Nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente “in re ipsa”, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l’evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitivo. Ne consegue che il danno da occupazione “sine titulo”, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell’onere probatorio di tale natura non può includere anche l’esonero dall’allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto.

Tribunale|La Spezia|Civile|Sentenza|21 aprile 2020| n. 210

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del popolo italiano

IL TRIBUNALE DELLA SPEZIA

In composizione monocratica, in persona del giudice Ettore Di Roberto, ha pronunziato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 2610/2013 R.G.A.C. promossa da:

(…)

ATTORI

Contro

(…), in persona del legale rappresentante pro tempore, (…), anche quale erede di (…), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’avv. (…)

CONVENUTI

Con l’intervento di

Condominio (…), in persona dell’amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. (…).

PARTE INTERVENUTA

CONCLUSIONI

Come precisate all’udienza del 19.9.2019 Per parte attrice:

“voglia l’ill.mo Tribunale della Spezia, rigettata ogni diversa eccezione, domanda, conclusione avversaria perché infondata in fatto ed in diritto, per tutti i motivi indicati nelle premesse, previe le declaratorie del caso e di legge e previa dichiarazione che il cortile graffato all’immobile censito al catasto fabbricati del comune di Levanto, al foglio 30 mappale 484 è di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio censito al mappale 484, conseguentemente – condannare i proprietari dei fondi terranei ciascuno per quanto di rispettiva spettanza e tutti in solido, a rimuovere dal cortile condominiale la struttura in ferro con copertura in rete verde e relativo impianto di illuminazione ivi eretta abusivamente – condannare i convenuti ciascuno per quanto di rispettiva spettanza e tutti in solido, a lasciare e tenere libero il cortile condominiale da qualsiasi oggetto e/o attrezzatura e/o macchinario e/o costruzione e conseguentemente a sgomberare immediatamente il cortile condominiale con la rimozione di tutte le cose, oggetti, materiali, costruzioni, macchinari di loro proprietà ivi presenti come indicati in parte motiva e come emergenti dalla espletanda istruttoria. Con vittoria di spese, diritti ed onorari oltre 15% rimborso forfettario, 4% cpa e 22% iva come per legge”

Per parte convenuta:

“voglia il Tribunale adito, in accoglimento della sollevata eccezione, dichiarare la prescrizione e/o la decadenza di tutte le domande proposte dagli attori nei confronti dei convenuti. Voglia comunque respingerle in quanto infondate in fatto ed in diritto. In via subordinata e riconvenzionale: nella denegata e non creduta ipotesi che i titoli di acquisto della proprietà della corte in oggetto da parte dei fratelli (…) e della (…) non fossero ritenuti sufficientemente provati, voglia il Tribunale, accertato il possesso ultraventennale esercitato dai convenuti sigg. (…) e (…) e dalla società (…) sull’area non accatastata e sita in Levanto (SP), compresa tra gli edifici noti come “(…)” e “(…)”, identificati al NCEU di detto comune al fg. 30 mappale 484 e 489, meglio descritta e identificata con la parte contraddistinta ed evidenziata con la colorazione gialla dell’estratto di mappa allegato alla presente comparsa della quale costituisce parte integrante, dichiararne l’intervenuta usucapione nei confronti degli attori comproprietari, ciascuno per la propria quota di spettanza, e per l’effetto, trasferire in capo ai suddetti convenuti, in comproprietà indivisa tra loro, la proprietà dell’immobile medesimo, disponendo il necessario frazionamento catastale per la corretta individuazione del bene oggetto della pretesa. Con vittoria di spese”

Per parte intervenuta:

“voglia l’Ill.mo Giudice, rigettata ogni contraria difesa, eccezione, deduzione e conclusione, previe le declaratorie del caso e di legge e previa dichiarazione della natura condominiale del cortile per cui è causa

1) accogliere le domande di parte attrice

2) condannare i convenuti, ciascuno per quanto di rispettiva spettanza e tutti in solido, ad eseguire il regolamento condominiale con la rimozione immediata di tutti gli oggetti e macchinari depositati e/o installati nel cortile condominiale che secondo il regolamento condominiale non possono essere depositati e/o installati nel cortile condominiale e condannare i convenuti, ciascuno per quanto di rispettiva spettanza e tutti in solido, a tenere libero e sgombero il cortile condominiale da qualsiasi oggetto e/o materiale. Condannare i convenuti, ciascuno per quanto di rispettiva spettanza e tutti in solido ad eseguire il regolamento condominiale con l’immediata eliminazione dello stenditoio

