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Nella liquidazione del danno da mala gestio dell’assicuratore della r.c.a., occorre distinguere due ipotesi: (a) se il credito del danneggiato gia’ al momento del sinistro eccedeva il massimale, il danno da mala gestio e’ pari agli interessi legali sul massimale (ovvero alla rivalutazione dello stesso, se l’inflazione e’ stata superiore al saggio degli interessi legali, in applicazione dell’articolo 1224 c.c., comma 2); (b) se, invece, il credito del danneggiato al momento del sinistro era inferiore al massimale, ed in seguito sia lievitato sino a superare tale soglia, il danno da mala gestio e’ pari alla rivalutazione del suddetto credito, ed al cumulo ad esso del danno da lucro cessante, liquidato secondo i criteri stabiliti da Cass. sez. un. n. 1712 del 1995 per l’ipotesi di ritardato adempimento delle obbligazioni di valore.

 

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Corte di Cassazione, Sezione 3 civile Sentenza 13 giugno 2014, n. 13537

Integrale

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4158/2013 proposto da:

(OMISSIS) SPA (OMISSIS) in persona dell’Amministratore Unico legale rappresentante Ing. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), gli ultimi tre in qualita’ di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

(OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

Nonche’ da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) gli ultimi tre in qualita’ di eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti all’incidentale –

e contro

(OMISSIS) SPA (OMISSIS), (OMISSIS) SPA, (OMISSIS) SPA, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

Nonche’ da:

(OMISSIS) SPA a mezzo della propria mandataria e rappresentante (OMISSIS) S.C.P.A. in persona dei legali rappresentanti pro tempore (OMISSIS) E (OMISSIS) quali procuratori speciali di (OMISSIS) S.C.P.A., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) gli ultimi tre in qualita’ di eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;

(OMISSIS) SPA (OMISSIS) in persona dell’Amministratore Unico legale rappresentante Ing. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso notificato;

– controricorrenti all’incidentale –

e contro

(OMISSIS) SPA, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 512/2012 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 10/12/2012, R.G.N. 200/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/03/2014 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) anche per delega dell’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocata (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del 5 e dell’8 motivo del ricorso principale, rigetto degli altri ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il (OMISSIS) il sig. (OMISSIS), mentre era trasportato su un autobus adibito al pubblico trasporto di persone nella citta’ di (OMISSIS), cadde a causa di una brusca frenata del mezzo. Il successivo (OMISSIS) il sig. (OMISSIS) mori’.

2. La moglie ( (OMISSIS)) ed i quattro figli della vittima ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) in conseguenza dell’accaduto nel 1986 convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria l’ente proprietario dell’autobus ( (OMISSIS)), il conducente di questo (sig. (OMISSIS)) ed il loro assicuratore della responsabilita’ civile obbligatoria, la (OMISSIS) s.p.a., chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni rispettivamente patiti a causa della morte del proprio congiunto.

3. Si costituirono soltanto l'(OMISSIS) e l’ (OMISSIS), ambedue eccependo:

-) la prescrizione del diritto azionato dagli attori;

-) nel merito, che la brusca frenata del mezzo pubblico fu causata dalla necessita’ di evitare l’impatto con un altro mezzo, condotto dal sig. Domenico Calabro’ ed assicurato per la r.c.a. dalla societa’ SAI s.p.a., il quale aveva eseguito una manovra assai imprudente e tagliato la strada all’autobus dell'(OMISSIS).

4. Gli attori chiesero ed ottennero dal giudice istruttore l’autorizzazione a chiamare in causa il sig. (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.p.a., chiedendo anche nei confronti di questi la condanna al risarcimento del danno.

5. Si costitui’ la sola (OMISSIS) s.p.a., negando qualsiasi responsabilita’ del proprio assicurato.

6. Dopo diciassette anni di giudizio, il tribunale di Reggio Calabria con sentenza 25.11.2003 rigetto’ le domande attoree nei confronti dell'(OMISSIS), della (OMISSIS) s.p.a. e di (OMISSIS).

7. I soccombenti impugnarono la sentenza dinanzi la Corte d’appello di Reggio Calabria che, dopo altri nove anni di giudizio, con sentenza 10.12.2012 n. 512 modifico’ la decisione di primo grado, e ritenne sussistente la responsabilita’ del conducente del mezzo pubblico ai sensi dell’articolo 2054 c.c., comma 1.

In conseguenza di cio’, la Corte d’appello condanno’ in solido al risarcimento del danno l'(OMISSIS) e (OMISSIS) per l’intero, e l’ (OMISSIS) entro i limiti del massimale rivalutato.

La Corte d’appello inoltre, per quanto qui ancora rileva:

(a) ha liquidato agli attori, jure haereditario, il risarcimento del c.d. “danno catastrofale”, patito dalla vittima primaria nelle more tra le lesioni e la morte;

(b) ha liquidato agli attori il “danno da perdita del rapporto parentale”;

(c) ha liquidato il danno patrimoniale subito dalla vedova della vittima, e consistito nella perdita delle somme che il marito le elargiva in vita;

(d) ha condannato l’assicuratore della r.c.a. dell'(OMISSIS) al pagamento in misura eccedente il massimale nei confronti dei danneggiati, ma non nei confronti dell’assicurato.

Infine, tutti e tre i suddetti convenuti ((OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) vennero condannati alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio.

8. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione dall'(OMISSIS), sulla base di otto motivi.

Sia l’ (OMISSIS) (per mezzo del proprio rappresentante volontario (OMISSIS) s. coop. p.a.) che il sig. (OMISSIS) hanno proposto ricorso incidentale: la prima in base ad un motivo, il secondo in base a quattro motivi.

9. Nel corso del giudizio di merito sono decedute dapprima la sig.a (OMISSIS), e quindi la sig.a (OMISSIS).

L’azione da esse proposta e’ stata coltivata dai rispettivi eredi: e cioe’ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per (OMISSIS); e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) per (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso principale ((OMISSIS)).

1.1. Col primo motivo di ricorso l'(OMISSIS) sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge (di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3).

Si assume in particolare che essa avrebbe violato gli articoli 183, 184, 189 e 190 c.p.c.; nonche’ l’articolo 2054 c.c..

1.2. Nonostante sia formulato in modo unitario, il primo motivo di ricorso proposto dall'(OMISSIS) si articola in due profili.

Nel primo (pp. 21-26 del ricorso) l’ente allega che gli attori avrebbero inammissibilmente modificato la propria domanda in corso di causa, e la Corte d’appello abbia erroneamente esaminato e deciso la domanda nuova. Secondo la ricorrente, gli attori avevano formulato nell’atto di citazione una domanda di risarcimento del danno fondata su un titolo contrattuale (contratto di trasporto), ovvero sulla violazione del neminem laedere, ai sensi dell’articolo 2043 c.c..

Pertanto la Corte d’appello, affermando in via presuntiva la colpa del conducente del mezzo pubblico, ai sensi dell’articolo 2054 c.c., comma 1, avrebbe esaminato una domanda nuova, violando il disposto dell’articolo 112 c.p.c..

Nel secondo profilo del motivo di ricorso si allega che in ogni caso, anche ad applicare la presunzione di cui all’articolo 2054, comma 1, c.c., nel caso di specie era stata debitamente acquisita nelle fasi di merito la prova liberatoria, rappresentata dal caso fortuito.

1.3. Il primo profilo della doglianza (mutamento della domanda) e’ manifestamente infondato, per due ragioni.

La prima e’ che una volta allegato dagli attori il fatto costitutivo della pretesa (e cioe’ il trasporto della vittima su un veicolo a motore) e’ potere-dovere del giudice individuare la norma applicabile alla fattispecie concreta, in virtu’ del principio jura novit curia.

La seconda (e sarebbe causa di inammissibilita’) e’ che l'(OMISSIS) non ha alcun interesse a sollecitare l’affermazione d’una propria responsabilita’ aquiliana piuttosto che contrattuale, dal momento che:

(a) nel caso di trasporto contrattuale, la vittima d’un sinistro puo’ invocare nei confronti del vettore la presunzione di colpa di cui all’articolo 1681 c.c.;

(b) nel caso di trasporto di cortesia, la vittima d’un sinistro puo’ invocare nei confronti del vettore la presunzione di colpa di cui all’articolo 2054 c.c.. Nell’uno come nell’altro caso, pertanto, il giudice di merito avrebbe dovuto comunque affermare la responsabilita’ del conducente in via presuntiva. Nessun beneficio potrebbe dunque trarre la ricorrente (OMISSIS) dall’applicazione dell’una piuttosto che dell’altra presunzione di colpa.

1.4. Il secondo profilo del primo motivo di ricorso (pp. 26-32) del ricorso e’ inammissibile.

Con esso infatti l'(OMISSIS) non fa altro che proporre censure squisitamente di merito concernenti la valutazione delle prove, inammissibili – come ognun sa – in questa sede.

2. Il secondo motivo del ricorso principale ((OMISSIS)).

2.1. Col secondo motivo di ricorso l'(OMISSIS) sostiene che la sentenza

impugnata sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge (di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3).

Si assume in particolare che essa avrebbe violato gli articoli 2043, 2045 e 2054 c.c..

Espone al riguardo la ricorrente che le prove raccolte nel corso delle fasi di merito avrebbero dovuto indurre la Corte d’appello a ritenere provato che il conducente del mezzo pubblico effettuo’ si’ una brusca frenata, ma solo per evitare l’impatto con un altro veicolo che gli aveva tagliato la strada:

ricorreva, dunque, una ipotesi di “stato di necessita’” idonea a escludere la illiceita’ della condotta fonte di danno.

2.2. Il secondo motivo di ricorso e’ manifestamente inammissibile per le stesse ragioni di inammissibilita’ del primo.

Anch’esso infatti pretende un riesame delle prove e delle valutazioni di merito compiute dal giudice d’appello, non consentito in questa sede.

3. Il terzo motivo del ricorso principale ((OMISSIS)).

3.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa sia nel vizio di violazione di legge di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3; sia in quello di motivazione (ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5).

Nonostante la duplicita’ della censura, col motivo in esame si lamenta in sostanza l’omesso esame, da parte della Corte d’appello, di due circostanze rilevanti ai fini del decidere:

(a) l’assenza di nesso causale tra il sinistro e la morte della vittima, che secondo l'(OMISSIS) sarebbe in realta’ dovuta ad imperizia dei sanitari che l’ebbero in cura;

(b) il concorso di colpa della vittima nella causazione del danno, per non essersi sorretta ai sostegni dell’autobus.

3.2. Sotto il primo profilo, il ricorso e’ infondato: la Corte d’appello ha debitamente preso in esame il problema del nesso di causa tra il sinistro stradale e la morte della vittima, e spiegato perche’ esso doveva ritenersi sussistente (pag. 16 della sentenza d’appello).

La Corte d’appello ha motivato la propria decisione su tale punto richiamando la perizia disposta dal Pubblico Ministero nel corso del procedimento penale scaturito dalla morte del sig. (OMISSIS), e soggiungendo che tali conclusioni non erano superate “da alcun dato certo di segno contrario”.

