Con l’azione di petizione ereditaria l’erede può reclamare soltanto i beni nei quali egli è succeduto “mortis causa” al defunto, ossia i beni che, al tempo dell’apertura della successione, erano compresi nell’asse ereditario; ne consegue che tale azione non può essere esperita per far ricadere in successione somme di denaro che il “de cuius” abbia, prima della sua morte, rimesso a mezzo di assegni bancari, senza un’apparente causa di giustificazione, al futuro erede e che questi abbia o abbia avuto in disponibilità in forza di un titolo giuridico preesistente e indipendente rispetto alla morte del “de cuius.

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Tribunale|Bolzano|Sezione 1|Civile|Sentenza|11 gennaio 2020| n. 39

Data udienza 10 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE di BOLZANO – PRIMA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Cristina Longhi, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I grado iscritta al n. R.G. 441/2018 promossa da parti attrici:

MI.CH. (c.f. (…)) e

MI.PA. (c.f. (…)),

entrambi rappresentati e difesi, giusta procura in calce all’atto di citazione dd. 25.10.2017, dall’avv. proc. dom. MO.FL., con domicilio eletto presso il suo studio in Bolzano, piazza (…)

contro

parti convenute:

MI.EN. (c.f. (…)) e

MI.MA. (c.f. (…)),

entrambi rappresentati e difesi, giusta procura allegata alla comparsa di costituzione dd. 04.05.2018, dall’avv. proc. dom. BO.RO. del foro di Verona, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. MO.HE., in Bolzano, via (…)

In punto: inadempimento contrattuale – risarcimento ex art. 2043 c.c. – azione ex art. 533 c.c.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Gli attori Mi.Ch. e Mi.Pa. hanno evocato in giudizio i fratelli Mi.Ma. e Mi.En. in relazione alla successione della comune madre Bi.Ri., deceduta in data 13.05.2016. Hanno esposto che i genitori Ar.Mi. e Bi.Ri. avevano effettuato in vita una serie di donazioni in favore dei propri figli, e che, a seguito della morte del sig. Ar.Mi., si era occupata della sig.ra Bi.Ri. la figlia Ch., che risiedeva al piano superiore del medesimo immobile. Deducevano che successivamente i fratelli convenuti, volendo realizzare, in luogo dell’originaria casa familiare, un residence, stipulavano con la sorella Ch.Mi. un contratto di compravendita dell’appartamento di cui alla p.m. (…) della p.ed. (…) (doc. 2 di parte attrice), nel quale veniva previsto che i fratelli En. e Ma. si sarebbero accollati ogni onere economico e logistico relativo all’assistenza della madre.

Esponevano che, a seguito della citata compravendita, i convenuti avevano concluso con la madre un contratto di permuta, a mezzo del quale il diritto di usufrutto dalla stessa vantato sull’appartamento sito al primo piano della casa familiare veniva trasferito su altro immobile di proprietà della società Re. S.r.l., amministrata dagli stessi convenuti, di superficie di molto inferiore.

La sig.ra Bi.Ri. decedeva ab intestato in data 13.05.2016.

Gli attori hanno fatto valere l’inadempimento dell’obbligazione di assistenza familiare contrattualmente assunta con atto dd. 13.03.2014, agendo ex art. 1218 c.c. per ottenere il risarcimento del danno derivato da tale inadempimento, nonché la responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. per l’asserita illegittima appropriazione dei beni relitti della de cuius, consistenti in un conto corrente bancario, un libretto di risparmio ed effetti personali (tra cui gioielli e altri beni preziosi del valore complessivo di circa Euro 16.000,00), nonché delle armi in precedenza appartenute al sig. Ar.Mi..

Hanno inoltre agito ai sensi dell’art. 533 c.c., chiedendo l’accertamento della propria qualità di eredi della sig.ra Ri. ed il conseguente riconoscimento del diritto alla restituzione dei beni illegittimamente detenuti dai convenuti, ossia dei preziosi della madre (gioielli e pellicce), delle somme di denaro asseritamente prelevate in maniera illegittima da En.Mi. dal conto corrente e dal libretto di risparmio della madre e delle armi appartenute al padre Ar.Mi..