3) condannare i proprietari dei fondi terranei ciascuno per quanto di rispettiva spettanza e tutti in solido ad eseguire la delibera del 03/12/2011 con l’immediata rimozione della tettoia verde con relativo impianto di illuminazione eretta nel cortile condominiale

4) condannare i convenuti, ciascuno per quanto di rispettiva spettanza e tutti in solido, al risarcimento del danno per gli illeciti lamentati e come emergenti dall’espletanda istruttoria nella misura che risulterà in corso di causa e/o da liquidare anche in via equitativa oltre interessi e rivalutazione dal dì del dovuto al saldo.

Con vittoria di spese, diritti ed onorari oltre accessorie come per legge”

MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Gli attori sono i proprietari dei quattro appartamenti siti nel condomino “(…)”, sito in Levanto, alla via (…); fabbricato censito al Catasto del suddetto Comune al foglio 30, mappale 484.

Nel dettaglio, (…) è proprietario dell’unità sita al primo piano di cui subalterno 4; (…) lo sono di quella, sempre allo stesso piano, al subalterno 5; (…) è proprietario dell’unità sita al secondo piano di cui al subalterno 7; (…) lo sono di quella, sempre al secondo piano, al subalterno 6.

Convenuti in giudizio sono i proprietari dei fondi terranei nello stesso stabile: (…), quanto ai subalterni 2 e 3; (…) s.n.c. di (…) quanto a quelli 8 e 10.

I suddetti fondi vengono tutti utilizzati (in forza di contratto di affitto d’azienda) dalla società (…) S.n.c. di (…) (pure citata in giudizio), che vi esercita attività di ristorante.

Costituendosi in sede di prima udienza (a seguito di riassunzione; cfr. verbale del 23.10.2014; il processo era stato interrotto stante il decesso – occorso prima dello scadere dei termini previsti per legge ai fini della costituzione – dell’originario convenuto (…)) è intervenuto in giudizio il Condominio (…), aderendo alla domanda attorea e svolgendone in via autonoma ulteriore, di tipo risarcitorio.

Attori e condominio lamentano che i convenuti, in violazione dell’art. 1102 c.c., avrebbero alterato la destinazione della corte condominiale, occupandola e utilizzandola a servizio dell’attività di ristorazione di cui si è detto, così impedendo agli altri condomini di farne parimenti uso.

Viene, pertanto, chiesto al Tribunale di inibire tale uso non consentito della cosa comune, con conseguente condanna alla liberazione della stessa, previa rimozione immediata di tutto quanto ivi depositato o installato o aggettante: bidoni per l’immondizia; tavoli e sedie; stenditoio; scope e stracci; bastoni; casse d’acqua; contenitori, macchinari e attrezzature vari; nonché (secondo quanto precisato in prima memoria 183) le costruzioni ivi presenti.

Oggetto di domanda è anche la tettoia in ferro con annesso impianto di illuminazione installata dai convenuti a copertura della corte in questione e a servizio della solita attività di ristorazione.

Tale manufatto, infatti, secondo la prospettazione di parte: altererebbe la destinazione del cortile, in spregio dell’art. 1102 c.c. (togliendo aria e luce agli appartamenti sovrastanti e privando il cortile della sua tipica funzione); violerebbe il disposto di cui all’art. 1120 c.c., non essendo stato autorizzato dall’assemblea (pregiudicando del resto la sicurezza del fabbricato e ledendone il decoro architettonico); costituirebbe costruzione non rispettosa delle distanze di legge (cfr. art. 907 c.c.) dalle vedute nella titolarità di (…).

A fondamento delle domande svolte è invocato anche il regolamento condominiale approvato con delibera del 3.12.2011 (cfr. doc. 15 fasc. p. att. e doc. 1 fasc. p. int.).

I convenuti si sono opposti, sostenendo che le controparti non potrebbero vantare diritti sull’area de qua, da considerare quale pertinenza dei soli fondi di (…) e nella titolarità esclusiva dei proprietari degli stessi; ciò sulla scorta dei titoli di provenienza o, in subordine, per acquisto fattone per usucapione (acquisto che, nel caso, in via riconvenzionale è stato chiesto al Tribunale di dichiarare).

