nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si realizza un’anticipazione degli effetti traslativi, fondandosi la disponibilità conseguita dal promissario acquirente sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori, sicché la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem ove non sia dimostrata una interversio possessionis nei modi previsti dall’art. 1141 cod. civ.

 

Corte d’Appello Palermo, Sezione 2 civile Sentenza 27 settembre 2018, n. 1917

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Palermo, Seconda Sezione Civile, composta da:

1) Filippo Picone Presidente

2) Daniela Pellingra Consigliere

3) Gabriele Strano Giudice Ausiliario rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n. 2135/2014 R.G., promossa in grado di appello

DA

Ed. S.r.l., in persona dell’Amministratore Unico pro tempore Lu.Gi., rappresentata e difesa dall’Avv. Ti.Ci.;

– appellante –

CONTRO

Di.Fr., nato (…), rappresentato e difeso dall’Avv. Gi.La.;

– appellato –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 2427 del 30 aprile 2014, il Tribunale di Palermo, in accoglimento delle domande formulate da Di.Fr. nei confronti di Ed. s.r.l., dichiarava l’attore proprietario per intervenuta usucapione ventennale dell’immobile sito in Palermo, via (…), scala b, piano IV, individuato in catasto al foglio (…), p.lla (…), sub. 25 e, al contempo, dichiarava prescritto il credito vantato dalla Ed. s.r.l.. Rigettava le ulteriori domande delle parti e compensava le spese di lite.

Avverso la suddetta sentenza proponeva impugnazione, con citazione notificata il 10.12.2014, la Ed. S.r.l.

Si costituiva in giudizio, con comparsa di risposta del 22 aprile 2015 contenente appello incidentale, Di.Fr.

Precisate le conclusioni all’udienza del 27 aprile 2018, la causa era assunta in decisone con i termini ex art. 190 c.p.c.

MOTIVAZIONE

L’appellante censura la sentenza di primo grado, sostenendo che il Tribunale avrebbe erroneamente accolto la domanda di usucapione formulata, in via subordinata, dal Di.

Secondo l’appellante, il decidente sarebbe incorso in una grave contraddizione, giacché lo stesso avrebbe riconosciuto quale fonte del rapporto tra le parti in causa un contratto preliminare di compravendita, il quale, avendo effetti obbligatori e non reali, non sarebbe idoneo in alcun modo a far maturare un possesso utile all’acquisto della proprietà ad usucapionem, determinando solo la semplice detenzione della res.

Il motivo è fondato.

La vicenda sottoposta al vaglio di questa Corte ha origine nel contratto preliminare del 22.06.1981, con il quale Ed. s.p.a.(oggi Ed. s.r.l.) prometteva in vendita all’odierno appellato, per il corrispettivo di Lire 42.000.000, l’appartamento sopra descritto (già gravato di ipoteca con atto n.

7244 di rep. e n. 321 racc.).

L’odierno appellato, in virtù di detto contratto preliminare, corrispondeva alla società un acconto di Lire 20.000.000, obbligandosi a corrispondere il saldo di Lire 22.000.000 all’atto di stipula del contratto definitivo.

Con atto di citazione del 29.11.1982, il Di. conveniva in giudizio la società promittente venditrice, deducendo l’inadempimento contrattuale della stessa e chiedendo, ai sensi dell’art. 2932 c.c., il trasferimento coattivo dell’immobile.

Con sentenza n. 1915 del 1984, il Tribunale di Palermo trasferiva l’immobile in questione all’odierno appellato Di., condizionando però l’efficacia della pronuncia al pagamento del residuo prezzo.

La predetta pronuncia era confermata integralmente dalla Corte d’Appello di Palermo che, con sentenza n. 835/85, rigettava l’impugnazione del Di. il quale chiedeva la sospensione del pagamento del residuo prezzo.

Nelle more del giudizio di primo grado, in data 5 marzo 1982, era trascritto a carico di Ed. S.p.A. un pignoramento immobiliare sull’intero patrimonio immobiliare della società, compreso il bene oggetto dell’odierno giudizio.

Nel frattempo, il Di. aveva già preso possesso dell’immobile.

La procedura immobiliare in questione (R.G.E.I. 109/82) si concludeva il 29.06.2010, con il provvedimento con il quale il Giudice dell’Esecuzione predisposto il piano parziale di riparto, disponeva la sua approvazione e la restituzione degli immobili rimasti invenduti, tra questi quello oggetto della presente controversia, alla Ed. S.p.A.

