il presupposto per proporre l’azione di ingiustificato arricchimento e’ la mancanza di una azione tipica, tale dovendo intendersi non ogni iniziativa processuale ipoteticamente esperibile, ma esclusivamente quella che deriva da un contratto o quella che sia prevista dalla legge con riferimento ad una fattispecie determinata, azione tipica nella specie concretantesi in quella risarcitoria ex articoli 1337-1338 c.c.

 

Corte di Cassazione, Sezione 1 civile Ordinanza 23 maggio 2018, n. 12840

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. MUCCI Roberto – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28553/2013 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA REGIONALE DI PALERMO, in persona del Presidente legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1600/2012 della CORTE DI APPELLO DI PALERMO, depositata il 14 novembre 2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19 dicembre 2017 dal Cons. Dott. ROBERTO MUCCI.

CONSIDERATO

che:

1. la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Palermo con la quale era stata rigettata la domanda della (OMISSIS) s.r.l. di condanna della Provincia regionale di Palermo al pagamento della somma di Lire 7.360.000, oltre I.v.a., quale premio di incentivazione previsto nel contratto di appalto stipulato il 7 maggio 1996 in caso di anticipata consegna dei lavori rispetto ai termini contrattuali;

2. in sintesi, la Corte di appello riteneva: a) la nullita’ parziale della clausola di cui all’articolo 52 del contratto, concernente il premio in questione, per contrasto con la Legge Regionale Sicilia 12 gennaio 1993, n. 10, secondo cui (articolo 55) “L’anticipata ultimazione dei lavori rispetto al termine assegnato non consente l’attribuzione di alcun premio di incentivazione”; b) l’insussistenza dell’incolpevole affidamento dell’appaltatrice, operante nel settore dei lavori pubblici, sulla liceita’ della clausola, per evidente contrasto della stessa con la previsione di legge e nonostante la negligente condotta dei funzionari dell’amministrazione provinciale; c) l’infondatezza della pretesa ex articolo 2041 c.c., in carenza dell’elemento della sussidiarieta’ e della stessa ravvisabilita’ in concreto del prospettato arricchimento;

3. avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la (OMISSIS) s.p.a. affidato a tre motivi; la Provincia regionale di Palermo non ha svolto difese.

RITENUTO

che:

4. con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e articolo 111 Cost., comma 6: la Corte di appello, nello scrutinare il primo motivo di gravame – relativo alla nullita’ parziale della clausola per contrasto con norme imperative -, avrebbe fornito una motivazione apparente operando un rinvio per relationem alle argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado senza averle valutate criticamente, cosi’ prestando mera adesione alla pronuncia gravata e non consentendo alcun controllo sulla correttezza del percorso motivazionale di reiezione del mezzo;

4.1. il motivo e’ infondato;

4.2. in disparte la considerazione che la decisione della Corte di appello si fonda sulla ratio assorbente del ritenuto contrasto tra la clausola in questione e la Legge Regionale Sicilia n. 10 del 1993, articolo 55 (rimandando “per il resto, (…) alle condivisibili considerazioni svolte, sul punto, nella sentenza appellata”: p. 2 della sentenza di appello, parte motiva), deve qui integralmente richiamarsi il piu’ recente insegnamento fissato da Sez. U, 20 marzo 2017, n. 7074, cosi’ massimata: “In tema di ricorso per cassazione, ove la sentenza di appello sia motivata per relationem alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex articolo 366 c.p.c., n. 6, occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonche’ le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che e’ necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realta’, eluso i suoi doveri motivazionali”;