Quanto, in particolare, al possesso asseritamente esercitato sul bene nel corso del tempo, la parte ha dedotto di aver utilizzato la corte di causa in via esclusiva, sin dal 1971:

– quanto alla porzione già immediatamente retrostante l’osteria, come laboratorio, anche coprendo il relativo spazio e tamponandolo e così creando un locale successivamente reso oggetto di sanatoria e dotato di autonomo identificativo catastale (generando il subalterno 8);

– quanto alla restante porzione di corte (la sola oggetto della domanda attorea), come spazio per depositare merci, stendere biancheria, parcheggiare bici, lavare i piatti; eseguendovi numerosi interventi di costruzione, ristrutturazione e manutenzione (per esempio riparando la serratura del cancello di ingresso); installandovi un lavatoio e collocandovi una lavatrice e una caldaia; avendovi, altresì, realizzato, verso la metà degli anni 80, la pergola pure oggetto delle lamentale di controparte.

Gli attori hanno tempestivamente contestato la comparsa avversaria, in particolare il fatto che la tettoia oggetto della domanda di rimozione possa essere stata installata fin dalla metà degli anni 80 (essendo stata, invece, realizzata, secondo quanto prospettato, solo nel 2010) e che del cortile de quo controparte possa aver fatto un uso esclusivo (visto che anche gli altri condomini avrebbero le chiavi del cancello).

Il bene oggetto di causa è descritto nella CTU in atti.

Si tratta di una corte dalla forma geometrica irregolare, della superficie di mq. 53.88, compresa tra (…) e un altro fabbricato denominato (…) (di cui al mappale 489 dello stesso foglio 30), con ingresso sulla via Toso costituito da una cancellata, sovrastata da una intelaiatura metallica ancorata alle facciate dei due edifici che sostiene una rete ombreggiante, al cui livello è stato realizzato un impianto di illuminazione.

Su di essa affacciano gli accessi a un fondo e a un’abitazione di (…) e quelli ai fondi di proprietà degli odierni convenuti.

L’area è attraversata da un collettore fognario interrato che raccoglie le utenze del Condominio (…).

Sul suo sedime insistono le colonne di scarico e i pluviali sempre di (…).

Il CTU ha quindi rilevato la presenza di alcune strutture fisse, tra cui un muretto con davanzale con nicchie di contenimento di apparecchiature a servizio dei fondi di parte convenuta e un lavatoio sempre a servizio dell’attività di ristorazione.

Infine, sono stati riscontrati in loco numerosi beni mobili a servizio del solito ristorante, tra cui un tavolo con sedie, contenitori per la raccolta differenziata dei rifiuti, attrezzature per le pulizie, casse d’acqua, una carriola, bidoni per l’olio esausto, attrezzature per la cucina (frigorifero, lavatoio, lavatrice), uno stenditoio.

Può qui rinviarsi all’elaborato peritale anche per la dettagliata rappresentazione fotografica dei luoghi.

Tanto detto, si ritiene in via preliminare che siano infondate le eccezioni di prescrizione e di decadenza sollevate (genericamente) dai convenuti, vertendosi in materia di proprietà, che è diritto imprescrittibile (ferma la necessità di esaminare successivamente la domanda subordinata di parte di usucapione).

Nel merito, occorre anzitutto accertare se la corte di causa sia un bene condominiale (e non di pertinenza dei soli fondi terranei).

Dall’analisi del contenuto degli atti pubblici prodotti, come ricostruito dal CTU, è risultato che:

– i due edifici ((…)), censiti originariamente con i mappali 223 e 224 (oggi 489 e 484) vennero acquistati per la quota di 1/2 ciascuno dai fratelli (…), nel 1910;

– nel 1917, in seguito al decesso di (…), la quota di 1/2 del compendio venne ereditata dai genitori ((…), deceduto nel 1931 e (…), deceduta nel 1939) e dai cinque fratelli ((…));

– con rogito in data 10.02.1952 (…) (figlio di (…)) acquistò le quote della zia (…) e degli eredi delle zie premorte (…) e (…); in tale atto i beni acquistati vengono descritti come segue: “fabbricato sito in Levanto formato da due corpi, l’uno a due piani di complessivi vani 18 con tre piccoli fondi terranei con cortiletto annesso, avente l’ingresso da via (…), civico n. 4 e l’altro ad un piano di vani nove e due fondi terranei con piccolo cortile annesso, avente l’ingresso da via (…)”;