In via residuale, agivano per la ripetizione dell’indebito ex art. 2041 c.c., quantificato in Euro 60.258,00 per le operazioni bancarie ed Euro 16.000,00 per l’illegittima detenzione dei preziosi della defunta nonché delle armi del defunto padre Ar.Mi..

Si costituivano in giudizio i convenuti En.Mi. e Ma.Mi., precisando che l’utilizzo e la gestione del conto corrente della comune madre fosse nella disponibilità non soltanto del convenuto En.Mi. ma anche dell’attrice Ch.Mi., la quale avrebbe effettuato prelievi e spese ingiustificate per un totale di Euro 14.064,84, tra il 2012 e il 2016, somma di cui chiedevano la compensazione con eventuali crediti risarcitori vantati dagli attori.

Quanto ai beni preziosi della madre, affermavano che essi sarebbero stati riposti in una cantina dell’immobile di famiglia, accessibile anche agli attori, i quali disponevano di proprie chiavi. Rilevavano, poi, che delle sei armi menzionate dagli attori in citazione, soltanto due fossero state effettivamente di proprietà del padre Ar.Mi., e che comunque esse fossero state da costui assegnate al figlio convenuto Ma.Mi. (cfr. doc. 7 di parte attrice).

Eccepivano l’infondatezza della domanda risarcitoria per asserito inadempimento dell’obbligo di assistenza familiare di cui al contratto di vendita del 13.03.2014, posto che con tale atto i convenuti non avrebbero assunto alcun obbligo di mantenimento della madre Bi.Ri., essendo l’impegno ivi contenuto limitato al rimborso delle spese per l’eventuale locazione di altro immobile.

Eccepivano inoltre la nullità della domanda risarcitone ex art. 2043 c.c. per indeterminatezza di petitum e causa petendi, e comunque l’intervenuta prescrizione dell’azione per i fatti precedenti al quinquennio anteriore alla notifica dell’atto di citazione; eccepivano altresì la nullità della domanda ex art. 533 c.c. per indeterminatezza del petitum e della causa petendi, in quanto incompatibile con le domande risarcitorie ed in ogni caso la sua infondatezza.

Infine, eccepivano la nullità per indeterminatezza anche della domanda ex art. 2041 c.c. e comunque l’inammissibilità della stessa, non potendo portare alla restituzione dei beni bensì solo ad un indennizzo monetario.

Dopo la concessione dei termini ex art. 183 co. 6 c.p.c., la causa, ritenuta matura per la decisione senza necessità di assumere mezzi di prova, veniva trattenuta in decisione.

2.1. Gli attori fanno valere in primo luogo l’inadempimento all’obbligazione di assistenza familiare, che i convenuti avrebbero assunto nei confronti dell’attrice Ch.Mi. con il contratto dd. 13.03.2014, e avanzano conseguentemente domanda di risarcimento dei danni patiti.

Come noto, le norme sull’interpretazione del contratto richiedono di indagare la comune intenzione delle parti, valutando il loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto (art. 1362 c.c.); inoltre, le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto (art. 1363 c.c.).

Dalla lettura del contratto di compravendita stipulato in data 13.03.2014 tra la sig.ra Ch.Mi. e la società Re. S.r.l., di proprietà dei convenuti En. e Ma.Mi. (doc. 2 di parte attrice) si evince che le parti, richiamando la volontà del comune padre Ar.Mi., abbiano dichiarato che En. e Ma.Mi., impossessandosi del diritto di usufrutto sulla p.m. 1 della p.ed. 952 c.c. Brunico per realizzare il proprio progetto imprenditoriale sulla originaria casa familiare, si sarebbero accollati “ogni onere sia economico che logistico, assicurando (alla sig.ra Ri.) una esistenza dignitosa, anche in casa di riposo ma prevalentemente in abitazione privata adeguata, vita natural durante”.