4.3. al riguardo, fermo il principio di cui a Sez. U, 8 giugno 1998, n. 5612 (“adempie all’obbligo di motivazione il giudice del gravame che si richiami per relationem alla sentenza impugnata di cui condivida le argomentazioni logico-giuridiche, purche’ dia conto di aver valutato criticamente sia il provvedimento censurato che le censure proposte”) – principio evidenziante che la motivazione per relationem alla motivazione del giudice di primo grado e’ legittima innanzitutto se, in buona sostanza, essa identifichi l’argomentazione logico-giuridica condivisa, presente nella detta sentenza -, la Corte di appello ha identificato chiaramente quella argomentazione nella circostanza che il Tribunale aveva ritenuto la nullita’ parziale della clausola per contrasto con norma imperativa, cosi’ facendo propria la motivazione in proposito svolta dal Tribunale e tale condivisione implica che la Corte di appello abbia ritenuto – valutandola pienamente esaustiva quella motivazione nel suo iter;

4.4. nella specie, la ricorrente, pur richiamando le censure mosse alla sentenza di primo grado (senza peraltro adeguatamente svilupparle: p. 8, terzo cpv., del ricorso), ha omesso di identificare il tenore della motivazione del primo giudice che ha giustificato l’affermazione condivisa dalla Corte di appello, con cio’ non adempiendo all’onere di specificazione del motivo di ricorso di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 6, essendo palese che – come argomentano le citate Sezioni Unite del 2017 – “la ritualita’ della motivazione per relationem non si puo’ apprezzare senza conoscere quel tenore e quelle critiche. Ne’ si puo’ ritenere che esse dovrebbero risultare dalla sentenza impugnata e cio’ per la ragione che in tal caso non si sarebbe in presenza di motivazione per relationem, bensi’ di una motivazione che o si e’ fatta carico delle critiche e, dunque, nel rigettarle non risulta piu’ relazionata, o non se ne e’ fatta carico ed allora risulta omissiva della considerazione del motivo di appello, cosi’ concretando violazione dell’articolo 112 c.p.c.. Si comprende allora che inerisce allo svolgimento dell’attivita’ di censura della motivazione per relationem enunciata dal giudice d’appello (…) una necessaria puntuale indicazione della motivazione della sentenza di primo grado, che ha portato a quell’affermazione e, nel contempo, della critica che le era stata rivolta con i motivi di appello, che e’ necessario individuare per evidenziare che con la motivazione il giudice d’appello ha, in realta’, eluso i suoi doveri motivazionali. (…) Si badi che la prima lacuna sarebbe gia’ di per se’ sufficiente a concludere che la critica alla motivazione per relationem nella specie sia stata svolta in modo inidoneo”;

5. con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli articoli 1337, 1338 e 1375 c.c.: posto che il principio dell’inescusabilita’ dell’ignorantia legis, da valutarsi caso per caso, tollererebbe eccezioni ove la conoscenza della legge si rivelasse in concreto difficilmente conseguibile, la Corte di appello avrebbe apoditticamente escluso l’incidenza della condotta negligente dei funzionari dell’amministrazione provinciale, che aveva predisposto la clausola, sull’affidamento riposto dall’appaltatrice nella validita’ della clausola medesima, stante il dovere di mutua cooperazione delle parti del contratto ex articolo 1338 c.c.;

5.1. la doglianza deve essere disattesa;

5.2. la Corte di appello ha ritenuto che l’evidente contrasto della clausola con la previsione della legge regionale – emanata oltre tre anni prima della stipula del contratto e riguardante il settore dei lavori pubblici nel quale operava la societa’ appaltatrice – fosse ben conoscibile dalla (OMISSIS), che pertanto non poteva invocare alcun affidamento incolpevole nonostante la pur rilevata negligente condotta della controparte pubblica;

5.3. a fronte di cio’, il motivo – peraltro genericamente articolato (p. 12 del ricorso) con riferimento alla complessita’ del quadro normativo e, parrebbe, al carattere non esclusivo dell’operativita’ della societa’ nel settore degli appalti pubblici – si risolve, all’evidenza, in una richiesta di riesame del merito inammissibile nella presente sede di legittimita’;