La motivazione dunque esiste, non e’ contraddittoria e non e’ illogica: di conseguenza non sara’ neanche sindacabile in questa sede.

3.3. Il secondo profilo e’ inammissibile.

Che la vittima abbia concorso a causare la propria morte, omettendo di sorreggersi ai mancorrenti dell’autobus sul quale viaggiava, e’ eccezione sollevata dall'(OMISSIS) solo in questa sede, e quindi tardivamente.

E’ certamente vero che il concorso di colpa della vittima nella causazione del danno costituisce oggetto di una eccezione c.d. “in senso lato”, ovvero rilevabile d’ufficio; ma e’ altresi’ vero che il fatto materiale costitutivo dell’eccezione deve essere comunque debitamente allegato dalla parte che vi abbia interesse (ex permultis, in tal senso, tra le piu’ recenti, Sez. 6-3, Sentenza n. 3437 del 14/02/2014, Rv. 629913).

Nel caso di specie, per contro, l'(OMISSIS) nel proprio ricorso non e’ stata in grado di indicare quando ed in che termini abbia, nelle fasi di merito, debitamente descritto la condotta materiale della vittima che fu concausa di danno, violando cosi’ il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. Di qui l’inammissibilita’ del motivo.

4. Il quarto motivo del ricorso principale ((OMISSIS)).

4.1. Col quarto motivo di ricorso l'(OMISSIS) sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge (di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3).

Si assume in particolare che essa avrebbe violato gli articoli 112, 183, 184, 189 e 190 c.p.c., (nel testo vigente ratione temporis).

Espone la ricorrente, a tal riguardo, che nell’atto di citazione e nella precisazione delle conclusioni gli attori avevano quantificato il danno di cui chiedevano il ristoro nella misura di euro 78.000. Nella comparsa conclusionale, invece, avevano domandato un risarcimento di oltre 470.000 euro.

La Corte d’appello, pertanto, nel condannare i convenuti ad un risarcimento eccedente la misura di euro 78.000 aveva pronunciato ultra petita.

4.2. Il motivo e’ infondato.

Alle pp. 18-20 della sentenza impugnata, la Corte d’appello, nell’esercizio del suo potere-dovere di qualificazione della domanda, ha ritenuto che gli attori, pur domandando nell’atto di citazione una cifra precisa di denaro a titolo di risarcimento del danno, avevano pero’ aggiunto la c.d. clausola di salvezza (“salva diversa maggiore o minore somma”), cosi’ dimostrando che l’importo da essi indicati doveva ritenersi indicativo e non vincolante. La statuizione della Corte d’appello e’ ineccepibile, per due motivi:

-) sia perche’ forma, sintassi e contenuto dell’atto di citazione rendono evidente che gli attori non hanno inteso in alcun modo – ne’ avrebbero del resto potuto – quantificare in modo esatto la propria pretesa risarcitoria;

-) sia perche’ tra il 1986 (anno di introduzione del giudizio) ed il 2002 (epoca di precisazione delle conclusioni) i criteri adottati dalla giurisprudenza per la liquidazione del danno non patrimoniale da morte d’un congiunto hanno subito una evoluzione profonda: sicche’, ad adottare la restrittiva interpretazione propugnata dall'(OMISSIS), si perverrebbe al poco commendevole risultato di addossare al danneggiato una ulteriore conseguenza sfavorevole delle lentezze dell’amministrazione della giustizia.

5. Il quinto motivo del ricorso principale ((OMISSIS)).

5.1. Col quinto motivo di ricorso l'(OMISSIS) sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge (di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3).

Si assume in particolare che essa avrebbe violato gli articoli 2043 e 2059 c.c.. Espone la ricorrente che la Corte d’appello ha liquidato agli attori il danno da “lucida agonia”, patito dal sig. (OMISSIS) nelle more tra il sinistro e la morte, e da questi trasmesso ai propri eredi jure successionis.

Questo danno, tuttavia, e’ concepibile solo quando la vittima di lesioni sia consapevole di stare per morire. Nel caso di specie, per contro, il sig. (OMISSIS) di (OMISSIS) mori’ per un infarto che, se pur ritenuto causalmente derivante dalle lesioni, era comunque imprevedibile tanto per la vittima che per chiunque altro.

5.2. Il motivo e’ fondato.

La Corte d’appello ha correttamente ricostruito in iure il quadro delle regole di matrice giurisprudenziale che disciplinano la liquidazione del danno patito da chi, ferito in conseguenza di un fatto illecito, muoia a causa delle lesioni.

Ha, in particolare, esattamente affermato la regola secondo cui costituisce un danno risarcibile la paura di dover morire avvertita da chi, gravemente ferito, resti capace d’intendere e di volere e si avveda dell’approssimarsi della fine.

Ha, altrettanto esattamente, stabilito che il danno non patrimoniale costituito dalla “paura di morire” esige necessariamente che il danneggiato la provi, questa paura. Il danno non patrimoniale rappresentato dai moti dell’animo, in questo come in ogni caso, non e’ infatti concepibile che sia provato da chi, per essere incapace d’intendere e di volere, moti dell’animo non abbia provato o non potesse provare.

Dopo avere esattamente ricostruito in iure la fattispecie astratta, la Corte d’appello tuttavia l’ha applicata in facto ad un fattispecie concreta non coerente.

E’ infatti la stessa sentenza impugnata a riferire che la vittima, ricoverata il 7 gennaio 1984, era stata dimessa dieci giorni dopo; che la morte fu dovuta non alla contusione sternale patita a causa della caduta, ma ad una fibrillazione ventricolare (e dunque ad un’aritmia che provoca l’arresto cardiaco), a sua volta causata da una crisi lipotimica.

Dunque il sig. (OMISSIS) non “attese lucidamente la propria morte”, per il semplice fatto che non poteva ragionevolmente prevedere (ne’ lui, ne’ nessun altro) che a causa della contusione sternale sarebbe morto. Ne consegue che la Corte d’appello e’ incorsa nel vizio di falsa applicazione dell’articolo 2059 c.c., in quanto ha applicato tale norma ad una fattispecie da essa non disciplinata.

5.3. Il ricorso deve pertanto accogliersi sul punto, in base al seguente principio di diritto:

La paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, e’ un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente; in difetto di tale consapevolezza non e’ nemmeno concepibile l’esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni.

6. Il sesto motivo del ricorso principale ((OMISSIS)).

6.1. Col sesto motivo di ricorso l'(OMISSIS) sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge (di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3).

Si assume in particolare che essa avrebbe violato gli articoli 2043, 2045, 2054, 2059 e 1227 c.c..

Nell’illustrazione del motivo l'(OMISSIS) espone in realta’ due censure, cosi’ riassumibili:

(a) il danno non patrimoniale derivante dalla commissione d’un reato non puo’ essere liquidato quando la responsabilita’ del danneggiante sia stata affermata in via presuntiva, e non accertata in concreto; questa regola, superata per i fatti avvenuti dopo l’entrata in vigore del c.p.p. del 1989, sarebbe tuttora vigente per i fatti avvenuti nella vigenza del e.p.p. del 1930; poiche’ i fatti di causa si svolsero nell’imperio del c.p.p. del 1930, e il conducente dell’autobus fu prosciolto in sede penale, il giudice civile non poteva liquidare il danno non patrimoniale, essendo mancato l’accertamento del fatto reato;

(b) nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice comunque non ha tenuto conto:

(b1) della non convivenza tra vittima e congiunti;

(b2) del concorso di colpa di un terzo automobilista;

(b3) del concorso di colpa della vittima.

6.2. Il primo profilo del ricorso e’ manifestamente infondato.

Questa Corte di cassazione non ha mai affermato quel che la ricorrente pretenderebbe di farle dire, e cioe’ che l’oggettivo accertamento del reato e’ indispensabile per la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale solo per i fatti avvenuti dopo l’entrata in vigore del c.p.p. del 1930. Ha, al contrario, affermato ore rotundo il ben diverso principio secondo cui il danno non patrimoniale e’ sempre risarcibile al cospetto d’una lesione di diritti della persona costituzionalmente garantiti (cosi’ la fondamentale decisione pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605491).

In ogni caso, e’ indiscusso che il sig. (OMISSIS) sia stato prosciolto in istruttoria con la formula “perche’ il fatto non costituisce reato per difetto dell’elemento soggettivo”.

Tale sentenza, sebbene pronunciata nella vigenza del c.p.p. del 1930, e’ comunque soggetta alle previsioni dell’attuale articolo 652 c.p.p., in virtu’ dell’articolo 260 disp. att. c.p.p., vigente.

Da cio’ consegue che quella sentenza non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile contro l’imputato per ottenere il risarcimento del danno e, conseguentemente, il giudice civile deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto, pur potendo tenere conto degli elementi ritualmente acquisiti nel processo penale (Sez. 3, Sentenza n. 3795 del 14/03/2003, Rv. 561156; nello stesso senso, Sez. 3, Sentenza n. 12524 del 22/09/2000, Rv. 540348).

6.3. Il secondo profilo del sesto motivo di ricorso e’ anch’esso infondato, in quanto:

(a) della non convivenza della vittima coi congiunti la Corte d’appello ha debitamente tenuto conto (pag. 29 della sentenza impugnata);

(b) la sussistenza o meno del concorso di colpa d’un terzo automobilista e’ oggetto d’un accertamento di fatto, non sindacabile in questa sede, e comunque non varrebbe a ridurre la responsabilita’ dell'(OMISSIS) nei confronti degli attori, ai sensi dell’articolo 2055 c.c.;

(c) della sindacabilita’ in questa sede del concorso di colpa della vittima si e’ gia’ detto supra, al 3.3, ed a quello si rinvia.

7. Il settimo motivo del ricorso principale ((OMISSIS)).

7.1. Col settimo motivo di ricorso l'(OMISSIS) sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa nel vizio di violazione di legge (di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3).

Si assume in particolare che essa avrebbe violato gli articoli 2043, 2056 e 1223 c.c..

La ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia riconosciuto alla sig.a (OMISSIS), vedova di (OMISSIS), il diritto al risarcimento del danno patrimoniale consistito nella perdita delle elargizioni in denaro che riceveva dal marito quando questi era in vita, senza tenere conto che la vedova, in conseguenza della morte del coniuge, aveva acquisito a titolo di reversibilita’ la pensione goduta da quest’ultimo. Di tale pensione, secondo la ricorrente, si sarebbe invece dovuto tenere debito conto nella liquidazione del danno, sottraendolo l’importo della prima da quello del secondo.

7.2. Il motivo e’ fondato.

Nella giurisprudenza di questa Corte esiste da molti anni un contrasto occulto sulla possibilita’ di sottrarre dal risarcimento del danno gli emolumenti versati al danneggiato da assicuratori privati o sociali, ovvero da enti di previdenza.

Questo contrasto scaturisce da una non uniforme concezione, e da una non uniforme applicazione, del principio della compensatio lucri cum damno.

