il carattere oggettivo della responsabilità ex art. 2051 c.c. fa sì che la stessa sia fondata sulla relazione intercorrente tra il custode e la cosa e non su un comportamento, un’attività o una particolare condotta, prudente o negligente, dello stesso, per cui affinchè possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra il bene in custodia e il danno arrecato. Nel caso di specie l’ipotesi di caso fortuito nonché quella dell’impossibilità di controllo del territorio non può essere positivamente valutata in considerazione che l’evento de quo si è svolto all’interno del “perimetro” comunale con conseguente necessità di controlli e manutenzione costanti.

Per approfondire il tema oggetto della seguente pronuncia si consiglia la lettura del seguente articolo: La responsabilità della p.a. quale proprietaria delle strade

Tribunale Velletri, Sezione 2 civile Sentenza 1 marzo 2019, n. 401

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di VELLETRI

Seconda CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Francesca Collu

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 477/2015 promossa da:

(…) (C.F.: (…)), elettivamente domiciliata in Roma, via (…), presso lo studio dell’avv. La.Mi., che la rappresenta e difende per procura a margine dell’atto introduttivo del giudizio;

– Attrice –

NEI CONFRONTI DI

Comune di Anzio, in persona del Sindaco pro tempore Sig. (…), rapp.to e difeso come da procura in atti, dallo (…), a firma dell’Avv.to Si.Pa. (cod. fisc. (…)), ed elettivamente domiciliato in Anzio in Via (…);

E

(…) S.p.A, (C.F./P. IVA (…)), in persona dell’Amministratore Delegato e legale rappresentante pro tempore Dott. (…), elettivamente domiciliata in Roma, P.le (…), presso lo studio dell’Avv. Gi.Pa., che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale alle liti posta in foglio separato allegato alla comparsa di costituzione di nuovo procuratore;

– Terzo chiamato in causa –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, la signora (…) (già (…9) conveniva in giudizio il Comune di Anzio, in persona del Sindaco pro tempore, per sentirlo condannare, anche ai sensi degli artt. 2051 e 2043 c.c., al risarcimento dei danni dalla stessa subiti in 20.03.2012 allorché, mentre si trovava a camminare a piedi sul marciapiede di destra della Via (…), direzione (…) stazione, all’altezza del civico 8, cadeva al suolo a causa della presenza di una buca, non segnalata né visibile, in quanto totalmente coperta da acqua piovana.

Si costituiva in giudizio il comune di Anzio contestando l’avversa domanda in quanto infondata sia in fatto che in diritto e chiedendo la chiamata in causa della compagnia di assicurazione.

Si costituiva in giudizio quest’ultima contestando la pretesa attorea in quanto infondata e chiedendone il rigetto.

Nelle more del giudizio veniva accertato che, come da certificazione dell’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Anzio, (…) e (…) “sono la medesima persona”; veniva quindi allegato, altresì, il codice fiscale, la tessera sanitaria ed il documento di identità, da cui risulta il nome corretto dell’attrice.

La causa, istruita con prove documentali, testimoniali e CTU medico – legale, veniva trattenuta in decisione in data 22/01/2019.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda è fondata.

La teste (…), escussa all’udienza del 11/07/2017, ha confermato gli eventi così come riportati da parte attrice e precisava inoltre che: “… nell’aiutare la signora ad alzarsi ho messo anche io il piede nella pozzanghera e l’acqua mi è arrivata poco oltre la caviglia”, aggiungendo “riconosco nelle foto che mi si mostrano il luogo in cui è caduta la signora e preciso che la buca era interamente coperta d’acqua.

La responsabilità di cui all’art. 2051 c.c. presuppone quale requisito essenziale la sussistenza del nesso causale tra la cosa e l’evento lesivo. “La responsabilità ex art. 2051 c.c. … non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa” (così Cass. civile sez. III 29 luglio 2016 n. 15761).

Nel caso di specie parte attrice ha dato prova che il difetto di manutenzione del marciapiede percorso (con presenza di una buca non visibile in quanto ricoperta dall’acqua) ha causato un danno fisico; deve ritenersi, pertanto, applicabile il disposto di cui all’art. 2051 c.c. atteso che si tratta della custodia di una strada che si trova all’interno del perimetro urbano il cui difetto di manutenzione ha causato un danno a parte attrice.

L’accadimento dei fatti è stato confermato dalla teste escussa e presente nel momento in cui accadevano, né possono porsi dubbi sull’attendibilità della testimonianza resa.

Sussiste un nesso eziologico tra la caduta e la presenza della buca; in tal senso la testimonianza resa dalla (…) conferma la non visibilità della buca (tanto che lei stessa, mentre si apprestava a recare soccorso alla (…), metteva il piede in quella stessa buca).