Gli stessi attori danno atto della circostanza che in data 13.08.2002 il sig. Ar.Mi. aveva donato ai figli En. e Ma. la nuda proprietà della p.m. 1 della p.ed. (…) c.c. Brunico, riservandosi l’usufrutto, trasferito, a seguito della sua morte, alla coniuge Bi.Ri.. Venendo meno il diritto di usufrutto vantato dalla sig.ra Ri. su detta p.m. 1, risulta conforme alla volontà delle parti, nell’ottica di una valutazione complessiva sia della previsione contrattuale sia del comportamento delle parti, che esse intendessero pattuire che i figli En. e Ma. si sarebbero fatti carico delle esigenze abitative della comune madre.

La clausola in oggetto non può, pertanto, essere letta nel senso dell’assunzione, da parte dei convenuti, di un obbligo di mantenimento tout court della sig.ra Ri., con dispensa degli altri due fratelli, odierni attori, dalla compartecipazione alle eventuali spese necessarie per il sostentamento e la cura della madre. Costituisce, infatti, circostanza non contestata dagli attori, che con la realizzazione del loro progetto di ristrutturazione della casa familiare, i convenuti avrebbero garantito alla sig.ra Ri. il diritto di usufrutto su altra abitazione della medesima casa, sita al piano terra per agevolare i suoi spostamenti. Non si comprende, dunque, quale sarebbe stata la causa dell’eventuale assunzione di un obbligo di mantenimento tout court della comune madre.

Al contrario, il preciso riferimento al diritto di usufrutto sulla p.m. 1 della p.ed. 952 c.c. Brunico, prima vantato dalla sig.ra Ri., consente di affermare che gli oneri economici e logistici ivi indicati e posti a carico dei convenuti Mi.En. e Mi.Ma. siano da intendersi limitati alle esigenze abitative della comune madre.

Peraltro, gli attori non contestano che alla sig.ra Ri. sia stata effettivamente garantita una adeguata sistemazione, dando atto (a pag. 6 della citazione) del fatto che gli odierni convenuti in data 06.08.2015 abbiano concluso con la sig.ra Ri. contratto di permuta, attraverso il quale il diritto di usufrutto sulla citata p.m. (…) della p.ed. (…) c.c. Brunico veniva trasferito su altro immobile della società Re. S.r.l., e che quindi alcun onere economico in relazione alla nuova sistemazione sia gravato sulla de cuius.

Infine, la circostanza che il figlio En.Mi. avesse ricevuto delega generale ad operare sul conto corrente della madre non si pone in collegamento con l’asserita assunzione dell’obbligo di mantenimento, considerato che tale delega risale al 16/04/2010 (doc. 4 di parte attrice), e dunque ad epoca antecedente al citato contratto di compravendita.

La domanda di risarcimento per inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c. formulata dagli attori va, dunque, rigettata in quanto infondata.

2.2. Gli attori hanno inoltre fatto valere la responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c. dei convenuti per l’asserita indebita appropriazione del patrimonio materno e conseguente depauperamento dello stesso in danno degli attori.

In particolare, gli attori si dolgono delle condotte di cui ai punti a), b) e c) dell’esposizione in fatto del proprio atto introduttivo, ossia: a) della mancata consegna dei gioielli della madre, che peraltro affermano che sarebbero spettati alla figlia Ch., in quanto ad essa assegnati dalla madre giusta disposizione testamentaria in forma orale; b) delle illegittime operazioni sul conto corrente e sul libretto di risparmio della madre eseguite dal figlio En.; c) della mancata consegna delle armi appartenute al comune padre Ar.Mi..

Come noto, a differenza della responsabilità contrattuale, nella quale per il creditore è sufficiente dare conto del proprio diritto, dell’esigibilità della prestazione e della mancanza della stessa, mentre è il debitore ad essere gravato dell’onere di dimostrare di non aver potuto adempiere l’obbligazione per una causa a lui non imputabile (ex art. 1218 c.c.), nella responsabilità extracontrattuale è colui che agisce per ottenere il risarcimento a dover dimostrare i fatti costitutivi della sua pretesa, la riconducibilità agli stessi del comportamento del convenuto (il nesso causale), il danno ingiusto e l’imputabilità soggettiva. Nel caso in esame gli attori non hanno assolto tale onere probatorio.

Per quanto riguarda i preziosi della defunta madre, i convenuti hanno affermato che essi sarebbero stati depositati in una cantina dell’immobile di famiglia, alla quale avrebbero avuto libero accesso anche gli attori, in quanto muniti ciascuno di copia della relativa chiave.