7.3. Secondo un primo e maggioritario orientamento, delle prestazioni erogate dall’assicuratore sociale o dall’ente di previdenza sia al danneggiato (nel caso di danno alla persona); sia ai suoi prossimi congiunti (nel caso di infortunio mortale) non si deve tenere conto nella liquidazione del danno patrimoniale.

Questa conclusione e’ giustificata con una sola e tralatizia motivazione: il principio della compensatio lucri cum damno, in virtu’ del quale “il risarcimento non deve costituire fonte di lucro per il danneggiato”, si puo’ applicare solo quando danno e lucro scaturiscano ambedue in modo “immediato e diretto” dal fatto illecito.

Questa condizione tuttavia non si verificherebbe – si sostiene – nel caso di percezione di emolumenti previdenziali o assicurativi da parte della vittima o dei suoi prossimi congiunti, perche’ in tal caso mentre il danno scaturisce dall’illecito, il diritto all’emolumento previdenziale od assicurativo sorge direttamente dalla legge (ex permultis, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 5504 del 10/03/2014, Rv. 630209; Sez. 3, Sentenza n. 3357 del 11/02/2009, Rv. 606516; Sez. 3, Sentenza n. 18490 del 25/08/2006, Rv. 593582; Sez. 3, Sentenza n. 12124 del 19/08/2003, Rv. 565958; Sez. 3, Sentenza n. 8828 del 31/05/2003, Rv. 563838; Sez. 3, Sentenza n. 2117 del 14/03/1996, Rv. 496348 ; Sez. 3, Sentenza n. 9528 del 22/12/1987, Rv. 456605; Sez. 3, Sentenza n. 1928 del 10/10/1970, Rv. 347945; Sez. 3, Sentenza n. 2491 del 17/10/1966, Rv. 324812; Sez. 3, Sentenza n. 2530 del 07/10/1964, Rv. 303791).

La maggior parte delle decisioni che aderiscono a questo orientamento non sono motivate in altro modo che attraverso il richiamo tralatizio ai precedenti conformi, tutti a loro derivanti dalla sentenza “capostipite” rappresentata da Sez. 3, Sentenza n. 370 del 07/02/1958, Rv. 882395. Tale ultima decisione, e’ bene rilevare sin d’ora, non aveva affatto ad oggetto un caso di “compensazione” tra danno da morte e benefici previdenziali, ma una fattispecie in cui il responsabile della morte d’una persona pretendeva di compensare il proprio debito risarcitorio con il vantaggio acquistato dal parente della vittima per effetto dell’accettazione dell’eredita’ del defunto: pretesa ritenuta infondata dalla Corte.

7.4. Un diverso orientamento invece nega la cumulabilita’ del risarcimento del danno con eventuali benefici assistenziali o previdenziali percepiti dai congiunti della persona defunta in conseguenza del fatto illecito, in base al seguente sillogismo:

(a) il beneficio erogato dall’assicuratore sociale (o dall’ente previdenziale) ha lo scopo di attenuare il danno patrimoniale subito dai familiari della vittima;

(b) di conseguenza, essa elide in parte qua il danno subito da questi ultimi;

(c) ergo, non tanto di compensatio lucri cum damno si dovrebbe parlare in casi simili, quanto di inesistenza stessa del danno patrimoniale, per la parte elisa dal beneficio assicurativo (Sez. 3, Sentenza n. 5964 del 16/11/1979, Rv. 402644; Sez. 3, Sentenza n. 3806 del 15/04/1998, Rv. 514496; Sez. L, Sentenza n. 3503 del 24/05/1986, Rv. 446446).

Principio identico, ma con motivazione parzialmente diversa, e’ stato affermato dalla Corte anche nel caso di danni alla salute patiti a causa di infezione contratta in seguito ad emotrasfusione con sangue infetto: anche in tale ipotesi si e’ ripetutamente negata la possibilita’ per la vittima di cumulare il risarcimento del danno con l’indennizzo corrisposto al danneggiato ai sensi della Legge 25 febbraio 1992, n. 210, articolo 1, (ex aliis, Sez. 3, Sentenza n. 991 del 20/01/2014, Rv. 629704; Sez. 3, Sentenza n. 6573 del 14/03/2013, Rv. 625543).

Infine, il cumulo tra risarcimento del danno alla salute e benefici previdenziali e’ stato negato in varie ipotesi di danni alla salute patiti da pubblici impiegati per causa di servizio: anche in tal caso si e’ affermato che dal risarcimento del danno alla salute debba detrarsi quanto percepito dalla vittima a titolo di trattamento previdenziale o pensione privilegiata (cosi’ Sez. 3, Sentenza n. 9094 del 13/05/2004, Rv. 572841; Sez. 3, Sentenza n. 64 del 04/01/2002, Rv. 551384; Sez. 1, Sentenza n. 9779 del 16/09/1995, Rv. 494036, tutte con riferimento alla necessita’ di detrarre il valore capitale della pensione privilegiata dal risarcimento del danno alla salute patito dal militare in servizio di leva; e Sez. 3, Sentenza n. 9228 del 12/07/2000, Rv. 538388, con riferimento alla necessita’ di detrarre la pensione di invalidita’ dal risarcimento del danno patito dal pubblico impiegato dispensato dal servizio).

7.5. Questa Corte ritiene che, tra i due orientamenti appena ricordati, debba essere preferito il secondo. L’altro, infatti, si fonda su presupposti teorici erronei, e conduce a risultati pratici inaccettabili.

Nei che seguono si esporranno dunque i vulnera dell’orientamento tradizionale; mentre nei 8 e ss. si esporranno i diversi principi che questa Corte ritiene applicabili per la soluzione del problema qui in esame.

7.6. Il primo vulnus dell’orientamento tradizionale e’ di tipo logico. Pensione e risarcimento – si afferma – si possono cumulare perche’ tra essi non opera la regola della compensano lucri cum damno, e questa regola non opera perche’ manca la medesimezza della fonte del “lucro” e del “danno”.

Tuttavia intendere la compensatio lucri cum damno come una vera e propria “compensazione” tra crediti e debiti significa necessariamente disapplicare di fatto l’istituto della compensatio, perche’ e’ assai raro (se non impossibile) che un fatto illecito possa provocare da se’ solo, e cioe’ senza il concorso di nessun altro fattore umano o giuridico, sia una perdita, sia un guadagno. Come messo in evidenza dalla dottrina prevalente da oltre un secolo, la compensatio lucri cum damno di compensazione non ha che il nome. Essa non costituisce affatto una applicazione della regola di cui all’articolo 1241 c.c., cosi’ come la “compensazione delle spese” di cui all’articolo 92 c.p.c., non e’ una compensazione in senso tecnico, ne’ lo e’ la c.d. “compensazione delle colpe” di cui all’articolo 1227 c.c., comma 1.

La c.d. compensatio lucri cum damno costituisce piuttosto una regola per l’accertamento dell’esistenza e dell’entita’ del danno risarcibile, ai sensi dell’articolo 1223 o.c..

Noti sono gli esempi addotti dalla dottrina storica al riguardo: al padrone l d’un animale ucciso da un terzo non si dira’ che si e’ impoverito dell’animale ma arricchito del valore della sua pelle: gli si dira’ per contro che ha patito un danno pari al valore dell’animale meno il valore della pelle; al proprietario di un frutteto tagliato da un terzo non si dira’ che si e’ impoverito della piantagione ma arricchito dei tronchi, ma gli si dira’ che ha patito un danno pari al valore della piantagione meno il valore dei tronchi; al proprietario di un veicolo distrutto da un sinistro stradale non si dira’ che si e’ impoverito del veicolo, ma arricchito del valore del metallo venduto al rottamatore, ma si dira’ che ha patito un danno pari al valore commerciale del veicolo, meno il valore del relitto.

Nel caso oggetto del presente del giudizio non, dunque, se si realizzi una “compensazione” tra danno e pensione di reversibilita’ occorrera’ chiedersi, ma piuttosto se un danno esista e quale ne sia l’ammontare: e tale accertamento va compiuto alla stregua dell’articolo 1223 c.c. “Lucro” e “danno”, pertanto, non vanno concepiti come un credito ed un debito autonomi per genesi e contenuto, rispetto ai quali si debba indagare soltanto se sussista la medesimezza della fonte. Del c.d. “lucro” derivante dal fatto illecito occorre invece stabilire unicamente se costituisca o meno una conseguenza immediata e diretta del fatto illecito ai sensi dell’articolo 1223 c.c..

La conclusione appena raggiunta e’ corroborata dalla considerazione che l’ordinamento prevede numerose ipotesi in cui e’ la legge stessa ad ammettere la compensatio lucri cum damno nonostante perdita e vantaggio patrimoniale traggano origine da atti o fatti eterogenei: si considerino al riguardo le fattispecie previste dall’articolo 1149 c.c. (compensazione tra il diritto alla restituzione dei frutti e l’obbligo di rifondere al possessore le spese per produrli); articolo 1479 c.c. (compensazione tra minor valore della cosa e rimborso del prezzo, nel caso di vendita di cosa altrui); articolo 1592 c.c. (compensazione del credito del locatore per i danni alla cosa con il valore dei miglioramenti); Legge 14 gennaio 1994, n. 20, articolo 1, comma 1 bis, (compensazione del danno causato dal pubblico impiegato con i vantaggi conseguiti dalla pubblica amministrazione).

Da tali disposizioni – e da molte altre analoghe – si desume l’esistenza d’un principio generale, secondo cui vantaggi e svantaggi derivati da una medesima condotta possono compensarsi anche se alla produzione di essi hanno concorso, insieme alla condotta umana, altri atti o fatti, ovvero direttamente una previsione di legge.

7.7. Il secondo vulnus dell’orientamento tradizionale e’ di tipo dogmatico. L’affermazione secondo cui la regola della compensatio opera soltanto se “danno” e “lucro” scaturiscano in modo diretto ed immediato dal fatto illecito appare infatti frutto di un equivoco, a sua volta scaturente da un inconsapevole fraintendimento della dottrina tradizionale. Questa gia’ alla fine dell’Ottocento aveva individuato, tra i presupposti della compensatio lucri cum damno, la necessita’ che danno e lucro derivassero dalla stessa condotta del responsabile. Colui il quale con una condotta “A” dovesse causare un danno, e con una condotta “B” dovesse procurare un vantaggio al danneggiato, se richiesto del risarcimento non potra’ invocare la compensatio, a meno che non ricorrano i presupposti dell’ingiustificato arricchimento (articolo 2041 c.c.). Se, infatti, tali presupposti mancassero, non potra’ giammai attribuirsi all’autore dell’illecito una posizione piu’ favorevole rispetto a chi ha causato ad altri un vantaggio, non ripetibile ex articolo 2041 c.c., senza avere commesso alcun fatto illecito.

Cosi’, ad esempio, chi investa una persona con un autoveicolo, e poi offra spontaneamente alla vittima una vacanza a Roma, non potra’ pretendere di compensare il proprio debito risarcitorio con il costo del soggiorno.