Nel corso della suddetta procedura il Di. proponeva opposizione di terzo all’esecuzione, chiedendo la riduzione del pignoramento e l’esclusione dalla procedura dell’immobile dallo stesso detenuto.

Dopo l’estinzione della procedura, l’odierna appellante, immessa nel possesso dal custode, invitava il Di. al rilascio dell’immobile e questi, con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. notificato il 19.09.2012, adiva il Tribunale chiedendo: 1) la prescrizione del credito di Lire 22.000.000 (oggi Euro 11.362,05) vantato da Ed. s.r.l,, quale saldo per l’acquisto dell’immobile oggetto di vendita; 2) il conseguente avveramento della condizione sospensiva di cui alle sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello di Palermo; 3) l’acquisto della proprietà dell’immobile per usucapione ordinaria o abbreviata; 4) la condanna di Ed. s.r.l. al risarcimento dei danni dovuti dalla gravi inadempienze.

Si costituiva la Ed. s.r.l. chiedendo:

1) il rigetto delle domande attrici:

2) la risoluzione del contratto per inadempienza del Di. (per il mancato pagamento del saldo prezzo dell’immobile, così come statuito nelle sentenze di primo e secondo grado e la conseguente condanna di quest’ultimo al pagamento di un’indennità di occupazione per avere fruito dell’immobile di Ed. S.r.l. 3) in subordine la condanna del Di. al pagamento del saldo prezzo, oltre interessi e rivalutazione monetaria; 4) la condanna del Di. al pagamento del maggior danno per l’utilizzo del bene in mancanza di formale trasferimento dell’immobile.

Il procedimento si concludeva con la sentenza oggi impugnata.

Come già anticipato, secondo l’appellante, il Tribunale non avrebbe valutato la decisiva circostanza che il rapporto fra le parti avesse avuto origine dalla stipula del contratto preliminare di vendita.

La censura della società appellante coglie nel segno.

Non è in contestazione il fatto che il Di. abbia cominciato ad avere la detenzione dell’immobile per cui è causa in virtù di un preliminare di vendita che anticipava gli effetti del definitivo mediante la consegna del bene.

Proprio la natura obbligatoria del rapporto contrattuale intercorso tra le parti esclude che la disponibilità del bene in capo all’appellato possa valere quale esplicazione del possesso utile ad usucapire.

In sede di applicazione dell’art. 1158 cod. civ. la Corte di Cassazione, anche a sezioni unite (Cass. Sez. U. n. 7930 del 27/03/2008, nonché Cass. n. 1296 del 25/01/2010, n. 4863/2010, n. 9896/2010, n. 5211/2016; Cass. 30/08/2017, n. 20539) ha affermato che, nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si realizza un’anticipazione degli effetti traslativi, fondandosi la disponibilità conseguita dal promissario acquirente sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori, sicché la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem ove non sia dimostrata una interversio possessionis nei modi previsti dall’art. 1141 cod. civ.

La tesi prospettata dall’appellato, secondo la quale il preliminare a effetti anticipati attribuisce al promissario acquirente un animus possidendi non assimilabile a quello del comodatario, pur se fondata su rispettabili argomentazioni, non giustifica, a parere di questo Collegio, un ribaltamento del pacifico orientamento della Corte di legittimità.

Ciò chiarito, va, pertanto, accertato se l’appellato, quale detentore qualificato, abbia o meno provato l’avvenuta interversio possessionis, ai sensi dell’art. 1141 c.c., per ottenere l’invocata usucapione del bene.

Ad avviso di questo Collegio, nessuna prova in tal senso è stata fornita dal Di., poiché le risultanze istruttorie hanno confermato che lo stesso ha continuato a detenere l’immobile riconoscendo l’esistenza del rapporto obbligatorio con l’appellante.

Sotto tale profilo, è evidente l’errore in cui è incorso il primo Giudice per le seguenti considerazioni. Anzitutto, le richiamate sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello di Palermo hanno disposto entrambe che il pagamento del prezzo era condizione per il verificarsi dell’effetto traslativo derivante dalla pronuncia, sicché era acclarato che il rapporto tra le parti avesse natura obbligatoria.

La circostanza evidenziata dal Tribunale, secondo cui la società non avrebbe chiesto nei termini di legge il pagamento del residuo prezzo, determinando la prescrizione del diritto di credito, non era idonea a giustificare l’accoglimento della domanda di usucapione, anche perché tale domanda non poteva certo assorbire quella di risoluzione per inadempimento del Di.

Ma in ogni caso, per quel che rileva in questa sede, non è accettabile il prospettato automatismo tra la mancata richiesta del saldo da parte dell’appellante e l’interversione del possesso in capo al Di.