Sul punto si rileva come, in ragione dell’evoluzione giurisprudenziale, affinché l’Ente sia tenuto al risarcimento devono sussistere alcuni requisiti, ossia il c.d. rapporto di custodia tra l’ente e la strada (ovvero occorre verificare se, per la collocazione del tratto stradale, l’Ente proprietario aveva un effettivo potere di controllare il bene e quindi di percepire le sue condizioni e di eliminare quel determinato pericolo che si è poi tramutato in un danno reale per l’utente/cittadino ed un rapporto di causa – effetto tra l’anomalia della strada e il danno.

In precedenza era previsto che l’anomalia (la buca, la spaccatura nel marciapiede ecc.) fosse anche collocata in modo da non essere percepibile: la c.d. insidia (o trabocchetto).

Sulla base di questo orientamento (che oggi non è più accolto) il danneggiato avrebbe dovuto dimostrare oltre alla dinamica del fatto anche la difficoltà nella percezione del pericolo. Una prova particolarmente complessa da fornire specie nei casi in cui l’unico testimone del fatto era il danneggiato stesso.

E’ ora, invece, generalmente riconosciuto che la responsabilità per il sinistro va addossata all’Ente proprietario della strada sulla base della prova della dinamica del fatto e dei due requisiti richiamati in precedenza (rapporto di custodia e rapporto di causa – effetto).

Secondo la Suprema Corte, “la presunzione di responsabilità per danni da cosa in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., non si applica agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali ogni qual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche, non risulti possibile – all’esito di un accertamento da svolgersi da parte del giudice di merito in relazione al caso concreto esercitare la custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa.

L’estensione del bene demaniale e l’utilizzazione generale e diretta dello stesso da parte di terzi, sotto tale profilo assumono, soltanto la funzione di circostanze sintomatiche dell’impossibilità della custodia”.

Il carattere oggettivo della responsabilità ex art. 2051 c.c. fa sì che la stessa sia fondata sulla relazione intercorrente tra il custode e la cosa e non su un comportamento, un’attività o una particolare condotta, prudente o negligente, dello stesso, per cui affinchè possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra il bene in custodia e il danno arrecato (cfr. ex multis Cass. n. 8229/2010; 4279/2008; 28811/2008).

Ad assumere rilievo nell’evento lesivo, in sostanza, è la mera sussistenza del rapporto di custodia, quale “relazione di fatto, e non semplicemente giuridica, tra il soggetto (custode) e la cosa, che legittima una pronunzia di responsabilità ex art. 2051 c.c., fondandola sul potere di governo della cosa”.

Nello specifico, per le ipotesi di sinistri stradali causati dalla cattiva manutenzione di strade ed autostrade, si evidenzia, pertanto, l’introduzione, nell’ambito della generale responsabilità di cui all’art. 2043 c.c., dei concetti di insidia e trabocchetto utilizzati per indicare una situazione di pericolo occulto e cioè, secondo una giurisprudenza ormai cristallizzata, una situazione caratterizzata dalla non prevedibilità ed invisibilità del pericolo.

Ne consegue che la P. A. è sempre soggetta al principio generale del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. incontrando, nell’esercizio della sua attività, limiti derivanti non solo da norme di legge e regolamentari ma anche dalle comuni norme di diligenza e prudenza.

Da qui discende che la P. A. è tenuta ad evitare che dal bene possa generare una situazione di pericolo occulto (insidia o trabocchetto) caratterizzata dal duplice e concorrente requisito della non visibilità oggettiva e della non prevedibilità soggettiva.

Di contro, al danneggiato incombe l’onere di provare in giudizio l’insidiosità della situazione di pericolo e cioè la sua non prevedibilità né visibilità, mentre all’amministrazione pubblica spetterà di provare quei fatti impeditivi o modificativi che la liberano da responsabilità.

In altri termini se il cittadino chiede il risarcimento alla (…) per i danni subiti dovrà dimostrare il nesso di causalità tra la cosa in custodia e l’evento dannoso, mentre la PA potrà esimersi da responsabilità dimostrando il “caso fortuito” che può essere integrato anche dalla colpa del danneggiato. Una volta dimostrato il nesso di causalità tra la cosa e il danno, dunque, è sempre configurabile la responsabilità del custode.

Quest’ultimo può però dimostrare che l’evento lesivo si è determinato a seguito del verificarsi del c.d. “caso fortuito”.

La Pubblica Amministrazione quindi può superare la presunzione di colpa e può farlo anche dando la prova che la situazione di pericolo è stata provocata dagli utenti o è insorta all’improvviso rendendo impossibile un tempestivo intervento.

Anche nella disciplina di cui all’art. 2051 c.c., il comportamento del danneggiato può avere rilevanza sotto il profilo del concorso di colpa e può in certi casi addirittura integrare una ipotesi di “caso fortuito”.