Gli attori non hanno contestato tale affermazione, limitandosi a dare atto di aver appreso la circostanza unicamente nel corso del presente giudizio, nonostante le precedenti richieste stragiudiziali inviate. Giova peraltro osservare che, sino a quando non avviene la divisione, tutti i coeredi hanno pari diritto di godere dei beni facenti parte della massa ereditaria, vertendosi ancora in una situazione di comunione ereditaria e dunque di contitolarità di tali beni.

Quanto alle pellicce/bestioline in visone, la cui presenza nell’asse ereditario è stata contestata dai convenuti, gli attori non hanno offerto di provare la loro presenza e l’indebita appropriazione delle stesse da parte dei convenuti, non avendo formulato alcun capitolo di prova a tale riguardo.

Di conseguenza, non risulta provato alcun danno ingiusto derivato agli attori.

In relazione al denaro asseritamente oggetto di indebito utilizzo da parte del convenuto En.Mi., va precisato che è pacifico e incontestato dalle parti che costui godesse, sin dal 16.04.2010, di una delega ad operare sul conto corrente della madre (cfr. doc. 4 di parte attrice).

Non è dato sapere se egli avesse ricevuto un mandato ad hoc dalla madre ed, eventualmente, che contenuto avesse il mandato conferito. Di conseguenza, non è neppure dato sapere se tale mandato sia mai stato violato e se l’utilizzo del conto e del bancomat sia avvenuto contro la volontà della madre. Anche i bonifici dal conto della madre a quello del figlio potrebbero consistere in donazioni fatte al figlio.

Peraltro, gli attori non agiscono per ottenere il rendiconto ex art. 1713 c.c. che pure spetterebbe agli eredi del mandante, ammesso che un mandato fosse stato conferito nel caso in esame.

Anche in questo caso, pertanto, difetta la prova di un danno ingiusto patito dagli attori.

Per quanto riguarda, infine, le armi appartenute al comune padre Ar.Mi., gli attori non hanno fornito in giudizio la prova dell’indebita appropriazione delle stesse da parte dei convenuti.

A fronte della contestazione dei convenuti, i quali affermano che delle sei armi menzionate dagli attori soltanto due fossero appartenute al padre ma che siano successivamente state oggetto di cessione al figlio convenuto Ma.Mi., gli attori non hanno fornito la prova dell’indebita appropriazione delle stesse da parte dei convenuti, non avendo formulato capitoli di prova orale idonei a provare dette circostanze.

Ne consegue che la richiesta risarcitoria ex art. 2043 c.c. va rigettata in quanto infondata.

2.3. Gli attori hanno poi proposto la domanda ex art. 533 c.c.

Va premesso che la petitio hereditatis consiste in un’azione di carattere universale, esperibile erga omnes e volta a tutelare non un diritto su di una cosa singola ma a far riconoscere in chi la propone la qualità di erede, cioè il diritto all’universum ius defuncti. Essa si distingue dall’azione di mero accertamento della qualità di erede in quanto, pur condividendo l’accertamento della qualità ereditaria, è azione necessariamente recuperatoria, volta ad ottenere la restituzione dei beni ereditari da chi li possegga a titolo di erede o senza titolo.

Anche per la petizione di eredità vale il comune principio di diritto secondo il quale onus probandi incumbit ei qui dicit, per cui chi agisce in giudizio deve provare innanzitutto la propria qualità di erede, ed inoltre che i beni fossero, al tempo dell’apertura della successione, compresi nell’asse ereditario.

Nel caso in esame, gli attori chiedono la restituzione dei beni asseritamente oggetto di illegittima appropriazione da parte dei convenuti, ossia di quelli indicati ai punti a), b) e c) dell’esposizione in fatto della citazione, e segnatamente: a) numerosi gioielli ed alcune pellicce/bestioline; b) denaro illegittimamente prelevato dal conto corrente e dal libretto di risparmio della defunta, o comunque oggetto di giroconto o bonifico verso il conto corrente del convenuto En.Mi.; c) 6 armi già appartenute al defunto sig. Ar.Mi..