Gli ulteriori elementi evidenziati dal l’appellato, quali le trattative intavolate con la Ca.Ri. durante la procedura espropriativa e il fatto di essersi sottratto al pagamento dell’indennità di occupazione chiesta dal custode nella procedura esecutiva, non giovano a supportare la sua tesi. Neanche l’avvenuta interversione può dirsi compiuta e dimostrata sulla scorta degli elementi probatori genericamente richiamati dal primo Giudice.

Al riguardo, la produzione documentale offerta dal Di. attestante il pagamento dell’energia elettrica, dell’acqua e delle quote condominiali, e più in generale l’intera documentazione dallo stesso richiamata a sostegno della domanda di usucapione, non è sufficiente poiché, essendo ad avviso di questo collegio certo e pacifico che il Di. abbia iniziato il rapporto con il bene immobile quale semplice detentore, la pretesa inerzia dell’appellante, come anche i richiamati atti comprovanti l’esercizio del possesso, non sono idonei a dimostrare l’avvenuta interversione la quale, secondo la pacifica giurisprudenza anche di questa Corte, non è comprovata dall’inerzia del proprietario, né da semplici atti corrispondenti all’esercizio del possesso.

In conclusione, l’appello è sul punto fondato e va, pertanto, rigettata la domanda di usucapione formulata dall’odierno appellato.

Va, invece, accolta la domanda di risoluzione formulata da Ed. S.r.l., e reiterata in questo grado di giudizio, per inadempimento del Di. al versamento del residuo prezzo dovuto in base a quanto statuito dalle richiamate sentenze del Tribunale e della Corte di Appello di Palermo.

La Corte di Cassazione ha chiarito che le sentenze emesse ai sensi dell’art. 2932 c.c., dal momento del passaggio in giudicato, producono gli effetti del negozio, comportando, in caso di vendita, il trasferimento della proprietà del bene e il correlativo obbligo dell’acquirente di versare il prezzo eventualmente ancora dovuto, obbligo sancito con una pronuncia di accertamento, di condanna o di subordinazione dell’efficacia traslativa al pagamento; si origina così un rapporto di natura negoziale e sinallagmatica suscettibile di risoluzione nei casi di inadempimento che sia di non scarsa importanza ex art. 1455 c.c., il che può verificarsi anche in caso di ritardo che risulti eccessivo in rapporto al tempo trascorso, all’entità della somma da pagare e ad ogni altra circostanza utile ai fini della valutazione dell’interesse dell’altra parte. Qualora la sentenza emessa ai sensi dell’art. 2932 c.c. imponga all’acquirente di versare il prezzo della compravendita, l’obbligo diviene attuale al momento del passaggio in giudicato della sentenza stessa o allo spirare del termine ulteriore da essa eventualmente stabilito, sicché il ritardo nel pagamento, ove qualificabile come grave, può essere causa di risoluzione del rapporto sorto con la sentenza sostitutiva del negozio non concluso, non essendo necessario a tal fine che il creditore chieda al giudice la fissazione, ex art. 1183 c.c., del termine per l’adempimento, oppure, costituisca in mora il debitore (Cass. 23/05/2016, n. 10605).

Nel caso in esame non vi è dubbio che il ritardo nel pagamento del saldo sia qualificabile come grave, in relazione alla data di passaggio in giudicato delle suddette sentenze.

La pronuncia di risoluzione giustifica, inoltre, l’accoglimento della domanda di rilascio dell’immobile, formulata dalla società appellante.

Va, invece, rigettata la domanda, formulata da Ed. srl, di pagamento di una indennità per l’occupazione sine titillo dell’immobile.

La Corte di Cassazione, superando il precedente orientamento espresso nella sentenza n. 378/2005, ha statuito che l’occupazione sine titulo è di per sé produttiva di un pregiudizio per il titolare dell’immobile, in quanto ostativa della percezione dei frutti e delle utilità della res a causa dell’illecita situazione di fatto determinata dall’occupante, inquadrando la fattispecie, pertanto, nell’ambito del c.d. danno evento (Cass. n. 24437/2009).

Poiché il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto dall’ordinamento con caratteristiche e finalità punitive, ma in relazione all’effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso e, al contempo, lo stesso ordinamento non consente l’arricchimento ove non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto ad un altro (nemo locupletali potest cum aliena iactura), anche nei casi in cui il danno sia ritenuto in re ipsa e trovi la sua causa diretta ed immediata nella situazione illegittima posta in essere dalla controparte, la presunzione attiene alla sola possibilità della sussistenza del danno, ma non alla sua effettiva sussistenza né, tanto meno, alla sua entità materiale.