Detto questo la Cassazione ha anche chiarito che il carattere oggettivo della responsabilità ex art. 2051 c.c. fa sì che la stessa sia fondata sulla relazione intercorrente tra il custode e la cosa e non su un comportamento, un’attività o una particolare condotta, prudente o negligente, dello stesso, per cui affinchè possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra il bene in custodia e il danno arrecato (Cass. n. 8229/2010; 4279/2008; 28811/2008).

Nel caso di specie l’ipotesi di caso fortuito nonché quella dell’impossibilità di controllo del territorio non può essere positivamente valutata in considerazione che l’evento de quo si è svolto all’interno del “perimetro” comunale con conseguente necessità di controlli e manutenzione costanti.

Né può ravvisarsi una condotta imprudente della Z. atteso che la buca non era visibile.

Parte attrice ha dimostrato, in linea col disposto di cui all’art. 2697 c.c., sia la sussistenza del nesso eziologico (evento-danno) sia la non visibilità del dislivello e dei sampietrini divelti (cfr teste escussa presente al momento dell’accaduto).

Relativamente al quantum debeatur dalla CTU in atti, le cui conclusioni vengono condivise da questo giudicante, emerge che “le lesioni fisiche riportate dalla ricorrente, che possono senza dubbio essere considerate compatibili con il sinistro in oggetto, consistenti in esiti di frattura del collo chirurgico dell’omero sinistro con attuale attendibile dolore locale e limitazione funzionale, sono stati correttamente trattati, come più sopra descritto, e sono da considerarsi stabilizzati;

2) Il sinistro ha comportato un periodo di inabilità temporanea assoluta di giorni 30 (trenta), un periodo di inabilità temporanea parziale al 50% di ulteriori giorni 30 (trenta);

3) il danno biologico permanente è valutabile nella misura dell’8% (otto per cento) del totale, calcolata tenendo conto delle tabelle allegate al D.M. 3 luglio 2003 e dei più comuni criteri valutativi medicolegali;

4) 5) 6)Trattandosi di persona di anni 80, quindi al di fuori del mondo del lavoro, non sono applicabili i quesiti riguardanti la capacità lavorativa;

7) non si ritengono necessari in futuro interventi terapeutici e/o strumenti correttivi;

8) le spese documentate, che ammontano a Euro 113,97, sono da considerare congrue”.

La somma complessivamente dovuta e riconosciuta ammonta, pertanto, a complessivi Euro 14.338,55.

Deve disattendersi, infine, la domanda spiegata da parte della compagnia di assicurazione circa ogni richiesta di addebito avanzata nei confronti della A. S.p.A. per le spese di lite sostenute dal Comune di Anzio sia in quanto non dimostrate né provate documentalmente (non è stata prodotta in atti la polizza assicurativa richiamata dalla Compagnia di assicurazioni) sia in quanto, dall’analisi della documentazione in atti, è emerso che il Comune si faceva parte diligente nel richiedere all’assicurazione la nomina di un legale in virtù di quanto richiesto da parte attrice (Cfr. doc 1 e 2 allegati alla memoria ex art. 183 VI co. c.p.c. I termine), richiesta rimasta priva di riscontro che induceva il comune convenuto a provvedere alla propria costituzione in giudizio al fine di evitare la dichiarazione di contumacia e le preclusioni di legge dettate per le ipotesi di costituzione tardiva.

Assorbite e disattese le ulteriori e diverse istanze.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando:

– dichiara la responsabilità del Comune di Anzio per il sinistro occorso a (…) e per l’effetto, condannare il Comune di Anzio, e con esso, in manleva, (…) s.p.a., al risarcimento dei danni in favore di (…) quantificati e liquidati in complessivi Euro 14.338,55 con rivalutazione monetaria dal giorno del fatto a quello della presente sentenza oltre gli interessi e spese successive, ivi comprese quelle della c.t.u., anticipate dall’attrice nella misura di Euro 610,00.

– condanna il comune di Anzio e con esso, in manleva, (…) s.p.a., alla rifusione delle spese di lite in favore di (…), e per essa ex art. 93 c.p.c. all’avv. La.Mi., che liquida in complessivi Euro 4.835,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, spese esenti e forfetarie.

Così deciso in Velletri il 27 febbraio 2019.

Depositata in Cancelleria l’1 marzo 2019.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Avv. Umberto Davide

Fare un ottimo lavoro: questo è il mio lavoro! Su tutte, è indubbiamente, la frase, che meglio mi rappresenta. Esercitare la professione di Avvocato, costituisce per me, al tempo stesso, motivo di orgoglio, nonchè costante occasione di crescita personale, in quanto stimola costantemente le mie capacità intellettuali. Essere efficiente, concreto e soprattutto pratico, nell’affrontare le sfide professionali, offrendo e garantendo, al tempo stesso, a tutti coloro che assisto, una soluzione adatta e soprattutto sostenibile, alle questioni che mi presentano e mi affidano, questo è il mio impegno.