La regola secondo cui la compensalo esige la medesimezza della condotta, col passare degli anni, venne applicata sempre piu’ tralatiziamente: e poiche’ la condotta e’ uno degli elementi dell’illecito, intorno agli anni Cinquanta del XX sec. la giurisprudenza nell’applicare il principio in esame incorse in una autentica metonimia, finendo con l’indicare la parte per il tutto: cosi’ l’originario requisito della “medesimezza della condotta”, da secoli fondamento della compensano lucri cum damno, si trasformo’ nella “medesimezza del fatto”, e questa a sua volta nella “medesimezza della fonte” tanto del lucro quanto del danno.

Ma e’ ovvio che altro e’ affermare che danno e lucro, per essere compensati, devono scaturire da una unica condotta del danneggiante, ben altro e’ sostenere che debbano scaturire dalla stessa causa. Mentre infatti la prima concezione ammetteva il concorso di cause, la seconda lo esclude.

La regola applicata dall’orientamento tradizionale, in definitiva, non e’ affatto fondata sulla “dottrina tradizionale”, come si pretenderebbe, ma costituisce anzi una deviazione dai principi di quella.

7.8. Il terzo vulnus dell’orientamento tradizionale e’ di tipo sistematico.

L’orientamento che consente il cumulo della pensione di reversibilita’ e del risarcimento del danno patrimoniale da morte del coniuge, come s’e’ detto, si fonda sull’assioma secondo cui la regola della compensalo lucri cum damno s’applica soltanto se il vantaggio e la perdita patrimoniali traggano origine dal fatto illecito. Cio’ postulato in astratto, l’orientamento in esame nega che tale condizione ricorra nel caso in esame, perche’ solo il diritto al risarcimento e’ conseguenza del fatto illecito, mentre il diritto alla pensione di reversibilita’ ha per fonte una norma di legge. Il fatto illecito, rispetto a tale diritto, costituirebbe invece una mera occasione.

Questa opinione, quale che ne fosse la condivisibilita’ all’epoca in cui venne formulata (anni Cinquanta del XX sec), oggi non e’ piu’ coerente con la concezione di “causalita’” che si e’ venuta sviluppando nella giurisprudenza di questa Corte ormai da molti anni in qua.

Da un lato, infatti, la distinzione scolastica tra “causa remota”, “causa prossima” ed “occasione” e’ stata da tempo abbandonata, e sostituita dalla nozione di “regolarita’ causale”. Secondo tale nozione, per stabilire se un fatto possa dirsi causato da un altro non e’ proficuo arrovellarsi a discettare se il secondo sia stato causa o mera occasione del primo: non foss’altro che per la difficolta’, quando non per l’impossibilita’, di distinguere tra l’una e l’altra. Occorrera’, invece, per affermare l’esistenza d’un nesso di causalita’ giuridica tra condotta e danno, ricorrere al criterio della condicio sine qua non, in virtu’ del quale una condotta e’ causa di un evento tutte le volte che, senza la prima, il secondo non si sarebbe verificato (ex permultis, (Sez. 3, Sentenza n. 21255 del 17/09/2013, Rv. 628703; Sez. 3, Sentenza n. 15789 del 22/10/2003, Rv. 567578).

Dall’altro lato, negare che, ai fini della liquidazione del danno civile, l’uccisione d’una persona possa dirsi “causa” della percezione della pensione di reversibilita’ da parte del coniuge della vittima e’ affermazione incoerente sia col diritto della responsabilita’ civile, sia col suddetto criterio causale della condicio sine qua non.

7.8.1. La tesi secondo cui l’uccisione d’una persona non e’ “causa” della percezione della pensione di reversibilita’ e’ incoerente col diritto della responsabilita’ civile perche’ non vi e’ dubbio che nel rapporto tra l’assistito e l’ente previdenziale il diritto alla pensione di reversibilita’ scaturisce dalla legge, e la morte del beneficiario e’ mera condicio iuris per l’erogazione del beneficio. Al diritto previdenziale non interessa la causa della morte: quale che essa sia, la pensione di reversibilita’ sara’ comunque erogata alla persona indicata dalla legge come beneficiario. E’ nell’ambito di questo rapporto, dunque, che il fatto illecito puo’ dirsi mera occasione dell’attribuzione patrimoniale.

Ben diversa e’ la prospettiva se ci si pone nell’ottica del rapporto di diritto civile che lega vittima e responsabile. In questo diverso rapporto giuridico si tratta di stabilire non gia’ se la pensione di reversibilita’ spetti o meno, ma di quantificare con esattezza le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito. E per quantificare tali conseguenze dal punto di vista economico non puo’ spezzarsi la serie causale, e ritenere che il danno derivi dall’illecito e l’incremento patrimoniale no: per la semplice ragione che, senza il primo, non vi sarebbe stato il secondo.

Dunque l’affermazione secondo cui l’illecito non e’ “causa” in senso giuridico della pensione di reversibilita’, quale che ne sia la condivisibilita’ teorica, comunque non tiene conto che nel caso qui in esame si intersecano due ordini di rapporti: quello tra danneggiato ed ente previdenziale, e quello tra danneggiato e danneggiante. Che l’illecito non sia causa dell’attribuzione patrimoniale e’ affermazione che potra’ ammettersi forse nell’ambito del primo di tali rapporti, ma non certo nell’ambito del secondo.

7.8.2. Oltre che non pertinente con le regole della responsabilita’ civile, l’affermazione secondo cui l’illecito non potrebbe ritenersi “causa” in senso giuridico dell’attribuzione della pensione di reversibilita’ e’ affermazione incoerente col criterio da tempo prescelto da questa Corte per l’accertamento del nesso di causalita’ giuridica tra il fatto illecito e le conseguenze dannose, ai sensi dell’articolo 1223 c.c..

Nell’interpretare questa norma, infatti, la giurisprudenza di legittimita’ ha ripetutamente affermato che ai sensi dell’articolo 1223 c.c. “tutti gli antecedenti in mancanza dei quali un evento dannoso non si sarebbe verificato debbono considerarsi sue cause, abbiano essi agito in via diretta e prossima o in via indiretta e remota” (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 12103 del 13/09/2000, Rv. 540145); e che “il nesso di causalita’ va inteso in modo da ricomprendere nel risarcimento anche i danni indiretti e mediati che si presentino come effetto normale secondo il principio della c.d. regolarita’ causale, con la conseguenza che, ai fini del sorgere dell’obbligazione di risarcimento, il rapporto fra illecito ed evento puo’ anche non essere diretto ed immediato se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo” (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 16163 del 21/12/2001, Rv. 551313).

Non e’ dunque, corretto interpretare l’articolo 1223 c.c., in modo asimmetrico, e ritenere che “il rapporto fra illecito ed evento puo’ anche non essere diretto ed immediato” quando si tratta di accertare il danno, ed esigere al contrario che lo sia, quando si tratta di accertare il vantaggio per avventura originato dal medesimo fatto illecito.

L’insostenibilita’ dell’orientamento tradizionale e’ poi resa vieppiu’ evidente dalla considerazione che l’affermazione secondo cui la compensano lucri cum damno non s’applica quando il vantaggio sia una conseguenza indiretta del fatto illecito e’ inspiegabilmente ripetuta solo quando si tratti di compensare il danno patrimoniale da morte con la pensione di reversibilita’, mentre in fattispecie concettualmente analoghe la giurisprudenza di questa Corte giunge a soluzioni diametralmente opposto: come quando si tratti di scomputare il c.d. aliunde perceptum dal danno patito dal lavoratore ingiustamente licenziato (giurisprudenza consolidata, a partire da Sez. U, Sentenza n. 2762 del 29/04/1985, Rv. 440539 e sino alla piu’ recente Sez. L, Sentenza n. 5676 del 10/04/2012, Rv. 621879); ovvero quando si tratti di scomputare dal risarcimento del danno per accessione invertita l’indennita’ di espropriazione comunque percepita dall’espropriato (ex permultis, Sez. 1, Sentenza n. 11041 del 15/11/1990, Rv. 469763), od ancora nelle altre fattispecie citate supra, 7.4.

7.9. Il quarto vulnus dell’orientamento che nega la compensano tra

risarcimento del danno patrimoniale da uccisione del congiunto e pensione di reversibilita’ e’ anch’esso di tipo sistematico: ed e’ il piu’ macroscopico ed inaccettabile.

L’orientamento che nega la compensano tra il danno ed i benefici percepiti dall’ente previdenziale o dall’assicuratore sociale, infatti, finisce per abrogare in via di fatto l’azione di surrogazione spettante (ex articoli 1203 e 1916 c.c., o in virtu’ delle singole norme previste dalla legislazione speciale) a quest’ultimo.

E’ noto infatti che limite oggettivo della surrogazione e’ il danno effettivamente causato dal responsabile, il quale non puo’ mai essere costretto, per effetto dell’azione di surrogazione, a pagare due volte il medesimo danno: una al danneggiato, l’altra al surrogante (principio pacifico e consolidato: ex permultis, Sez. 3, Sentenza n. 4642 del 27/04/1995, Rv. 492023; Sez. 3, Sentenza n. 8597 del 07/08/1991, Rv. 473411; sino a risalire a Sez. 3, Sentenza n. 380 del 15/02/1971, Rv. 349954).

Pertanto, una volta che il responsabile del sinistro sia costretto a pagare l’intero risarcimento senza tener conto del beneficio previdenziale od assicurativo percepito dalla vittima per effetto dell’illecito, non potrebbe poi essere costretto dall’ente previdenziale od assicurativo a rifondergli le somme da questo pagate alla vittima.

Questo risultato pero’ cozza contro evidenti ragioni di diritto e di giustizia. Quanto alle prime, l’orientamento tradizionale priva l’assicuratore sociale o V l’ente previdenziale d’un diritto loro espressamente attribuito dalla legge (ex permultis, articolo 1916 c.c., applicabile anche alle assicurazioni sociali in virtu’ del rinvio di cui all’articolo 1886 c.c.; Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, articoli 10 e 11, con riferimento all’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro; Legge 4 novembre 2010, n. 183, articolo 42, comma 1, con riferimento alle prestazioni di malattia erogate dall’INPS).

Quanto alle seconde, l’orientamento tradizionale – privando l’ente previdenziale o l’assicuratore sociale dell’azione di surrogazione – addossa alla fiscalita’ generale, e quindi alla collettivita’, un onere il cui peso economico serve non a ristorare la vittima, ma ad arricchirla: cosi’ posponendo di fatto l’interesse generale a quello individuale.

7.9.1. Resta da esaminare, per completezza e coerenza sistematica, se le osservazioni appena svolte possano essere infirmate:

(a) dalla giurisprudenza costituzionale formatasi sui rapporti tra surrogazione dell’ente previdenziale e diritto al risarcimento del danno;

(b) dalla conciliabilita’ dell’istituto della surrogazione con la pensione di reversibilita’.

Ad ambedue i quesiti va data risposta negativa.