– con rogito del 17.2.1958 (…) acquistò anche le quote della zia Annunziata (il relativo atto descrivendo l’oggetto della compravendita analogamente a quanto riportato al punto precedente):

– (…), deceduto nel 1966, in forza di testamento olografo, lasciò: alla nipote (…) (figlia di (…), sorella di (…) e (…)), una porzione di (…) costituita dall’appartamento censito oggi al subalterno 5 e dal fondo terraneo censito con il sub. 2 (il de cuius avendo disposto sul punto di lasciarle: “il magazzino che occupa la destra del portico verso mare con l’obbligo di costruire nel vano della porta sul cortile interno un parapetto di mt. 0,90 di altezza ed una finestra con inferriata”); alla figlia (…), due appartamenti di (…); al figlio (…), nominato erede universale, i beni restanti;

– a seguito del decesso del padre, dunque, (…) (che in precedenza, come visto, aveva già acquistato le quote residue delle zie (…)) risultava essere il proprietario di tutto il condominio (…), ad eccezione dell’appartamento e del fondo ereditati da (…);

– in seguito al decesso di (…), avvenuto il 27.12.1985, le unità immobiliari in proprietà della stessa sono state ereditate dal marito (…) e dalle figlie (…) e (…); costoro, successivamente, hanno venduto: dapprima, in data 1.12.1991, il fondo terraneo a (…); in seguito, in data 15.05.2000, l’appartamento a (…);

– a seguito del decesso di (…), nel 1992: il figlio (…) ha ereditato (quanto a (…)) l’appartamento censito al subalterno 4; (…) l’appartamento al subalterno 7 e il fondo censito al subalterno 1; (…) l’appartamento al sub. 6 ed il fondo sub. 3; nel relativo testamento leggendosi: “a (…) lascio in parti eguali il sottotetto deU’immobile di (…) due cortili di via (…) ed il sottoscala restano condominiali”;

– (…) ha quindi venduto l’appartamento a (…) con rogito del 30.09.1997 e il fondo terraneo a (…) (in comunione legale con (…)),(…), con rogito del 21.01.1998;

– (…) ha, infine, venduto il suo fondo con atto del 8.10.2003.

Catastalmente, poi, la corte de qua sin dal 1881 è stata graffata al mappale 484 (già mappale 223).

Quanto alle vicende relative al fondo di cui al subalterno 8, già menzionato, edificato dagli odierni convenuti senza titolo abilitativo e sanato in data 16.03.1999 (a seguito di domanda di (…) S.n.c. del 22.02.1995), risulta che il locale de quo venne realizzato su una pozione della corte in oggetto (la quale, dunque, originariamente era più ampia di quanto sia attualmente); nella relazione tecnica allegata all’istanza di condono leggendosi che: “l’area di sedime della costruzione era parte della corte che si trova a pianto terreno tra i fabbricati insediati nella zona”.

L’attuale proprietà del bene è stata acquisita attraverso i seguenti atti notarili:

– in data 08.10.2003, parte venditrice (della quota di %) (…); in quel rogito leggendosi che il venditore garantiva la legittima provenienza del bene per via di successione di (…) e del suo testamento in data 19.04.1987, già menzionato;

– in data 16.07.2004, parte venditrice (della quota di 2/4) (…); nel relativo rogito il bene di causa essendo indicato quale “pertinenza condominiale”;

– in data 27.08.2004, parte venditrice (…); nel rogito di nuovo essendo stato garantito: “che il bene in oggetto costituiva pertinenza condominiale di beni pervenuti in virtù della successione di (…)”.

Ebbene, alla luce del complesso di tali elementi, può ritenersi che la corte di causa sia di proprietà del condominio odierno intervenuto.

Ciò in coerenza con il dato catastale e con la regola di cui all’art. 1117 c.c. (stante natura e conformazione del bene, come descritto in apertura); essendo, di contro irrilevante, in assenza di titolo negoziale contrario (cioè, che conferisca al bene natura pertinenziale ai soli fondi terranei), il fatto che l’area de qua possa essere goduta più proficuamente dai titolari delle sole unità contigue.

A conferma di quanto appena ritenuto, vanno quindi evidenziate: la descrizione del compendio fatta nei due rogiti degli anni 50 (in cui si dà conto di un secondo cortile, annesso a (…)); l’indicazione, già riportata, contenuta nel testamento olografo di (…); quelle, pure sottolineate, nei due rogiti del 16.7.2004 e del 27.8.2004; la circostanza che quelle vendite siano state effettuate anche da (…), all’epoca dei relativi atti non più proprietari di fondi terranei.

