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La delibera dell’assemblea di condominio, che privi un singolo partecipante dei propri diritti individuali su una parte comune dell’edificio, rendendola inservibile all’uso e al godimento dello stesso, integra un fatto potenzialmente idoneo ad arrecare danno al condomino medesimo; quest’ultimo, lamentando la nullita’ della suddetta delibera, ha percio’ la facolta’ di chiedere una pronuncia di condanna del condominio al risarcimento del danno, dovendosi imputare alla collettivita’ condominiale gli atti compiuti e l’attivita’ svolta in suo nome, nonche’ le relative conseguenze patrimoniali sfavorevoli, e rimanendo il singolo condomino danneggiato distinto dal gruppo ed equiparato a tali effetti ad un terzo. Essendo la nullita’ della delibera dell’assemblea fatto ostativo all’insorgere del potere – dovere dell’amministratore di eseguire la stessa, l’azione risarcitoria del singolo partecipante nei confronti del condominio e’ ravvisabile non soltanto come scelta subordinata alla tutela demolitoria ex articolo 1137 c.c., ma anche come opzione del tutto autonoma.

 

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Corte di Cassazione, Sezione 2 civile Sentenza 26 settembre 2018, n. 23076

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2664-2014 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 849/2013 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 03/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/05/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

uditi gli avvocati (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) ha proposto ricorso articolato in due motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Trieste n. 849/2013, depositata il 3 ottobre 2013.

Resiste con controricorso il Condominio di (OMISSIS).

Il giudizio ebbe inizio con atto di citazione notificato il 12 febbraio 2010. La signora (OMISSIS), proprietaria di unita’ immobiliare compresa nell’edificio di (OMISSIS), convenne il Condominio di (OMISSIS) innanzi al Tribunale di Trieste per vedersi risarcire il danno cagionatole dalla realizzazione di un ascensore nella corte interna dell’edificio condominiale, danno consistente nella riduzione di luce e aria all’appartamento dell’attrice posto al piano terra, e nell’impedimento all’uso di una rilevante porzione della suddetta corte. Avverso la sentenza del Tribunale, che rigetto’ la domanda, propose appello la (OMISSIS), reiterando le domande risarcitorie prospettate in primo grado. La Corte di Appello di Trieste, confermando la sentenza del giudice di primo grado, rigetto’ il gravame, sul presupposto che le delibere che avevano deciso l’installazione dell’impianto di ascensore non erano state impugnate precedentemente dall’appellante, a nulla rilevando l’omessa convocazione della stessa alle relative assemblee, in quanto soltanto in sede di impugnativa ex articolo 1137 c.c. sarebbe stato possibile dedurre l’invalidita’ delle decisioni assembleari, causa del ravvisato pregiudizio della proprieta’ esclusiva della singola condomina. Tali delibere sarebbero percio’ risultate tuttora valide e vincolanti anche per la signora (OMISSIS), con conseguente carenza dei presupposti per l’azione di risarcimento, ex articolo 2043 c.c.

Il ricorso era stato inizialmente fissato in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., comma 2 e articolo 380 bis.1 c.p.c., ma, con ordinanza interlocutoria dell’8 febbraio 2018, pronunciata all’esito dell’adunanza del 19 gennaio 2018, ritenuta la particolare rilevanza della questione di diritto posta a fondamento del secondo motivo di ricorso, la causa e’ stata rimessa alla pubblica udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso di (OMISSIS) denuncia l’erronea applicazione dell’articolo 1137 c.c., atteso che tale disposizione riguarderebbe i condomini in quanto tali, mentre la ricorrente, mai convocata alle assemblee inerenti all’impianto di ascensore, mai notiziata delle delibere al riguardo adottate e mai coinvolta nella divisione delle rispettive spese, non potrebbe dirsi “condomina” rispetto all’impianto.

Il secondo motivo di ricorso denuncia l’erronea e omessa applicazione dell’articolo 2043 c.c. in quanto, seppur la delibera nulla puo’ produrre effetti perche’ non impugnata, non puo’ negarsi che essa sia causa di conseguenze dannose per la ricorrente e dunque fonte di responsabilita’ civile.