7.9.2. Sotto il primo profilo, e’ noto come con una serie di importanti pronunce depositate tra il 1988 ed il 1991 la Corte costituzionale abbia affermato l’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 1916 c.c. (e di analoghe norme contenute nella legislazione speciale) nella parte in cui consentivano all’assicuratore sociale di acquisire, nell’esercizio del diritto di surrogazione nei confronti del terzo responsabile, anche delle somme da questi dovute all’assicurato a titolo di danni diversi da quelli coperti dall’assicuratore sociale o dall’ente previdenziale (si veda, per tutte, Corte cost., 18 luglio 1991, n. 356).

Tale eventualita’ non ricorre tuttavia nel nostro caso, in quanto la pensione di reversibilita’ ha lo scopo di alleviare il peso economico derivante dalla morte del congiunto, e dunque ristora il medesimo pregiudizio (patrimoniale) causato dal responsabile.

La medesimezza del pregiudizio che risarcimento e pensione di reversibilita’ mirano a ristorare consente dunque la surrogazione, e se v’e’ surrogazione – per quanto gia’ detto – non vi puo’ essere cumulo di risarcimento ed indennizzo.

7.9.3. Sotto il secondo profilo, si potrebbe sostenere che la particolare natura della pensione di reversibilita’, assimilabile per certi versi all’assicurazione sulla vita, sia inconciliabile con l’istituto della surrogazione: il beneficiario d’una polizza vita (alla quale non si applica il principio indennitario) puo’ infatti cumulare indennizzo e risarcimento, e se v’e’ cumulo, non vi puo’ essere surrogazione.

Anche questa obiezione tuttavia non e’ decisiva.

L’istituto della pensione di reversibilita’, per quanto si dira’ meglio tra breve, ha lo scopo di sollevare i congiunti della vittima dallo stato di bisogno: essa dunque e’ certamente conciliabile con le norme sulla surrogazione, sia in virtu’ del principio ricavabile dall’articolo 1916 c.c., comma 4, (che estende le norme sulla surrogazione all’assicurazione “contro le disgrazie accidentali”); sia in virtu’ della considerazione che, a tutto concedere, l’ente previdenziale costretto a pagare la pensione di reversibilita’ eroga comunque una somma di denaro che, in assenza del fatto illecito, avrebbe pagato in futuro ovvero non avrebbe pagato affatto (come nell’ipotesi di premorienza degli aventi diritto alla pensione rispetto al soggetto assicurato). Esso dunque ha comunque subito un pregiudizio in conseguenza dell’illecito, pari quanto meno all’interusurium sulle somme anticipatamente erogate. Questo pregiudizio legittimera’ dunque l’azione di surrogazione, il cui corollario come gia’ visto e’ l’incumulabilita’ in capo alla vittima di indennizzo e risarcimento.

7.10. Deve dunque concludersi che l’orientamento il quale nega la compensano lucri cum damno tra risarcimento del pregiudizio patrimoniale da morte del congiunto e percezione della pensione di reversibilita’:

(a) e’ incoerente con le regole unanimemente applicate dalla giurisprudenza di legittimita’ in tutti gli altri settore della responsabilita’ civile;

(b) adotta una nozione di “causalita’” datata, e non coerente con la regola della condicio si ne qua non;

(c) priva di fatto, e senza giustificazione, l’assicuratore sociale o l’ente previdenziale dell’azione di surrogazione, con pregiudizio per l’economia di tali enti e, di conseguenza, per la collettivita’ intera.

8. Detto delle ragioni per le quali non e’ condivisibile l’orientamento che nega l’applicabilita’ della compensano lucri cum damno nel caso di cumulo del risarcimento del danno patrimoniale da morte del congiunto con la pensione di reversibilita’, occorre ora stabilire se sia possibile affermare che abbia patito un danno la persona la quale, privata dell’ausilio economico d’un prossimo congiunto, percepisca pero’ in luogo di esso una pensione di reversibilita’. A tale quesito deve darsi risposta negativa.

8.1. E’ principio generale del nostro ordinamento che il risarcimento non deve ne’ arricchire, ne’ impoverire il danneggiato. Tale principio e’ anche detto “principio di indifferenza”, perche’ per la vittima dovrebbe essere pecuniariamente indifferente non patire il danno, ovvero patire il danno ma intascare il risarcimento.

Corollario di questo principio e’ che il risarcimento non puo’ creare in favore del danneggiato una situazione migliore di quella in cui si sarebbe trovato se il fatto dannoso non fosse avvenuto, immettendo nel suo patrimonio un valore economico maggiore della differenza patrimoniale negativa indotta dall’illecito.

Il principio di indifferenza si desume dall’articolo 1223 c.c., secondo cui il risarcimento deve includere solo la perdita subita ed il mancato guadagno, ma anche – ad esempio – dagli articoli 1909 e 1910 c.c., i quali fissando in materia assicurativa il c.d. principio indennitario, escludono che la vittima possa cumulare il risarcimento e l’indennizzo. Il principio in esame e’ altresi’ confermato indirettamente dall’articolo 1224 c.c., comma 1, ultima parte: tale norma, stabilendo che nelle obbligazioni pecuniarie sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali “anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno”, rende palese che, la’ dove il legislatore ha inteso derogare al principio di indifferenza, ha sentito la necessita’ di farlo in modo espresso.

8.2. La pensione di reversibilita’ prevista dal R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, articolo 13, (erogata dall’Inps al coniuge dell’assicurato deceduto) ha la finalita’ di preservare i congiunti del de cujus dalle conseguenze patrimoniali sfavorevoli cui essi sono esposti nel momento in cui viene a mancare la principale fonte di reddito del nucleo familiare. Tanto si desume dal fatto che:

(a) la pensione di reversibilita’ R.D.L. n. 636 del 1939, ex articolo 13, e’ attribuita all’avente diritto jure proprio, ed e’ causalmente collegata al decesso;

(b) essa in tanto viene corrisposta, in quanto si presume che il beneficiario subisce una perdita patrimoniale in conseguenza della morte del congiunto;

(c) essa non e’ dovuta ai figli maggiorenni, e dunque abili al lavoro, mentre e’ dovuta anche ai figli maggiorenni, se inabili al lavoro;

(d) il diritto al trattamento di reversibilita’ da parte del coniuge della vittima si estingue se questi passa a nuove nozze;

(e) il trattamento di reversibilita’ dovuto al figlio della vittima si estingue, se questi svolge attivita’ lavorativa produttiva di reddito continuativo (R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, articolo 13);

(f) i genitori del defunto hanno diritto alla pensione di reversibilita’ solo se viventi a carico (Decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1957, n. 818, articolo 19);

(h) i fratelli della vittima, in mancanza di altri aventi diritto, possono pretendere la pensione di reversibilita’, ma solo se inabili al lavoro (R.D.L. n. 636 del 1939, articolo 13, cit.).

Previsioni pressoche’ identiche sono dettate, per i dipendenti civili e militari dello Stato, dal Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, articolo 81 e ss.. Questo articolato blocco normativo rende palese che l’erogazione della pensione di reversibilita’ ha una funzione indennitaria, a prescindere dal fine solidaristico cui sono improntate le disposizioni che la prevedono: ed infatti spetta a chi non ha redditi propri, e si perde se il beneficiario svolge attivita’ lavorativa o (nel caso del coniuge) contrae un secondo matrimonio. Ora, se la pensione di reversibilita’ ha lo scopo di sollevare i familiari dallo stato di bisogno causato dalla scomparsa della persona che all’interno del nucleo familiare produceva un reddito destinato alla famiglia, deve concludersi che il percettore della suddetta pensione non patisce alcun danno patrimoniale per effetto della morte del congiunto, fino all’ammontare del valore capitale della pensione stessa. Il danno patrimoniale consiste infatti nella differenza tra le utilita’ godute dal danneggiato prima dell’evento dannoso e quelle godute dopo. Sicche’, ove nel caso di specie non si tenesse conto, nella liquidazione del danno patrimoniale, delle utilita’ gia’ percepite dalla danneggiata e finalizzate ad attenuare le conseguenze patrimoniali del decesso, si perverrebbe alla assurda conseguenza che il patrimonio complessivo del nucleo familiare della vittima sarebbe paradossalmente accresciuto in conseguenza del decesso.

Si consideri a questo proposito che, ove il proprio familiare non avesse perso tragicamente la vita, i superstiti avrebbero goduto della aliquota di reddito loro destinata dal defunto, e null’altro. A causa della morte, invece, ove il danno venisse liquidato senza tener conto degli emolumenti erogati dall’ente previdenziale, i superstiti beneficerebbero di una somma di denaro sostitutiva del reddito perduto, pagata dal responsabile (e cio’ da solo vale a reintegrare il loro patrimonio presente e futuro); in piu’, beneficerebbero della rendita pagata dall’ente previdenziale (o dall’assicuratore sociale), realizzando cosi’ un incremento patrimoniale rispetto alla situazione nella quale si sarebbero trovati in assenza dell’evento luttuoso. Deve dunque concludersi che la compensatio lucri cum damno in tanto puo’ operare, in quanto esista un danno; ma un danno non puo’ ritenersi esistente, quando le conseguenze sfavorevoli dell’illecito siano state rimosse (in tutto od in parte) dall’intervento dell’ente di previdenza o dell’assicuratore sociale.

8.3. A conforto delle osservazioni sin qui svolte, utili insegnamenti possono trarsi dalla storia di una vicenda per certi versi analoga: quello del cumulo di stipendio e risarcimento del danno da incapacita’ lavorativa temporanea, nel caso di danno alla salute di un impiegato.

Per piu’ di dieci anni, tra il 1966 ed il 1978, questa Corte aveva costantemente affermato che, nel caso in cui un impiegato resti assente dal lavoro a causa di un infortunio, continuando a percepire la retribuzione, egli ha diritto di chiedere al danneggiante anche il danno da incapacita’ temporanea di guadagno, in quanto – si diceva – in quel caso non poteva operare la compensatio lucri cum damno, avendo risarcimento e stipendio cause diverse (principio costantemente affermato a partire da Sez. 3, Sentenza n. 2284 del 27/08/1966, Rv. 324445, sino a Sez. 3, Sentenza n. 1439 del 12/05/1972, Rv. 358056).

Si badi come la motivazione addotta per consentire il cumulo di stipendio e risarcimento del danno da incapacita’ lavorativa era del tutto identico a quella ancora oggi invocata per giustificare il cumulo di risarcimento e pensione di reversibilita’: e cioe’ l’inapplicabilita’ della compensatio lucri cum damno a causa della diversita’ della fonte del lucro e della perdita.

Dopo molto tempo (ed aspre critiche da parte della dottrina), questa Corte a partire dalla fine degli anni Settanta del XX sec. muto’ avviso, stabilendo che, nel caso in cui il lavoratore infortunato abbia continuato a percepire la retribuzione durante la malattia, nulla gli compete a titolo di danno patrimoniale da inabilita’ temporanea, e cio’ non perche’ non possa applicarsi il principio della compensano lucri cum damno, ma semplicemente perche’ non esiste un danno risarcibile (Sez. 3, Sentenza n. 3507 del 11/07/1978, Rv. 392993, in seguito sempre conforme).

