La dipendenza della malattia del lavoratore da una “causa di servizio” non implica, ne’ puo’ far presumere, che l’evento dannoso sia derivato dalle condizioni di insicurezza dell’ambiente di lavoro, essendo possibile che la patologia accertata debba essere collegata alla qualita’ intrinsecamente usurante della ordinaria prestazione lavorativa ed al logoramento dell’organismo del dipendente esposto ad un lavoro impegnativo per un lasso di tempo piu’ o meno lungo In detto ultimo caso si resta al di fuori dell’ambito dell’articolo 2087 c.c., che riguarda una responsabilita’ contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile Ordinanza 31 ottobre 2018, n. 27964

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Consigliere

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15291/2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.P.A., ( (OMISSIS)) C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2367/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 19/07/2013 R.G.N. 4596/2008.

RILEVATO

che:

Che la Corte di appello di Bari con al sentenza n. 2367/2013 aveva rigettato l’appello proposto da (OMISSIS) avverso la decisione con la quale il Tribunale locale aveva rigettato la domanda dallo stesso proposta nei confronti di (OMISSIS) spa, diretta all’accertamento del danno biologico conseguito alle mansioni che aveva continuato a svolgere pur a seguito di precedente riconoscimento di patologia dipendente da causa di servizio collegata alle stesse.

Specificava il ricorrente che con sentenza n. 7633/1997 il Tribunale di Bari aveva riconosciuto la dipendenza di causa di servizio della patologia denunciata ((OMISSIS)) e che nonostante l’accertamento le mansioni a lui assegnate non erano mutate. Il lavoratore aveva quindi adito nuovamente il Tribunale per chiedere l’accertamento del danno biologico patito.

La Corte territoriale, confermando la decisione di rigetto della domanda del locale tribunale, aveva ritenuto preliminarmente separate le azioni e le connessioni tra il riconoscimento della causa di servizio inerente le patologie da cui era affetto il lavoratore e la domanda di risarcimento del danno conseguente il mancato adempimento degli obblighi di sicurezza incombenti sul datore di lavoro; aveva ritenuto non adempiuti pienamente gli oneri probatori comunque incombenti sul lavoratore con riguardo alle modalita’ di determinazione del danno, non potendosi affermare la presenza nella disposizione di cui all’articolo 2087 c.c., di una ipotesi di responsabilita’ oggettiva. In concreto aveva valutato che riguardo a specifiche attivita’ ed a specifici ambienti di lavoro risultano presenti rischi per la salute del lavoratore ineliminabili in tutto o in parte dal datore di lavoro e per i quali deve essere messa in conto una necessaria accettazione del rischio alla salute del lavoratore legittimata dal principio di bilanciamento degli interessi. In tale contesto non risulta configurabile la responsabilita’ ex articolo 2018 c.c., se non in caso di comportamenti specifici ed anomali del datore di lavoro, la cui prova incombe sul lavoratore, che, nel caso di specie, era mancata.

Avverso detta decisione l’ (OMISSIS) proponeva ricorso affidato a 4 motivi ed a successiva memoria cui resisteva con controricorso (OMISSIS).

CONSIDERATO

che:

1) Con il primo motivo era denunciata la violazione e falsa applicazione degli articoli 1218, 2097 e 2697 c.c. (ex articolo 360, n. 3), con riguardo al governo degli oneri probatori nella fattispecie esaminata. In particolare il ricorrente aveva rilevato che incombe al lavoratore dar la prova del danno subito e della patologia da cui e’ affetto ed al datore di lavoro l’onere di provare di aver adottato tutte le misure necessarie.