5.4. deve pertanto ribadirsi che, ferma la predicabilita’ della culpa in contrahendo della P.A., salva la prova concreta dell’irragionevolezza dell’altrui affidamento (per il che, nell’accertare se il privato abbia confidato senza colpa nella validita’ ed efficacia del contratto con la P.A., agli effetti dell’articolo 1338 c.c., il giudice di merito deve verificare in concreto se la norma violata fosse conoscibile dal cittadino mediamente avveduto, tenuto conto dell’univocita’ dell’interpretazione della norma stessa e della conoscibilita’ delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l’invalidita’: Sez. 1, 12 maggio 2015, n. 9636), ove l’invalidita’ negoziale derivi dalla violazione di una norma imperativa o proibitiva di legge, o di altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, cioe’ tali da dover essere note, per presunzione assoluta, alla generalita’ dei cittadini, ovvero tali, comunque, da poter essere conosciute attraverso un comportamento di normale diligenza, non si puo’ configurare la colpa contrattuale a carico dell’altro contraente che abbia omesso di far rilevare alla controparte l’esistenza delle norme stesse (Sez. 3, 18 maggio 2016, n. 10156);

6. con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli articoli 2041 e 2042 c.c.: erroneamente la Corte di appello avrebbe ritenuto il difetto del requisito della sussidiarieta’, ex articolo 2042 c.c., dell’azione di indebito arricchimento; al contrario, laddove si ritenesse la clausola de qua contrastare con il disposto della Legge Regionale Sicilia n. 10 del 1993, articolo 55, “in difetto del titolo posto a fondamento dell’azione incoata dalla societa’ ricorrente, e’ evidente che dovra’ ammettersi la legittimita’ dell’azione di ingiustificato arricchimento incoata in via subordinata. L’azione di arricchimento, infatti, puo’ legittimamente essere avviata quando vi e’ il diniego di tutela contrattuale” (pp. 14-15 del ricorso);

6.1. anche tale doglianza non merita condivisione, essendo sufficiente qui ribadire che il presupposto per proporre l’azione di ingiustificato arricchimento e’ la mancanza di una azione tipica, tale dovendo intendersi non ogni iniziativa processuale ipoteticamente esperibile, ma esclusivamente quella che deriva da un contratto o quella che sia prevista dalla legge con riferimento ad una fattispecie determinata (da ultimo, Sez. 1, 22 novembre 2017, n. 27827 e Sez. 3, 31 gennaio 2017, n. 2350), azione tipica nella specie concretantesi in quella risarcitoria ex articoli 1337-1338 c.c.;

6.2. il mezzo risulta peraltro altresi’ inammissibile poiche’ non attacca l’ulteriore ratio decidendi relativa alla ritenuta non ravvisabilita’ dell’arricchimento dell’amministrazione provinciale;

6.3. ed invero, posto che il fondamento dell’istituto e’ quello di eliminare l’iniquita’ prodottasi mediante uno spostamento patrimoniale privo di giustificazione di fronte al diritto, sancendone la restituzione – sicche’ l’azione e’ data non contro l’arricchimento o il danno, ma per evitare l’arricchimento a danno altrui -, parte ricorrente, nel richiedere l’intero ammontare del premio di incentivazione a titolo di indebito arricchimento dell’amministrazione (cfr. le conclusioni riportate nella sentenza impugnata), non solo nulla deduce, nell’illustrazione del motivo, in ordine all’altrui arricchimento, ma mostra di voler conseguire una non consentita commistione di effetti tra l’articolo 2041 c.c. e l’articolo 1223 c.c., dovendo invece ribadirsi che va escluso dal calcolo dell’indennita’ richiesta per la diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore di una prestazione in virtu’ di un contratto invalido, quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace (Sez. U, 11 settembre 2009, n. 23385).

7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato; in ragione dell’esito del giudizio non vi e’ luogo a provvedere sulle spese quanto all’intimata amministrazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

Riferimenti: Legge(11)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.