Ebbene, la vicenda appena descritta non appare concettualmente diversa da quella concernente il divieto cumulo di risarcimento e pensione di reversibilita’, e non v’e’ ragione per non risolverla nello stesso modo.

9. Nel caso di specie, ha pertanto errato la Corte d’appello nel liquidare il danno patrimoniale patito dalla sig.a (OMISSIS), vedova di (OMISSIS), in misura pari al 60% degli emolumenti goduti in vita dalla vittima, senza tenere conto del fatto che essendo il sig. (OMISSIS) titolare di tre piccole pensioni, per effetto della sua morte sarebbe spettato alla vedova il diritto alla pensione di reversibilita’.

Il settimo motivo di ricorso dell'(OMISSIS) deve essere dunque accolto, base al seguente principio di diritto:

Dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilita’ percepita dal superstite in conseguenza della morte del congiunto.

10. L’ottavo motivo del ricorso principale ((OMISSIS)).

10.1. Con l’ottavo motivo del ricorso principale l'(OMISSIS) lamenta che la sentenza impugnata sarebbe viziata da violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3.

Espone, al riguardo, che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto tardiva, e quindi inammissibile, la domanda formulata dall'(OMISSIS) nei confronti del proprio assicuratore della r.c.a., l’ (OMISSIS) s.p.a., con la quale l’ente assicurato domandava di essere tenuta indenne dalle pretese dei danneggiati anche oltre il massimale di legge, a causa della colpevole inerzia serbata dall’ (OMISSIS) nell’adempiere le proprie obbligazioni (c.d. mala gestio).

Precisa l’azienda ricorrente che la domanda di mala gestio nei confronti dell’ (OMISSIS) era stata formulata non all’udienza di precisazione delle conclusioni (4.10.2002), ma ben due udienze prima (il 28.6.2002), e che comunque l’ (OMISSIS), contestando nel merito la domanda dell’assicurato, aveva implicitamente accettato il contraddittorio su essa.

10.2. Il motivo e’ ammissibile, quantunque il ricorrente abbia errato nel qualificare il vizio di cui si duole.

Ove, infatti, si assuma che il giudice di merito abbia ritenuto tardiva una domanda tempestiva o viceversa, chi lamenti l’erroneita’ di tale decisione deduce un tipico error in procedendo, di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4. Nel caso di specie tuttavia, nonostante tale errore di sussunzione, l’illustrazione del motivo consente di comprendere con chiarezza il tipo di errore denunciato dal ricorrente. Ne consegue che deve trovare applicazione il principio, affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui l’erronea qualificazione del motivo di ricorso e’ ininfluente, quando la sua illustrazione contenga comunque un “inequivoco riferimento” al vizio di cui la parte intende effettivamente dolersi (Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013).

10.3. Nel merito, il motivo e’ fondato.

Nelle controversie tra assicurato ed assicuratore della responsabilita’ civile (di qualunque tipo), la pattuizione del massimale costituisce una clausola di delimitazione quantitativa del rischio, e quindi dell’oggetto del contratto. Tale clausola tuttavia non e’ necessaria, ne’ la misura massima dell’impegno dell’assicuratore e’ soggetta a limiti legali.

Per un verso, infatti, il contratto di assicurazione della responsabilita’ civile potrebbe in teoria essere stipulato anche per un massimale illimitato; per altro verso l’articolo 128 cod. ass. vieta la stipula di contratti di assicurazione della r.c.a. per massimali inferiori a quelli ivi previsti, ma non certo la stipula di contratti per massimali superiori.

L’esistenza ed il contenuto della clausola che fissa il massimale costituisce dunque un fatto impeditivo della pretesa dell’assicurato di ottenere il pagamento dell’indennizzo assicurativo, e dunque d’una eccezione.

L’eccezione di massimale costituisce un’eccezione in senso lato, cosi’ come tutte le eccezioni contrattuali non espressamente riservate dalla legge alla parte, secondo la regola fissata dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 1099 del 03/02/1998, Rv. 512186; nello stesso senso, ex multis, Sez. L, Sentenza n. 11108 del 15/05/2007, Rv. 596916; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 409 del 13/01/2012, Rv. 620727).

Tuttavia la circostanza che una eccezione sia rilevabile d’ufficio non solleva affatto chi intenda sollevarla dall’onere di allegare tempestivamente i fatti costitutivi di essa: e dunque, nel caso di eccezioni contrattuali, di depositare il testo del contratto e della clausola costitutiva dell’eccezione. Cio’ vuoi dire che e’ sempre onere dell’assicuratore, convenuto per il pagamento dell’indennizzo:

(a) allegare l’esistenza della clausola delimitativa del massimale;

(b) provarne l’esistenza.

Non e dunque affatto vero quanto sostenuto dalla (OMISSIS) nel proprio controricorso, ovvero che il limite del massimale “opera di pieno di diritto”. Il limite del massimale costituisce oggetto d’una eccezione contrattuale, che per quanto rilevabile d’ufficio esige pur sempre che ne sia tempestivamente allegato e provato il fatto costitutivo.

Infine, deve sottolinearsi come anche nel sistema processuale anteriore alle modifiche introdotte dalla Legge 26 novembre 1990, n. 353, era si’ consentito alle parti modificare domande ed eccezioni fino alla precisazione delle conclusioni, ma non era certo loro consentito introdurre in corso di causa fatti nuovi, non tempestivamente dedotti (ex permultis, Sez. 2 , Sentenza n. 10930 del 04-11-1993, n. 10930). E costituisce fatto nuovo, per l’appunto, l’invocazione d’una clausola contrattuale che fissa il limite del massimale in una certa misura.

10.4. Cio’ premesso in iure, si osserva in facto che nel caso di specie l’ (OMISSIS) risulta avere formulato l’eccezione di incapienza del massimale dopo sedici anni di giudizio, e cioe’ nel 2002.

Non risulta, per contro, che sia mai stato allegato il fatto costitutivo di tale eccezione. Ne’ l’ (OMISSIS), su cui incombeva il relativo onere, ha mai dedotto nel proprio controricorso quando abbia prodotto in giudizio il contratto, quale ne fosse il contenuto e sotto quale numero di indice del fascicolo sia stato allegato: cosi’ violando il principio di autosufficienza, che ovviamente s’applica anche al controricorrente, quando sollevi eccezioni fondate su atti o documenti prodotti nei gradi di merito (ex multis, Sez. lav., sentenza n. 5970 del 14-03-2011).

A questa tardiva eccezione l'(OMISSIS) replico’ chiedendo di essere tenuta indenne dal proprio assicuratore della r.c.a. anche oltre il limite del massimale, a causa della colpevole inerzia dell’ (OMISSIS). Tale replica fu formulata all’udienza del 28.6.2002, mentre la precisazione delle conclusioni avvenne – in due fasi – alle successive udienze del 19 luglio e del 4 ottobre 2002.

10.5. La Corte d’appello pertanto, ritenendo inammissibile la domanda di -, condanna ultramassimale formulata dall’assicurato nei confronti dell’assicuratore, e’ effettivamente incorsa in ben due errores in procedendo.

Il primo e’ consistito nell’esaminare ed accogliere l’eccezione di massimale, senza che l’eccipiente risulti avere mai adempiuto il sotteso onere di tempestiva allegazione e prova del fatto materiale costitutivo dell’eccezione (il contratto).

Il secondo e decisivo errore della Corte d’appello e’ consistito nell’avere ammesso una tardiva allegazione dei fatti costitutivi dell’eccezione da parte della convenuta (OMISSIS), e negato all'(OMISSIS) il diritto di replicare a tale tardiva eccezione.

In questo modo la Corte d’appello ha violato il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa, ad una parte concedendo, ed all’altra negando, di modificare tardivamente le proprie difese, tanto piu’ che la seconda modifica fu necessitata dalla prima.

10.6. Il motivo va dunque rigettato in virtu’ del seguente principio di diritto:

Nella controversia tra l’assicurato e l’assicuratore della responsabilita’ civile derivante dalla circolazione di veicoli, avente ad oggetto il pagamento dell’indennizzo, l’eccezione di incapienza del massimale e’ un’eccezione in senso lato, come tale rilevabile anche d’ufficio, ma pur sempre a condizione che l’assicuratore abbia tempestivamente allegato e provato – con la forma prescritta dall’articolo 1888 c.c. – l’esistenza del fatto costitutivo di essa, ovvero l’esistenza ed il contenuto della relativa clausola.

11. Il primo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS).

11.1. Col primo motivo del ricorso incidentale il sig. (OMISSIS) lamenta che la sentenza impugnata sarebbe contemporaneamente affetta sia da violazione di legge, sia da un vizio di motivazione.

Sotto il primo profilo, lamenta che la Corte d’appello avrebbe scorrettamente applicato le regole che presiedono all’accertamento del nesso di causa tra il fatto illecito e il danno, e d avrebbe di conseguenza erroneamente affermato l’esistenza di tale nesso tra la condotta di guida dell’autista (OMISSIS) e la morte del sig. (OMISSIS).

Sotto il secondo profilo, l'(OMISSIS) lamenta che la Corte d’appello non avrebbe esaminato fatti decisivi ai fini dell’accertamento del nesso di causa, quali le dimensioni del mezzo condotto dal sig. (OMISSIS) e le condizioni di tempo, e traffico del luogo ove avvenne il sinistro.

11.2. Il motivo e’ infondato sotto il primo profilo, ed inammissibile sotto il secondo.

La Corte d’appello, per accertare l’esistenza del nesso di causa tra la caduta sull’autobus del sig. (OMISSIS) e la conseguente morte, ha applicato la regola della condicio sine qua non, in virtu’ della quale qualsiasi antecedente causale senza il quale l’evento di danno non si sarebbe verificato, deve ritenersi “causa” in senso giuridico di questo (articolo 40 c.p.).

Tanto ha fatto sulla base della relazione di consulenza eseguita nel corso del giudizio.

Stabilire, poi, se una fibrillazione atriale possa o non possa essere causata da una trauma toracico in una persona anziana e’ accertamento di fatto, non sindacabile nella presente sede.

Quanto, poi, al preteso vizio di motivazione, la relativa censura in realta’ invoca da questa Corte una diversa ricostruzione dei fatti, non consentita in sede di legittimita’.

12. Il secondo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS).

12.1. Col secondo motivo del ricorso incidentale il sig. (OMISSIS) lamenta che la sentenza impugnata sia affetta da violazione di legge, ex articolo 360 c.p.c., n. 3.

Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere non superata la presunzione di colpa posta dall’articolo 2054 c.c., a carico del conducente del mezzo pubblico. Lamenta, in particolare, che la Corte d’appello ha omesso di tenere conto degli atti del procedimento penale a carico di (OMISSIS), che si concluse col suo proscioglimento.