Deve preliminarmente rilevarsi che “La dipendenza della malattia del lavoratore da una “causa di servizio” non implica, ne’ puo’ far presumere, che l’evento dannoso sia derivato dalle condizioni di insicurezza dell’ambiente di lavoro, essendo possibile che la patologia accertata debba essere collegata alla qualita’ intrinsecamente usurante della ordinaria prestazione lavorativa ed al logoramento dell’organismo del dipendente esposto ad un lavoro impegnativo per un lasso di tempo piu’ o meno lungo In detto ultimo caso si resta al di fuori dell’ambito dell’articolo 2087 c.c., che riguarda una responsabilita’ contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici” (Cass. n. 25151/2017)

Il principio esposto, coerente con la fattispecie in esame, impone quindi che nell’ipotesi in cui sia presente una malattia accertata quale conseguenza dell’attivita’ di lavoro, non sia affatto automatica la responsabilita’ datoriale ma questa, in ipotesi, debba invece essere provata con le regole generali in materia di responsabilita’ e cio’ pur se si discuta, come nella fattispecie in esame, di danno conseguente all’utilizzo del lavoratore in mansioni uguali a quelle che avevano determinato la patologia riconosciuta come afferente all’attivita’ di lavoro.

Con riguardo alla ripartizione degli oneri di prova questa corte ha chiarito che “Il lavoratore che agisca, nei confronti del datore di lavoro, per il risarcimento integrale del danno patito a seguito di infortunio sul lavoro ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento ed il nesso di causalita’ materiale tra l’inadempimento ed il danno, ma non anche la colpa della controparte, nei cui confronti opera la presunzione ex articolo 1218 c.c.. In particolare, nel caso di omissione di misure di sicurezza espressamente previste dalla legge, o da altra fonte vincolante, cd. nominate, la prova liberatoria incombente sul datore di lavoro si esaurisce nella negazione degli stessi fatti provati dal lavoratore; viceversa, ove le misure di sicurezza debbano essere ricavate dall’articolo 2087 c.c., cd. innominate, la prova liberatoria e’ generalmente correlata alla quantificazione della misura di diligenza ritenuta esigibile nella predisposizione delle indicate misure di sicurezza, imponendosi l’onere di provare l’adozione di comportamenti specifici che siano suggeriti da conoscenze sperimentali e tecniche, quali anche l’assolvimento di puntuali obblighi di comunicazione(Cass. n. 10319/2017).

Questa Corte ha altresi’ affermato che “sul datore di lavoro gravano sia il generale obbligo di “neminem laedere” espresso dall’articolo 2043 c.c., (la cui violazione e’ fonte di responsabilita’ extracontrattuale), sia il piu’ specifico obbligo di protezione dell’integrita’ psico-fisica del lavoratore sancito dall’articolo 2087 c.c., ad integrazione “ex lege” delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro (la cui violazione determina l’insorgenza di una responsabilita’ contrattuale).

Conseguentemente, il danno biologico – inteso come danno all’integrita’ psico-fisica della persona in se’ considerata, a prescindere da ogni possibile rilevanza o conseguenza patrimoniale della lesione – puo’ in astratto conseguire sia all’una che all’altra responsabilita’.

Qualora la responsabilita’ fatta valere sia quella contrattuale, dalla natura dell’illecito (consistente nel lamentato inadempimento dell’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrita’ psico-fisica del lavoratore) non deriva affatto che si versi in fattispecie di responsabilita’ oggettiva (fondata sul mero riscontro del danno biologico quale evento legato con nesso di causalita’ all’espletamento della prestazione lavorativa), ma occorre pur sempre l’elemento della colpa ossia la violazione di una disposizione di legge o di un contratto o di una regola di esperienza.

La necessita’ della colpa – che accomuna la responsabilita’ contrattuale a quella aquiliana – va poi coordinata con il particolare regime probatorio della responsabilita’ contrattuale che e’ quello previsto dall’articolo 1218 c.c. (diverso da quello di cui all’articolo 2043 c.c.), cosicche’ grava sul datore di lavoro l’onere di provare di aver ottemperato all’obbligo di protezione, mentre il lavoratore deve provare sia la lesione all’integrita’ psico-fisica, sia il nesso di causalita’ tra tale evento dannoso e l’espletamento della prestazione lavorativa” (Cass. n. 4184/2006; conf. Cass. n. 23162/2007).