È pacifica e non contestata la qualità di eredi della de cuius Bi.Ri. sia degli attori Ch.Mi. e Pa.Mi., sia dei convenuti En.Mi. e Ma.Mi..

Per quanto concerne invece la prova della presenza dei beni oggetto di detta azione nell’asse ereditario al momento dell’apertura della successione occorre osservare quanto segue.

I convenuti non contestano che i gioielli indicati dagli attori facciano parte dell’asse ereditario, affermando tuttavia che, in ragione della nullità del dedotto testamento orale della de cuius – che, secondo la rappresentazione attorea, avrebbe lasciato tali beni all’unica figlia, con onere di essa di consegnare un gioiello a ciascun fratello in ricordo della madre -, essi spettino a tutti e quattro i fratelli, in quanto coeredi della comune madre.

I convenuti affermano inoltre che tali beni sarebbero stati riposti in una cantina dell’immobile di famiglia appena ristrutturato, a cui avrebbero avuto libero accesso anche gli attori, poiché in possesso di copia della relativa chiave. Gli attori non hanno contestato l’effettiva presenza di detti beni nel locale indicato dai convenuti, limitandosi a dolersi di aver appreso tale circostanza solamente nel corso del presente giudizio.

Ne consegue, pertanto, che nulla deve disporsi con riferimento ad essi, considerato che i convenuti non hanno contestato né la qualità di eredi degli attori, né la titolarità in capo ad essi di tali beni – che peraltro sono attualmente ancora soggetti ad un regime di comunione ereditaria -, e anzi li hanno di fatto messi a disposizione degli attori, indicando il luogo ove essi sarebbero attualmente presenti.

Con riguardo alle pellicce ed alle bestioline di visone, di cui i convenuti hanno contestato la presenza nell’asse ereditario, gli attori non hanno fornito in giudizio la prova della presenza di tali beni, e non hanno neppure offerto di provare tale circostanza, non avendo formulato alcun capitolo di prova orale a tale riguardo.

In relazione al denaro asseritamente oggetto di indebiti prelievi, giroconti o bonifici dal conto corrente o dal libretto di risparmio della de cuius a quello del figlio En.Mi., la domanda attorea risulta infondata, posto che non mira ad ottenere la restituzione di beni presenti nell’asse ereditario al momento dell’apertura della successione, bensì ad ottenere una tutela risarcitoria per l’asserito illegittimo utilizzo del denaro della defunta madre in epoca antecedente alla sua morte, e dunque non più presente nell’asse al momento della morte della de cuius (cfr. anche Cass. civ., 3181/2011: “Con l’azione di petizione ereditaria l’erede può reclamare soltanto i beni nei quali egli è succeduto “mortis causa” al defunto, ossia i beni che, al tempo dell’apertura della successione, erano compresi nell’asse ereditario; ne consegue che tale azione non può essere esperita per far ricadere in successione somme di denaro che il “de cuius” abbia, prima della sua morte, rimesso a mezzo di assegni bancari, senza un’apparente causa di giustificazione, al futuro erede e che questi abbia o abbia avuto in disponibilità in forza di un titolo giuridico preesistente e indipendente rispetto alla morte del “de cuius””).

Per quanto concerne, infine, le armi, va rilevato che gli attori agiscono nel presente giudizio facendo valere la loro qualità di eredi della sig.ra Bi.Ri., ma chiedono la restituzione di beni che affermano espressamente essere appartenuti al sig. Ar.Mi..

Gli attori neppure allegano che di tali beni sarebbe divenuta proprietaria, a seguito del decesso del sig. Mi., la sig.ra Ri., né precisano a che titolo (successione legittima o testamentaria) ed in quale misura, posto che parrebbe doversi ritenere che eredi del sig. Ar.Mi. siano divenuti sia la di lui coniuge sia i figli.

A fronte della contestazione operata dai convenuti, gli attori avrebbero dovuto fornire la prova in giudizio che detti beni siano passati nella proprietà esclusiva della sig.ra Ri.. Tale prova non è, invece, neppure stata offerta, posto che non è stato formulato alcun capitolo di prova orale volto a dimostrare tale circostanza.