12.2. Il motivo e’ manifestamente inammissibile.

Stabilire se vi sia o non vi sia la prova della colpa o dell’assenza di essa e’ una valutazione riservata al giudice di merito, ed incensurabile in sede di legittimita’.

Il ricorrente dunque, pur lamentando formalmente la violazione dell’articolo 2054 c.c., in realta’ si duole del modo in cui il giudice di merito ha valutato le prove raccolte, e dunque denuncia un vizio di motivazione.

Ma nel caso di specie la Corte d’appello ha ampiamente motivato (pp. 10-16) sulle ragioni per le quali ha ritenuto non superata la presunzione di colpa di cui all’articolo 2054 c.c., comma 1, e tale motivazione non e’ illogica ne’ contraddittoria.

13. Il terzo motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS).

13.1. Col terzo motivo del ricorso incidentale il sig. (OMISSIS) lamenta che la sentenza impugnata sia affetta da violazione di legge, ex articolo 360 c.p.c., n. 3.

Espone, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato l’articolo 2045 e.e, non considerando che il danno fu causato dallo stato di necessita’ in cui venne a trovarsi il conducente dell’autobus, ovvero evitare l’urto con altro veicolo che gli taglio’ improvvisamente la strada.

13.2. Il motivo e’ infondato.

Violazione dell’articolo 2045 c.c., vi sarebbe stata se la Corte d’appello, dopo avere accertato in facto che il sig. (OMISSIS) fu costretto ad una manovra d’emergenza per salvare se’ ed i passeggeri da piu’ gravi rischi, l’avesse condannato al risarcimento del danno.

Ben diversa, tuttavia, e’ stata la decisione del giudice di merito: questi ha infatti escluso in facto che vi fosse la prova d’uno stato di necessita’, e di conseguenza ha ritenuto in iure non superata la presunzione posta a carico dell'(OMISSIS) e del suo autista dall’articolo 2054 c.c., comma 1.

14. Il quarto motivo del ricorso incidentale di (OMISSIS).

14.1. Col quarto motivo di ricorso il ricorrente incidentale sostiene che la sentenza impugnata sarebbe incorsa sia nel vizio di violazione di legge di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3, sotto due aspetti.

Per un verso, allega il ricorrente che la sentenza impugnata abbia violato l’articolo 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello liquidato somme eccedenti quelle richieste dagli attori.

Per altro verso, allega il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe liquidato il danno c.d. “catastrofale” (recte, il danno non patrimoniale patito in vita dal sig. (OMISSIS)) in assenza dei suoi elementi costitutivi, cioe’ la lucida coscienza di stare per morire.

14.1. Il primo profilo del quarto motivo di ricorso e’ infondato, per le ragioni gia’ indicate supra, al 4.2, cui bastera’ rinviare.

14.2. Il secondo profilo del quarto motivo di ricorso e’ invece fondato, per le ragioni gia’ indicate supra, al 5.2, cui bastera’ rinviare.

15. Il ricorso incidentale di (OMISSIS) s.p.a..

15.1. Con l’unico motivo del proprio ricorso incidentale, l’ (OMISSIS) s.p.a. lamenta che la sentenza impugnata sia viziata da violazione di legge, ex articolo 360, n. 3 c.p.c, con riferimento agli articoli 1224 e 1917 c.c., e Legge 24 dicembre 1969, n. 990, articolo 18.

Nell’illustrazione del motivo, l’ (OMISSIS) formula in realta’ due censure:

(a) la Corte d’appello ha errato nel condannare l’ (OMISSIS) al pagamento dell’indennizzo in misura eccedente il massimale, posto che alcuna colpa era ad essa ascrivibile per avere ritardato il pagamento dell’indennizzo;

(b) la Corte d’appello ha errato altresi’ nel determinare il quantum della responsabilita’ per mala gestio dell’assicuratore, per avere cumulato interessi e rivalutazione.

15.2. Nella parte in cui lamenta di essere stata erroneamente condannata a pagare un indennizzo eccedente il massimale, l’ (OMISSIS) formula una censura inammissibile, in quanto l’accertamento della colpa dell’assicuratore della r.c.a. che ritardi il pagamento dell’indennizzo costituisce un accertamento in fatto, riservato al giudice di merito.

15.3. Nella parte in cui lamenta la violazione dell’articolo 1224 c.c., e la erronea liquidazione del debito dell’assicuratore, la censura e’ invece fondata. L’obbligazione dell’assicuratore della r.c.a., tanto nei confronti dell’assicurato, quanto nei confronti del terzo danneggiato, e’ una obbligazione di valuta, in quanto ha ad oggetto il pagamento d’una somma di denaro, pari al danno causato dall’assicurato e col limite del massimale. Se l’assicuratore ritarda l’adempimento di tale obbligazione, gli effetti della sua mora saranno tuttavia diversi a seconda che il danno causato dall’assicurato sia inferiore o superiore rispetto al massimale.

15.3.1. Nel caso in cui l’assicurato causi un danno inferiore al massimale, l’assicuratore ha l’obbligo di tenere indenne lui (e di risarcire il terzo danneggiato) per l’intero danno derivato dall’illecito.

L’assicurato, tuttavia, poiche’ ha commesso un illecito, nei confronti del danneggiato:

(a) e’ debitore di una obbligazione di valore, avente ad oggetto il risarcimento del danno;

(b) versa in mora ex re dal giorno del fatto, ai sensi dell’articolo 1219 c.c., comma 2, n. (1), (“non e’ necessaria la costituzione in mora quando il debito deriva da fatto illecito”).

Il ritardato adempimento d’una obbligazione di valore obbliga il debitore al risarcimento dell’ulteriore danno da lucro cessante (c.d. “interessi compensativi”): ovvero il pregiudizio patito dal creditore per non avere potuto tempestivamente disporre della somma dovutagli a titolo di risarcimento; non avere potuto di conseguenza investirla, e non avere potuto ricavarne un lucro finanziario.

Tale danno si liquida con i criteri stabiliti dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 1712 del 17/02/1995, Rv. 490480), ovvero applicando un saggio di interessi scelto in via equitativa dal giudice, sul credito espresso in moneta corrispondente all’epoca dell’illecito, e rivalutato anno per anno (ovvero rivalutato in base ad un indice medio tra quello dell’epoca del fatto, e quello dell’epoca della liquidazione; ovvero ancora sulla semisomma tra il credito espresso in moneta dell’epoca del fatto, e il credito espresso in moneta dell’epoca della liquidazione).

Ora, poiche’ l’assicuratore ha l’obbligo di risarcire la vittima per l’intero danno causatole dall’assicurato, e poiche’ il credito risarcitorio del danneggiato comprende anche il danno da ritardato adempimento dell’obbligazione risarcitoria, l’assicuratore sara’ tenuto a risarcire anche questa voce di danno alla vittima.

Pertanto, nei casi di danni inferiori al massimale, l’obbligazione indennitaria dell’assicuratore, pur avendo natura di obbligazione di valuta, andra’ monetizzata con i medesimi criteri applicabili alle obbligazioni di valore, perche’ tale e’ la natura dell’obbligazione dell’assicurato, sul cui ammontare e’ ricalcato il debito dell’assicuratore.

15.3.2. Quando, invece, il danno causato dall’assicurato eccede il massimale, l’obbligazione dell’assicuratore (tanto nei confronti della vittima, quanto nei confronti dell’assicurato) e’ delimitata dall’importo del massimale. Essa, pertanto, in questo caso ha non solo il nome, ma anche gli effetti d’una obbligazione di valuta.

La mora nelle obbligazioni di valuta e’ regolata dall’articolo 1224 c.c., in virtu’ del quale il creditore inadempiente e’ tenuto al pagamento degli interessi legali dal giorno della mora, nonche’ del maggior danno ove esistente.

La Corte di cassazione, anche in questo caso a Sezioni Unite, con ripetuti interventi ha precisato che la liquidazione del maggior danno ex articolo 1224 c.c., comma 2, si sostituisce, e non si aggiunge, alla liquidazione degli interessi legali.

Questi, infatti, rappresentano una liquidazione del danno effettuata ex ante e forfettariamente dal legislatore. Gli interessi legali nelle obbligazioni di valuta rappresentano dunque la liquidazione di un danno presunto. Qualora, per contro, il creditore dimostri che l’effettivo danno da mora sia stato superiore, e non e’ percio’ ristorato dal solo pagamento degli interessi legali, il danneggiato avra’ diritto al risarcimento di questo danno nella sua interezza, che dunque prendera’ il posto della liquidazione forfettaria stabilita dal legislatore con la previsione degli interessi legali (Sez. U, Sentenza n. 10796 del 16/12/1994, Rv. 489242; nonche’, piu’ di recente, Sez. U, Sentenza n. 19499 del 16/07/2008, Rv. 604419).

15.3.3. Vediamo ora in che modo la mala gestio dell’assicuratore (ovvero il colpevole ritardo nell’adempimento non solo dell’obbligo risarcitorio, ma anche delle connesse obbligazioni di accertare, stimare, offrire, motivare l’offerta o il diniego d’essa) incide sul limite del massimale e sugli effetti della mora, come delineati nei due precedenti.

Occorre distinguere al riguardo tre ipotesi.

15.3.4. La prima eventualita’ e’ che, nonostante la mala gestio ed il ritardato adempimento, il massimale resti capiente.

In tal caso ovviamente nulla quaestio: si applicheranno le regole sulla mora nelle obbligazioni di valore (supra, 15.3.1), e l’assicuratore potra’ andare incontro unicamente alle sanzioni amministrative previste dall’articolo 315 cod. ass..

15.3.5. La seconda eventualita’ e’ che il massimale, capiente all’epoca dell’illecito, sia divenuto incapiente al momento del pagamento: vuoi per effetto del deprezzamento del denaro, vuoi per effetto della variazione dei criteri di liquidazione del danno.

In tal caso il danneggiato, se fosse stato tempestivamente risarcito, avrebbe ottenuto il ristoro integrale del danno. Di conseguenza nel caso di mala gestio egli potra’ pretendere dall’assicuratore il risarcimento integrale, senza riguardo alcuno al limite del massimale, giacche’ l’assicuratore dovra’ in tale ipotesi risarcire non il fatto dell’assicurato (per il quale vige il limite del massimale), ma il fatto proprio, e cioe’ il pregiudizio al credito del L danneggiato derivata dal colposo ritardo nell’adempimento.

Tale eventualita’ non viene pero’ in esame nel presente giudizio, non essendo mai stata prospettata ne’ dimostrata da alcuna delle parti.

15.3.6. La terza eventualita’ e’ che il massimale assicurato gia’ all’epoca del sinistro fosse incapiente.

In tal caso, quand’anche l’assicuratore avesse tempestivamente pagato l’indennizzo, la vittima avrebbe potuto comunque ottenere il ristoro di una parte soltanto del danno. Di conseguenza, se l’assicuratore incorre in mala gestio, egli sara’ tenuto a pagare gli interessi legali (ed eventualmente il maggior danno, ex articolo 1224 c.c., comma 2), sul massimale. In questi casi inoltre, costituendo il debito dell’assicuratore una obbligazione di valuta, non e’ possibile cumulare la rivalutazione del massimale e gli interessi, ma delle due l’una: o il danneggiato dimostra di avere patito un “maggior danno”, cioe’ un pregiudizio causato dal ritardo nell’adempimento non assorbito dagli interessi legali, ed allora avra’ diritto al risarcimento di quest’ultimo; ovvero nulla dimostra a tal riguardo, ed allora gli spetteranno i soli interessi legali.