Il controricorrente Condominio di (OMISSIS) afferma che entrambi i motivi siano inammissibili e comunque infondati, e poi contesta la negazione della qualita’ di condomina in capo alla ricorrente, trattandosi di bene comune, come anche la mancata convocazione assembleare e la – mancata comunicazione dei verbali. Il controricorrente esclude altresi’ il carattere “doloso o colposo” ex articolo 2043 c.c. del comportamento tenuto dal Condominio, in quanto frutto di una legittima delibera condominiale, mai impugnata, e quindi tuttora valida ed efficace.

2. E’ fondato il secondo motivo di ricorso, e l’accoglimento dello stesso determina l’assorbimento del primo motivo.

2.1.In tema di condominio, l’installazione di un ascensore su area comune, allo scopo di eliminare le barriere architettoniche, costituisce un’innovazione che, L. n. 13 del 1989, ex articolo 2, commi 1 e 2, della va approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’articolo 1136 c.c., commi 2 e 3 (ovvero che, in caso di deliberazione contraria o omessa nel termine di tre mesi dalla richiesta scritta, puo’ essere installata, a proprie spese, dal portatore di handicap), comunque osservando i limiti previsti dagli articoli 1120 e 1121 c.c., secondo quanto prescritto dal comma 3 del citato articolo 2 (Cass. Sez. 6 – 2, 09/03/2017, n. 6129; Cass. Sez. 2, 25/10/2012, n. 18334; Cass. Sez. 2, 24/07/2012, n. 12930).

Poiche’ resta dunque fermo il disposto dell’articolo 1120 c.c., comma 2, (formulazione ratione temporis applicabile, antecedente alle modifiche apportate dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220), sono vietate le innovazioni che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell’utilita’, secondo l’originaria costituzione della comunione. Tale concetto di inservibilita’ della parte comune non puo’ consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al concetto di innovazione – ma e’ costituito dalla concreta inutilizzabilita’ della “res communis” secondo la sua naturale fruibilita’, ovvero dalla sensibile menomazione dell’utilita’ che il condomino precedentemente ricavava dal bene (cfr. Cass. Sez. 2, 12/07/2011, n. 15308; Cass. Sez. 2, 25/10/2005, n. 20639). Nella specie, la condomina (OMISSIS) assume, a fondamento della sua pretesa risarcitoria, che la realizzazione dell’impianto di ascensore nella corte interna dell’edificio condominiale, deliberata dall’assemblea, le impedisca di far uso di una rilevante porzione di tale area comune, ed abbia altresi’ ridotto la luce e l’aria fruibili dal suo appartamento, cosi’ prospettando che l’innovazione sia lesiva del divieto posto dall’articolo 1120 c.c., comma 2, in quanto alla possibilita’ dell’originario godimento della cosa comune sarebbe stato sostituito un godimento di diverso contenuto.

2.2.E’, allora, certamente da qualificare nulla la deliberazione, vietata dall’articolo 1120 c.c., che sia lesiva dei diritti individuali di un condomino su una parte comune dell’edificio, rendendola inservibile all’uso e al godimento dello stesso, trattandosi di delibera avente oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea (arg. da Cass. Sez. U, 07/03/2005, n. 4806; Cass. Sez. 2, 24/07/2012, n. 12930; Cass. Sez. 6-2, 14/9/2017, n. 21339; Cass. Sez. 2, 25/06/1994, n. 6109).

La nullita’ di una deliberazione dell’assemblea condominiale comporta che la stessa, a differenza delle ipotesi di annullabilita’, non implichi la necessita’ di tempestiva impugnazione nel termine di trenta giorni previsto dall’articolo 1137 c.c. Una deliberazione nulla, secondo i principi generali degli organi collegiali, non puo’, pertanto, finche’ (o perche’) non impugnata nel termine di legge, ritenersi valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio, come si afferma per le deliberazioni soltanto annullabili.

La nullita’ della deliberazione assembleare costituisce, percio’, fatto ostativo all’insorgere del potere-dovere dell’amministratore, ex articolo 1130 c.c., n. 1, di darne attuazione, differentemente dalle ipotesi di mera annullabilita’, non incidendo questa sul carattere vincolante delle decisioni del collegio dei condomini per l’organo di gestione fino a quando non siano rimosse con pronuncia di accoglimento dell’impugnazione proposta a norma dell’articolo 1137 c.c.