Gli enunciati principi cristallizzato i reciproci obblighi delle parti attribuendo al lavoratore gli oneri probatori della lesione subita e del nesso di causalita’ ed al datore di lavoro l’onere di provare l’ottemperanza a tutte le misure utili a prevenire ed evitare l’evento e il danno (oneri di protezione).

La sentenza impugnata non risulta aver dato corretta applicazione alle regole cosi’ enucleate, allorche’ ha basato la propria decisione sulla ineluttabilita’ di taluni rischi per la salute dei lavoratori insiti in specifici lavori con conseguente “necessaria accettazione del rischio alla salute” da parte del lavoratore, sulla esistenza di un bilanciamento di interessi in siffatte circostanze tale da far escludere la configurazione della responsabilita’ ex articolo 2087 c.c., e sulla assenza di segnalazione da parte del lavoratore di comportamenti anomali del datore di lavoro tali da rendere lo stesso responsabile del danno subito.

Le circostanze valutate dal giudice d’appello risultano evidentemente estranee alla corretta individuazione dei reciproci obblighi probatori soprattutto in considerazione del pregresso accertamento di una patologia dipendente da causa di servizio che, se pur non collegata nella sua originaria determinazione a responsabilita’ datoriale, imponeva un conseguente e severo controllo sulle mansioni successivamente attribuite (ancor piu’ se conservate) al lavoratore. L’obbligo di protezione incombente su datore di lavoro necessitava nel caso di specie di un controllo personalizzato del dipendente e della compatibilita’ delle mansioni assegnate, soprattutto se le stesse avevano gia’ determinato un danno fisico accertato come conseguente da causa di servizio.

Tale ultima circostanza, se correttamente allegata in giudizio, risulta soddisfare gli oneri probatori incombenti sul lavoratore cui deve conseguire la eventuale prova liberatoria da parte datoriale.

Il motivo di censura risulta quindi fondato.

2) Con il secondo motivo e’ denunciata la violazione e falsa applicazione delle norme di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, articolo 4, D.Lgs n. 626 del 1994, articoli 16 e 17 e articolo 2087 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3. Con tale motivo il ricorrente lamenta la valutazione della Corte sulla osservanza degli obblighi di sorveglianza sanitaria e tutela della salute incombente su datore di lavoro, basata solo su documenti non idonei a rappresentare tali adempimenti. 3) Con il quarto motivo e’ denunciata la violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, articolo 4 e D.Lgs n. 626 del 1994, articoli 3, 4 e 21 e articolo 2087, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3; Omesso esame di piu’ punti e fatti decisivi ex articolo 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo denuncia per un verso la violazione degli obblighi in punto di tutele contenuti nelle norme richiamate e per altro verso la carenza motivazionale sul perche’ non siano stati valutati tali obblighi incombenti sul datore di lavoro. Tra tali obblighi e’ richiamata una comunicazione sui rischi (Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, articolo 4; Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 3).

Le censure possono essere congiuntamente esaminate perche’ attinenti agli obblighi di sorveglianza sanitaria e quindi assorbiti da quanto detto in relazione al primo motivo di censura ritenuto fondato e quindi valutabili solo in conseguenza della corretta applicazione degli oneri probatori cui la corte territoriale e’ chiamata a dare seguito.

3) Con il terzo motivo e’ denunciata la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, polche’ la corte territoriale non aveva dato contezza delle ragioni che l’avevano portata a ritenere generiche le richieste istruttorie ed in parte inammissibili.

Il motivo, se pur superi il vaglio di ammissibilita’ in quanto pur attenendo alla errata valutazione, non puo’ trovare sponda sul versante dell’esame della motivazione e della sua denunciata carenza e contraddittorieta’ (Cass. SU n. 8053/2014), risulta comunque assorbito dall’accoglimento della prima censura.

Il ricorso deve quindi essere accolto con riguardo al primo motivo, ritenendo assorbiti gli altri, e cassata la sentenza con rinvio alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza in relazione al ricorso accolto e rinvia alla corte di appello di bari, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.