo in cui è possibile la crescita di un minore, senza che il mero fattore “omoaffettività” possa costituire ostacolo formale».

Svolte quindi le indagini dai Servizi Sociali, per le quali i giudici hanno evidenziato fortemente l’esito positivo, gli stessi hanno qualificato come solido e sussistente il rapporto tra la piccola e la “seconda mamma”.

La minore, infatti, riconoscerebbe entrambe le mamme quali suoi genitori ma, circostanza importante, la relazione della coppia si è caratterizzata per solidità affettiva, costanza nel tempo ed unicità degli obiettivi. Una famiglia, quindi, in cui le madri hanno sempre provveduto al mantenimento della piccola, alla sua educazione e ad ogni altra esigenza.

Proprio questo ultimo aspetto è stato rimarcato dai giudici bolognesi per i quali, “la relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso che si riconoscano come parti di un medesimo progetto di vita, con le aspirazioni, i desideri, i sogni comuni per il futuro, la condivisione insieme dei frammenti di vita quotidiana costituisce a tutti gli effetti una famiglia, luogo in cui è possibile la crescita di un minore senza che il mero fattore omoaffettività possa costituire ostacolo formale”.

I giudici sono giunti a tale conclusione dopo esser stati confortati dai risultati (positivi) delle indagini psicosociali nonché dalla conferma di questi ricevuta dalla Suprema Corte nel 2016 (sentenza 12962) poi ribadito dalla l.76/2016 con la quale le coppie formate da due persone dello stesso sesso sono “elevate al rango di famiglia” quando sussistenti i vincoli affettivi. In questo modo viene concessa all’istituto dell’adozione una maggiore tutela giuridica.

Il tribunale, quindi, accoglieva la domanda sulla scorta del seguente principio di diritto: «in virtù della clausola di salvaguardia di cui all’art. 1 comma 20 legge n. 76 del 2016, l’ipotesi di adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184 può trovare applicazione anche in caso di impossibilità giuridica di affidamento preadottivo per non essere il minore dichiarato in stato di abbandono sussistendo un genitore biologico che ne ha cura; la norma può pertanto trovare applicazione anche nel caso in cui sussista l’interesse concreto del minore al riconoscimento del rapporto genitoriale di fatto instauratosi con l’altra figura genitoriale sociale, seppure dello stesso sesso».

Il Tribunale dei minorenni di Venezia (21.5.2017), pur accogliendo la domanda presentata da una madre sociale e così aderendo agli orientamenti della Cassazione, evidenziava la circostanza che le due donne fossero consapevoli della necessità che i figli si relazionino con persone di orientamento non omosessuale.

Il fatto che i genitori avvertano l’esigenza di faro confrontare i propri figli con persone di diversa provenienza sociale, religiosa e razziale e di diversi orientamenti sessuali, è un elemento molto positivo in un percorso educativo dei minori. Ma che il tribunale veneziano sottolinei tale esigenza solo in riferimento ad una coppia omosessuale, rende la motivazione del provvedimento, probabilmente, pregna di valutazioni non pertinenti e poco opportune quasi avvertendo la necessità di tutelare il minore in un ambiente “atipico” e compulsando i genitori a garantirgli un confronto/raffronto con il mondo “normale”.

Eccezione fatta per la pronuncia testé citata e ricordata la sentenza della Corte d’Appello di Milano del 09.02.2017 (con la quale si riformava la sentenza del tribunale di primo grado del settembre 2016 che rigettava l’istanza di ammissione all’adozione presentata dalla madre sociale e prospettava una diversa lettura del quadro normativo mentre invece sottovalutava l’evoluzione di quest’ultimo con riguardo alla protezione della vita familiare che è da ascrivere anche alle relazioni di fatto) rimane chiaro che l’istituto della stepchild adoption è un punto fermo nella genitorialità omosessuale; come è assordante il silenzio su quest’ultima da parte del legislatore che invece dovrebbe rivolgere maggiore attenzione e dignità pubblica, garantendo e tutelando le relazioni genitoriali instaurate nelle famiglie omoaffettive.

Senza possibilità di pregiudizio alcuno.

Note sull’autore
Catello Avenia (Castellammare di Stabia, 1971). Già giornalista pubblicista e ricercatore, attualmente è contrattista universitario e praticante avvocato abilitato al patrocinio sostitutivo. http://unipegaso.academia.edu/CatelloAvenia

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Avv. Umberto Davide

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