Alle deliberazioni prese dall’assemblea condominiale si applica, peraltro, il principio dettato in materia di contratti dall’articolo 1421 c.c., secondo cui e’ comunque attribuito al giudice, anche d’appello, il potere di rilevarne d’ufficio la nullita’, ogni qual volta la validita’ (o l’invalidita’) dell’atto collegiale rientri tra gli elementi costitutivi della domanda su cui egli debba decidere (con riferimento proprio ad azione risarcitoria, cfr. Cass. Sez. 2, 10/03/2016, n. 4726; inoltre, si vedano Cass. Sez. 2, 17/06/2015, n. 12582; Cass. Sez. 2, 12/01/2016, n. 305; Cass. Sez. 6 -2, 15/03/2017, n. 6652).

2.3.Non e’ percio’ corretta l’affermazione della Corte d’Appello di Trieste secondo cui la violazione dei limiti previsti dagli articoli 1120 e 1121 c.c. e la conseguente nullita’ della deliberazione assembleare siano deducibili “solo in sede d’impugnazione di detta delibera, nel caso di specie pacificamente mai proposta”. L’accertamento dell’invalidita’ puo’ costituire, infatti, una questione pregiudiziale rispetto al riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni soltanto nelle ipotesi di annullabilita’ della delibera, ovvero in ipotesi di vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, o al procedimento di convocazione o di informazione della stessa, o alle maggioranza occorrente in relazione all’oggetto. Se la delibera annullabile non sia impugnata nel termine di trenta giorni previsto dall’articolo 1137 c.c., il comportamento del condomino assume, invero, un significato di acquiescenza all’espressione di volonta’ collegiale, sicche’ la praticabilita’ dell’accesso alla tutela risarcitoria avverso una delibera assembleare annullabile in via complementare ed integrativa alla tutela demolitoria puo’ affermarsi unicamente per quegli eventuali danni che non siano riparabili con l’eliminazione della delibera e delle modificazioni della realta’ materiale da essa discendenti, salva poi la necessita’ della prova degli elementi oggettivi e soggettivi del danno, nonche’ del nesso di causalita’ tra questo e la delibera invalida.

Soluzione diversa va affermata quando la domanda di risarcimento dei danni avanzata dal singolo condominio si ricolleghi all’esecuzione di una deliberazione dell’assemblea nulla, e cioe’ che abbia oggetto impossibile, illecito, o non rientrante nelle competenze condominiali, o che incida sui diritti individuali inerenti alle parti comuni o alla proprieta’ esclusiva di ognuno dei partecipanti.

Va percio’ enunciato il seguente principio.

La delibera dell’assemblea di condominio, che privi un singolo partecipante dei propri diritti individuali su una parte comune dell’edificio, rendendola inservibile all’uso e al godimento dello stesso, integra un fatto potenzialmente idoneo ad arrecare danno al condomino medesimo; quest’ultimo, lamentando la nullita’ della suddetta delibera, ha percio’ la facolta’ di chiedere una pronuncia di condanna del condominio al risarcimento del danno, dovendosi imputare alla collettivita’ condominiale gli atti compiuti e l’attivita’ svolta in suo nome, nonche’ le relative conseguenze patrimoniali sfavorevoli, e rimanendo il singolo condomino danneggiato distinto dal gruppo ed equiparato a tali effetti ad un terzo. Essendo la nullita’ della delibera dell’assemblea fatto ostativo all’insorgere del potere – dovere dell’amministratore di eseguire la stessa, l’azione risarcitoria del singolo partecipante nei confronti del condominio e’ ravvisabile non soltanto come scelta subordinata alla tutela demolitoria ex articolo 1137 c.c., ma anche come opzione del tutto autonoma.

2.4.Deve, in definitiva, essere accolto il secondo motivo di ricorso e dichiarato assorbito il primo motivo (il quale, attenendo alle ragioni, addotte dalla ricorrente, della mancata impugnazione della delibera ex articolo 1117 c.c., rimane privo di rilevanza decisoria in conseguenza dell’accoglimento del secondo motivo, in base al quale, come visto, l’impugnazione ex articolo 1137 c.c. non era affatto presupposto indispensabile per l’esperibilita’ della proposta azione risarcitoria). La sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste, che decidera’ la causa uniformandosi al principio enunciato e tenendo conto dei rilievi svolti, e regolera’ anche le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il primo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste, anche per le spese del giudizio di cassazione.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.