Risulta, dunque, del tutto carente la prova della presenza di tali beni nell’asse ereditario della sig.ra Ri..

Si consideri, infine, che la finalità sottesa all’azione di cui all’art. 533 c.c. è si recuperatoria, ma determina come effetto quello di far confluire i beni oggetto dell’azione nella massa ereditaria, ossia nell’universum ius defuncti. Di conseguenza, sarebbe comunque infondata la domanda di restituzione di singoli beni agli attori, posto che, non essendo ancora avvenuta la divisione, un’eventuale restituzione determinerebbe comunque soltanto la restituzione dei beni alla massa.

Per tutti questi motivi, la domanda attorea ex art. 533 c.c. va rigettata in quanto infondata.

2.4. Infine, anche la domanda formulata ai sensi dell’art. 2041 c.c. va rigettata in quanto infondata.

Gli attori non hanno fornito prova di un arricchimento dei convenuti, privo di un’adeguata giustificazione, in loro danno, posto che:

a) i preziosi appartenuti alla madre sono stati messi a loro disposizione dai convenuti e della presenza di pellicce/bestioline in visone non è stata fornita la prova in giudizio;

b) le operazioni asseritamente eseguite in maniera indebita dal figlio En.Mi. sul conto corrente e sul libretto di risparmio della madre risultano eseguite in presenza di una delega ad operare su tale conto, né è stato dimostrato che esse siano state eseguite in violazione del mandato conferito dalla madre;

c) dell’indebita appropriazione delle armi appartenute al padre Ar.Mi. non è stata fornita la prova in giudizio.

Va inoltre precisato che l’azione ex art. 2041 c.c., in quanto rimedio sussidiario e residuale, è ammissibile soltanto allorquando l’azione tipica dia esito negativo per carenza ab origine dell’azione stessa derivante da un difetto del titolo posto a suo fondamento. Come precisato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, il rimedio di cui all’art. 2041 c.c. non può essere adoperato né quando la domanda principale sia stata respinta per difetto di prova, né quando la domanda tipica, inizialmente proposta, sia stata successivamente rinunciata (cfr. Cass. civ., sez. I, sent. 15.10.2015, n. 20871: “è, bensì, vero, poi, che il danneggiato può proporla, in via subordinata, quando l’azione tipica, avanzata in via principale, abbia avuto esito negativo per carenza del titolo posto a suo fondamento (Cass. n. 4492 del 2010; n. 6295 del 2013); ma tale principio, invocato dal ricorrente, non opera né quando la domanda ordinaria, fondata su un titolo contrattuale, è stata rigettata per l’assenza di prove sufficienti all’accoglimento, nè quando tale domanda, dopo essere stata proposta, non è stata più coltivata dall’interessato (Cass. n. 8020 del 2009; n. 6295 del 2013), dato che in tali ipotesi il titolo specifico, fonte del credito azionato, in tesi sussiste (ma è infondato), o avrebbe potuto esser positivamente accertato, sol che il creditore avesse utilmente proseguito il relativo giudizio”).

3. Le spese di lite seguono la soccombenza, secondo quanto previsto dall’art. 91 c.p.c.

Gli attori vanno dunque condannati, in solido tra loro, alla rifusione, in favore dei convenuti, delle spese di lite del presente giudizio che vengono liquidate in base ai parametri di cui al D.M. 55/14 (tab. n. 2, scaglione da Euro 52.000,01 ad Euro 260.000,00), secondo i valori medi per le fasi di studio, introduttiva e decisoria, e con applicazione del valore minimo per la fase istruttoria, limitata al deposito delle memorie istruttorie.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

1) rigetta le domande attoree;

2) condanna gli attori Mi.Ch. e Mi.Pa., in solido tra loro, a rimborsare ai convenuti Mi.En. e Mi.Ma. le spese di lite, che si liquidano nel seguente modo: Euro 11.810,00 per compenso di avvocato, oltre rimborso spese forfettarie in misura del 15%, oltre Iva e Cap come per legge, oltre spese successive necessarie.

Così deciso in Bolzano il 10 gennaio 2020.

Depositata in Cancelleria l’11 gennaio 2020.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.