Per il resto, i convenuti non hanno dato prova di aver usucapito il bene di causa, la domanda svolta sul punto essendo quindi da rigettare.

A ben vedere, la parte neppure si è tempestivamente offerta di provare le circostanze poste a fondamento della stessa, in assenza di istanze istruttorie dedotte in comparsa di costituzione e non essendo stata depositata la memoria ex art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c.; i capitoli formulati in terza memoria, poi, se ritenuti in prova diretta, essendo tardivi e inammissibili.

Con riguardo in particolare alla tettoia, va solo precisato (avuto riguardo alle doglianze mosse in memoria di replica all’ordinanza del 3.4.2017, che per il resto si richiama) che, ai sensi dell’art. 2697 c.c. (a questo punto il thema disputandum riguardando non il primo acquisto da parte del condominio, ma l’attuale appartenenza del bene, che il convenuto afferma propria invocando l’usucapione) era onere dei convenuti provare che la struttura in questione risalisse agli anni 80 (e non, invece, onere degli attori provarne l’installazione nel 2010).

In atti, ad ogni modo (cfr. docc. 22 e 44 fasc. p. att.) è la fotografia raffigurante il bene di causa, allegata alla domanda di condono del 22.2.1995 già menzionata, in cui la corte appare in effetti priva di copertura.

Tanto accertato, si ritiene di poter accogliere le domande attoree.

E’ stato, infatti, prodotto il regolamento condominiale, il quale:

– all’art. 8, disciplina l’uso del cortile (a questo punto correttamente qualificato come) condominiale, prevedendo che esso sia adibito a posteggio biciclette nella misura di n. 2 biciclette per ciascun condomino;

– all’art. 6 (nn. 3, 4, 6 e 8) fa divieto: di occupare gli spazi comuni in qualunque modo permanente o temporaneo, con costruzioni o con qualunque oggetto, come bidoni per immondizie, vasi di fiori, casse d’acqua e casse di ogni genere, carriole, impianti di aereazione, mobili, stracci, bastoni, scope, tavole, sedie, etc..; di stendere panni negli spazi comuni; di usare parti comuni per l’installazione di impianti di aereazione, refrigerazione o frigoriferi; di eseguire opere, riparazioni, migliorie, innovazioni nelle parti e impianti comuni senza il preventivo consenso da parte dell’assemblea. Ebbene, non risulta che tale regolamento sia stato fatto oggetto di impugnazione, né in questa sede i convenuti ne hanno dedotto eventuali profili di invalidità.

D’altro canto, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 2114/2018): “L’art. 1102 c.c., nel prescrivere che ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non pone una norma inderogabile. Ne consegue che i suddetti limiti possono essere resi più rigorosi dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con il “quorum” prescritto dalla legge, fermo restando che non è consentita l’introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni”.

Quanto in particolare alla tettoia (la cui realizzazione pacificamente mai è stata autorizzata dall’assemblea), può ancora aggiungersi, secondo quanto accertato dal CTU, che essa risulta posta alla distanza di mt. 0.68 rispetto al piano di calpestio del balcone dell’appartamento intestato a (…) (e alla distanza di circa mt. 1.40 dal davanzale della finestra del medesimo appartamento); per il resto non essendovi dubbio sul fatto che si tratti di una costruzione rilevante ai sensi dell’art. 907 (in quanto dotata di stabilità e di una certa consistenza), determinante un ostacolo all’esercizio della veduta dell’attore (cfr. Cass. 5618/1995; sulla veduta c.d. in appiombo, cfr. Cass. 955/2013).

Parte convenuta deve, pertanto, essere condannata a liberare la corte di causa, demolendo o rimuovendo quanto attualmente occupi la stessa con destinazione a servizio dell’attività di ristorazione esercitata nei fondi di proprietà esclusiva, in particolare:

– il muretto con davanzale con lavatoio e nicchie di contenimento (ribadendosi il fatto che in sede di prima memoria 183 parte attrice ha legittimamente precisato la propria domanda, a fronte della formulazione aperta di citazione, ricomprendendovi anche le costruzioni presenti in loco);

– la tensostruttura con relativo impianto di illuminazione;

– lo stenditoio (ubicato sopra la rastrelliera per le biciclette);

– gli altri beni mobili presenti, tra cui un tavolo con sedie, i contenitori per la raccolta differenziata dei rifiuti, le attrezzature per le pulizie, le casse d’acqua, la carriola, i bidoni per l’olio esausto, le attrezzature per la cucina (frigorifero e lavatrice).