15.3.7. Si applichino ora i principi appena esposti al caso di specie.

Poiche’ nessuna delle parti mai ha allegato che un tempestivo adempimento dell’ (OMISSIS) avrebbe consentito alle vittime l’integrale ristoro del danno, ricorreva la terza delle ipotesi appena elencate (massimale gia’ incapiente all’epoca del sinistro: supra, 15.3.6).

La Corte d’appello era dunque chiamata a liquidare il danno da ritardato adempimento d’una obbligazione di valuta, di importo pari al massimale assicurato.

La mora nelle obbligazioni di valuta, per quanto detto, va liquidata accordando al creditore, in via alternativa:

(a) gli interessi legali sul capitale nominale, se il creditore non prova alcun maggior danno;

(b) il solo maggior danno, e non gli interessi legali, nel caso contrario. Tale maggior danno, ovviamente, puo’ essere rappresentato anche dalla mera svalutazione monetaria, ove il creditore provi che un tempestivo adempimento gli avrebbe consentito di acquistare beni-rifugio che l’avrebbero tenuto al riparo dagli effetti dell’inflazione.

Nel caso di specie la Corte d’appello ha accordato la rivalutazione monetaria, cosi’ implicitamente mostrando ritenere che i danneggiati avessero provato l’esistenza d’un maggior danno, ai sensi dell’articolo 1224 c.c., comma 2. Ne consegue che, avendo liquidato il maggior danno ex articolo 1224 c.c., comma 2, sotto forma di rivalutazione monetaria, la Corte d’appello non poteva aggiungere ad esso anche gli interessi legali “sulla somma devalutata (…) alla data dell’incidente e via via annualmente rivalutata fino alla data della presente pronunzia”, perche’ in tal modo ha applicato congiuntamente tutti e due i commi dell’articolo 1224 c.c., la’ dove le previsioni ivi contenute sono, per quanto detto, tra loro alternative (Sez. 6-3, Ordinanza n. 10839 del 17/05/2011, Rv. 618214; Sez. 3, Sentenza n. 19919 del 18/07/2008, Rv. 604904).

La Corte d’appello, pertanto, ha effettivamente violato l’articolo 1224 c.c., liquidando il danno da mora nell’adempimento d’una obbligazione di valuta con i criteri che invece si applicano alla liquidazione del danno da mora nell’adempimento d’una obbligazione di valore.

15.4. Il motivo di ricorso va dunque accolto in base al seguente principio di diritto:

Nella liquidazione del danno da mala gestio dell’assicuratore della r.c.a., occorre distinguere due ipotesi: (a) se il credito del danneggiato gia’ al momento del sinistro eccedeva il massimale, il danno da mala gestio e’ pari agli interessi legali sul massimale (ovvero alla rivalutazione dello stesso, se l’inflazione e’ stata superiore al saggio degli interessi legali, in applicazione dell’articolo 1224 c.c., comma 2); (b) se, invece, il credito del danneggiato al momento del sinistro era inferiore al massimale, ed in seguito sia lievitato sino a superare tale soglia, il danno da mala gestio e’ pari alla rivalutazione del suddetto credito, ed al cumulo ad esso del danno da lucro cessante, liquidato secondo i criteri stabiliti da Cass. sez. un. n. 1712 del 1995 per l’ipotesi di ritardato adempimento delle obbligazioni di valore.

16. La decisione nel merito.

16.1. Le mende sopra rilevate della sentenza impugnata non ne rendono indispensabile la cassazione con rinvio al giudice del merito. Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, e’ possibile per questa Corte decidere la controversia nel merito, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c..

16.2. Liquidazione del danno.

La Corte d’appello liquido’ a ciascuno degli appellanti un risarcimento complessivo di euro 209.830,50 (in moneta del 2012), cosi’ composto:

(a) euro 155.000 per danno non patrimoniale da morte, jure proprio;

(b) euro 38.750 per danno non patrimoniale da morte, acquisito jure haereditario dopo la morte di (OMISSIS);

(c) euro 370,77 per spese funerarie;

(d) euro 6.709,73 per danno patrimoniale da perdita del reddito della vittima, acquisito jure haereditario da (OMISSIS);

(e) euro 9.000 per danno da lucida agonia, acquisito jure haereditario da (OMISSIS).

Si e’ visto come le voci sub (d) ed (e) siano state erroneamente liquidate. Esse vanno dunque espunte dal risarcimento complessivo, e il danno patito da ciascuno degli (allora) appellanti, pertanto, va rideterminato nella minor somma di euro 194.120,77.

Il credito della sig.a (OMISSIS), deceduta nelle more del giudizio, deve ritenersi trasferito ai suoi eredi nella misura di un terzo ciascuno, ex articolo 581 c.c., (non avendo nessuno degli odierni ricorrenti mai allegato che la sig.a (OMISSIS) non sia deceduta ab intestato). Ne consegue che a ciascuno dei sigg.ri (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) spettera’ un risarcimento di euro 64.706,92.

16.3. Responsabilita’ dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato.

La Corte d’appello, per quanto detto, ha errato nel ritenere inammissibile la domanda di condanna dell’assicuratore per mala gestio in senso proprio formulata dall'(OMISSIS).

Non essendovi stata una valida impugnazione sull’esistenza d’una colpevole condotta dell’assicuratore, l’ (OMISSIS) s.p.a. va dunque condannata a tenere indenne il proprio assicurato (OMISSIS) fino alla concorrenza dell’importo del massimale rivalutato alla data della sentenza d’appello, ovvero euro 107.617,55.

16.4. Danno da mora.

L’ (OMISSIS) s.p.a. va condannata al pagamento nei confronti dei ricorrenti della somma di euro 107.617,55, pari al coacervo del capitale e del maggior danno da mora, ex articolo 1224 c.c., comma 2, rappresentato dalla svalutazione monetaria maturata sino alla data del deposito della sentenza d’appello.

Tale somma andra’ ripartita tra tutti i danneggiati col criterio proporzionale di cui all’articolo 140, comma 1, cod. ass. (massimale rivalutato moltiplicato per il danno del singolo, e diviso per il danno complessivo), e quindi:

(-) euro 26.904,38 ciascuno ai sigg. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);

(-) euro 8.968,12 ciascuno ai sigg.ri (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS).

Dalla data della sentenza d’appello (10.12.2012) ad oggi (11.3.2014) sia la svalutazione monetaria (0,56%) sia il rendimento medio dei BOT di durata non superiore all’anno (0,85%) sono stati inferiori al saggio legale medio degli interessi (pari a 2,2697%).

Ne consegue che dalla data della sentenza d’appello non puo’ piu’ spettare ai danneggiati il maggior danno ex articolo 1224 c.c., comma 2, ma solo il saggio degli interessi legali.

16.5. Comunicazione all’autorita’ di vigilanza.

La presente sentenza, decidendo la causa nel merito, deve farsi rientrare tra le “sentenze a favore del danneggiato”, di cui all’articolo 148, comma 10, cod. ass..

Ne consegue che, apparendo a questa Corte sconcertante la condotta d’una impresa assicuratrice che attenda venti anni prima di indennizzare una persona trasportata su un mezzo pubblico, andra’ ordinata alla cancelleria la trasmissione di copia della presente sentenza all’ (OMISSIS), ai sensi della norma appena ricordata, per l’auspicata applicazione della doverosa sanzione, assumendo la data di deposito della presente sentenza quale data di accertamento dell’infrazione.

17. Le spese.

17.1. L’accoglimento solo parziale dei ricorsi, e l’innegabile profilo umano della vicenda oggetto del presente giudizio costituiscono un giusto motivo per la compensazione integrale delle spese del presente grado di giudizio fra tutte le parti, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis. Le spese dei gradi precedenti resteranno regolate nei termini stabiliti dalla sentenza impugnata, che questa Corte fa propri e recepisce nella presente sentenza.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

-) accoglie nei limiti indicati nella motivazione il ricorso principale dell(OMISSIS), il ricorso incidentale di (OMISSIS) ed il ricorso incidentale dell’ (OMISSIS) s.p.a., come in epigrafe rappresentata;

-) cassa la sentenza impugnata, e decidendo nel merito:

-) condanna (OMISSIS) e l'(OMISSIS), in solido tra loro e con l’ (OMISSIS) s.p.a. (quest’ultima fino alla concorrenza di euro 26.904,38), al pagamento in favore di (OMISSIS) della somma di euro 194.120,77, oltre interessi legali dal 10.12.2012;

-) condanna (OMISSIS) e l'(OMISSIS), in solido tra loro e con l’ (OMISSIS) s.p.a. (quest’ultima fino alla concorrenza di euro 26.904,38), al pagamento in favore di (OMISSIS) della somma di euro 194.120,77, oltre interessi legali dal 10.12.2012;

-) condanna (OMISSIS) e l'(OMISSIS), in solido tra loro e con l’ (OMISSIS) s.p.a. (quest’ultima fino alla concorrenza di euro 26.904,38), al pagamento in favore di (OMISSIS) della somma di euro 194.120,77, oltre interessi legali dal 10.12.2012;

-) condanna (OMISSIS) e l'(OMISSIS), in solido tra loro e con l’ (OMISSIS) s.p.a. (quest’ultima fino alla concorrenza di euro 8.968,12), al pagamento in favore di (OMISSIS) della somma di euro 64.706,92, oltre interessi legali dal 10.12.2012;

-) condanna (OMISSIS) e l'(OMISSIS), in solido tra loro e con l’ (OMISSIS) s.p.a. (quest’ultima fino alla concorrenza di euro 8.968,12), al pagamento in favore di (OMISSIS) della somma di euro 64.706,92, oltre interessi legali dal 10.12.2012;

-) condanna (OMISSIS) e l'(OMISSIS), in solido tra loro e con l’ (OMISSIS) s.p.a. (quest’ultima fino alla concorrenza di euro 8.968,12), al pagamento in favore di (OMISSIS) della somma di euro 64.706,92, oltre interessi legali dal 10.12.2012;

-) dichiara obbligata l’ (OMISSIS) s.p.a. a tenere indenne l'(OMISSIS) delle somme che quest’ultima sara’ obbligata a pagare agli odierni ricorrenti in esecuzione della presente sentenza, fino alla concorrenza di euro 107.617,55, oltre interessi legali dal 10.12.2012;

-) compensa integralmente tra tutte le parti le spese del presente grado di giudizio, confermando per i gradi precedenti la statuizione adottata dal giudice d’appello;

-) manda alla Cancelleria di trasmettere copia della presente sentenza all’ (OMISSIS).

 

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Avv. Umberto Davide

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