L’affermazione del danno in re ipsa si riferisce, dunque, esclusivamente all’an debeatur, che presuppone solo l’accertamento di un fatto potenzialmente dannoso in base ad una valutazione anche di probabilità o di verosimiglianza secondo l’id quod plerumque accidit, onde permane la necessità della prova di un concreto pregiudizio economico ai diversi fini della determinazione e della liquidazione di esso per equivalente pecuniario, e non è precluso al giudice negare la risarcibilità stessa del danno ove la sua effettiva sussistenza o la sua materiale entità non risultino provate (Cass. 24/04/2014, n. 9286).

Alla luce di quanto chiarito e facendo applicazione dei principi sopra richiamati, è escluso che la società appellante abbia fornito elementi probatori sufficienti a dimostrare la concreta lesione subita.

Alla carenza integrale di prova e, ancor prima, di allegazione sul punto, non può sopperire la richiesta di ctu, poiché la società appellante non poteva sottrarsi all’onere probatorio sulla stessa gravante e rimettere l’accertamento dei propri diritti esclusivamente all’attività del consulente tecnico d’ufficio. Con l’ulteriore motivo di appello, la Ed. S.r.l. censura la decisone del Tribunale per avere ritenuto prescritto il diritto di quest’ultima a richiedere il pagamento della rata di saldo.

Il motivo è infondato.

E’ pacifico che la sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 835/1985, che ha confermato la decisione con il quale il Tribunale aveva condizionato il trasferimento dell’immobile, è passata in giudicato alla data di proposizione del ricorso ex art. 702 bis c.p.c. da parte dell’odierno appellato.

Va, di conseguenza, accertato se la società, nel periodo di decorrenza del termine prescrizionale, abbia esercitato il proprio diritto attraverso idonei atti interruttivi oppure abbia dimostrato, come asserito nell’atto di impugnazione, che il Di. abbia riconosciuto l’esistenza del debito.

Esclusa l’interruzione del termine prescrizionale da parte dell’appellata mediante atti interruttivi a ciò idonei, questo Collegio non ritiene che la dichiarazione resa dal Di. nell’ambito della procedura esecutiva subita da Ed. S.r.l., con la quale lo stesso riferisce che vi erano trattative in corso per il bonario componimento della lite, integri gli estremi del riconoscimento di debito ex art. 2944 c.c.

A norma dell’art. 2944 c.c., la prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere; tale riconoscimento deve consistere in una ricognizione chiara e specifica del diritto altrui, che sia univoca ed incompatibile con la volontà di negare il diritto stesso. Nella specie, non lo sono certamente la dichiarazione dell’esistenza di trattative e neanche la dichiarazione con la quale l’appellato nella richiamata procedura esecutiva dichiarava di avere estinto il mutuo. Questi atti, in sostanza, come tutte le proposte transattive, sembrano motivati piuttosto dalla necessità di trovare una soluzione all’azione esecutiva e al rischio consequenziale di perdere l’immobile, senza che da ciò si possa propriamente evincere qualunque riconoscimento dell’altrui diritto. (Corte appello Palermo, sez. II, 18/07/2017, n. 1374).

Le spese di questo grado di giudizio, stante la prevalente soccombenza dell’appellato, vanno poste a suo carico e liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Palermo, Seconda Sezione Civile, uditi i procuratori delle parti, in parziale riforma della sentenza n. 2427 emessa il 30.04.2014 dal Tribunale di Palermo, rigetta la domanda, proposta da Di.Fr., con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. del 19 settembre 2012, nei confronti di Ed. S.r.l., volta a ottenere l’acquisto per usucapione ventennale dell’appartamento sito in Palermo, via (…), scala b, piano IV individuato in catasto al foglio (…), p.lla (…), sub. 25.

Dichiara risolto per grave inadempimento di Di.Fr. il rapporto contrattuale scaturente dalla sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 835 del 1985 e, di conseguenza, condanna l’appellato all’immediata restituzione in favore di Ed. S.r.l. dell’immobile sito in Palermo, via (…) piano quarto, scala B interno 7 contraddistinto al NCEU foglio (…) particella (…) sub 25.

Conferma nel resto l’impugnata sentenza.

Condanna Di.Fr. a corrispondere a Ed. S.r.l. le spese di questo grado di giudizio che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 920,00 per spese vive, oltre spese generali, iva e cpa.

Così deciso in Palermo il 30 luglio 2018.

Depositata in Cancelleria il 27 settembre 2018.

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Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.