E’, invece, tardiva e quindi inammissibile in quanto formulata per la prima volta in sede di comparsa conclusionale la richiesta di parte ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c., sulla quale dunque non si entra nel merito.

Resta da esaminare la domanda risarcitoria svolta da parte intervenuta.

Essa va rigettata, perché formulata in modo del tutto generico.

Si richiama il preferibile orientamento della Suprema Corte in materia (cfr., da ultimo, Cass. 11203/2019), secondo cui: “Nel caso di occupazione illegittima di un immobile il danno subito dal proprietario non può ritenersi sussistente “in re ipsa”, atteso che tale concetto giunge ad identificare il danno con l’evento dannoso ed a configurare un vero e proprio danno punitilo, ponendosi così in contrasto sia con l’insegnamento delle Sezioni Unite della S.C. (sent. n. 26972 del 2008) secondo il quale quel che rileva ai fini risarcitori è il danno-conseguenza, che deve essere allegato e provato, sia con l’ulteriore e più recente intervento nomofilattico (sent. n. 16601 del 2017) che ha riconosciuto la compatibilità del danno punitivo con l’ordinamento solo nel caso di espressa sua previsione normativa, in applicazione dell’art. 23 Cost.; ne consegue che il danno da occupazione “sine titulo”, in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell’onere probatorio di tale natura non può includere anche l’esonero dall’allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto”.

Ebbene, nulla la parte ha anche solo tempestivamente dedotto in atti al riguardo.

Le allegazioni qui pretese sarebbero state tanto più necessarie in considerazione del fatto che nella specie si tratta di corte comune anche ai convenuti e pacificamente mai interclusa.

Discorso analogo può essere fatto con riguardo all’asserita violazione del decoro architettonico.

Venendo alle spese di lite, esse seguono la soccombenza nei rapporti tra parte attrice e parte convenuta e sono liquidate ai sensi del D.M. 55/2014, tenuto conto dello scaglione di riferimento (da 26.000,01 a 52.000,00 euro, stante il valore indeterminabile della controversia) e dell’attività processuale resasi necessaria, tale da giustificare l’applicazione dei valori medi di tabella per le quattro fasi in rilievo.

Tra gli esborsi di parte vanno ricomprese le spese per il CTP (cfr. Cass. 84/2013 e 4357/2003), come documentate in atti.

Quanto ai rapporti tra parte convenuta e parte intervenuta può, invece, disporsene la compensazione.

Infine, il costo della CTU, già liquidato con separato decreto in corso di giudizio, viene posto, nei rapporti interni, a carico esclusivo di parte convenuta.

P.Q.M.

Il Tribunale, in persona del giudice monocratico, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:

– dichiara che il cortile oggetto di causa (graffato al mappale 484, foglio 30, del catasto fabbricati del Comune di Levanto) è bene comune ai proprietari delle unità immobiliari facenti parte del condominio (…) e, per l’effetto, condanna i convenuti a liberare detto cortile, demolendo o rimuovendo quanto attualmente lo sta occupando, in particolare: il muretto con davanzale con lavatoio e nicchie di contenimento; la tensostruttura con relativo impianto di illuminazione; lo stenditoio; gli altri beni mobili presenti, tra cui un tavolo con sedie, i contenitori per la raccolta differenziata dei rifiuti, le attrezzature per le pulizie, le casse d’acqua, la carriola, i bidoni per l’olio esausto, le attrezzature per la cucina (frigorifero e lavatrice);

– rigetta la domanda riconvenzionale svolta in via subordinata da parte convenuta;

– rigetta la domanda risarcitoria di parte intervenuta;

– condanna parte convenuta al pagamento delle spese di lite sostenute da parte attrice, che si liquidano in 5.060,72 euro per esborsi e 7.254,00 euro per compenso professionale, oltre rimborso forfettario, C.P.A. e I.V.A., come per legge;

– dispone la compensazione delle spese di lite tra parte convenuta e parte intervenuta;

– pone il costo della CTU a carico di parte convenuta.

Manda alla Cancelleria per adempimenti di competenza.

Così deciso alla Spezia il 21 aprile 2020.

Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.